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39. Guantánamo

È domenica mattina e sono stanco morto. Ho dormito poco a causa dell'euforia generale della sera precedente, ma devo ammettere che Elle ha dato il suo personalissimo contributo, una volta arrivati a casa.

E, dopo il sesso, le ho chiesto di passare la giornata con me, e lei ha acconsentito.

Mi piace quanto parla dopo aver fatto l'amore, mi fa capire quanto le sue difese si azzerino, amo il mondo che mi mostra in quei momenti. Anche se sono un po' ubriaco.

È una bella giornata, ma non indosso gli occhiali da sole per quello. Un po' fanno parte del mio kit per l'invisibilità, un po' impediscono al mondo di domandarsi se sia pronto per il ruolo di zombie.

Ho dato a Elle un orario di partenza fasullo, con il ritrovo mezz'ora prima rispetto a quando sarei voluto partire in realtà e ho fatto bene, perché il suo quarto d'ora accademico di ritardo ha un proprio quarto d'ora accademico da rispettare.

Sono nell'auto di Dan – che mi ha gentilmente prestato per l'occasione – con il motore già acceso, mentre aspetto che sia pronta per andare. Avere la macchina già pronta all'azione, nemmeno se fossi James Bond, mi aiuta a pensare di avere un minimo di controllo sulla situazione, anche se in realtà non è così.

So che appena capirà la destinazione sarò un uomo morto, motivo per cui è meglio che io sia pronto a partire non appena mette piede nell'abitacolo, di modo che si accorga il più tardi possibile del mio piano.

La vedo uscire dal portone della palazzina con un abito delizioso, che mi fa venire voglia di stravolgere i miei piani, tornare in casa e non uscire fino a che uno di noi due non ha un impegno che lo riporti alla normalità, tipo un arresto cardiaco, ma tengo troppo a questa giornata perché io ci rinunci.

Fosse l'ultima cosa che faccio.

E so che sarà davvero così, conoscendo la mia ragazza.

«Come vado? Va bene per dove andremo?» Si allaccia la cintura di sicurezza mentre si sistema il vestito. «A proposito, ora puoi dirmi dove andiamo?»

Rido per l'assurdità della situazione. Di solito è lei ad avere il controllo e io che la seguo senza obiettare – non apertamente, almeno – e invece i ruoli si sono invertiti.

Si tortura una pellicina sul labbro inferiore mentre aspetta una risposta e il gesto mi distrae abbastanza, tanto che non so nemmeno io cosa dovrei dirle di preciso.

«Sei magnifica e vai benissimo così». Indossa un abito lilla semplice, ma che le sta d'incanto. La guardo e mi soffermo sull'orlo della gonna, che vorrei alzare un po', ma so che manderebbe all'aria tutti i buoni propositi della giornata e non posso permetterlo. «Ma no, ancora non puoi sapere dove andiamo. Prometto che tra poco lo scoprirai».

Signore, assistimi. Anzi no, donale la pazienza e la forza del perdono, se no non ho mezza possibilità di uscirne vivo.

D'istinto sollevo la mano e con il pollice le accarezzo piano le labbra. «Non torturartele, ti farai del male».

La vedo arrossire al mio tocco e mi riempie di soddisfazione vedere l'effetto che le faccio, e che non tenta nemmeno di nasconderlo.

Smette di giocare con il labbro dopo avermi ringraziato, poi rilassa le spalle e io sorrido, sereno.

«Ciao». La saluto, dato che abbiamo saltato i convenevoli, ma sono amante delle coccole camuffate da piccoli gesti.

«Ciao» risponde solare, con un sorriso che imprime sul mio.

Le poso una mano sul collo e la avvicino a me. Sento i battiti sotto al mio palmo aumentare precipitosamente, una risposta involontaria del suo corpo che mi infonde coraggio per questa giornata, so di fare la cosa giusta.

«Pronta?» domando ingranando la prima, mentre Elle ha ancora gli occhi chiusi e la bocca gonfia per il nostro bacio lento.

«Sono nata pronta».

Alzo un angolo delle labbra, lo scopriremo tra poco più di mezz'ora.

Il tragitto scorre tranquillo, persi tra discorsi che riguardano i rispettivi lavori, i nostri amici e tutto ciò che ci riguarda, mentre scorro indisturbato per le strade che mi portano alla meta.

Quando arriviamo verso una zona più residenziale, dove si legge a chiare lettere il cartello di benvenuto di Richmond-upon-Thames, Elle mi guarda come se fossi pazzo.

«Tradimento!» Urla.

Ed è subito14 luglio 1789, la presa della Bastiglia.

«Stai calma, Lady Oscar». La prendo in giro. «Non ti sto portando a Guantánamo».

«No, peggio!» Incrocia le braccia al petto, arrabbiata. Sono abbastanza sicuro che stia pensando ai modi per ghigliottinarmi qui e ora, giusto per rimanere in tema. Al momento il finestrino automatico mi fa sentire poco sicuro e mi regala un'immagine raccapricciante della scena. «Mi stai portando a casa dei tuoi!»

Il bello di stare con una persona che conosce parte di ciò che mi riguarda è che non devo dirle proprio tutto. Ecco perché so che il nome della cittadina in cui sono cresciuto le ha rivelato come trascorreremo la giornata di oggi.

E so per certo che Elle mi perdonerà dopo aver assaggiato il barbecue di mio padre.

Le case che ci scorrono accanto diventano sempre più familiari e il luogo in cui sono nato prende forma davanti ai nostri occhi.

