37. Indelebile
Ci siamo presi una serata libera dai ragazzi. Io ho usato la scusa di vedere la mia famiglia, mentre Elle di incontrare i propri compagni di corso per bere qualcosa.
Invece siamo qui, di sera, sul tetto. Abbiamo deciso di prendere qualcosa da asporto e mangiarlo qui.
Guardo il cielo – ancora chiaro – sopra di noi e mi godo la brezza che gonfia le tende leggere che Elle ha montato attorno alla struttura di metallo.
È questo il bello dell'estate, la rilassatezza dei momenti semplici. Basta un tappeto sotto i piedi nudi, dei cuscini a cui appoggiarsi, il sushi più dignitoso della zona e la ragazza di cui sono innamorato per essere felice.
Ora ho la chitarra appoggiata sulle gambe incrociate, nel tentativo di strimpellare qualcosa.
Elle, però, mi studia interessata e spero di essere sul menu come dessert, ma le sue parole smontano ogni mia fantasia.
«Dai, insegnami ancora qualcosa!» Allunga le mani verso la chitarra. Questo perché è da qualche settimana che le sto spiegando le basi degli accordi e le posizioni delle mani.
Elle è una pessima musicista, ma ha dalla sua la caparbietà. Non so se farà progressi, ma la curiosità e la determinazione con cui si applica sono ammirevoli.
«Ok». Cedo alle suppliche, suscitando la sua soddisfazione. «Ricordati la lezione principale delle scorse volte».
«Quale delle tante?» Alza un sopracciglio e anche lo sguardo, alla ricerca nei pensieri per capire a cosa mi stia riferendo.
«Sono un rompipalle assurdo». Le ricordo, con l'indice alzato, fiero del mio essere così preciso, perché la musica per me è importante come la recitazione.
«Ma questo lo so già». Mi prende in giro, con un sorriso ironico. «Però sei il mio rompipalle preferito».
Poi si allunga verso di me per accarezzarmi la guancia. Sa esattamente come compiacermi, sono fottuto. «E partiamo sempre dalle basi». Ribadisco per darmi un tono.
«Ehi, lo so. Per costruire una casa al meglio bisogna partire dalle fondamenta». Cerca di sistemare le dita come le ho insegnato la prima volta, poi torna a guardarmi: «Tu insegnami le parti essenziali, poi continuerò con la pratica e infine ti straccerò».
Rido, ma non è la mossa giusta da fare. Elle assottiglia lo sguardo per farmi capire che non apprezza la mia ironia. Mi schiarisco la voce e la invito a eseguire la sequenza delle altre volte e, dopo minuti di sofferenze inenarrabili, posso dire di aver assistito alla peggiore lezione di musica della mia vita. Anche peggiore di quella di terza media, dove Andrew – un mio compagno di classe – aveva vomitato sulla tastiera a causa di un'influenza intestinale.
Elle ha provato a dare la colpa alla scarsa visibilità, dato che è calato il buio, così, per risolvere il problema, ho acceso le lucine – che di solito andrebbero attorno all'albero di Natale – che arricchiscono il gazebo.
«Non ci riesco» miagola triste. «Dai, aiutami!»
«E cosa avrei fatto negli ultimi venti minuti?» domando ironico.
«Sii più incisivo!» È concitata, questa cosa delle lezioni di musica le piace più del previsto e mi fa piacere, perché è un'altra cosa che ci avvicina.
«Se fossi un po' più incisivo suonerei al posto tuo!» La prendo in giro. «Ok, proviamo così».
Le poso la chitarra in grembo e poi mi siedo dietro di lei, circondandole le gambe con le mie. Il petto aderisce alla sua schiena, a dividerci ci sono solo le nostre magliette, mentre produciamo del calore che niente ha a che fare con l'afa estiva. È la chimica che generiamo quando stiamo insieme, anche in questa posizione intima e avvolgente che non ha nulla di seducente.
Elle si appoggia a me e per un secondo si gode il contatto tra noi, mentre poggia la testa sulla mia spalla. Ha un sorriso tranquillo appena accennato sulla bocca che è più luminoso di tutti i bagliori di Londra che ci circondano, e il merito è mio, cosa che mi rende fiero di ogni cosa che faccio insieme a lei.
«Ora segui i miei movimenti». Appoggio le mani sulle sue e la aiuto nei vari accordi e gli spostamenti che ne conseguono.
La tecnica sembra funzionare, perché le note e la musica fluiscono più morbide dalla chitarra, ma ho il dubbio che ci sia il mio zampino dietro. Un dubbio che è quasi una certezza.
