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41. Questione di tempo

Guardo la mia camera stranito. Non è l'effetto "bomba scoppiata" a preoccuparmi, ma quello che implica. I bagagli sono a buon punto, anche se non si direbbe, visto come ho riposto certi vestiti, ma il fatto è che è arrivato il momento. È venerdì pomeriggio e tra dodici ore salirò su un aereo.

Ho cercato di non pensare a come mi sento, a come affronterò il distacco da Elle, ho provato a rallentare il tempo e a godermi quello passato insieme, ma ho fallito miseramente in tutto.

Sto da schifo, so che la mia ragazza mi mancherà come l'aria e ogni momento, seppur abbiamo provato a godercelo, è come se ci fosse stato rubato contro la nostra volontà. Ci è sfuggito dalle mani come granelli di sabbia al vento, e ora vediamo i resti scorrere impietosi da un bulbo all'altro di una clessidra con una facilità che ci attanaglia la gola e fa mancare il respiro.

Ho provato a essere forte per entrambi, a far finta che tutto andasse bene, ma ho visto la tristezza permeare gli occhi di Elle ogni singolo istante, anche se ha provato a nasconderla come io ho fatto con lei. Forse come attore mi sottovaluto, perché non penso di averla ingannata con la mia recita.

Sospiro sulla felpa che mi sono preparato per il viaggio.

La verità è che ci sto mettendo più del previsto a fare le valigie perché finire vorrebbe dire rendere tutto reale, e non sono pronto.

Guardo la chitarra nella sua custodia e accenno un sorriso. Nella mente riaffiorano tutte le volte in cui mi sono seduto dietro Elle per aiutarla, per vedere quanto si è sudata e guadagnata ogni piccolo miglioramento.

Per quanto sia la mia chitarra preferita voglio lasciarla a lei, un incentivo a non smettere mai di crederci e di provarci, quasi fosse una metafora per noi e non solo per la musica. Nel Wyoming, nella casa che ho in affitto durante le riprese, ne ho altre, anche se non ci sono così affezionato come a questa.

Finisco di preparare le cose per la partenza con approssimazione, tanto ho tutto quello che mi occorre anche in America, dove mi aspettano tutti i vestiti degli sponsor con cui ho un contratto. Ho abiti per almeno dieci vite e sette corpi da vestire in contemporanea, anche se quelli che porto con me sono quelli in cui mi sento me stesso.

Una volta sistemato i miei averi in un paio trolley e beauty case, prendo la custodia con la chitarra annessa e mi avvio sul tetto. Con un po' di malinconia fisso lo spazio dove c'era la piscina e ora è tornato il solito tappeto, ma non mi faccio distrarre. Lascio lo strumento nella cassapanca, quasi sgombra, e la lascio lì, con il desiderio Elle che mi trovi quando avrà più bisogno di me, perché voglio esserci sempre per lei e in ogni forma possibile.

Una volta sistemato il tutto al meglio guardo l'orologio e mi accorgo che Elle è in ritardo per il nostro appuntamento e, quindi, anche io. Però mi sento giustificato, dato che mi sono fatto prendere da questo trasloco dalla mia vita di tutti i giorni, mentre per lei è strano, dato che non è al lavoro ed è una persona puntuale.

Forse si è addormentata.

Così, nello scendere, al posto di tornare a casa mi ritrovo davanti alla porta dell'appartamento delle ragazze, che trovo aperta. Ma, a sorpresa, la stanza di Elle è chiusa. E di solito lo è quando dentro ci sono io e abbiamo bisogno di riservatezza. Qualcosa non va.

Busso, ma non aspetto risposta. La apro con più delicatezza di quella che mi appartiene in realtà, e scorgo Elle sul letto in posizione fetale, intenta a versare tutte le sue lacrime.

Appena si accorge della mia presenza si mette a sedere ma, al posto di smettere di piangere, inizia a singhiozzare più forte, come se io fossi il motivo del suo pianto.

Faccio un passo verso di lei, ma con la mano mi invita a restare dove sono.

