43. Prospettive
Dopo un viaggio che pare sia durato una settimana, mi butto sul letto matrimoniale della casa che affitto durante le riprese qui, a Cheyenne, nel Wyoming. La città lascia alquanto a desiderare, ma i posti selvaggi in cui giriamo gli esterni sono da mozzare il fiato. Siamo nella riserva naturale di Yellowstone, dopotutto. Per gli interni, invece, ci spostiamo in Canada e a Los Angeles, ma quelli verranno poi. E grazie a Dio, perché in Wyoming gli inverni sono freddi come le mani di Elsa di Frozen, già ora che è fine estate la sera si esce con la giacca, perché non si sale sopra i dieci gradi.
Preferisco girare qui ora, che ci sono ancora temperature umane, e poi spostarci altrove. Non che a Vancouver a gennaio sembri Rio De Janeiro durante il carnevale, ma almeno la città è fantastica e offre una gamma di diversivi che Cheyenne non si immagina nemmeno. E che, se devo essere sincero, non penso che arriveranno prima di venti o trent'anni. A voler essere ottimista.
Chiamo Dan per sapere come vanno le cose a casa. So che dovrei tagliare i ponti, ma non sto chiedendo informazioni a Elle, giusto?
Sto chiedendo informazioni su Elle. È ben diverso.
È valido così, almeno mantengo una parvenza di dignità, ma il mio lato apprensivo si placa.
Circa.
«Ciao, tutto bene?» Gli chiedo dopo la sua risposta tardiva.
Ora che ho rilassato i muscoli mi sento la stessa vitalità di un morto che cammina. Svuotato di tutto quello che avevo, in più messo ko dal jet-lag.
Non sono un bello spettacolo.
«Sì» risponde lui, con voce impastata.
«Cosa stai facendo?» Vuoi vedere che l'ho interrotto durante il sesso?
No, cazzata. Non risponderebbe mai, non lascerebbe scappare l'occasione per parlare con me. E come biasimarlo? Sarei il primo a non interrompere il momento.
«Stavo dormendo». Sbadiglia. «Sai com'è, qui sono le tre di mattina di domani».
OPS.
L'ho già detto che il fuso orario mi ha messo fuori fase?
«Scusa! Mi sono totalmente perso nei calcoli». Che non ho minimamente fatto, aggiungo tra me e me, ma questo evito di dirlo ad alta voce, prima di peggiorare la situazione.
«Tranquillo. Sai che ho la capacità di riaddormentarmi di schianto». E lo sento sorridere, dopo aver sbadigliato di nuovo. Immagino si sia sdraiato di nuovo a letto, dato il tono ovattato della sua voce.
«Una delle tue tante qualità». Se non fosse chiaro, sto parlando il linguaggio del sarcasmo, ma Daniel non sembra cogliere l'allusione.
«Uno dei miei innumerevoli super poteri» ammette, fiero di sé.
Già, insieme a quello in cui trasforma flirt in due di picche.
Però è anche riuscito in un'impresa titanica. Ha fatto affiorare il mio primo sorriso degli ultimi giorni, il barlume di un po' di buon umore. Nonostante l'ora e la distanza, e il suo essere mezzo addormentato.
C'è un motivo se è il mio migliore amico, e ogni volta mi ricorda perché sono felice di averlo scelto come tale durante la scuola di recitazione.
«Comunque ti avrei chiamato in giornata, a orari umani per entrambi, per dirti che parto per metà settembre, ma vado diretto a New York, non penso di riuscire a passare dalle tue zone sperdute».
Di certo la parlantina non gli manca nemmeno quando è per metà addormentato. Il suo essere logorroico è proprio un talento naturale, e ora ho la prova che si manifesta in qualsiasi condizione psico-fisica.
«Non preoccuparti». So che verrebbe per darmi un po' di supporto morale e non lasciarmi in costante compagnia di Claire, che pare desiderosa di parlare con me, ma non voglio forzarlo a venire qui, con tutte le cose che deve fare per lo spettacolo.
«Mi dispiace, avrei fatto volentieri un giro zaino in spalla per Yellowstone, e ti avrei dato una mano a non passare troppo tempo con Claire». Cosa inevitabile, come mi ha anticipato Francine sul volo.
«Non posso non passare troppo tempo con lei, purtroppo» ammetto con dispiacere, ma non sarebbe stato giusto nei confronti di Daniel volerlo qui solo per fare da cuscinetto. «Ma farò in modo di rendere la cosa il più sopportabile, indolore e veloce possibile. Non mi serve una balia».
«Lo so, ma è questo che fanno gli amici».
Sarebbe una soluzione temporanea e che non mi eviterebbe l'inevitabile per sempre, ovvero il confronto con la mia ex.
«E gli amici sanno quando è il momento di prendersi le loro responsabilità e cavarsela da soli» aggiungo, orgoglioso di me stesso. Voglio che il mio migliore amico si concentri sulla sua personale felicità, non suoi miei problemi. Sono felice per lui e non devo dargli preoccupazioni inutili e non sue a cui pensare.
«Molto maturo da parte tua... vedi solo di non farti arrestare». Ridacchia della sua stessa battuta, come se fossi in grado di ricorrere all'omicidio – cose che, al momento, non mi sento di escludere – e poi aggiunge: «È qui».
«Chi?» So a chi si riferisce, il sangue mi scorre sottopelle con una consapevolezza quasi fastidiosa nel sapere che si sta parlando di Elle, ma non capisco cosa voglia dire.
È il motivo per cui l'ho chiamato, e lo ringrazio in silenzio per aver sollevato l'argomento, perché a me sarebbe mancato.
«Lord Voldemort. Secondo te chi può essere? Elle!» Urla sottovoce, in quel modo isterico di chi sta dicendo un'ovvietà, ma non può gridarla perché tutti sono addormentati. «Ha chiesto se poteva dormire da noi, perché è l'unico posto dove si sente tranquilla. È l'unica frase che ha detto negli ultimi due giorni. Una volta che le abbiamo dato il permesso di restare ha preso possesso di camera tua».