«Che male c'è?» Non riesco a non sorridere davanti al suo panico, ha gli occhi spalancati e le guance così rosa che vorrei morderle. È divertente e bellissima. «Hai voluto essere la mia ragazza? Devi accettarne le conseguenze. E conoscere la mia famiglia è una di queste».

Oh, per la prima volta lascerò Marcus e Victor senza parole, e con parole intendo prese per il culo sulla mia vita sessuale, e delizierò mamma con una aspirante nuora che so che potrebbe amare più del suo figlio preferito, ovvero io. Papà non rientra nell'equazione, so già che sarà un fan di Elle come lo sono io.

«Ma io non sono la ragazza da presentare ai genitori! Io...» gesticola, le guance gonfie alla ricerca delle parole adatte da dire per cercare di convincermi che questa è una pessima scelta, «sono il prototipo di quella che di solito odiano. La classica che scappa ubriaca dalla finestra di un bagno pubblico, quella che è più adatta al sesso occasionale, che alle relazioni serie».

«Solo perché tu pensi di esserlo». Mi giro brevemente a guardarla dopo essermi assicurato di essere su un rettilineo e che nei paraggi non ci siano carrozzine, bambini in bici o anziani da investire, Dan non mi perdonerebbe mai nemmeno un graffio. «Tu sei una persona stupenda, vai benissimo così come sei, anche se non ti apri subito con gli altri».

Sbuffa, ma si accascia con fare arreso sul sedile, più rilassata. Poi, pacata, mi domanda: «La direzione per Guantánamo?»

«Sempre dritta verso Cuba, perché?»

Ho come l'impressione che in questo momento, mentre il mio quartiere si fa sempre più vicino, sarebbe disposta ad arrivarci pure a nuoto.

«Perché mi sentirei più al sicuro là che in quest'auto. Traditore». L'ultima parola la sputa tra i denti, ma non abbastanza per sfuggire alle mie orecchie. Poi, in omaggio, ricevo uno sguardo risentito, che mi fa dubitare di essere il colpevole anche dei torti che ha collezionato all'asilo.

«Lo sai che ci tengono i terroristi, vero?» Non è detto che lo sappia, magari le fa depositare l'ascia di guerra.

«Vuoi forse dirmi che hai dei parenti pure là?» La sola idea la getta nel panico, più che l'avere davvero a che fare con i peggiori criminali esistenti sulla faccia della terra. «Devo saperlo, così in caso mi risparmio il viaggio!»

«Non che io sappia, ma se vuoi possiamo chiederlo a mia mamma tra poco, di sicuro lei ha più informazioni a riguardo».

Elle guarda fuori dal finestrino, quasi fosse in cerca di una soluzione al suo improvviso problema. «Dai, non posso presentarmi a mani nude, è da maleducati!»

L'enfasi che mette nella frase mi fa capire che pensa di avermi in pugno, ma io – per una volta – sono tre passi avanti a lei.

«È per questo che ho comprato una scatola dei macarons preferiti di mia mamma». E con il pollice indico i sedili posteriori, dove campeggia la confezione meravigliosa di una delle migliori pasticcerie di Londra. Quei cosi rotondi e stucchevoli mi sono costati circa quanto il Cartier che sfoggio nelle occasioni ufficiali. «Farai un figurone, vedrai».

Mette il broncio e raggomitola su se stessa, offesa. Non sa come evitare una cosa, ma non può, perché ho pensato a tutto. Napoleone, fatti da parte, c'è un nuovo stratega sulla scena.

«Sai, hai ragione...» sorride tranquilla, cosa che mi fa capire che ha accettato la situazione. Mi mette una mano sulla coscia e, dato che sono fermo a uno stop, si gira verso di me per baciarmi. «sei meraviglioso».

Mormora tra un bacio e l'altro.

Se il primo era innocente gli altri si fanno più intensi e urgenti, tanto che mi dimentico di essere sulla carreggiata e lascio andare i pedali e tutto. L'auto si spegne, e ringrazio che non ci sia nessuno dietro di me, altrimenti l'Audi di Daniel sarebbe diventata una Smart e lui mi avrebbe ucciso, investendomi con ciò che sarebbe rimasto della sua preziosa macchina.

Le metto una mano sul collo per non farla allontanare.

La parte irrazionale mi dice di fregarmene e approfittare delle sue mani febbrili, che mi percorrono le gambe e il petto, qui e ora, ma in lontananza, molto in lontananza, sento le sirene spiegate della mia parte razionale che cercano di dirmi qualcosa.

Nella mia testa l'allarme è chiaro, ma non riesco a dargli forma.

Elle, dopo aver notato che nei miei jeans inizia a esserci una mobilitazione degna di un rave, si slaccia la cintura e cerca di mettersi su di me, ed è in questo momento che il segnale di pericolo fa in modo che io ritorni in me.

I miei due neuroni hanno deciso di cozzare e collaborare.

È astuta la ragazza, ma io sono determinato e l'obiettivo è casa dei miei. Ha provato a distrarmi, ma sarò più forte della sua tentazione.

La rimetto al suo posto e le allaccio di nuovo la cintura, con fare paziente, anche se il sangue mi è defluito quasi tutto a sud dell'ombelico e faccio fatica a formulare un pensiero di senso compiuto. «Sei furba, ma no, non è né il luogo né il momento per del sesso selvaggio. Non mi freghi».

«Te la farò pagare».

E, mentre imbocchiamo la strada che porta a casa dei miei, vedo la sua testa impegnarsi nel trovare il modo per infliggermi una punizione più che degna per il tiro mancino che le ho giocato.

«Non faremo più sesso per...» ahi, questa fa male, lo sento, «tutta la vita!»