«Ehi, stai bene?» Cerco di accarezzarla con le parole, dato che non mi permette di andare oltre. Sento il bisogno di coccolarla in qualsiasi modo, di curare ogni tipo di ferita che si porta addosso e dentro.

Prende dei respiri profondi e, dopo essersi calmata, almeno all'apparenza, apre gli occhi e parla con voce roca, la gola graffiata di chi ha versato troppe lacrime, e non ha ancora finito. «Vieni qui».

Fresco dei ricordi di prima, mi siedo dietro di lei per farla perdere nel calore del mio abbraccio e le bacio i capelli. Ho bisogno che con me si senta protetta, a casa. Al sicuro da ogni male.

«Cosa c'è?» le sussurro vicino all'orecchio.

Elle, in risposta, appoggia le mani sui miei avambracci che le circondano le spalle. Lascia cadere la testa all'indietro per appoggiare la guancia sulla mia.

«Domani mattina partirai. Mancano meno di dodici ore». Si accovaccia meglio contro il mio corpo, nel tentativo di assorbire tutto il calore che posso darle. «Da domani non ci sarai più. E non so come affrontare la cosa».

Cerca di trattenere i singhiozzi, ma le lacrime tornano a riempire i suoi occhi per poi scivolare sulle guance, silenziose. Prova a sorridere, ma è uno di quelli tristi, che non fa altro che allargare la crepa che ho nel petto, la stessa che si è aperta da quando ho saputo della partenza anticipata e ha scavato sempre più a fondo a ogni minuto trascorso.

«Sto facendo di tutto per non pensarci» ammetto, con un sospiro arreso, perché è una battaglia che non possiamo vincere, dobbiamo solo abituarci a convivere con l'idea che sarà una situazione temporanea.

«Non ci riesco» esala appena, con voce rotta.

«Vedrai che questi mesi passeranno in fretta». Cerco di rassicurarla, ma sono il primo a vedere il mio periodo sul set come interminabile. «Abbiamo mille modi per sentirci, e lo faremo sempre».

Le accarezzo il collo con le labbra, ma Elle si gira verso di me per cercarmi direttamente con le sue, con urgenza, quasi non sapesse quale potrebbe essere il nostro ultimo bacio.

Per la prima volta ho visto la paura prendere forma nei suoi occhi e tramutarla in un qualcosa di tangibile e concreto, percepibile. Nemmeno Blaise era riuscito a fare tanto, e mi sento quasi colpevole.

Sospira e si stropiccia il viso, poi si alza. «Vado a sciacquarmi la faccia».

È spenta, sembra che le mie parole non siano riuscite nell'intento di donarle un po' di pace. Forse ha bisogno di scrollarsi di dosso la sensazione che il pianto le ha lasciato, così la libero dalla presa.

Torna poco dopo, la faccia pulita dal trucco colato, ma gli occhi ancora gonfi.

Si siede di nuovo sul letto ma, questa volta, si posiziona davanti a me con una determinazione che in questo istante non riesco a comprendere.

Con le mani cerca le mie, che coccola piano con le dita. Le guarda come se fossero la cosa più importante di questo mondo, la risposta che cerca racchiusa in un simile gesto.

Trae un respiro profondo prima di parlare. «Non ci sentiremo».

Solo adesso solleva lo sguardo per cercarmi.

Per studiare la mia reazione, anche se è cosciente che non so cosa dire davanti a un'affermazione simile.

Il cuore accelera, fa male, quasi avesse intuito dove vuole andare a parare.

«Cosa, scusa?» Non penso di aver sentito bene. So di non aver capito bene.

Elle curva le spalle sotto il peso delle parole che sta per dire. Le mie mani si gelano nelle sue, in attesa del verdetto.

«È da un po' che ci penso. E sono giunta alla conclusione che non ha senso stare insieme, se insieme non ci stiamo davvero».

Il cuore manca più di un battito, lo sento cadere nello stomaco. Lo divoro, mentre mi manca il respiro dopo che mi si è squarciato il petto.