«Ok». Ho il fiato corto. Non è certo la notizia che mi aspettavo.
È l'informazione che mi spezza, ma poi diventa anche il collante di ogni mio frammento rotto, con la speranza a fare da legante, a infiltrarsi in ogni crepa per tenere insieme quello che sono ora. È il desiderio che non sia tutto finito, che – nonostante voglia mettere fine alle sofferenze – in fondo non sia in grado di voltarmi le spalle. Il fatto che Elle cerchi un legame con me nonostante io non sia lì.
Daniel mi riporta alla nostra conversazione. «L'ho sentita piangere per un po', poi si è calmata. Forse è riuscita a dormire qualche ora».
«Mi dispiace».
Elle continua a stare male, come se la sua fosse una ferita bagnata dal succo di limone. Brucia, e lo sento anche io, quasi fosse mia.
Riesco a capire meglio perché non voglia sentirmi. Se evitiamo di sapere, evitiamo di stare male, ma non sono sicuro che possa funzionare.
«Sta male, almeno quanto non stai bene tu. Cerca di nasconderlo, ma è una pessima bugiarda».
Sento un imminente attacco di panico avvicinarsi. Ho il bisogno fisico di parlare, di allontanare le fitte dal petto e l'asfissia che mi prende la gola, così gli racconto tutti i dettagli, quelli che ho cercato di non rivelare a nessuno per evitare che rendessero la situazione reale.
«Quindi, alla fine, mi ha lasciato. Ho provato a farle cambiare idea, ma non c'è stato verso, è troppo spaventata dalla distanza e dai dubbi che fa nascere». Concludo, dopo averlo tenuto sveglio per altri quindici minuti.
Non lo ringrazio abbastanza per essere mio amico.
«La vedo determinata. Non mi sembra lucida in questo momento» conclude, scoraggiato. Forse preoccupato per quella che è diventata sua amica fin da subito. «La tengo d'occhio finché non parto. Poi so che lo faranno i ragazzi e che saranno bravi, anche meglio di me».
Ho piena fiducia nei miei amici, sono sicuro che sarà così.
«Grazie». La voce strozzata che non vuole saperne di uscire. «Ora ti lascio dormire. È tardi, hai già fatto abbastanza e domani avrai tantissime cose da fare».
«Un po'», ammette, «ma sai che per parlare ci sono sempre».
«Già. 'notte». Riaggancio prima di cedere davanti alla sua premura.
Perché voglio essere da solo per sfogare il male che sento. Non voglio testimoni, che si preoccupino per me.
Odio la sensazione di vuoto che ho dentro, e detesto sapere che i suoi confini sono i limiti del mio corpo, che cerca di contenerlo. Un buco che si ingrandisce di minuti in minuto. Difficile da reggere, ma ignorarlo lo renderebbe fuori controllo. E non posso permettermelo.
L'unica cosa che mi consola è che Hywell, il mio personaggio, è al culmine del suo cammino dell'eroe. Ha perso tutto, ha toccato il fondo e ora deve rialzarsi per riprendersi quello che vuole. È pieno di rabbia, di sentimenti negativi, si sente perso perché non sa come fare per riappropriarsi del suo destino, e quello che sto passando mi è tristemente familiare. Tutti questi sentimenti li incanalo lì, nel mio personaggio, per rendergli giustizia e dare la mia migliore interpretazione finora. Lo sento vicino come mai è stato.
Mi addormento con questa convinzione, l'unica che mi impedisce di crollare.
Mi sveglio solo quando qualcuno bussa alla porta.
Sono le nove e mezza di sera, ho dormito meno di un'ora dalla chiamata con Dan.
Mi avvicino alla porta ma, anche se ho cercato di farlo in modo silenzioso per capire chi ci fosse fuori, sono inciampato nel tappeto e mi è partita una parolaccia – o una sequela – che mi ha smascherato subito.
Rimango zitto, ma fuori bussano di nuovo. «Orsetti gommosi alla vodka».
Un colpo al cuore.
È qualcosa di così intimo da rinfrancarmi subito, ma così lontano dalla persona che sono ora che mi fa sentire a disagio nel provare un briciolo di conforto nel sapere chi c'è oltre la porta, che apro senza aspettare.
«Ciao!» Claire mi sorride solare, tanto è allegra. «Come va con il jet-lag?»
Mi stropiccio la faccia, mentre mi faccio da parte per farla entrare. «Da schifo, infatti mi ero addormentato da poco. Per fortuna sei arrivata».
«Sempre felice di essere utile». Il suo essere così raggiante quasi mi disturba. Non che ci sia qualcosa di male, ma non riesco ad avere lo stesso mood. «E non lamentarti, potrebbe andare peggio».
Si gira verso di me per studiare la mia reazione.
«Potrebbe o va?» Mi allerto. «Sono uscite fake news mentre ero appisolato?»
Il cellulare, devo recuperare il cellulare che ho lasciato sul comodino in camera.
«Andrà». Fa una smorfia con la faccia, quasi avesse dato un morso a un limone. «È uscito solo un rumor. Niente foto, però».
Questo è un bene per me, posso tirare un sospiro di sollievo, ma è meglio prepararsi al peggio. «Cosa dicono?»
«Che sei stato accompagnato da qualcuno in aeroporto. Una ragazza, ma non c'è certezza». Alza le spalle, curiosa. Non sa cosa è significato per me quel momento. Il dolore che si nasconde in una simile affermazione.
«Vero» replico asciutto, perché non voglio dirle più del dovuto. Ha già avuto troppe armi per farmi male, ora non ho intenzione di fornirgliene altre.