L'informazione sembra smorzare l'entusiasmo da rave nei miei boxer. Per quanto sia una notizia funesta, mi fa piacere sapere di poter entrare in casa senza che mia mamma e mio papà possano vedere l'erezione incontrollata di poco fa.

E poi posso sempre mettere Elle alla prova quando meno se lo aspetta, so che non può resistermi in eterno. Mi ama, me l'ha detto, ce l'ho in pugno. Elle, intendo, non altro.

Parcheggio e faccio l'annuncio che più la terrorizza: «Siamo arrivati».

La vedo prendere al volo la confezione di dolci dal sedile posteriore e irrigidirsi per il nervosismo. È sciolta quanto l'uomo di latta del Mago di Oz.

Sto per suonare il campanello, ma vedo Marcus alla finestra per spiare il nostro arrivo.

Appena percorriamo il vialetto lastricato mio fratello apre la porta per poi appoggiarsi allo stipite con fare affasciante. So che vuole fare lo splendido con Elle, ma lei è la mia ragazza, che tenga a posto le sue zampe da bestia.

«Mi ricordo di te, sei la bellissima ragazza con cui ho parlato alla festa del mio fratellino». Le bacia la mano prima di invitarla a entrare. «Seb, non so come hai fatto a convincere una creatura così fantastica a stare con te, ma devi rivelarmi il segreto».

Mi pizzica una guancia, poi mi assesta una pacca sulla spalla che smuove tutti i miei organi interni. «Stronzo fortunato». Mi bisbiglia all'orecchio.

«La bestia qui presente, quella che cerca di darsi un tono, è Marcus. Uno dei miei fratelli maggiori, nel caso te lo fossi scordato».

«Come posso dimenticarmi di tuo fratello?» Elle lo segue, entusiasta, forse perché Marcus l'ha messa a suo agio, o forse perché si aspettava di essere da sola con i miei genitori.

Io so soltanto che vorrei fosse già arrivato Victor, perché è lui quello educato tra noi tre.

«Iniziamo con il piede giusto» continua mio fratello. Sta per metterle un braccio attorno alle spalle, ma lo schiaffeggio prima che possa portare a termine il gesto e lo vedo desistere, poi mi rivolge un sorriso ironico. «Se poi ti dimenticassi di quello sfigato sarebbe ancora meglio. Per me, ovvio».

Sono convinto che se lo uccidessi nemmeno i miei sentirebbero davvero la sua mancanza.

«Non farti spaventare da quello sfrontato di Marcus, in realtà è innocuo». Mamma sbuca dalla cucina, dove invita tutti poi a entrare. È allegra e indaffarata a tagliuzzare metà del contenuto del frigo.

Papà, richiamato dal trambusto, fa il suo ingresso nella stanza con un grembiule ridicolo, di cui va oltremodo fiero.

Elle, ora circondata dalla mia famiglia, si fa timida come non l'ho mai vista. «È un piacere conoscervi, Signori Hartford, e grazie per l'ospitalità».

«Oh, cosa sono queste formalità?» Nel parlare le porge la mano, salvo poi ritirarla perché si è accorto di reggere la pinza sporca di cibo con cui gestisce il barbecue. «È un piacere averti tra noi, e chiamami pure Philip».

«E io sono Beth». Le fa un cenno del capo mia madre, prima di tornare a una delle tante padelle sui fuochi. «Ed è bellissimo averti qui, non credevo possibile che Seb trovasse una ragazza da presentare in famiglia, sono così felice!»

«Elle, piacere» risponde con una risata divertita.

«Ehi, ci sono anche io, il vostro figlio preferito». Agito la mano per farmi notare. «Niente benvenuto, caldi abbracci e frasi stucchevoli che ricordano quanto siete fortunati ad avermi nella vostra vita?»

«Sei sempre così divertente!» Mamma scherza, ma io sono mortalmente serio.

«Smettila!» Interviene papà, prima di tornare alla postazione di comando che gli spetta. «Ti vediamo da più di vent'anni, lasciaci godere della compagnia della persona che ha deciso di sopportarti».

«Non hai precisato la mia età perché non te la ricordi, vero?»

Mi punta con le pinze in acciaio. «Non esagerare». E se ne va in giardino.

«Papà è il migliore e tu sei il figlio non programmato, accettalo». Interviene Marcus.

«Parli così soltanto perché siete uguali». Gli do una spinta con la spalla. «E perché mamma vuole più bene a me che a te».

«Io voglio bene a tutti voi allo stesso modo». Mescola una salsa dall'odore paradisiaco. «Anche se a volte è pari a zero e preferirei aver adottato dei cani».

Ah, l'amore materno.

«Quando arriva Victor?» Mi avvicino a mamma, ma sto a debita distanza dai coltelli, sarei capace di finire al pronto soccorso per uno starnuto fatto nel posto sbagliato, e rubo uno snack preparato apposta per l'aperitivo.

«Non viene, è a Manchester per lavoro. È partito ieri sera».

«Mi dispiace, l'avrei visto volentieri». I miei fratelli sono delle spine nel culo, ma mi fa sempre piacere vederli, abbiamo un bel rapporto.

Se si tratta di un periodo limitato, ci piace anche trascorrere del tempo insieme, come in viaggi intercontinentali, anche se Marcus cerca sempre di trascinarci in attività adrenaliniche e tendenzialmente mortali che non fanno per me.

«Giuro Vic, Seb si è trovato una ragazza che è una bomba!» L'unico fratello presente, quello che da piccolo ha picchiato la testa e ha perso tutti i neuroni funzionanti, rientra in cucina con il cellulare davanti alla faccia, chiaro segno che è in videochiamata.

