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42. Check-in/check-out

Il suono della sveglia ci riporta alla realtà. Si diffonde indisturbato con il suo rumore metallico, ricordando più il richiamo di un'esecuzione. È il boia che mette fine ai nostri sogni, anche se non abbiamo dormito molto.

In effetti non ci ha svegliato, ci ha soltanto ricordato che è arrivato il momento di scontrarsi con la realtà, che tutti gli sforzi fatti per dilatare il tempo e non arrivare a questo istante sono stati vani. È il game over alla fine di un gioco, quando arrivi al mostro finale, devi sconfiggere il cattivo per salvare la principessa e sul più bello perdi.

E così l'attimo di mettere insieme le mie cose e andare è giunto.

Partire. Lasciare tutto. Abbandonare il cuore qui, nella mia stanza, tra le mani di Elle.

Elle sbuffa, scosta il lenzuolo dal corpo e si alza. Va verso la finestra e la apre.

«Fa freddo, è meglio mettere una felpa». Finge una noncuranza che non le appartiene, perché abbiamo cucito addosso entrambi la sensazione di fine che ci perseguita da giorni.

«Per forza, sono le cinque di mattina». Anche se è fine agosto bisogna considerare il clima di Londra, che ha deciso di non essere mai banale.

Non ho il coraggio di abbandonare il letto e il suo tepore, il nostro calore, lo stesso che è l'unica cosa che riesce a darmi un po' di conforto dentro, perché ci ritrovo Elle.

«Dai. In piedi, pigrone, che non mi sveglio alle cinque di mattina per nulla!» Accenna un sorriso e mi tira per un braccio, inutilmente, perché voglio godermi la sensazione il più a lungo possibile.

«Se vogliamo essere precisi non hai mai dormito, quindi non ti sei svegliata» ribatto con una leggerezza che vorrei convincesse me per primo.

Mi lascia il braccio e si siede sul bordo del letto, poi mi accarezza la guancia con un sottile velo di barba. Con lentezza si abbassa su di me per far combaciare le sue labbra con le mie.

Un bacio morbido e caldo, come la sensazione che ritrovo sotto le coperte, quella che non riesco ad abbandonare.

«Vado a vestirmi, poi torno qui. Vedi di fare lo stesso». Si alza e se ne va.

Si comporta come se tutto fosse facile, come se non stesse accadendo a lei e non le importasse, ma riesco a veder la pesantezza di ogni suo gesto. La capisco. Sta cercando di non crollare, e lo stesso faccio io.

Accendo le luci e controllo di aver preso tutto. Poi mi assicuro di aver salutato tutti. I miei, gli amici e il mio personal trainer, che ha avuto una pazienza immensa nei miei confronti. So di non aver niente in sospeso, ma l'ansia pre partenza mi gioca brutti scherzi.

Dopo essermi lavato mi infilo un paio di jeans, la maglia e una felpa scura, per passare inosservato il più a lungo possibile. In testa metto gli occhiali da sole, che poi utilizzerò per evitare di incrociare gli sguardi di persone troppo curiose. Non voglio nemmeno dare ai paparazzi – anche se non dovrebbero essere presenti – la soddisfazione di vedermi a pezzi.

Dopo aver preso i bagagli, che Elle mi dà una mano a portare in strada, raggiungiamo Fred, già pronto ad aspettarci.

«Buongiorno Sebastian». E allunga subito una mano verso la valigia, per caricarla nel bagagliaio.

«'giorno a te, Fred» rispondo, mentre appoggio anche lo zaino. Essere una star non mi esenta dall'essere gentile, e solo per il fatto che Fred faccia questo lavoro non implica che io debba lasciare a lui l'incombenza.

Credo ancora nella gentilezza.

«Miss» saluta Elle con un cenno del capo, e la mia ragazza replica con il primo sorriso sincero delle ultime ore.

Poi saliamo in auto, che viene messa in moto poco dopo, verso la fine della mia felicità.

Elle si appoggia a me, il viso nell'incavo del mio collo, mentre io affondo il naso tra i suoi capelli, conscio che questa potrebbe essere l'ultima occasione per farlo.