«Beh, ai pezzi grossi della cosa di produzione non fa piacere. Prenderanno provvedimenti, come al solito». Si accomoda sul bracciolo del divano. È un gesto così collaudato che mi fa a sentire a disagio.
È arrivato il momento di recuperare lo smartphone. Vado in camera e appena lo raggiungo accendo lo schermo e controllo le notifiche.
Nel giro di poco tempo mi ritrovo a tirare il secondo respiro di sollievo della serata.
«Francine ha già comunicato ai media che era mia mamma, in realtà, ed era in compagnia di mio padre» annuncio mentre ritorno in salotto.
Bella mossa. Non essendoci foto ce la possiamo giocare come meglio crediamo. Rispondo al messaggio di Francine elogiando le sue doti da improvvisatrice seriale al quale la costringo.
«Sai di che provvedimenti si parla?» Alzo la testa verso Claire dopo aver dato la giusta attenzione alla mia agente.
«Ovvio. Una nostra cena prima dell'inizio delle riprese». E sarà solo l'inizio. «Vogliono due persone che sono impazienti di rivedersi e non riescono ad attendere di essere sul set per farlo. Forse perché hanno bisogno di un po' di intimità...»
Lascia intendere, lasciando la frase in sospeso, per permettermi di sentirmi un po' intelligente e arrivare da solo alla conclusione.
«Wow, che culo». L'ultima cosa di cui ho voglia è trascorrere il mio tempo con Claire, speravo di rimandare il momento il più a lungo possibile. Sono troppo spaventato dalle conseguenze.
«Ehi, so essere di ottima compagnia, se voglio!» La mia ex mi dà un pugno sul bicipite.
«Lo so, me lo ricordo». La rassicuro. «Sono io a non essere una grande spalla».
Non lo sarei stato comunque nei suoi confronti, ma viste le attuali condizioni della mia ormai ex relazione, non sono in vena di passare il tempo con una persona che fa parte del mio passato ed è tristemente familiare, e sempre lo sarà.
«Vuoi che mi fermi a cena e ne parliamo?» Scivola dal bracciolo al divano, accanto a me, mentre spia alle mie spalle per constatare che non ho ancora ordinato cibo da asporto, come sono solito fare. Mi conosce bene, pure troppo.
«No, grazie, non ho voglia di parlarne». Taglio corto. Ho bisogno di ordinare dal mio cinese di fiducia e guardarmi un film che mi intrattenga e non mi faccia pensare. «E poi immagino ci sarà il tempo di parlarne durante la cena, visto che dobbiamo farla per forza».
«Oppure potremmo soltanto godercela, senza tanti pensieri per la testa...» Il pugno di prima si è trasformato in una carezza nello stesso punto.
Mi sottraggo al suo tocco, abituale ed estraneo allo stesso tempo.
«Non penso di esserne in grado» ammetto, asciutto.
«Ok, capisco quando non sono la benvenuta». Mi sorride e si alza, e io la seguo per accompagnarla all'uscita. «Ti lascio riposare. Vediamo quando siamo liberi entrambi da impegni questa settimana per la cena».
«Grazie, a presto». Annuisco appena, non avendo più nulla da dire. Ho esaurito le energie dedicate al mio essere socievole, almeno per oggi. Migliorerò, ma non è questo il giorno.
«Non vedo l'ora». Claire, ormai oltre l'uscio, si gira e mi sorride di nuovo, in attesa di una risposta.
Ma io, al posto di dargliene una, chiudo la porta.
*
Il giorno dopo mi sento ubriaco a causa del fuso orario, ma cerco di darmi un aspetto decente perché ho l'incontro con quelli della produzione, che vogliono vedere me, Claire e i nostri staff.
Il motivo è palese a tutti, ma hanno avuto premura di dirci che è per studiare una linea comune che possa acquietare i fan dei film e, soprattutto, della coppia che formiamo la mia ex e io.
L'operazione "Salviamo le apparenze" è iniziata, e io vedo le possibilità di riuscita pari a quelle del Titanic di attraversare l'Atlantico.
Due ore più tardi esco dalla riunione più ricco: porto con me un mal di testa da guinness world record e tutte le informazioni sulla nostra uscita.
La casa di produzione ci ha detto che la cena con Claire si terrà stasera. Si è premurata di farci sapere l'ora, il posto concordato con noi – quale gentile concessione! – e che ci saranno dei paparazzi appostati, pagati da loro, per divulgare subito lo scoop della riconciliazione tra i Clairestian.
Mi stupisce che non ci abbiamo anche detto cosa ordinare e quante volte masticare il cibo.
Lo vedo come un traguardo personale.
«Allora a stasera». Mi congeda Claire con un sorriso luminoso, felice che questa tortura sia finita. «Sarò quella che ti aspetta sotto casa, dato che sarai in ritardo come tuo solito».
Mi fa male vedere quanto mi conosce bene, perché a me sembra di avere davanti una persona sconosciuta, ma anche familiare. È una sensazione orribile, che mi fa precipitare lo stomaco verso il centro della terra.
Provo a ricambiare il suo sorriso, ma è solo una pallida imitazione. «Sarò quello conciato da schifo e con l'aspetto di uno appena uscito dalla lavatrice, come sempre».
«Ci divertiremo, vedrai». Sì, certo, come si è divertita Maria Antonietta a Place de la Concorde quando è stata ghigliottinata.
Meglio che non dica a Claire che la mia idea di svago, in questo momento, corrisponde a film e birra sul divano, mentre mi commisero per essere sfigato in amore. «Se lo dici tu».
Mi dà una spinta amichevole con la spalla. «Sii positivo».
«Come un test di gravidanza sui cui hanno appena fatto pipì». Non so come mi sia uscita, lo giuro.
«Che schifo!» Esattamente come la serata che ci aspetta.