«Stare insieme non vuol dire per forza stare vicini, una relazione non si basa solo su questo». Sono più scontroso di quanto voglio essere, ma non riesco proprio a comprendere il suo punto di vista.

«Vero, ma a volte la buona volontà non basta per portare avanti una storia». Posso anche darle ragione, ma noi valiamo un tentativo. Valiamo tutti i tentativi di questo dannato mondo, cazzo.

«Cosa stai cercando di dirmi?» Lo so benissimo, ma voglio che lo dica ad alta voce, di modo che capisca quanto suoni sbagliato.

«Che è meglio finirla qui». Riaffiora l'accenno del sorriso triste di prima, quello che non riesce a essere convinto nemmeno con la forza di cento uragani a sospingere gli angoli delle labbra. «Lascia che ti spieghi le mie ragioni».

«Certo, accomodati». La invito con una mano, ironico. «Dimmi perché stai mettendo fine al nostro rapporto e perché mi stai spezzando il cuore».

Non c'è altro modo di definire la cosa. La distanza non fa finire le relazioni, se ci si mette d'impegno per farle funzionare, ma troncare, beh, quello sì. Le distrugge.

Elle mi prende il viso tra le mani e lo porta davanti al suo, ma non riesco a guardarla, a vederla attraverso il dolore che mi sta causando. È come se non ci fosse più, nonostante sia qui. «Ti amo. E mi fido di te. Ma sei mesi sono tanti. Troppi».

«Questa è una scusa». So che è la rabbia a prendere il sopravvento, ma sono consapevole che è la paura a farla agire in questo modo. «Dici di amarmi, ma non sei disposta ad aspettarmi. A combattere per quello che abbiamo».

Io sono disposto a buttarmi nel fuoco pur di fare qualcosa per lei, ma Elle non è dello stesso avviso. E fa male. Un'operazione a cuore aperto senza anestesia.

«No, non ce la faccio». Si passa l'indice sotto l'occhio per raccogliere una lacrima. «So già come andrà a finire: ci sentiremo meno, di giorno in giorno. Una volta sarà colpa del fuso orario, quella dopo degli impegni che abbiamo. Io divisa tra studi e lavoro, tu sul set. Le chiamate saranno sempre più corte e fredde. Finiremmo per odiarci».

Un quadro preciso, ma non predefinito. Non possiamo annullare ciò che siamo per il nostro rapporto, ma non possiamo nemmeno cancellare ciò che proviamo a discapito di noi stessi. Esiste l'equilibrio, basta solo trovarlo. Ci saranno errori, ci vorranno tanti tentativi, ma se non proviamo non sapremo mai se siamo in grado di sopravvivere.

«Perché hai già deciso il corso degli eventi?!» Non riesco a dar voce ai pensieri articolati che mi passano per la testa, non quando mi sento tradito da questa sua decisione, sprecherei solo tempo e parole.

«Perché sappiamo entrambi che sarà difficile, troppo». Sospira, arrabbiata per non riuscire a esprimere appieno come si sente. Beh, benvenuta nel club. «Mi fido di te, totalmente. Ma come faccio a sapere che sul set non succede l'impensabile? Magari qualcuno che lavora al film cattura la tua attenzione, oppure decidi di riprovarci con Claire. E io? E se in questi mesi di lontananza incontrassi qualcuno che mi fa provare qualcosa?»

Sono allibito. Non riesco a credere a quello che dice. È agghiacciante. Una dissezione distaccata di una delle mille strade che la nostra storia può prendere. La analizza come se non le appartenesse.

Continua, presa dal suo discorso: «Non ci lasceremmo perché siamo lontani e certe cose è meglio affrontarle di persona. Diventeremmo vigliacchi se dovessimo troncare la storia per telefono. Andremmo avanti a prenderci per il culo. E non lo meriti. Non lo meritiamo».

No, non meritiamo quello che ci sta facendo, perché la parola fine che Elle vuole mettere è l'unica certezza in questo mare di probabilità.

«Sei seria?»