Più ci avviciniamo all'aeroporto, più il silenzio diventa soffocante. Meno chilometri ci separano dalla meta, più i sospiri aumentano e diventano l'unica espressione del dolore che ci percorre come una scossa elettrica.

Nonostante non sia un viaggio breve, non riusciamo a dirci nulla. Non sapendo da dove cominciare, né cosa dire, per la paura di non sapere dove il discorso ci potrebbe portare. Il silenzio è meglio di un addio, e ne siamo consapevoli entrambi.

Alza il viso e sorride, così mi abbasso verso di lei per imprimere il suo sorriso sulle labbra e rubarle un bacio. Forse l'ultimo, forse uno degli ultimi, so soltanto che un pensiero simile mi provoca una fitta al petto.

Soltanto dopo essermi separato da lei noto che è vestita come me, con una felpa di cui si era innamorata tempo fa e che le ho regalato per sorprenderla. Sembra una vita fa.

«Siamo arrivati» annuncia Fred, flebile.

Le dita di Elle si intrecciano alle mie, alla ricerca di quel calore che già comincia a disperdersi.

Stringo la presa in segno di forza, ma non sono sicuro di essere coraggioso come voglio mostrarmi.

Il cuore manca un battito, perché le parole di Fred sono scese come una ghigliottina sul collo.

«Fred, mi aspetteresti nel parcheggio, per favore? Aiuto Sebastian con i bagagli, lo saluto e poi ci sono». La voce strozzata che le esce a fatica.

«Certo signorina, prenda tutto il tempo che le serve».

Hai l'eternità a disposizione, Fred?

È in questi piccoli gesti che percepisco la voglia. La voglia di non lasciarmi andare, di non mettere fine a tutto. Perché, per quanto abbia voluto dimostrarsi forte e risoluta, le manca il coraggio di allontanarsi davvero da me.

Ci facciamo un segno del capo e, prima di uscire dall'abitacolo, caliamo i cappucci delle felpe sulle teste.

Io, per sicurezza, indosso gli occhiali da sole. Non ho visto alcun paparazzo nell'arrivare e il posto è discreto, ma non mi fido. O forse è solo un modo per nascondere agli occhi esterni la debolezza che mi sento stampata addosso.

Dopo aver scaricato le valigie, ci avviciniamo alle porte automatiche dell'aeroporto, mentre Fred si sposta per parcheggiare l'auto in un posto per la sosta di breve durata.

E il momento è arrivato, quello che non possiamo ignorare, lo stesso che ci impone di rompere il silenzio.

Le porte, dietro le mie spalle nel tentativo di ignorarle, più che sembrare l'entrata delle partenze internazionali, assomigliano alla soglia dell'inferno, per me.

Francine, all'interno e pronta a viaggiare con me, esce e ci saluta.

«Porto dentro i bagagli, ti aspetto al check-in» aggiunge con una delicatezza straziante, mentre si appropria delle mie cose. Anche lei ha capito l'aria che tira fuori e non vuole infierire. Apprezzo la sua premura, perché so che non la riserva a tutti.

«È anche dotata di tatto...» commenta Elle, sorpresa e sarcastica. Stima la mia agente, ma diciamo che avergliela sempre dipinta come un rottweiler affamato e pronto ad azzannarti alla gola non ha aiutato a immaginarla come una persona avvezza a gesti così delicati e gentili.

Colpa mia, lo ammetto.

«Quando vuole...» continuo sulla sua ironia, perché abbiamo bisogno di prendere fiato da questo momento che ha le dita avvolte attorno alle nostre gole e non ci permette di respirare a dovere.

Sospira.

E così è arrivato: il momento del mio check-in. L'istante in cui io, invece, farò check-out dal mio amore.

Vorrei essere forte, ma non ci riesco, perché Elle è la mia debolezza più grande.

Il cuore accelera il battito, sapendo che è giunto l'istante dei saluti. Sale in gola, facendo crescere il nodo che già c'era. Mi pizzicano gli occhi, terribilmente, e la voce non esce. Le mani tremano, nel disperato tentativo di dar sfogo in qualche modo al dolore, ma riusciamo solo a guardarci.