«Buon per lui, sono contento che sia felice! Clare mi è sempre stata antipatica».

Dovrei ricordare a mio fratello che non è carino nominare argomenti tabu come le ex davanti all'attuale ragazza, ma sono così fiero che prenda le mie difese che lo perdono per questo piccolo scivolone.

Lo saluto da dietro le spalle di Marcus, che scappa prima che possa chiedere al mio fratello maggiore come sta.

«E comunque sto lavorando. Se fossi stato libero sarei venuto a casa».

L'ho mai detto che Victor è il mio fratello preferito?

«Due minuti, non puoi capire la mia sorpresa quando si è presentato accompagnato». Gesticola con il telefono, tanto che sembra di vedere The Blair Witch project. «Elle, andiamo fuori, Victor vuole salutarti!»

Non aspetta risposta, prende la mia ragazza sottobraccio e va in giardino, dove i miei hanno allestito la tavola per le grandi occasioni.

Elle mi guarda, ma sorride divertita. Ha le spalle rilassate e mi fa un cenno affermativo con la testa, così decido di darle un po' di tempo con gli altri uomini della famiglia, mentre io mi godo le attenzioni di mamma.

Aspetto che mi dica qualcosa, che faccia partire il terzo grado, la santa inquisizione, ma la vedo estrarre un dolce dal forno e sorridermi, uno di quelli così felici che non arrivano solo agli occhi, ma al cuore. Soprattutto di chi lo osserva.

«Sono felice». Confesso, senza che lei mi abbia posto alcuna domanda. Ecco il super potere di Beth. «È una relazione normale, dove posso io per primo sentirmi normale, un ragazzo qualunque, non braccato dai media in ogni cosa che fa, uno che finge di essere quello che non è per proteggersi».

Alzo le spalle, ma il peso della mia confessione travolge anche me, non sono mai riuscito a dare forma a quello che penso, non fino a questo momento.

«Lo vedo, e non sai quanto ne sono felice. Vederti rilassato mi fa stare serena. Sembri innamorato. E l'amore ti fa sempre bene». Prende i piatti degli stuzzichini e me li mette in mano. «Ora aiutami a portarle fuori e a metterle in tavola. Poi aiuta tuo padre, non è così abile ai fuochi come pensa, ma non posso dirglielo».

Mi strizza l'occhio, divertita, e poi mi guida nel piccolo giardino.

Mio padre è davanti ai fuochi, ma appena mi vede e mi fa cenno di avvicinarmi a lui: «Controlla la carne al posto mio, per favore. Devo andare a cercare il mio ingrediente segreto in cucina. Dio solo sa dove l'avrà ficcato tua madre!»

Senza aspettare risposta se ne va e mi lascia lì, con le pinze in mano, un profumo celestiale e lo stomaco vuoto, che subito cerco di riempire con la birra abbandonata dallo chef lì nei paraggi.

Mi guardo attorno e vedo Elle osservarmi con interesse, mentre un sorriso divertito le si disegna sulle labbra. Alzo solo un angolo della bocca, e lei diventa rossa.

Mi rigiro verso il fuoco, nella speranza di non averci rimesso un braccio e non dover andare al reparto grandi ustionati del primo ospedale a disposizione.

Poco dopo due mani mi circondano da dietro e si posano sul petto. Elle depone un bacio tra le mie scapole, poi la sento affondare la faccia nella maglietta e tirare un lungo sospiro. Mi sembra di percepire del sollievo.

«Come va?» Alzo un braccio e la mia ragazza ne approfitta per infilare la testa bionda lì, per fissarmi dal basso verso l'alto.

«Pensavo peggio». Sorride contenta. «Mi sto divertendo, la tua famiglia è fantastica. Spero di piacere a tutti loro, ma i tuoi non mi sembrano quel tipo di genitori gelosi del loro bambino».

«Mio padre è già innamorato di te, ma è un segreto». Me l'ha confidato non appena l'ha vista, appena siamo rimasti soli. «E mamma è così contenta di vedermi accanto a una ragazza che mi ama così come sono, che penso stia già organizzando di nascosto una festa di fidanzamento».

Non mi stupirebbe veder arrivare metà del vicinato per pranzo.

«Con Marcus, immagino». Elle si fa seria.

«Con Ma... ehi!» Inizio a concordare, per poi accorgermi di quello che ha detto. «Questa me la lego al dito». Porto un braccio all'indietro per pizzicarle il fianco.

La sento ridere e tutto torna al posto giusto, perché sapere di essere riuscito a farla distendere, almeno un po', mi rende felice. La nostra felicità è legata da un filo rosso che non si vede, ma ogni volta che lei alza gli angoli delle labbra lo sento tirare, e di riflesso seguo il suo gesto.

«Stavo scherzando! Sei così sexy davanti al fuoco». Stringe la presa dell'abbraccio e, nonostante il caldo asfissiante, lo accolgo di buon grado, perché non potrei stare in un luogo migliore, al momento. «Il bocconcino di carne che mi fa venire voglia di mangiarlo tutto. L'unico».

Si alza sulle punte per baciarmi appena e io mi avvicino per facilitarle il compito.

«Sei un'adulatrice». Mi strizza l'occhio e io, rinvigorito dalle sue parole, le vado dietro a ruota: «Ma non faccio fatica a crederci. Insomma, guardami: bello da morire, sprezzante del pericolo e... oh mio dio, una vespa!»

E, per smontare la mia ultima frase, mi agito come un neonato in piena crisi di pianto.

