4. Vendetta
Elle si anima e si sistema i vestiti, come se i boxer fossero diventati un abito da sera. «Arrivo subito. Prendo gli attrezzi del mestiere e sono subito da voi. Andate tutti di là, presto». Ci incita, come se non volesse farci perdere la scena.
Rientro nel mio appartamento con le ragazze al seguito, anche se rimangono sulla porta. Salutano Eddie e Charlie e poi si voltano verso casa loro, alla ricerca di Elle, che poco dopo compare alla vista ed entra con passo sicuro senza nemmeno chiedere permesso, cosa che ci fa ridere, mentre tra le mani sfrega un qualcosa che non capisco cosa possa essere.
«La puntina?» Chiede senza staccare gli occhi dal suo obiettivo, ovvero il corridoio sulla sinistra che porta alle camere da letto.
«Sul mobile vicino alla porta» risponde Ed in modo efficace, per poi tornare nel religioso silenzio in cui tutti ci siamo chiusi per vedere cosa ci aspetta.
Non so cosa stia per succedere, ma so per certo che Daniel passerà la prossima mezz'ora a lamentarsi, quindi prendo il primo pacchetto di sigarette che mi capita a tiro e mi chiudo sul balcone per fumare. Assisterò alla cosa da lontano, per evitare che mi riversi addosso i suoi sproloqui.
Elle si dirige in camera di Dan e, se all'inizio tutto quello che ci arriva in risposta è un silenzio di tomba, quest'ultimo dopo un po' di minuti viene squarciato da un urlo di dolore.
Ma dolore vero, quello da calci nei kiwi che ci ritroviamo sotto al batacchio e spero vivamente che Elle non sia arrivata a tanto, se no mi ritrovo ad avere il mio amico sulla coscienza e a dover fare a lei un bel discorsetto.
L'urlo, ovviamente, è maschile e agghiacciante, per questo ho pensato al peggio.
Poco dopo Elle riemerge dal corridoio ancora buio con un'aria parecchio soddisfatta, prende la puntina e sulla cornice della porta del corridoio fissa il corpo del reato.
Iniziamo tutti a ridere di gusto, mentre appare Daniel nella maestosità della sua incazzatura più nera.
Appesa vicino alla faccia di lui c'è la striscia di ceretta che deve avergli dato il buongiorno.
Nonostante Dan la stia prendendo a male parole, Elle finge che a seguirla non ci siano le parolacce più fantasiose di questo mondo e mi raggiunge fuori, sul balcone. Un pezzo di cemento dalle dimensioni di un francobollo.
«Hai una sigaretta? Le ho finite». Sorride compiaciuta mentre Dan la fissa truce da dietro il vetro, mostrandole il dito medio.
Questa vicinanza mi fa sudare freddo per l'agitazione e mi fa sentire un dio, soprattutto perché l'ha cercata e voluta.
«Dove gliel'hai fatta?» Domando mentre le porgo il pacchetto aperto. Mi sento potente e a mio agio ogni secondo più. Non che non sia in panico con lei vicino, ma sapere di riuscire a controllarmi mi conforta.
Di sicuro parlare aiuta.
«Nell'interno inguine, dove ho il tatuaggio». Non smette di sorridere, divertita dal suo gesto di poco fa. «Così la prossima volta impara a fare il cazzone».
«Sei una stronza!» Le urla Dan da oltre il vetro, mentre tiene tirato il pezzo di pelle arrossato e ormai glabro.
«Dio, Dan, perché reagisci così male? Te l'avevo detto che mi sarei vendicata». Alza le spalle, ma è compiaciuta da morire e non fa nulla per nascondere la cosa.
«Dato che hai tirato in ballo il divino», Daniel indica il cielo con l'indice per sottolineare la cosa. La sua faccia è metà assonnata e metà incazzata ed è totalmente ridicolo, «perché non gli chiedi di impegnarsi a trovarti un pisello con cui sfogare la tua acidità?!»
Sembra un chihuahua con la rabbia. Vorrebbe far paura, ma in realtà riesce solo a far schiantare dalle risate.
Elle, al posto di offendersi, ribatte con un sorriso dolce e comprensivo che ha un qualcosa di inquietante. «Non potrei mai. È troppo intento a cercare il tuo cervello, non voglio distoglierlo da quest'ardua missione».
Ridiamo tutti e Dan, sconfitto su ogni fronte, torna a concentrarsi sul suo dolore.
«Brucia, cazzo. Brucia tantissimo!» Corre in bagno e si chiude dentro. Immagino che cercherà di farsi degli impacchi con l'acqua gelata.
«Dici che gli brucia di più la gamba o l'orgoglio?» Scuote la testa divertita, mentre aspira alcune boccate insieme a me.
Io le sorrido, incapace di dirle qualsiasi cosa, terrorizzato di sbagliare e interrompere il momento.
La verità è che mi piace che ci sia in giro una ragazza così temprata da avere la risposta pronta e che sa tenere testa ai miei amici che, di solito, sono al pari delle bestie.