«A stasera». La liquido, prima di dirigermi verso il mio appartamento. Ho intenzione di conservare la mia poca socialità per la cena, sento che ne avremo bisogno per arrivare al conto senza ucciderci, o morire di noia.
Prima di andare a casa, però, decido di fare un giro per la città. Faccio vecchi incontri con cui scambio due parole, come il ragazzo che mi vende il caffè ogni mattina, a cui ricordo che a breve riprenderemo con la solita routine. Firmo qualche autografo e poi punto verso il giardino botanico, il mio posto preferito della città. Un'oasi di pace dove posso avere a che fare con esseri viventi altamente socievoli che, però, non mi urtano il sistema nervoso: gli scoiattoli.
Dopo la passeggiata che ha giovato alla mia salute mentale, torno a casa per sistemare i vestiti che ho portato con me nell'armadio e dare una parvenza vissuta all'appartamento, dato che dovrò passarci i prossimi sei mesi. La bellezza di girare gli ultimi film insieme, dato che l'ultimo libro verrà diviso in due pellicole, come ogni franchise che si rispetti.
La sera arriva prima del previsto e io, per rendermi umano, indosso vestiti casual con cui mi sento a mio agio. Un paio di jeans, una felpa bordeaux, le Vans e una giacca di pelle nera.
Niente che faccia immaginare che mi sia messo d'impegno per questo appuntamento.
Claire mi scrive in chat che è sotto casa e io, puntuale come non sono stato nemmeno alla mia nascita, scendo.
«Il mondo sta per finire?» Domanda, ironica.
Lei, invece, a quanto pare ha curato il suo look. Indossa un vestito che mi sembra troppo leggero per le sere fresche del Wyoming, e sopra un cardigan spesso, che però non compensa l'assenza di calze. Almeno ai piedi ha delle Converse, che smorzano un po' l'insieme un po' troppo ordinato.
Forse ci tiene più di me a farsi trovare presentabile nelle foto.
«Ho fame». Alzo le spalle per evitare di dire la verità, ovvero che prima iniziamo questa farsa e prima la finiamo. Il divano richiama la mia presenza. Posso sentire Jurassic Park che mi chiama dalla TV anche da qui.
Arrivo, tieni duro. Sarai nei miei pensieri tutta la durata della cena.
Mi incammino verso il ristorante, dato che lo raggiungiamo a piedi, non è molto distante da casa mia.
È una steak house normalissima, di quelle che, nelle grandi città risulterebbe pacchiana e fuori moda, ferma agli anni novanta, ma a Cheyenne è il meglio che si può trovare. Il ristorante delle grandi occasioni: appuntamenti tra innamorati, il festeggiamento di grandi ricorrenze importanti e, da oggi, strumento di tortura per poveri sfigati come me.
Il tavolo è appartato, ma so che è visibile anche da fuori, se ci si posiziona nella perfetta angolazione, quella dove si apposteranno i paparazzi, sempre che non siano già fuori. Mi accomodo con le spalle alla vetrata, per evitare che si possa notare il mio poco coinvolgimento nella serata. E forse so che così posso rovinare le foto, dato che le mie spalle sono decisamente più larghe di quelle di Claire e possono disturbare gli scatti.
«Allora, come va?» domanda, imbarazzata.
«Va». So che non le sto facilitando il compito di rendere la cena godibile, ma non ho voglia di fare il perfetto compagno di serata. Non ho intenzione di recitare al di fuori dal set.
«Sembri uno che vorrebbe essere dappertutto, tranne che qui». Appoggia i gomiti sul tavolo, attenta a ogni mia reazione. Mi sembra di essere tornato ai vecchi tempi, quando entrambi eravamo interessati e cercavamo di capire se anche l'altro lo fosse.
«Allora è proprio come sembra». Alzo un sopracciglio, in segno di sfida. Dei vecchi tempi, in fondo, c'è solo l'apparenza.
«Wow, non hai intenzione di lasciarmene passare una». Tra noi non c'è stata l'opportunità di avere un vero confronto sulla nostra storia perché lei me l'ha negato, e sa che non perderò l'occasione per togliermi qualche sassolino dalla scarpa.
«Sinceramente? Non si tratta di te, ma di me». Mi appoggio allo schienale per assaporarmi il momento in cui riesco a zittirla e faccio questa cosa per me. Mi fa stare bene.
Arriva il cameriere a prendere le ordinazioni. Claire opta per del pollo con i funghi, mentre io mi butto su un hamburger.
«Come stai? Davvero intendo» riprende, dopo che siamo rimasti di nuovo soli.
«Non bene». Non ho intenzione di mentirle, preferisco essere sincero.
«Eppure dieci giorni fa ti ho sentito felice». Mi fa notare, mentre beve un sorso di vino. «Ora sembra che ti sia passato sopra un tir e che abbia fatto retromarcia».
Una descrizione impietosa, ma accurata.
«Dieci giorni fa ero in compagnia della mia ragazza, ora no».
«Beh, io sono la tua ex, di sicuro abbiamo qualcosa in comune». Cerca di smorzare la tensione con una battuta, ma non sa quello che si nasconde dietro le mie parole. Né cosa è successo, né come mi sento.
«Non mi pare». Sono glaciale.
«Gli ottimi gusti in fatto di ragazzi. Questo non puoi certo metterlo in discussione». Mi punta un dito contro e ammicca. Per lei la serata sembra promettente, e non capisco il perché, mentre per me è un tormento.
«C'è anche un'altra cosa» aggiungo scontroso.
Claire alza un sopracciglio, in un muto invito a continuare.
«Siete riuscite a mollarmi entrambe». La guardo dritta negli occhi, la sfido a cogliere la provocazione.
Lei, di tutta risposta, spalanca la bocca, sorpresa, e si prende del tempo per capire come rispondere.
«Ma... com'è possibile? Hai detto che eravate felici». Avvicina la sedia al tavolo.