Mi allontano dal fuoco e mi giro verso l'insetto per mostrargli le mosse di kung fu apprese dal panda nel cartone animato. Sono stato punto da bambino e non voglio ripetere l'esperienza, mi ha lasciato un trauma di cui non voglio parlare.

La mia famiglia accorre preoccupata in giardino, anche Marcus, e questo la dice lunga sul terrore contenuto nelle mie urla. Ma mi riprendo alla grande con un semplice: «Tutti a tavola, è pronto».

«Cioè, hai davvero urlato come se avessi Pennyise alle calcagna solo per dirci che è pronto da mangiare?» Marcus è allibito, come se lui non si comportasse mai in modo strano.

Alzo le spalle, indifferente. «Non avevo voglia di muovermi da qua».

Mamma, papà e mio fratello recuperano le ultime cose in cucina, tra cui il vino, mentre Elle mi fissa con un sopracciglio alzato. «Sei incredibile!»

«Come attore? Certo, è il mio mestiere. Sono bravo, molto, se non te ne fossi accorta».

Mi pizzica un fianco prima di andare ad aiutare gli altri con le ultime cose.

Una volta che è tutto sistemato prendiamo posto e diamo via al pranzo più rumoroso della storia.

Mi guardo attorno con un sorriso. Elle interagisce con i miei con naturalezza. Attorno alla tavola scorrono risa, chiacchiere e in poco tempo il cibo finisce, senza lasciare spazio a silenzi che potrebbero risultare imbarazzanti. Amo quello che vedo, perché è chiaro che mamma e papà – e purtroppo pure Marcus – la adorano, così come la mia ragazza si sente a suo agio in loro presenza, e per me è una cosa importante.

Papà prova ad allungare una delle ultime bistecche a Elle, ma lei rifiuta con un gesto della mano: «Sono piena, ho mangiato tantissimo. Probabilmente anche per Victor, anche se non è qua».

E, nel dirlo, si accarezza la pancia, per sottolineare quanto sia gonfia al momento.

«Non mangi per due per altri motivi?» E le strizza l'occhio, con un sorriso divertito. «Non penso passiate le giornate a guardarvi negli occhi!»

«PAPÀ!» Lo richiamo, con uno sguardo esasperato. Ho portato Elle per fargliela conoscere, non per farla scappare a gambe levate. «E poi ti domandi anche perché non vi faccio mai conoscere le mie ragazze».

«Semplice». Interviene Marcus, serio. «Perché non ne hai mai avute. O non sono durate abbastanza per arrivare fino a qui». E, per concludere il suo illuminante discorso, si stampa una L di loser in fronte con la mano.

Ecco cos'è l'affetto per mio fratello.

Mi sento in dovere di rispondere a tono, così gli regalo il mio miglior medio a mia disposizione, mentre Elle aspetta che le guance smettano di essere rosse per l'imbarazzo. «Con tutto il rispetto, Philip, i neonati mi piacciono, ma in questa relazione c'è già Seb, e come bambinone basta e avanza».

Cerca di trattenere una risata, ma non ci riesce, dopo che tutti gli altri – tranne il sottoscritto – sono scoppiati.

«E dopo questa il traditore della giornata sarei io, vero?» Sollevo un sopracciglio verso l'alto, scettico nel fingermi offeso.

Dopo questa uscita so che li ha conquistati definitivamente, ma non avevo dubbi a riguardo. Elle pensa di non essere all'altezza, di essere fallata e rotta, una persona che non merita attenzione, ma io so cosa vedono gli altri: una ragazza di buon cuore, attenta all'altra persona e pronta a buttarsi nella mischia senza esitazione. È quello che ho visto io e che mi ha fatto innamorare di lei.

«A proposito di bambino troppo cresciuto...» inizia Marcus, con una certa malizia. «ti ricordi quando da piccolo eri in cima ai nostri pensieri, Target?»

Lo uccido con le pinze con cui ho girato la carne sul barbecue. Gliele ficco su per le chiappe e gli tolgo tutti gli organi interni, tipo mummificazione egizia.

«Target?» Elle è curiosa.

«Ero il bersaglio preferito suo e di Victor. Sono cresciuto vessato da due stronzi».

«D'estate lo facevamo correre per il giardino e ci esercitavamo con le pistole ad acqua» minimizza mio fratello.

«O quelle ad aria compressa». Lo guardo in cagnesco, perché tralascia la parte più dolorosa per evitare di fare la figura del pezzo di merda.

Mia madre, che non ha ascoltato una parola del nostro scambio al vetriolo, si intromette a gamba tesa nel discorso: «Seb da piccolo era un bambino meraviglioso! Vuoi vedere le foto?»

«No!» Urlo io, spazientito.

«Certo!» Elle, invece, è entusiasta dell'idea.

«Allora sparecchio, non voglio che gli album si rovinino, e poi li porto in tavola». Mamma si alza con alcuni piatti tra le mani e inizia ad avviarsi verso la cucina.

«Ti do una mano». Elle, però, non si lascia cogliere impreparata e la segue a ruota con altre stoviglie.

«Lascia stare, sei l'ospite». Beth la rimprovera, anche se ormai è già arrivata in cucina, mossa dalla determinazione di umiliarmi pubblicamente, ma la mia ragazza non si lascia intimidire.

«Questo non vuol dire che io debba stare con le mani in mano». Raccoglie altri piatti e torna in cucina, dove ad attenderli c'è la lavastoviglie.

«Sposala!» Sento la voce di colei che mi ha dato alla luce uscire nitidamente dalla finestra. Così chiara che penso l'abbiano sentita anche se Saturno, circa.