Dai Seb, pensa a qualcosa di sensato da dirle, non sembrare l'idiota che in realtà sei.
Il mio subconscio ha più polso di me, non c'è che dire.
«Vedo che i boxer di Wolverine alla fine non ti dispiacciono...» Di sicuro a me, su di lei, piacciono parecchio. Soprattutto se abbinati a quella canotta che lascia scoperta gran parte della sua pelle.
Daniel sarebbe riuscito a parlare di fisica quantistica, a confronto.
Con tutti gli argomenti che potevo scegliere il mio cervello ha pensato a dei boxer dal taglio datato? Io mi estinguerò come il walkman. Non ho il coraggio di dirlo a mia mamma, non la prenderebbe bene. Per fortuna ci sono i miei fratelli a poter portare avanti la dinastia, speriamo almeno loro non falliscano nell'intento.
«Alla fine mi piacciono parecchio. Sono una fan della Marvel e amo Wolverine. Mi stupisce che Dan sia un suo sostenitore». Annuisce convinta con la testa. «È un eroe, ma non è il classico buono. Ha quel conflitto che lo rende sempre uno stronzo. Dal cuore d'oro, però. Daniel lo vedo più tipo da Deadpool, dalla risposta saccente e la simpatia di un riccio nelle mutande».
Sorride. Forse, come me, ha in mente l'immagine di quel rachitico di Daniel con la tutina aderente rossa. È come se sentissi l'impellente bisogno di sciacquarmi gli occhi nell'acido muriatico.
«Sai», continua, «se non sapessi che questi boxer sono di Dan, potrei dire che appartengono al mio uomo ideale!»
E io mi blocco. Perché, e so di non averlo ammesso nemmeno tra me e me, ma quei boxer appartengono a uno dei momenti peggiori della mia adolescenza. Quindi sono io il suo uomo ideale, non quel sollevatore di dubbi che è Daniel. Così mi affretto ad aggiungere. «Quei boxer sono miei, non di Dan. Fanno parte di quel periodo buio chiamato pubertà».
Ecco, l'ho detto. E mi sento meglio. Soprattutto alla luce dei fatti.
Io sono il suo uomo ideale e non ho affatto intenzione di lasciarmi sfuggire la cosa.
Per la prima volta la vedo arrossire, in imbarazzo, come se l'avessi colta in fallo. Non mi sento nemmeno in colpa, dato che lei ha sempre avuto un vantaggio su di me. Pareggiare i conti è soddisfacente. E, inoltre, quel rossore le sta d'incanto, sembra che la sua bellezza sia scolpita nella porcellana, come una bambola preziosa. Stupenda, delicata e fragile, ma solo all'apparenza.
Dopo aver sgranato gli occhi ed essersi ripresa dallo shock, mi dice laconica: «Te li lavo e te li riporto».
Non riesce ad aggiungere nulla. È già tanto se mi guarda ancora in faccia e trovo la cosa divertente.
«Ma figurati». La rassicuro. «Tienili pure. Ho smesso di usarli quando ho capito che, senza quelli, avrei avuto un'opportunità di interagire con l'altro sesso».
Ebbene sì, l'ho fatto. Ho parlato in una frase dei miei boxer e di sesso. E, sì di nuovo, l'ho fatto apposta. Se la domanda è "l'hai fatto per indurla a pensare a te sotto un punto di vista sessuale?", la risposta è assolutamente affermativa.
Vorrei farle mille domande perché è una ragazza che mi ha incuriosito fin dal primo momento in cui l'ho vista, ma è meglio evitare di farla sentire sotto assedio. Non subito, non posso svelare le mie carte così, subito. Anche perché io sono un pessimo giocatore.
Stiamo per finire entrambi le sigarette, quindi mi butto nel tentativo disperato di una conversazione superficiale, pur di non lasciarla andare.
«Ma Elle è proprio il tuo nome o è un diminutivo?» Questo dovrebbe fare capire che dello sciupafemmine di Hollywood ho poco, sono più un tipo da confusione mentale ed emotiva che si riflette nei miei "brillanti" tentativi di conversazione.
Ma è semplice: da Elle sono attratto e in sua presenza non capisco più nulla.
Lei, però, sorride, incuriosita dalla mia domanda insolita e mi risponde: «È il mio nome. Sono inglese, di Bristol. Mio padre è inglese, invece mia madre è metà tedesca e metà francese. Lei ha deciso il mio nome, sapendo che ha un senso sia per gli inglesi che per i francesi». Alza le spalle, come se non fosse importante, ma per me lo è. Sono informazioni preziose ed è la prima volta che la sento parlare di sé e aprirsi. È sempre concentrata sugli altri, quasi volesse evitare di stare al centro dell'attenzione.
«Hai sempre vissuto a Bristol?» Mi piacerebbe essere più discreto, ma sono un curioso cronico e con lei non riesco a fare eccezione.