Dopo vari tentativi, però, Sweet home Alabama, o una sua versione un po' più lenta – ok, molto più lenta – inizia a prendere forma.
«Oddio, ho suonato! Sei un mago!» Elle è entusiasta. Così tanto che quasi lancia la chitarra per aria pur di abbracciarmi.
«Con le dita lo sono sempre». Le strizzo l'occhio, malizioso. «E comunque non esageriamo, hai strimpellato».
«Sempre pignolo». Sospira, ma è felice dei risultati ottenuti, incurante di quanto sia stato incisivo il mio aiuto. «Pensa che, se ci fosse qualcun altro a suonare, potremmo ballare sulla canzone».
«Vuoi ballare il country?» Alzo un sopracciglio, ma Elle è già in piedi.
«Certo!» Armeggia con il cellulare e le casse che ci siamo portati appresso, li collega con il bluetooth e naviga su YouTube, fino a trovare ciò che cerca. «Ta daaaan!»
Urla entusiasta mentre si piega verso il pavimento per seguire il tutorial e ballare al contempo. Il risultato è decisamente ridicolo, ma Elle se ne frega e continua imperterrita, anche se le gambe lunghe con quei passi strani la fanno sembrare una giraffa ubriaca.
«Dai, vieni, è divertente!» Mi allunga una mano davanti al viso, sul quale ho dipinto un sorriso allegro dovuto al suo spettacolo involontario. È quel gesto, così spontaneo, a fregarmi.
Mi guardo in giro, ma ci sono solo pochi i palazzi alti come o più del nostro nei paraggi, quindi non abbiamo spettatori. Ok, posso lanciarmi in questa azione da denuncia e perdita totale della dignità, se messa in pratica da me.
Stringo la sua mano e la raggiungo. Studiamo il video e proviamo i passi ma, per la maggior parte del tempo ci scontriamo o inciampiamo nei piedi l'uno dell'altra e finiamo con il culo a terra, ridendo.
Alla fine lasciamo partire la canzone e ci inventiamo dei passi tutti nostri, per poi girare sul posto, riducendo i passi all'osso, per mia fortuna.
Mi sto divertendo e decido di fare lo splendido, così le prendo la mano sinistra e le faccio fare un paio di giravolte. Rimango stupito perché, nel farla girare con il braccio alzato, vedo una chiazza scura sul bicipite che sembra familiare, ma tutto passa troppo velocemente perché io mi renda davvero conto di quello che ho visto.
Fa un'altra giravolta su se stessa e si piega verso i sacchetti del cibo, dove recupera il tortino al cioccolato che abbiamo ordinato, ma non ancora consumato, sazi della cena di prima.
A quanto pare muoversi un po' è servito a ricordarle che c'è uno stomaco aggiuntivo per il dolce.
«Cioccolato, mmmhhh» mormora dopo avergli dato un morso. Mi invita a fare lo stesso e sì, è decisamente meglio del sushi. Qualcuno dovrebbe dire al ristorante che cucinano meglio i dessert del pesce.
Elle si avvicina per baciarmi e il sapore del cioccolato, misto al suo, mi invadono la bocca e vado in estasi. Penso che il paradiso possa essere simile, nei miei sogni proibiti.
«Com'è il dessert?» domando sarcastico, dato che la sua reazione è anche peggio della mia.
«Buono, ma ne voglio ancora, non ne ho mai abbastanza». E ho come l'impressione che non stia parlando del tortino al cioccolato e sia volutamente maliziosa, ma va più che bene così. Chi sono io per tirarmi indietro? Sono pronto a immolarmi sull'altare della seduzione, ma il clacson che proviene dalla strada sotto di noi mi riporta alla realtà e al fatto che è meglio evitare di regalare foto di me in atteggiamenti compromettenti in mondovisione. Non mi fido abbastanza dei vicini per proporre a Elle di fare zozzerie qui, e non c'entra nulla la possibile denuncia per atti osceni in luogo pubblico che potrei beccarmi, affatto.
«Chiudi gli occhi». Mi invita, mentre sono ancora imbambolato. Immagino che sia lei a voler giocare un po'. E, con giocare, intendo proprio le attività vietate ai minorenni e a cui i vicini non dovrebbero davvero assistere, ma a quanto pare non riusciamo a trattenerci. Sono pronto a fare il volontario, un po' come la protagonista degli Hunger Games, ho sempre adorato quel meme.
Faccio come dice ed Elle accarezza le mie labbra con le sue, in una tortura infinita, perché non concede loro il bacio che pretendono.