«MAMMA!» Mi copro gli occhi con la mano, nella speranza di essere inghiottito dalla terra qui e ora, ma non avviene.

«Altrimenti lo faccio io». Marcus mi assesta una gomitata sul braccio, che mi fa perdere l'attrito del gomito dal bracciolo, così mi tocca guardarli in faccia tutti.

L'inferno lo immagino così.

«Ma cosa vuoi tu, che non sai nemmeno dove stia di casa la definizione di monogamia?!»

Forse Guantánamo non è male come opzione, in questo momento.

Anche perché, devo dire la verità, pensare al matrimonio ora sarebbe un suicidio sociale a livello lavorativo. La amo e ne sono sicuro, ma non stiamo insieme da abbastanza tempo per pensare così a lungo raggio, prima dobbiamo cercare di sopravvivere al Natale, almeno.

Senza contare che non è un problema avere una relazione a Hollywood, ma finché non ti sposi hai l'appeal di quello libero, perché tutto può succedere, anche conoscere un'altra persona e lasciare quella con cui stai, e questo ai fan – purtroppo – piace, soprattutto a quelli che sperano di sostituire la suddetta persona.

E a questo pensiero partono tutti gli scongiuri esistenti che conosco e che potrò mai conoscere.

Appena Elle si avvicina di nuovo a me per recuperare le ultime cose dal tavolo, le bisbiglio: «Almeno tu potresti risparmiarmi questa figura di merda».

Ma lei alza le spalle, desolata. «Non posso».

«Perché?» Certo che può. Basterebbe parlare a mia mamma delle sue peonie e saremmo a posto fino a Halloween, almeno. Di sicuro dovremmo trattenerci pure per cena e io rimandare la mia partenza.

Si china verso di me, regalandomi una visione celestiale e dolorosa al tempo stesso. «Perché ho voluto essere la tua ragazza e devo accettarne le conseguenze. E conoscere il tuo passato è una di queste».

Mi ha fregato con le mie stesse parole. Poi la gente si domanda perché mi sono innamorato.

Non faccio in tempo a rispondere allo sguardo interrogativo di mio padre che arriva mamma con un quantitativo di album fotografici pari soltanto ai volumi del censimento degli Stati Uniti.

Mi sento male.

«Vieni qui». Marcus mi fa segno di sedermi accanto a lui, così che possa sfottermi meglio. Non esiste. «In memoria dei bei vecchi tempi».

Mi siedo accanto alla mamma e gli mostro il medio.

«Com'eri bello!» esordisce lei, mentre inizia a sfogliare le pagine del mio album, il primo in cima alla lista. Ignoro il fatto che sia lì perché deve mostrarlo alla mia ragazza e mi convinco che sono il suo preferito, perché di tutti i figli sono il meno rompipalle, è un dato di fatto.

Poi, però, mi accorgo delle sue parole e mi volto a guardarla, ma lei continua a illustrare le foto a una Elle entusiasta.

Cosa vuol dire che "ero" bello? Ok, posso capire di non essere l'uomo più bello del mondo, dato che Chris Evans, Chris Hemsworth e Jason Momoa camminano ancora su questa terra, ma, ehi, non ho avuto un tracollo dall'infanzia. Anzi, tutt'altro!

«Già, cosa ti è successo?» Mi punzecchia Marcus.

«Ora sono meraviglioso. Un anatroccolo che è diventato un cigno». Sollevo solo un angolo delle labbra per sfotterlo. «Cosa possiamo dire di te, che invece la bellezza ti ha schivato come se fossi un proiettile?»

Una delle poche soddisfazioni che posso prendermi, perché i ricordi immortalati nelle foto giocano tutti a mio sfavore.

«Fottiti»

«Bambini, buoni». Si intromette papà per prenderci in giro.

Mio fratello e io ci regaliamo uno sguardo che dovrebbe avere bisogno del porto d'armi, ma non fa desistere i miei da questo viaggio traumatico nel passato.

«L'Halloween dei tuoi tre anni». Beth Collins comincia a sciorinare il primo evento imbarazzante della mia vita, e lo fa con un sorriso nostalgico che mi spezza il cuore. «Eri una bellissima zucca, peccato che tu ti sia fatto la pipì nel costume dopo quaranta minuti e abbiamo dovuto riportarti a casa».

Grazie, mamma. Davvero, avevo proprio bisogno di perdere altra credibilità con Elle, come se fossi partito alla grande.

Scorrono momenti imbarazzanti, che hanno dato a Marcus il modo di dare sfogo alla sua vena sadica, che sembra dare il meglio di sé nei miei confronti, ma Elle, in tutto questo, è stata storica, anche quando ha visto le foto di un me appena dodicenne truccato da donna, cosa che i miei fratelli si divertivano a fare quando i nostri genitori erano fuori casa.

«Saresti stato una bambina deliziosa». Sussurra, mentre mi mette una mano sulla coscia. Un gesto per rassicurarmi, ma lì vicino c'è la prova che sono del sesso opposto, e la prova è molto felice della vicinanza delle sue dita.

Dopo due interminabili ore, che mi hanno sfiancato più di uno scandalo mediatico, ci ritroviamo sulla porta di casa per i saluti, con la promessa di farmi rivedere presto, e l'invito è esteso anche a Elle.

«È stato un piacere trascorrere del tempo con voi». La mia ragazza risplende, del tutto a suo agio con le persone a me più care, e io rifletto tutta la sua luce, soddisfatto di come è andata questa giornata. Figure di merda a parte, s'intende.

«Anche per noi». Mamma la abbraccia. «Sono così contenta di vedere Seb felice, non mi capitava da tempo».