«Serissima. Sai che ci saranno un sacco di foto tue con Claire, come vuole la casa di produzione, e tu mi rassicurerai, ma il dubbio a riguardo ci sarà sempre». Una lacrima solitaria le lascia un rivolo salato sulla guancia. «Mi starai dicendo la verità o lo fai per proteggermi e rimandare l'inevitabile? Il dubbio mi ucciderebbe».

L'incertezza lacererebbe anche me. Sembra facile pensare di credere ciecamente alle parole di una persona, ma è difficile volerci credere quando la mente ti porta a parere in mille direzioni diverse, tranne verso la più ovvia. E lo capisco.

Però vorrei aver la possibilità di trovarmici in questa situazione, per vedere come la affronteremmo, che evitarla a prescindere.

«E tu pensi che mettere fine a quello che c'è tra noi sia la soluzione?» Voglio mantenere la calma, cercare di farla ragionare, ma sembra impossibile. «Puoi anche chiudere la storia, ma come la metti con i sentimenti? Non si esauriscono a domando. L'incertezza della situazione ti logorerebbe comunque».

Perché il dubbio rimarrebbe, e non so come faccia a non comprenderlo. Solo che non ci sarei io a rassicurarla, perché non avrei il coraggio di farmi vivo e ferirmi per farla dormire tranquilla.

«Però non mi sentirei sospesa tra quello che vedo e le tue rassicurazioni. Non ne avrei il diritto».

Perché non ci apparterremmo più. E il pensiero mi fa mancare il respiro. Non riesco a immaginarmi senza Elle, sarebbe come continuare a vivere senza una parte di me.

«Non voglio precluderti la possibilità di essere felice, anche se fosse lontano da me».

Se ami qualcuno lascialo libero. Di tutte le cose a cui poteva pensare questa è quella di cui ho meno bisogno durante le riprese del film, l'unica cosa di cui ho bisogno è la sua presenza – non importa se è dall'altra parte del mondo – e me la sta negando.

«Sono tutte stronzate, lo sai?» Non riesco a non arrabbiarmi, ma a dire il vero non riesco a fare nulla, nemmeno cercare di farle capire come mi sento, a dare forma ai pensieri che mi scorrono impetuosi dentro. «Mi stai già precludendo questa possibilità perché ti stai facendo da parte, e lo stai facendo senza lottare».

E anche a me sembra di non fare abbastanza, di non dire abbastanza, ma non ci riesco, quasi avessi una mano attorno alla gola a togliermi il respiro, a impedirmi di far arrivare aria nei polmoni.

«Non ti sto chiudendo la porta in faccia, ti sto dando l'opportunità di essere libero e agire senza sensi di colpa».

Sensi di colpa per cosa? Perché dovrei averne?

«Mi stai dando il permesso per scopare chi voglio? Così anche tu potrai fare lo stesso?!» Il solo immaginarmi con un'altra persona mi fa venire una fitta allo stomaco e la nausea risale la gola. L'immagine di Elle che sorride a un altro, che trova la felicità in un altro è insopportabile. Vorrei vederla sempre felice, lo so, ma quello che mi fa impazzire è che non sta mettendo fine alla storia tra noi per mancanza di sentimento, ma per eccesso di paura.

«Pensi che ne sarei capace? Vedi che non ti fidi!» Si alza dal letto con le mani tra i capelli, frustrata, mentre cammina avanti e indietro per la stanza.

Un animale in gabbia.

E io la vittima del troppo tempo che ha passato in compagnia di se stessa.

«Non è quello che sto dicendo. È quello che stai dicendo tu». La punto con l'indice, in segno di sfida. «Nemmeno io ne sarei ne sarei in grado. Non voglio stare con nessun'altra, a parte te».

La sto lasciando parlare perché spero che dire certe cose ad alta voce le faccia comprendere quanto siano assurde. Se ci ragionassimo insieme riusciremmo a trovare una soluzione razionale al problema, ma Elle non sente ragioni.

Sto lottando contro i mulini a vento, e lo sto facendo da solo.