Spegne la sigaretta mentre fa no con la testa e butta fuori il fumo. Infine, piega la testa di lato con un sorriso sincero e soddisfatto a illuminarla: «Hai deciso che ti vado a genio, Sebastian Hartford?»
Questa domanda mi coglie di sorpresa, tanto che mi fa aggrottare le sopracciglia. Devo sembrare un cretino, da tanto mi sento bionda dentro. «Come, scusa?»
«Avanti, non fare l'ingenuo». Mi incalza, incrociando le braccia prima di appoggiarsi al parapetto.
«Giuro che non sto capendo». Mi sento come Paris Hilton a un convegno di ingegneria quantistica: non sto capendo niente. Ho perso il filo del discorso.
«Tu studi le persone, le osservi, e valuti se ti piacciono o meno. L'hai fatto anche con me, ti ho sgamato qualche volta. Se pensi che possano interessarti, o essere innocue, ti apri. Altrimenti le snobbi. Sbaglio?» Ok, questo mi fa capire che mi segue con un certo interesse, perché sono cose che si possono evincere guardando le interviste che rilascio, oppure mentre sono ospite nei vari talk show. Sapere di avere i suoi occhi addosso mi piace.
Elle, interpretando il mio silenzio come un invito, dopo il mio assenso, continua: «Sapendo che lavoro fai immagino che siano poche le persone a cui concedi il tuo... passarmi il termine, "essere amico". Sbaglio?»
Annuisco di nuovo, incapace di aggiungere altro. Sono davvero interessato a capire dove vuole andare a parare.
«Quindi devi aver deciso che ti vado a genio. O, perlomeno, che vuoi provare a vedere se posso andarti a genio. Giusto?» Conclude, ora molto più rilassata rispetto a quando le ho svelato di chi fossero i boxer dopo le sue dichiarazioni.
«Mi hai scoperto, piccolo genio del male». Le concedo con una risata, atta a nascondere quanto in realtà io sia succube del suo fascino e del modo che ha di osservarmi. Non voglio che capisca di piacermi o di avere potere su di me, né che si metta in allerta nei miei confronti. «Ma devo ancora decidere. Però ti do una possibilità...»
Cerco di lasciare la frase in sospeso, ma lei sembra intercettare i miei pensieri e mi anticipa: «Amici o aspiranti tali?» E, mentre pronuncia queste parole, mi tende una mano.
«Proviamoci». La stringo, perché questo patto mi porta a interagire con lei di più di ora. «Però non hai risposto alla mia domanda».
Mi sento sfrontato, inoltre voglio fingere di avere tutto sotto controllo, quasi le sue parole non mi ubriacassero.
«Quale?» È curiosa.
«Quella in cui ti domandavo se hai sempre vissuto a Bristol». Riporto la conversazione al punto di parte, dove lei ha provato a deviare concentrando tutta l'attenzione su di me. La verità è che questo, per me, è una novità. Lei è sfuggente e io la rincorro, anche se non sono bravo in queste cose, ma sono stato abituato ad avere addosso tutto l'interesse possibile e – di conseguenza – a scappare. Quest'inversione dei ruoli mi stuzzica.
«Oh, no. Ho vissuto in Francia e anche a Londra, prima di adesso. Ma per la mia storia abbiamo tempo». Prova a fingere indifferenza, ma le spalle sono diventate rigide, quasi fosse sull'attenti, e la frase sembra chiudere ogni discorso, come se si fosse accorta di essere in ritardo, oppure troppo esposta. «Ciao, buona domenica».
E, inaspettatamente, si protende sulle punte per baciarmi la guancia e andarsene, senza aggiungere altro.
Un modo repentino e gradito di mettere fine a un discorso, ma per me questo è solo il primo round.
Rimango sul balcone, sorpreso e con la faccia in fiamme, mentre la osservo ripetere il gesto con Edward e Charles, prima di uscire da casa nostra.
Guardo il punto in cui l'ho vista sparire e sento la guancia bruciare nell'esatto punto in cui lei ha posato le labbra, ed è come se avesse provocato una reazione a catena. Dentro di me è divampato un fuoco che ora è esploso.
Ora ne ho la certezza. La desidero con ogni fibra del mio corpo.
Ok, lo so, non avrei dovuto pubblicare questa settimana, ma mi dispiaceva lasciarvi in sospeso e così ho deciso di farvi una sorpresa.
Come potete vedere se Elle si incazza non ce n'è per nessuno. Tenterà di far provare a tutti i dolori del parto!
Ovviamente dobbiamo ancora entrare nel vivo della storia, ma questi capitoli servono per introdurre tutti i personaggi e vedere come si studiano i protagonisti. Insomma, bisogna porre le basi per TUTTO quello che ci sarà dopo.
Io vi ringrazio tantissimo per l'affetto nei confronti di questa storia, spero non vi annoi e che possa sorprendervi di volta in volta.
Se vi piace, mi aiutate a farla conoscere ad altre persone? Il passaparola è fondamentale ;)
Sarebbe bello creare una community numerosa con cui condividere pensieri e contenuti!
A presto,
Cris
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