Bacio lei e stringo mio padre, mi scambio una stretta di mano da uomini del ghetto con Marcus e poi corro in auto, prima che si inventino un modo per trattenerci più del dovuto.

Appena entriamo nell'abitacolo Elle tira un sospiro di sollievo.

«Come stai?» La osservo prima di mettere in moto l'auto.

Elle si sistema sul sedile, molle, come se avesse appena finito di correre la maratona, o come se io avessi appena fatto ben due rampe di scale a ritmo un po' sostenuto. Stanca, ma con la soddisfazione di chi ha portato a casa il risultato.

«Bene. Mi aspettavo di non essere accettata, invece sono stati stupendi con me, come se fossi di famiglia». Poi si volta a guardarmi, ma io sono impegnato a non fare come in Grand Theft Auto e falciare ignari pedoni. «Ma non farlo mai più».

«Ok, ho imparato la lezione». Alzo le mani dal volante, ma soltanto perché sono fermo allo stop, lo stesso in cui, ha inizio giornata, ha cercato di sedurmi.

«E tua mamma cucina divinamente, sono pienissima!» E, per sottolineare il concetto, si accarezza la pancia piena.

Lo vedo con la coda dell'occhio. In effetti anche i miei addominali sono messi a dura prova. Per vederli, dopo il pranzo di oggi, bisogna cercarli in profondità. «È la migliore».

Il viaggio in auto scorre tranquillo, nel poco traffico di una domenica pomeriggio di agosto. Troppo tranquillo, a dire il vero, e me ne accorgo a metà strada.

«Come mai questo silenzio? Non è da te». Tamburello le dita a ritmo della canzone che passa in radio, disteso.

«Mi stai dando della logorroica?» Solleva un sopracciglio, scettica.

«Ti pare? Nah». Io? Affatto.

«Comunque stavo... pensando» risponde infine alla mia domanda.

«A cosa?»

«A... questo». E, con il pollice, si indica alle spalle, alla mia famiglia e alla giornata appena trascorsa. «Perché mi hai presentato ai tuoi? Tra poco parti».

È seria, attenta a quello che ho da dirle. Nella voce un po' di preoccupazione o, forse, panico.

«Parto, sarò lontano per lavoro per qualche mese, ma poi torno». È semplice, anche se lo è solo sulla carta. Le relazioni, anche se a distanza, sopravvivono. Certo, ci vuole impegno, ci saranno i nostri momenti no, ma non vedo perché arrendersi prima ancora di aver provato a lottare.

«E poi partirai di nuovo» mormora triste, la fronte contro il finestrino, mentre con le dita disegna cuori.

«Ma tornerò sempre da te». Sempre. A qualunque costo.

«Ho soltanto paura, suppongo». Alza le spalle, ma non sfugge al mio sguardo, si gira per regalarmi gli occhi più sinceri dell'universo. Gli stessi occhi che sono alla disperata ricerca di rassicurazioni. «E se la situazione si facesse complicata? Se ti chiedessero di nuovo di firmare un contratto in cui fingi di stare con un'altra?»

«Farei togliere la clausola. Non farei niente per ferirti, mai». Non firmerei niente che potesse danneggiare Elle o il nostro rapporto.

«È che...» sospira, lo sguardo ora basso. «Non sono pronta per affrontare tutto questo da sola».

«Tutto questo cosa?» Non sarà sola, perché anche a centinaia di miglia di distanza, anche se fossi su un altro pianeta, non le farei mai mancare il mio supporto.

«Non voglio essere una madre single».

«Una madre...» freno di colpo, poi cerco di accostare sul ciglio della strada di modo che le auto dietro di me la smettano di suonare. «EH?»

Non sono sicuro di aver compreso.

«Penso di non aver capito bene». La rendo partecipe dei miei pensieri.

«Hai capito benissimo». Mi guarda in modo affilato, che mi fa intendere che in realtà è come dice lei.

«Sei... sei...»

Annuisce, rossa in viso, mentre si tortura le mani appoggiate sulle cosce.

Ma. Che. Cazzo.

«Non so cosa dovrei dire. Sono sotto shock». Questo è l'eufemismo dell'anno, poco ma sicuro. «Sarò il giovane padre più figo di Hollywood».

Andiamo, mi immagino già mentre me ne vado in giro per Londra a spingere la carrozzina con il mio erede ed Elle al mio fianco. Sarà pane per i siti di gossip, e sarò il padre, il sogno proibito, di tutto il mondo.

«Non fraintendermi, sono felice, un figlio è sempre un dono, ma non me lo aspettavo». Non so cosa dire, in effetti. Avrà un impatto sui ruoli che mi offriranno? «Stiamo insieme da poco e l'abbiamo fatto sempre protetto. Non so come sia successo, cioè lo so, so come si fanno i bambini, però ecco, forse un preservativo buco... non so».

Sto straparlando e la situazione si complica ogni secondo che passa.

Mi rendo conto di sparare solo stronzate, ma in questo momento il mio cervello non funziona a dovere.

Sono euforico. E terrorizzato. E stupito. E anche grato perché il mio corredo genetico è salvo. Insomma, andava tramandato, altrimenti tutto questo ben di Dio sarebbe andato sprecato.

«Seb...»

«No, davvero, sono contentissimo, ma sono sotto shock». La fermo, perché ho il terrore di come potrebbe continuare la frase. «Non farti ingannare dalla mia reazione, mi hai preso in contropiede».

«Seb...» si copre il viso con le mani, segno che il mio discorso non sta andando come vorrei ma, lo giuro, sono sconvolto.