«So che ci sono dei meccanismi che devi rispettare nel tuo lavoro. Ma i sottotesti sarebbero tantissimi e non riuscirei ad affrontarli».

Vorrei davvero entrare nella sua testa e rassicurarla proprio lì, sui punti per lei più delicati e dolorosi. Ma niente di quello che dico sembra far scattare la parte che ha trincerato dietro queste barriere che a lei sembrano sicure, ma sono fatte di filo spinato. Cerco di farmi spazio per raggiungerla, ma l'unica cosa che ottengo sono le ferite che mi graffiano le mani con cui cerco di distruggere i muri che ha eretto.

È inutile, del tutto, e ho perso la convinzione con cui lottare.

«Non riesco a concepirlo» ammetto, con le spalle basse, in una resa in cui perdiamo entrambi. Perché in fondo le ho sempre concesso tutto, e anche questa volta non è diversa.

«Come ti sentiresti se mi vedessi sui giornali con Tobias o qualche altro compagno di corso? Soprattutto se fingo atteggiamenti intimi o comunque ambigui. Come la prenderesti se ti dicessi che non c'è nulla di cui preoccuparti, ma tu fossi divorato dai dubbi? Lo capisci?»

Mi mostra la situazione dal suo punto di vista e, lo ammetto, è brava, perché sta instillando l'incertezza anche in me, tanto che non so come rispondere.

Quindi sì, lo capisco. Lo capisco benissimo.

Mi sentirei morire, vorrei risposte concrete, che andassero ben oltre le sue rassicurazioni. Vorrei che non ci fossero foto sue e di quest'altra persona, ma forse desidererei ancora di più che non ci fossero momenti tra loro due da fotografare.

«La tua faccia parla per te». Si asciuga gli occhi, anche se ero convinto che ormai avesse esaurito le lacrime. «Preferisco pensare a ogni opzione, starci male, pormi mille domande sul perché uscite di sera e cammini fianco a fianco con qualcun'altra, ma preferisco sapere che non stiamo insieme».

«E io non ho voce in capitolo in tutto questo?» Perché, in fondo, non l'ho mai avuta. Elle è quella con le idee chiare. Io, invece, sono quello che le ha scardinate tutte, ma questa volta ho fallito.

«Non si è mai d'accordo quando c'è di mezzo una rottura. Uno subisce le decisioni dell'altro, purtroppo».

Prova a rassicurarmi con un sorriso, ma non ci riesce.

«E perché spettano sempre a te queste decisioni?» Non so se sono pronto a questa risposta, che tanto non cambia la realtà dei fatti.

«Perché tu non avresti avuto il coraggio di penderle. È la più giusta e la più difficile».

E, purtroppo, se con l'ultima parte non mi troverà mai d'accordo, per quanto riguarda la prima ha ragione. Mi conosce troppo bene per non sapere come avrei agito.

È riuscita a far crollare tutti i castelli in aria che mi ero costruito con una semplice frase, facendo leva sui tasti giusti.

«È la più sbagliata e la più facile». Le faccio notare, con una calma che non ho. «Ciao e tanti saluti. Grazie per la bella storia, ma non ho la forza di affrontare le difficoltà».

Le lacrime mi pungono gli occhi e non me ne vergogno. Le lacrime non sono una prerogativa femminile, o sinonimo di debolezza. Sono espressione, sono umane e naturali, una reazione che il corpo ha e non ho problemi a usufruirne nei momenti adatti.

Sono il modo che ho ora per alleviare il peso sul petto, per mostrare la mia disperazione, per far uscire il dissenso che stritola lo stomaco in una presa dolorosa.

«Cosa dovrei fare secondo te?» Approfitto del silenzio di Elle per sputare un po' del rancore che pian piano mi invade. «Uscire da questa stanza dopo averti stretto la mano? Salutarti da lontano prima della partenza?»

Si siede di nuovo di fronte a me, più serena, o forse semplicemente svuotata dopo aver affrontato questo discorso. Mi prende il viso tra le mani, anche se leggo nei suoi occhi la sofferenza che prova nel guardarmi e cercare di far finta di niente.