Accorcia la distanza tra noi in modo infinitesimale, ma mi sembra un'invasione del mio spazio personale, mi sento soffocare.
«Già». Prendo la mia birra e la osservo attraverso il bicchiere. «Eravamo».
«La amavi?» È curiosa, troppo.
«No, io...» la amo, vorrei rispondere, però arriva una nuova cameriera con i nostri piatti.
Non la amavo, ma la amo, al presente. Non è un sentimento che sono in grado di cancellare in pochi giorni, e non credo di esserne capace nemmeno in una vita intera.
«Per chi è il pollo?» domanda educata.
«Per me». Claire alza la mano e le sorride, gentile.
Dopo aver posato il piatto davanti alla mia ex, lascia l'hamburger a me.
«Buon appetito».
La serata cambia. Claire si fa più spigliata e parla, parla tantissimo e di tutto.
Sembra sciolta, a suo agio, quasi sentisse il bisogno fisico di condividere con me ogni avvenimento che le è capitato negli ultimi nove mesi.
L'unica tregua me la regala il cellulare, dove vedo sullo schermo un messaggio di Dan che mi chiede come va.
"Non mi ricordavo parlasse tanto, ma è sopportabile".
"La serata o Claire?" mi risponde subito.
"Entrambe. Almeno credo" poi, però aggiungo: "Elle come sta?"
"Dorme sempre nella tua stanza. Sembra una tossicodipendente che ha bisogno della sua droga".
Chiudo gli occhi e la sento nel brivido che mi percorre la schiena.
Sento la connessione che ci lega ancora, nonostante tutto.
Vorrei averla davanti per chiederle perché ha voluto rompere, perché mi ha lasciato andare, quando in realtà non ha davvero il coraggio per tagliare davvero i ponti, ma non posso farlo perché sono dall'altra parte del mondo, e perché non ho più il diritto di sapere come sta.
"Tienila d'occhio finché puoi. Grazie". Poi ripongo il cellulare in tasca e continuo ad ascoltare Claire, perché ho una nuova speranza che mi spinge ad andare avanti, ed è quella che non tutto è perduto con Elle.
*
Stiamo tornando a casa dopo una cena a cui ho fatto malapena da comparsa. I messaggi di Dan mi hanno aiutato e logorato al tempo stesso.
«Mi dispiace che vi siate lasciati». Claire spezza il silenzio così, ma sembra tutto, tranne che amareggiata.
«Perché ho come l'impressione che non sia vero?!» Glielo faccio notare. Mi infastidisce la sua frase di circostanza, ma non voglio darlo a vedere, prima ho bisogno di capire dove voglia andare a parare.
«Forse perché non sono così brava a mentire». Alza le spalle e accenna un sorriso timido, la ragazza d'America che tutti sognano e amano. La superficie sotto la quale lei non ha permesso a tutti di andare, ma a me sì, una volta.
«No, mai stata» convengo asciutto.
Ringrazia come se le avessi fatto un complimento.
«Sei brava a sparire senza darmi spiegazioni, quello sì» aggiungo, con stizza. «Ma a mentire? Mai».
«Perché sei così scontroso?»
Perché ho bisogno di esternare la rabbia, o forse sono così stronzo che ho bisogno di sapere che c'è qualcuno che soffre come me in questo momento.
O, più semplicemente, sento la necessità di dirle tutto quello che penso riguardo a quel noi che non esiste più, e che non ho mai avuto la possibilità di rivelarle.
«Perché è tutta sera che stai cercando di interessarti a me, quando non l'hai fatto nel momento in cui andava fatto». Metto il punto, rancoroso. «Sei stata più loquace durante la cena, che in tutta la nostra relazione, per non parlare del dopo».
Ho una faretra piena di frecciatine che mi pesa sulla schiena. A ogni scoccata mi sento più leggero.
«Forse perché mi interessa sapere come stai». Si ferma accanto a me, e fa in modo che io che lo faccia pure io, posandomi una mano sull'avambraccio. «Mi interessa davvero».
«Perché?» Ora sono sinceramente interessato. Ma, per non darlo a vedere, riprendo a camminare come se nulla fosse.
«Perché mi sono resa conto che mi manchi». Sgancia la bomba così, come se non fosse importante, come se non fosse successo niente negli ultimi nove mesi, quasi la nostra fosse stata una pausa e non una rottura.
«Wow, bel tempismo di merda». Mi giro a guardarla mentre pronuncio la mia sentenza.
«Senti, so che ho sbagliato, ma sto cercando di rimediare». Claire si avvicina, ma io la sento più distante che mai. «Non sono io quella che ti ha lasciato. Non ora, perlomeno».
Bel modo per tentare di riconquistarmi, davvero.
«Non giustifica comunque il tuo comportamento» ringhio tra i denti, nella speranza che chi ci sta fotografando non si accorga che la serata non sta procedendo come la casa di produzione vorrebbe. «Il fatto che io sia stato mollato dalla mia ragazza, non significa che debba correre tra le tue braccia solo perché lo vuoi tu o lo vogliono gli altri».
Perché è questo il punto focale della questione, l'interrogativo che più mi sono posto da quando abbiamo rotto. A mente lucida non so se siamo stati insieme perché l'abbiamo voluto davvero o perché lo desideravano gli altri, e noi eravamo ansiosi di soddisfare le aspettative altrui.
«Mai hai detto di non amarla, a cena». Con un gesto di stizza allunga il braccio nella direzione del ristorante, dietro di noi. «L'hai detto poco fa».
«Ho detto che non la amavo, ma sono stato interrotto». Mi avvicino a lei, che ormai ha quasi raggiunto l'ingresso della palazzina dove sta. «Non la amavo, perché la amo ancora adesso».
«Quindi ok, se io dico di provare qualcosa per te sono meschina, ma se è lei a scaricarti e tu a correrle appresso come un cagnolino va bene».