«Wow. È la prima volta che fare tanto sesso mi porta a queste conseguenze». O forse è semplicemente la prima volta che faccio tanto sesso. Però non è giusto, perché anche tanti miei colleghi lo fanno, eppure di prole al seguito nemmeno l'ombra. «Sono sempre stato attento. Forse dovremmo tornare indietro e dirlo ai miei. Anzi no, aspettiamo che passino i tre mesi per vedere se tutto fila liscio. Non si fa così di solito?»

Voglio la mamma.

«Di quanto sei? A quando la prima ecografia? Posso venire anche io?» Voglio essere il miglior papà del mondo, per Elle e per il bambino. O la bambina. Appena arrivo a casa inizio a studiare le marche dei pannolini, perché capire quella migliore e che ha meno impatto sull'ambiente.

Mentre mi perdo nei miei ragionamenti da neo papà, le spalle di Elle iniziano a vibrare e io sono nel panico più totale.

D'istinto le levo le mani dal visto, ho bisogno che mi guardi mentre cerco di riparare al danno che ho fatto. Beh, uno dei tanti, a quanto pare.

Ma quando Elle mi mostra il suo viso rimango pietrificato.

Non sta piangendo, ma sta ridendo.

No, non di una risata isterica, ma di una divertita. E il diretto interessato sono io.

Si mette una mano sulla pancia, ma non per sottolineare il suo stato. «Dio, è stato così divertente».

A quanto pare questo deve essere stato il suo workout per gli addominali, per quello li deve reggere, perché le fanno male.

«Divertente? DIVERTENTE?» Urlo, sollevato e sulla buona strada per una crisi di nervi. «Ti sembro uno che si sta divertendo?»

Spoiler: no, affatto.

«Come hai fatto anche solo a crederci?» Si asciuga le lacrime con l'indice. «Mi sono scolata quasi una bottiglia di vino rosso a pranzo!»

«Beh, si dà il caso che io non ci abbia pensato, ero troppo sconvolto» Dettagli. Dettagli che non ho notato perché sono un uomo, non sono multitasking, e se mangio non ho abbastanza neuroni per dedicarmi ad altro. Una cosa alla volta. E il mio stomaco, in momenti simili, ha sempre la priorità. «Ora tu mi spieghi il senso di questo potenziale attacco cardiaco».

Niente pagnotta nel forno, mi ripeto. Niente di niente.

Alza le spalle, serafica. «Te l'ho detto che te l'avrei fatta pagare, ho solo sfruttato l'assist di Philip di oggi pomeriggio».

«Io... tu...» Non ho nemmeno le parole per continuare la frase. Passo dall'incazzatura totale al sollievo ogni tre secondi circa.

Faccio per aprir di nuovo bocca, ma Elle mi anticipa: «Ti dico solo che l'alternativa era l'astinenza dal sesso».

Questo ridimensiona tutta la faccenda.

«Ok, ho preferito il colpo apoplettico. Grazie». La notizia ha ristabilito l'ordine e rimesso le cose nella giusta prospettiva.

In poche parole è riuscita a zittirmi, perché altrimenti mi sarebbe toccata una sorte ben peggiore.

«Dai, portami a casa, Mr. Futuro papà di Hollywood, che conosco un modo per farmi perdonare». E mi rivolge un occhiolino che mi apre gli scenari più sconci nella multisala mentale che dirigo.

Mi rimetto per strada e ingrano le marce con una fretta improvvisa che non mi appartiene, ho una sicurezza alla guida che non avrei nemmeno se ci fosse uno stuntman al mio posto.

Fila tutto liscio, almeno finché il nome di Francine non compare sul monitor di bordo, accompagnata dalla suoneria che le ho associato.

Faccio una smorfia, ma Elle mi invita a rispondere con un leggero schiaffo sul braccio, quasi non dovessi fare certe facce quando telefona la mia agente. Ha ragione, ma chiamarmi durante il giorno libero mi rende sempre nervoso, vuol dire che ci sono novità in vista.

«Ciao!» La saluto con tutto l'entusiasmo che riesco a racimolare. «Tutto ok?»

«Hai visto i siti di gossip?» Francine, a quanto pare, non è per i convenevoli come me.

«No, dovrei?» Già non li leggo per principio, figurarsi quando ho di meglio da fare.

«Sì che dovresti». Fa una pausa, forse per calmarsi, perché mi sembra un tantino incazzata. «Io ti ammazzo».

A quanto pare sono bravo a leggere le persone, o forse sono loro a essere palesi in quello che provano. Non lo sapremo mai.

Riattacca, ed Elle, che gestisce il mio cellulare, apre il link che la mia agente ha girato in chat.

Vedo il suo dito scorrere sullo schermo, per poi concludere con un commento tecnico di tutto rispetto: «Cazzo».

Al primo semaforo rosso mi mostra il contenuto della pagina internet.

Sono fottuto.

Merda.

Hello peeps!

Come state? Lo so, sono in ritardo, ma l'uscita del libro ha sconvolto un po' la mia vita. Ma ora che Lovescore ha preso la sua strada, la mia priorità è finire  questa storia, per poi dedicarmi ad altri progetti.

Anche perché non manca molto, una decina di capitoli al massimo.

Io sto facendo di tutto per ritagliarmi il mio spazio quasi quotidiano per scrivere, anche se devo migliorare nell'organizzazione. Ma sono soddisfatta, perché sto ritrovando la costanza.

Cosa mi dite di questo capitolo?

Io spero che vi abbia strappato qualche sorriso!

Cosa avrà girato Francine a Seb, e perché è tanto arrabbiata?

Spero di farvelo scoprire presto,

Cris

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