«No, starò con te fino all'ultimo, se me lo permetterai. Fino a che le porte dell'aeroporto non ci divideranno».

È davvero tutto quello che ci rimane?

«E se non volessi?» Distolgo lo sguardo, amareggiato.

«Sei libero di andare quando vuoi». Lo dice con soddisfazione, perché è il punto di tutto il suo discorso e dimostra che, forse non ha ragione, ma c'è una logica dietro le sue argomentazioni. «Sei libero di fare quello che vuoi. E lo sei perché ti amo troppo per tenerti vincolato a me».

«Mi ami...» mormoro, ma Elle mi interrompe.

«E non dimenticarlo mai» sussurra, con la voce rotta da nuovi singhiozzi.

«...ma hai paura di farlo» continuo, incolore. Un dolore sordo al centro del petto che si spande per risucchiarmi nel suo vortice dove non sento nulla.

«Ho troppa paura».

Spietata, come è sempre stata.

Sincera, come ha imparato ad essere solo con me.

Finiti, come impareremo a diventare alla fine del poco tempo che ci è 

*

Dopo la conversazione più difficile della mia vita, e con Elle ho perso il conto di quanto questo tipo di dialoghi sia avvenuto, sono stato chiamato da Dan per trascorrere la serata in loro compagnia, con i miei amici.

L'abbiamo trascorsa a casa, per evitare di sollevare gossip inutile, con svariate bottiglie d'alcool ad accompagnare il tutto.

I ragazzi hanno provato ad alleggerire l'atmosfera, ma è stato difficile. Non solo per quello che è avvenuto con Elle nel pomeriggio, ma perché si tratta di una festa di addio e, per quanto si provi a scherzare e a vivere le cose con leggerezza, c'è una malinconia di sottofondo a fare da legante.

Le ragazze, al momento di tornare nel loro appartamento, si sono dette pronte ad alzarsi alle cinque, momento programmato della partenza, per salutarmi, ma gliel'ho impedito. Non voglio nessuno con me, se non l'essenziale.

Elle mi guarda, indecisa se tornare con Jane e Rachel o fermarsi da me, perché dopo aver sganciato la bomba a orologeria in camera sua non le ho detto se ho voglia o meno di passare con lei gli ultimi momenti della mia permanenza qui.

Da bravo masochista quale sono allungo la mano verso di lei, nell'attesa che appoggi sopra la sua.

Elle sospira e mi regala il primo vero, timido, sorriso della serata. Forse non sono l'unico sadico nella stanza, che non riesce a non farsi male con questa vicinanza, ma non può farne a meno.

Mi dà speranza. Perché magari riesco a farle cambiare idea prima della partenza, perché sotto la sua determinazione granitica di oggi mi sta dimostrando che nemmeno lei è disposta a lasciarmi andare. Ho bisogno di appigliarmi a queste piccole cose per non crollare.

Il suo palmo sfiora il mio e, dopo un ultimo saluto generale agli amici di sempre, la conduco in camera, che è stata per molte volte il nostro porto sicuro.

Mi chiudo la porta alle spalle e – mentre la osservo guardarsi in giro in un saluto silenzioso – scorgo sulla guancia uno scintillio troppo tristemente familiare, una lacrima le solca lo zigomo nell'oscurità, illuminata appena dalla luna che filtra dalla finestra.

Quest'immagine mi tormenterà ogni notte da qui all'eternità e farà sempre più male. Al posto di sbiadire di volta in volta, scaverà un po' più a fondo fino a lacerarmi da parte a parte. È il destino di Elle entrarmi dentro fino a incastrarsi, nel bene e nel male.

«Dormiamo un po', è meglio». Indica l'orario sul display del telefono, che segna quasi la mezzanotte. Il suo tono è strano, ma cerca di agire in modo normale.

Si gira verso di me con un sorriso spento, poi mi ruba la maglietta con cui dormo. Immagino che a me tocchino i pantaloncini sportivi.