Ecco la vera Claire, quella che non accetta un no, se non è la risposta che vuole ottenere. Sono quasi rinfrancato alla vista del suo lato peggiore, mi ricorda perché non siamo adattati per stare insieme, né lo siamo mai stati.
«Sai perché?» Mi faccio sotto, per evitare di urlare ed essere così ancora più mortalmente serio. «Perché lei ha messo fine alla nostra storia per paura, non perché non prova più niente per me. Sono passati mesi dalla rottura. Ho provato mille volte a parlarti, per chiederti almeno perché volessi mettere fine alla nostra relazione, e ho ricevuto soltanto un misero "è così e basta, non me la sento" come motivazione. Poi sei sparita».
Meritavo un vero perché. Meritavo rispetto e lo merito tutt'ora.
Fa per parlare, ma la interrompo, perché non ho finito il mio discorso.
«Ora ritorni come se niente fosse, felice che qualcun'altra mi abbia calpestato il cuore, perché così puoi consolarmi?» La costringo a indietreggiare verso il portone. Forse i paparazzi saranno felici, scambieranno per passione quello che invece è, a tutti gli effetti, un riversarsi addosso le rispettive frustrazioni. «Non prendermi in giro: da quando ti ho detto che ci siamo lasciati sei cambiata, stasera. Sei diventata contenta all'improvviso».
«Certo che lo sono! Mi sono accorta che ho sbagliato tutto con te, che provo ancora qualcosa nei tuoi confronti. Se ho anche solo una possibilità di riconquistarti, stai certo che la sfrutterò».
«Se vedi un'opportunità, beh, sappi che vedi male».
Preferisco mettere le cose in chiaro.
«Come puoi non accorgerti dell'evidenza?» Sporge in avanti il viso, per dimostrarmi che non ha paura delle mie reazioni, né di farsi sotto, come se questo la rendesse migliore. «Siamo destinati a stare insieme, nonostante non sia filato tutto liscio al primo tentativo. La fine della tua relazione ne è soltanto l'ennesima prova».
La cosa mi irrita ancora di più, perché non è in grado di accettare la realtà dei fatti, ma vede solo le cose dal suo punto di vista, quelle che vorrebbe vedere.
«Ho solo una domanda». Appoggio le mani al pannello dietro di lei, ai lati della sua testa. Voglio intimidirla e tenere le dita impegnate. Avrei voglia di scuoterla per farla rinsavire, ma so che non servirebbe a niente, se non a farmi passare per il violento della situazione. E io non lo sono, mai.
«Avanti». È quasi speranzosa, e mi dispiace per lei.
«Ti ha dato più fastidio sapere che non fossi felice con te, o che fossi felice e basta?» Sputo, rabbioso. «Perché è questa l'impressione che dai».
Ho come la sensazione che il suo interesse non sia sincero, che sia falsato da una sorta di gelosia. Dal fatto che sono riuscito ad andare avanti, a dimenticarla, e a Claire non sembra stare bene.
«Come puoi dire di essere felice, se hai l'umore sotto terra e vi siete lasciati?» Anche il suo tono è rancoroso, come se tutto fosse chiaro, ma non a me.
«Sono triste perché ci siamo lasciati, ma con lei ero felice. Dannatamente felice». Batto una mano sul legno, incazzato come non mai. «E mi sono reso conto che, per quanto tra lei e me sia stata breve, è stato il periodo più bello della mia vita. Molto più di quando stavo con te».
«Sei meschino». Ha le lacrime agli occhi.
«Ho imparato dalla migliore, a quanto pare». Espiro.
Ora che ho sfogato tutta la rabbia nei suoi confronti, ho detto tutto quello che ho sognato di urlarle in faccia negli ultimi mesi, mi sento spompato. Un palloncino sgonfiato di tutta la forza che l'ha alimentato fino a questo momento.
Mi sento leggero.
È da stronzi, ma mi sento meglio.
Il rancore? Sparito. Non mi preme più sul petto, l'ho lasciato andare.
Inspiro con più lucidità e apro il portone, per evitare di dare ulteriore spettacolo fuori casa. Claire mi segue nell'ingresso, vuoto e al sicuro da occhi indiscreti, e i relativi obiettivi fotografici.
«Ok, forse ho esagerato, ma avevo della rabbia nei tuoi confronti che nemmeno sapevo di avere e avevo bisogno di mettere il punto a quello che c'era in sospeso tra noi» ammetto, un po' meno orgoglioso di me stesso. Mi passo le mani sul viso, conscio di come desidero che vadano le cose da ora in poi. «Voglio essere chiaro, anche se forse non te lo meriti: tra noi non ci sarà più niente. Ci tengo che il film riesca bene, sei la mia compagna di set, ma non andremo oltre al rapporto lavorativo».
Non mi interessa più, è il passato e voglio che rimanga tale.
«E come la metti con tutte le uscite che la casa di produzione ci costringerà a fare?» Cammina per lo spazio che ha a disposizione, frustrata.
«Le farò, come da contratto, perché fanno parte del mio lavoro». Ed è l'unico motivo che mi spinge a farle, in questo momento. Non la voglia di trascorrere il tempo con Claire, ma il contratto che fa rientrare le nostre uscite tra le mansioni lavorative. «Farò di tutto per essere migliore di stasera, per renderle sopportabili. Potrò essere anche tuo amico, perché è questo che sono stato prima di essere il tuo ragazzo, e funzionavamo mille volte meglio, ma non posso essere più di questo».
Dirlo ad alta voce mi rende libero. Mi rendo conto solo ora che così può funzionare, è l'unico modo in cui le cose possono andare.
«Come puoi pensare di essere mio amico dopo quello che mi hai detto?» Piange, impaurita dalle cattiverie che ci siamo scambiati e dalla convinzione che mi muove.