E tra noi passano mille parole, altrettanti discorsi. Non c'è bisogno di pronunciarli, basta lo sguardo.

Elle sfila le mani dalla tasca della felpa e le scivolare in quelle dei miei jeans, per far avvicinare il mio corpo al suo, le usa come leva. Poi appoggia la faccia all'altezza del petto, in un abbraccio discreto, dove può percepire ogni battito che avviene per lei.

La circondo con le braccia, nel tentativo di trattenerla il più possibile.

I sensi si acuiscono, sono troppo cosciente di ogni cosa che ci appartiene. Il suo profumo, il calore della pelle lì, dove è appoggiata a me, il sapore delle labbra sulle mie. Gli occhi mi si velano di uno strato umido che non mi permette di assorbirne a dovere ogni dettaglio.

Fa male, l'ho sempre saputo, ma non mi aspettavo potesse farne così tanto.

Le lascio un bacio tra i capelli e il cappuccio ed Elle espira in modo distinto, le dita escono dalle tasche e si spostano attorno alla mia vita.

Stringe con forza, quasi volesse trattenere tra le braccia l'ultimo battito d'ali di una farfalla che sta per morire. Un invito alla vita, a lottare.

Ma lei è un'ala e io sono l'altra, sappiamo bene che questa farfalla è formata dalle nostre due metà ed è destinata a vita breve. È una questione di attimi, poi smetterà di volare, esalando il suo ultimo respiro. E noi con lei.

Si alza in punta di piedi e imprime le labbra sulla mia guancia ispida.

«Vorrei darti un ultimo bacio, ma ho paura di creare problemi. Non so chi ci sta osservando».

E cede, inizia a piangere, anche se cerca di trattenere i singhiozzi.

Sento il cuore farsi piccolo davanti alla sua disperazione, non è pronto a reggere un simile colpo.

Levo gli occhiali da sole e li metto a Elle, come se fossero un travestimento con il superpotere di nascondere quelle lacrime così nude al mondo, e le asciugo le guance.

Poi le mani, traditrici, si fermano lì, a intrappolarle il viso in un istante che vorrei cristallizzare a vita. Un battito d'ali che non è mai stato portato a compimento.

Adesso non me ne frega niente della casa di produzione, può minacciarmi con tutte le ritorsioni che pensa io meriti. Può imbestialirsi quanto le pare, è inutile. So che senza di me non vanno da nessuna parte, perché come io ho bisogno di lei, lei ha bisogno del volto della saga.

Alzo un angolo della bocca. «Non mi interessa chi ci osserva, se lo fa. Diamo a chi è nei paraggi qualcosa da guardare». E, mentre le sollevo il viso, mi abbasso verso di lei, per incontrare l'ultima volta la bocca che mi ha fatto morire e innamorare ogni volta.

Elle non si fa trovare impreparata, mi stringe per accogliermi subito.

Un bacio lento e struggente, bagnato dalle lacrime di entrambi. Permeato di amore e dolore. Dalle parole che non siamo mai riusciti a scambiarci. Da quelle che, invece, ci siamo sempre detti.

Un bacio quasi violento, che ci estranea dal mondo per un'ultima volta.

Quando ci separiamo le accarezzo una guancia con il pollice, conscio che è solo una questione di secondi che si rincorrono lenti, ma mai abbastanza.

Una farfalla che sbatte le ali con meno vigore, in procinto dell'ultimo respiro.

La vedo togliersi gli occhiali e rimetterli sul mio naso, mentre il pianto continua a rigarle il viso.

«Ti amo» sussurra tra un sussulto e l'altro.

La fisso negli occhi, resi scintillanti dalle lacrime che luccicano in essi. Come le stelle incastonate nel cielo che ci accompagna ora, che piano si schiarisce per lasciare il posto alla nebbia leggera che fa spazio al giorno. Come lo strato di lacrime alla vista.

«Ti amo anche io».

E in un frangente tutto cambia.