Dopo esserci cambiati ci sdraiamo entrambi su un fianco, dando le spalle ai bagagli, nel tentativo di ignorare l'inevitabile. Con il corpo seguo il suo. Piano le carezzo la pancia sotto la maglietta, per calmare l'irrequietezza che da me passa a lei e viceversa, ed Elle posa la sua mano sulla mia, percorrendo con le dita ogni centimetro che riesce a raggiungere.

Sospira, ma non dice nulla.

«'notte» sussurro.

«'notte» risponde.

E poi cerchiamo di addormentarci.

Dopo quasi un'ora i nostri respiri si sono fatti radi e pesanti, ma non sono riuscito a dormire. Elle ha continuato a passare il pollice sulla mia mano, segno che nemmeno lei ha chiuso occhio.

Espiro rumorosamente.

Lei, consapevole del mio stato di veglia, mi afferra la mano e piano la fa scivolare sempre più in alto, finché non la abbandona sul suo seno. Inarca la schiena per far aderire la pelle al mio palmo e mi ritrovo schiavo di quel contatto.

Ritiro la mano con difficoltà, perché fatico a trattenermi, non ne ho mai abbastanza, ma non voglio approfittarmi dei nostri ultimi istanti insieme.

Elle, però, non deve essere dello stesso avviso, perché si gira sulla schiena e mi pianta gli occhi addosso, specchio della disperazione che cerca di nascondere dentro di sé, per accarezzarmi la mascella con l'indice. «Non mi vuoi più?»

Quella paura che accompagna ogni suo gesto è così radicata da spaventarmi, perché non riesce a vedere le cose con lucidità. Non il mio amore, non il mio bisogno di averla sempre accanto al cuore, non di sentirla vicina nonostante la distanza.

Le bacio il palmo della mano vicina al viso. «Ti voglio troppo. Ma ho bisogno di imprimere ogni momento in tua compagnia, quindi mi va bene anche solo dormire».

«A me no» sentenzia, prima di avvicinarsi alla mia bocca, con una delicatezza che mi distrugge per poi ricompormi.

Trasformo il bacio in qualcosa di più, un gesto doloroso e necessario per vivere, che mi porta a cercare il contatto con il corpo di Elle, a non averne mai abbastanza.

La mano corre di nuovo sul suo seno. Con la bocca, Elle lascia scie umide di baci che attraversano il collo per arrivare alla spalla e, quando stringo la presa, la sento mugolare contro la giugulare per il piacere. Le mie corde vocali sono il riverbero della sua voce.

Per provare a placare il suono serra i denti attorno alla pelle e ora sono io gemere per il piacere e il dolore. Divino.

Alza le braccia per invitarmi a sfilarle la maglietta e accolgo il suo invito. Ritorna urgente sulla mia bocca, mentre con le mani litiga con l'elastico dei pantaloncini. Una gamba infilata fra le mie, si struscia sulla mia eccitazione.

Le mani di Elle sulla schiena, il corpo sul mio. Il profumo dei suoi capelli va a pungermi l'olfatto. Da domani tutto questo non ci sarà più, e io mi sento perso. La fame che ci muove l'uno verso l'altra è solo la dimostrazione di quanto vogliamo sentirci nonostante tutto, renderci conto della presenza dell'altro, nonostante ci stiamo allontanando a ogni minuto che passa.

Leggero, con la mano, supero l'elastico dei suoi slip. Raggiungo la pelle sensibile e, quando sento il suo bacino muoversi, adatto il ritmo delle mie dita al suo. Le cosce si chiudono attorno al mio tocco, incastrandomi lì senza possibilità di allontanarmi, mentre Elle trattiene il respiro. Ha gli occhi chiusi e la bocca aperta in una piccola O, il mio nome sospeso sulle labbra, così vado a riprendermelo con foga.

Le mani le scivolano all'interno dei boxer, fino ad arrivare all'erezione. Non sa quanto sia spietata la dolcezza delle sue carezze, alle quali mi offro con una spontaneità che mi turba nel profondo, dato che questa piacevole agonia è destinata ad appartenere soltanto alle memorie, pronte a logorarmi nei momenti peggiori.