«Come puoi pensare di tornare con me a tuo piacimento dopo quello che mi hai fatto?» Mi siedo sui gradini lì accanto, sfinito da questa conversazione intensa e, soprattutto, inaspettata.
Claire sospira, sempre più frustrata, e cerca di capire cosa non funzionasse nella nostra storia, ma la risposta è semplice: noi.
«Hai ragione, sono una persona orribile». E si siede vicino a me, esausta.
«Lo siamo entrambi, dopo stasera». Le regalo un sorriso timido, appena accennato.
«Lo so che ci comprendiamo, siamo sulla stessa barca», continuo, più sereno rispetto a prima, «ma non posso darti quello che vuoi. In realtà non penso nemmeno sia quello che vuoi davvero. Avevamo una relazione tossica, fondata sull'essere del tutto isolati dalla realtà».
Ci siamo ritrovati soli insieme. Stesse pressioni da parte della casa di produzione, dai fan, delle aspettative sui film e la loro buona riuscita. È stato facile avvicinarsi ma, forse, non l'abbiamo fatto con le giuste intenzioni, ed è successo senza che nemmeno ce ne accorgessimo.
«Ci siamo sempre capiti alla perfezione...» obietta, poco convinta.
«Perché abbiamo sperimentato la stessa situazione: quanto il successo sia bello, ma quanto renda anche completamente soli». È l'aspetto che chi non fa il nostro lavoro non può capire. E ti risucchia, però non ti permette di vedere il fondo, di toccarlo per risalire. Non è sempre tutto bello e perfetto, a Hollywood. «Ci sarò se avrai bisogno di supporto in questo circo mediatico, ma sarà un ottimo amico, nulla di più».
Perché in fondo il sostegno reciproco è l'aiuto di cui abbiamo bisogno per tornare a galla e respirare, per lavorare insieme in armonia, ma non può essere più di questo.
«Penso di aver bisogno di digerire questa serata». Si passa le mani tra i capelli, per poi tenersi la testa, quasi le scoppiasse
«Più del pollo immangiabile?» Sono io a darle una spinta con la spalla, questa volta. Un ramoscello d'ulivo. La mano tesa di un amico che non vuole che la situazione schifosa in cui ci troviamo ci travolga e ci faccia affogare.
«Forse». Alza gli angoli della bocca, un po' più tranquilla.
«Senti, so che è tanto da elaborare. Io di sicuro ho avuto più tempo di te per pensare a cosa dirti, durante tutti questi mesi». Mi alzo e mi pulisco i jeans con le mani. «Prenditi il tuo tempo. Se vuoi un amico sai dove trovarmi, altrimenti avrai sempre un compagno di set che è anche tuo fan».
«Grazie». Annuisce convinta con la testa
«Ora sarà meglio che vada, buonanotte». Prima di ricevere risposta esco dal portone e mi incammino verso il mio appartamento, ho bisogno di tornare a respirare a pieni polmoni dopo aver chiuso definitivamente un capitolo importante e incasinato della mia vita.
«Seb». Claire si ferma sull'uscio.
«Sì?» Mi volto a guardarla, in attesa.
«È fortunata ad averti» sussurra, dato che siamo abbastanza vicini per tenere privata questa conversazione. «Anche se non state più insieme non vuol dire che lei ti abbia perso, o che tu abbia perso lei».
Viene verso di me e mi abbraccia in modo timido. Non come una ragazza che cerca di riconquistare l'ex, ma come una persona che sta accettando il ramoscello che le ho allungato poco fa.
«Spero proprio sia vero». Ricambio il gesto, anche se con fare impacciato.
«Io intanto rifletto sulle tue parole». Mi assicura.
«Spero non soltanto su quelle brutte». La prendo in giro. Beh, quasi.
«No, te lo prometto». Saluta con la mano. «'notte».
La vedo rientrare nel palazzo e tiro un sospiro di sollievo.
Forse non ho usato le parole migliori, e nemmeno i modi, ma mi sento meglio. E maturo. Sono stato cattivo, ma le ho fatto capire che ci sono per lei, se lo vorrà, anche se non nel modo in cui desidera.
Spero solo che accetti questo nuovo inizio. Ho bisogno di sapere di avere un'alleata durante il circo mediatico che dovremo affrontare nei prossimi mesi.
*
Mi alzo per le undici, rigenerato dopo otto ore di sonno, la chiacchierata più complicata e liberatrice della mia vita e la visione di Jurassic Park che mi ha soddisfatto come se l'avessi visto per la prima volta.
So che le foto sono uscite, altro motivo per cui ho aspettato per alzarmi dal letto e connettermi alla realtà, perché quando guardo lo schermo del cellulare trovo una quantità di messaggi indescrivibile.
Ci sono quelli di Francine, che mi linka i primi siti che hanno riportato gli scatti e mi dice che è soddisfatta del risultato, soprattutto perché la casa di produzione è contenta di quello che ne è uscito, e poi trovo i messaggi di Dan.
"Come è andata ieri sera?"
"Ok, ho appena visto le foto. Beh, caaaazzo"
"Cos'era tutta quella tensione tra voi? Era sessuale o solo voglia di mandarla a fanculo? Non riesco a capire"
"ILLUMINAMI"
"Le mani sul portone sono un tocco di classe. Sembri Christian Grey, ma più umile. Il che ti rende anche più sexy, secondo il mio modesto parere"
"L'abbraccio finale è inaspettato. Le cose tra voi sono davvero ok o era solo a favore dell'obiettivo?"
Wow.
Tutta questa loquacità non è inaspettata. Insomma, voglio dire, è Dan, però non credevo che aspettasse le foto come eravamo soliti aspettare la stagione successiva di Game of Thrones, salvo per l'ultima, quella potevano pure risparmiarsela.
Prima di rispondere a lui mi dedico alla mia agente, registro un audio veloce in cui le spiego com'è andata la serata, ma sono contento che le foto vadano bene, anche se non c'è stato tutto il feeling che probabilmente quelli della produzione si aspettavano.