La farfalla non sbatte più le ali. Si sono spezzate, come la sua vita.

Elle mi spinge appena ma, siccome è un gesto inaspettato, indietreggio per la sorpresa e le porte automatiche si aprono. Sono oltre la porta.

La vedo andare verso l'auto di Fred senza mai girarsi, ma mi accorgo delle spalle che si agitano per i singhiozzi.

E li sento. Li percepisco così chiaramente che so che mi perseguiteranno ogni notte.

Quando le porte scorrevoli si chiudono davanti a me, isolano il suono più spaventoso che io abbia mai sentito. Quello del dolore più grande che una persona possa provare.

Ho sentito nettamente il rumore di due cuori che si sono spezzati.

È finita.

*

Mi muovo verso il check-in come un automa.

Cerco di pensare ai lati positivi, ma non ce ne sono.

Mi concentro su tutte le sfumature che Elle ha portato nella mia vita. Perché la sua presenza mi ha fatto conoscere un mondo a colori che non avevo mai visto prima.

Blu. Come i suoi occhi, scuri come la notte, che mi hanno trafitto.

Rosa. Le sue guance quando si sente esposta e si apre al sentimento.

Rosso. Le labbra che ho appena abbandonato, gonfie per quell'ultimo contatto. Una bocca che tante volte mi ha ferito a morte, ma che mi ha sempre riportato in vita.

Giallo. Come il sole che è diventata per me. Non un solo raggio, ma tutta la stella che è. Mi ha portato calore e gioia.

Ma è anche grigio. La sua felpa. L'ultima immagine che ho di lei. Il colore delle sfumature più belle, che stanno tra il bianco e il nero.

Nero. Come il mio cuore ora, dopo l'addio più straziante. Il colore del mio futuro in questo momento, quello del tunnel di cui non vedo la luce alla fine, perché è Elle la mia luce, e ora se n'è andata.

Un contrasto quasi fastidioso con l'illuminazione troppo brillante e asettica dei neon della lounge.

Mentre cammino, senza rendermi conto di dove sono e dei posti raggiunti, le spalle basse e un'andatura sconfitta, qualcosa mi infastidisce. I jeans hanno qualcosa che non va, come se nella fodera della tasca avessi un qualcosa che punge.

Cerco di sistemarla al meglio e, per farlo, infilo una mano all'interno, ma trovo una novità.

Estraggo il piccolo oggetto che mi ha infastidito e sento il cuore sfarfallare nel petto.

Un nuovo battito d'ali. Piccolo, ma che dà un'immensa speranza.

Le dita bruciano, consce di stringere un oggetto così importante da risultare quasi pesante.

Il braccialetto con la chiave di Elle è tra le mie mani.

Ho la chiave del suo cuore.

Ciao!

Come vedete sono stata di parola...

Però purtroppo Seb non è riuscito a convincere Elle. Anzi, più si avvicinava il momento della partenza, più perdeva le speranze, poverino. Ormai era arreso all'evidenza.

So che il capitolo è corto, ma volevo focalizzarmi sul momento dei saluti e, sopratutto, sulla fine. Su quella minuscola speranza che sembra riaccendersi.

È un piccolo gesto, ma fondamentale. Sappiamo cosa significhi per Elle quel braccialetto e quanto sia importante. Ha il sapore di una promessa.

MA VENIAMO A NOI: il prossimo capitolo, al contrario di questo, sarà molto, MOLTO lungo. La domanda è... siete pront* a leggerlo tutto insieme, o preferite che lo separi? Fatemelo sapere!

Io preferirei lasciarlo unito, ma ho elaborato questo piano malefico: se, e solo se, non riuscissi a finire il successivo, potrei dividere il capitolo 43 in due. Se invece finissi il capitolo (che ancora devo iniziare a scrivere, ma penso positivo) lo posterei tutto insieme. Cosa ne pensate?

Perché sì, ovviamente il prossimo capitolo (di cui sono particolarmente orgogliosa) è scritto e finito, quindi lo pubblicherò mercoledì prossimo, il 2 marzo. Content*?

A mercoledì,

Cris

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