Lascio che mi porti al limite, poi le tolgo l'intimo e lei fa lo stesso con me, perché siamo reciprocità e istinto, completezza e incastro.

I nostri bacini si avvicinano fino a entrare in collisione.

E diventiamo tutto e niente.

La sento attorno a me e mi sento in contatto con me stesso, di nuovo.

Siamo caldo e freddo, spinte e allontanamenti, bianco e nero, completi e a pezzi.

Ogni affondo è l'impietoso promemoria di quello che io sono per lei e lei è per me, di quello che siamo.

Elle, con gli occhi intrappolati nei miei, mi assaggia di nuovo le labbra, dove i rispettivi gemiti si mischiano e si perdono in quelli dell'altro, sospesi. Li prendo senza permesso, miei.

È tutto quello che ho, ma non è abbastanza, perché vorrei averlo per il più lungo tempo possibile. Non so se fossimo destinati al per sempre, ma mi sarebbe piaciuto scoprirlo, e questo lusso mi è stato negato.

Ora però voglio stare nel qui e nell'ora, con Elle, in Elle. E, come se i nostri corpi fossero allineati come l'universo, l'orgasmo si presenta a entrambi nello stesso momento.

Mi distendo sulla schiena per non gravarle addosso, per lasciarle il suo spazio, ma Elle si accoccola a me e mi circonda il torace con un braccio, la testa vicino al battito del mio cuore.

L'ho amata, la amo, e ho tutta l'intenzione di amarla per un bel po', ma non riesco a dirglielo. Manca la voce, il coraggio, il respiro per dar seguito ai miei pensieri. Gli occhi pungono e il dolore si fa vivo sempre di più, man mano che le cinque si avvicinano.

«Cosa farai?» Mi lascio sfuggire.

«Quando?» Alza il viso verso il mio, ma sono troppo concentrato sul soffitto, non ho la forza di osservarla crollare ancora, di vedermi andare in pezzi attraverso i suoi occhi.

«Quando ti accorgerai di aver fatto il più grande sbaglio della tua vita».

Mi appoggia il mento sul petto, tracciando il mio profilo con lo sguardo. «Non lo so, ma penso che, se dovesse succedere, te ne accorgeresti».

Continuo ad accarezzare la sua pelle, mentre mi auguro che sia davvero così.

Anche da lontano voglio sperare di essere in grado di vedere la luce che mi riporterà da lei. Anche se fosse flebile.

Anche se fosse appena visibile.

La seguirò e riprenderò da dove ci siamo interrotti.

Intanto chiudo gli occhi e mi getto nell'oblio, voglio iniziare a familiarizzarci un po'.

Ehm...

Ho aggiornato in fretta, no?

Sto cercando di guardare i lati positivi della faccenda. Ci provo, almeno.

Una bella botta per Seb. Non che per Elle sia facile, ma è condizionata dalla paura e non riesce ad agire e ragionare con lucidità.

Chissà, c'è ancora qualche ora per farle cambiare idea.

Qui vi lascio il titolo della canzone che accompagna il capitolo: Mercy di Shawn Mendes, che provvederò ad aggiungere nel capitolo della playlist.

MA LE SORPRESE NON FINISCONO QUI!

Perché, UDITE UDITE, ho già pronto il prossimo capitolo!

Ebbene sì. Sono brava o no?

Questo perché voglio regalarvi la storia completa e mi sto mettendo sotto. Manca così poco alla fine che è un peccato farvi aspettare. E poi così sarò libera di dedicarmi ad altri progetti 😈 (anche se non vedranno la luce su Wattpad).

Quindi o aggiorno mercoledì prossimo, o lunedì 21, cosa più probabile.

Non è cattiveria, dato che ho sempre aggiornato ogni 10 giorni anche in tempi in cui postavo con frequenza, ma per continuare con la stesura degli altri capitoli e garantirvi il più possibile continuità.

Ma vi rendete conto che mancano 6 capitoli (circa. Uno più, uno meno) alla fine?

A PRESTO!

Cris

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