Poi premo sul link e faccio scorrere l'articolo per osservare le foto e leggere le conclusioni che ne sono uscite.
Parlano di serata romantica, di una scaramuccia tra due innamorati, forse, e di un evidente ritorno di fiamma che si è concluso con un tenero abbraccio.
Ho letto fan fiction su di me scritte meglio, e la grammatica corretta non era contemplata. Hanno costruito uno script su degli scatti che farebbe invidia a sceneggiature candidate agli Oscar.
Guardo le foto e sono un'altalena di emozioni. Noi al ristorante, un qualcosa di tranquillo come antipasto per i lettori, per poi passare alla passeggiata in strada, interrotta dalla mano di Claire sul mio braccio. Si arriva poi alla tensione, papabile anche attraverso quelle poche istantanee, ma il sereno poi torna grazie alle mani vicino al viso di Claire, che sembra immortalare una passione bruciante, per poi concludersi con un abbraccio dolce, ma che io definirei più... sincero, visto quello che è successo.
"Le ho sputato addosso così tante cattiverie che non so come faccia la mia bocca a essere ancora al suo posto e a non essermi caduta, però mi sono liberato di un peso" scrivo al mio migliore amico.
"Però abbiamo chiarito la situazione. Claire mi ha detto di volerci riprovare, le ho risposto che non esiste, nemmeno tra un milione di anni, ma sono disposto a essere suo amico se lei lo vorrà".
Sono un fiume in piena, così continuo: "Sono stato uno stronzo ieri sera, ma ho chiuso un capitolo della mia vita che necessitava di un punto, della parola fine. Mi sento meglio"
"Certo, sto da schifo, ma per Elle. Mi manca, da impazzire. Vorrei che fosse con me, anche a distanza. Vorrei sentire la sua presenza per essere un po' più forte. Ma ieri sera mi è servita per capire che ce la farò anche se sento la sua mancanza".
Sono patetico nell'esternare questi pensieri a uno schermo, ma condividere certe considerazioni con un amico mi fa stare bene.
"Elle come sta? Sai se ha visto le foto?"
"Come le ha prese?"
La spunta della chat è verde ed è singola, segno che Dan è al lavoro con il suo insegnante di recitazione. Guardo l'ora e, in effetti, a Londra sono le sei e mezza di pomeriggio, normale che non mi risponda.
Mi preparo per la prova costumi del pomeriggio, nella speranza di distrarmi.
*
Verso le cinque mi arriva una sequela di risposte da Dan, che risponde alle mie considerazioni su Claire. È felice di sentirmi più sereno a riguardo, e mi rincuora dicendo che a volte è necessario essere stronzi per rincorrere la nostra sanità mentale e prenderci un po' della felicità che ci spetta, soprattutto dopo i torti subiti.
Poi mi aggiorna su Elle, pensa che abbia visto le foto, dato che sono ovunque, ma non ha fatto un solo commento a riguardo e che appena sa qualcosa mi fa sapere.
La sera crollo presto, sono esausto dopo aver passato il pomeriggio sul set in vista dell'inizio delle riprese. Mi mancava tutto questo, anche se mi è costato tanto, quest'ultima volta.
Sono le dieci e mezza quando mi addormento sul divano, le cinque di mattina quando mi risveglio nello stesso posto. Odio essere adulto, non c'è nessuno disposto a portarmi in braccio nel letto, e questo solo perché sono alto quasi uno e novanta e si presume che io sia abbastanza maturo da arrivarci da solo.
Sbagliato.
Con un occhio controllo il cellulare e vedo un messaggio di Dan di venti minuti fa.
Apro subito la chat per vedere cosa ha scritto.
"Elle ha visto le foto". Non aggiunge altro, cosa che mi spinge a scrivergli al volo.
"Come lo sai? Ne avete parlato?" continuo a fissare la nostra conversazione, nella speranza che possa prendere subito il telefono.
È online, e mi manca il fiato mentre mi compare la scritta che mi comunica che mi sta rispondendo.
"No. Ma per la prima volta da quando sei partito non ha dormito qui".
E dopo due giorni in cui ho sperato, in cui ho sentito il legame tra noi, mi lascio andare.
Elle ha chiuso lo spiraglio che aveva lasciato aperto. Ha chiuso a chiave la porta con tutte le mandate possibili, lasciando me da una parte e lei dall'altra.
È finita.
Dan si scusa, dicendo che ha un appuntamento di lavoro e che non può rispondermi nell'immediato, ma lo farà il prima possibile.
Mi lascia con i miei cocci da raccogliere e rimettere insieme.
Ma io, da solo, non ce la faccio.
Eccomi!
Scusate il ritardo, ma ieri ho avuto problemi e non sono proprio riuscita a incastrare l'aggiornamento.
So che vi ho fatto aspettare un giorno in più, ma penso di essermi fatta perdonare con un capitolo lungherrimo!
E so che non vi aspettavate (forse, chi lo sa, ditemelo voi!) un capitolo simile, ma io sono fiera di quello che è uscito. Dello scontro tra Claire e Seb, perché lui era così pieno di rabbia, sia per la situazione con Elle, sia per la situazione con Claire. Ho sentito il suo bisogno di sbottare, di sfogarsi con parte dell'artefice di questa rabbia. E sono soddisfatta di come ne è uscito.
Spero che anche a voi sia piaciuto Seb. Un Seb che sbaglia, ma che cresce, che si prende quello di cui ha bisogno per stare un po' meglio con se stesso, che è l'unica cosa che conta al momento.
E, indovinate un po' cosa troveremo nel prossimo capitolo? Sono curiosa di sentire cosa avete in mente.
Lo dico? LO DICO.
CI VEDIAMO LUNEDÌ 14, perché il capitolo è pronto ;)
Cris
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