Aspetto il contatto nella speranza che arrivi presto, perché l'attesa mi logora. Quando sento il suo calore vicino a me mi protendo verso il punto in cui penso di trovarla, ma non c'è.
In compenso, poco dopo, sento scorrere qualcosa sul naso.
Apro gli occhi di scatto ed Elle, divertita, mi mostra l'indice sporco di cioccolato mentre ridacchia, poi riprende qualche fiacco passo di danza, che si sposa male con la canzone che è partita in successione e ormai è in procinto di sfumare.
Vorrei fingermi arrabbiato per punirla in un qualche modo che in realtà è una liberazione per entrambi, ma il pensiero della mia faccia e l'intera situazione sono troppo assurde per provare a risentirmi, così mi metto a ridere da solo dell'irrazionale felicità che scaturisce da un momento così semplice e nostro.
La raggiungo e riprendo a ballare, in quel ritmo che sento solo io e, mentre la canzone sfuma, la faccio piegare all'indietro su un mio braccio in una brutta imitazione di un casquè. Elle mi fissa radiosa, poi le poso un bacio sul collo e la sento sospirare di piacere.
Anche lei è in attesa del bacio che sembra aleggiare nello spazio che ci separa. Aspetto che torni a guardarmi e, quando i suoi occhi si incastrano nei miei, nella speranza che io ponga fine al suo desiderio, io piego il viso un po' di più e le accarezzo la depressione del seno – lasciata scoperta dallo scollo della canotta – con il naso, per risalire fino alla gola.
La sento gemere appena e deposito un sorriso sulla sua pelle, un piccolo gesto che crea un brivido in entrambi.
Poi, però, da vero idiota quale sono, la osservo e rido soddisfatto mentre la faccio rialzare dalla posizione poco comoda, ho già sfidato abbastanza la sorte, è meglio rimettersi in piedi prima di finire spalmati con poca grazia sul pavimento.
«Vuoi forse farmi morire?» Mi domanda con uno sguardo confuso.
«No, volevo fartela pagare». E le indico la striscia di cioccolato che le ho depositato in mezzo al seno.
Socchiude gli occhi, minacciosa, mentre si mette a sedere di nuovo sul tappeto.
«Ti perdono solo perché non sono abbastanza lucida per potermi arrabbiare».
Mi siedo vicino a lei ed Elle non mi lascia nemmeno il tempo di capire cosa succede che mi leva i rimasugli di cioccolato dal naso con le labbra e la lingua.
Siccome sono magnanimo, mi sembra giusto ricambiare il favore, la faccio sdraiare tra i cuscini e mi dedico alla strisce che le ho lasciato sul petto, leccando ogni millimetro di dolce, facendo mio il sapore della sua pelle misto a quello del cacao.
«Penso sia il miglior appuntamento della storia». Mormora Elle, non senza difficoltà, mentre seguo la scia che ho lasciato poco prima. «Anche se meriterebbe di essere concluso con del sesso. Tipo, adesso».
La sua frase fuga ogni dubbio sul perché sia la persona più adatta per me: viaggiamo sempre sulla stessa lunghezza d'onda.
«Peccato che le nostre case siano off limits, in questo momento». Sospiro affannato, mentre mi sdraio sui cuscini accanto a lei. Ricordare che non possiamo dedicarci al sesso come vorremmo per rendere questa serata memorabile e ancora più perfetta di quello che è mi ha spossato.
Ora non devo far altro che evitare di pensare alla mia erezione e tutto andrà bene. Penso alle calotte polari che si sciolgono, alle ingiustizie del mondo ma, soprattutto, a Francine e al fatto che domani la incontrerò di mattina presto. Una combo in grado di ammazzare l'eccitazione di ogni persona esistente sulla terra.
Ecco, ora va meglio, la situazione è di nuovo sotto controllo. Per quanto lo può essere avere un rave party nei pantaloni. Ma ok, lo posso gestire.
Mi metto su un fianco perché vorrei parlarle, ma mi ricordo di una cosa.
So che devo agire con cautela, altrimenti Elle potrebbe sfuggirmi come farebbe un animale ferito pronto a difendersi, quindi vado per gradi.
Allungo un braccio e le accarezzo il viso poi, con lentezza, scendo verso la spalla sinistra.
«Vorrei più momenti così». Le confesso sincero, in un momento di malinconia, perché so che più passano i secondi, meno tempo abbiamo da trascorrere insieme in vista della mia partenza.
«Vorrei una vita fatta di momenti così». Si gira a osservarmi, con una pace dipinta negli occhi che mi riempie il cuore.
Continuo la mia discesa e, con l'indice, arrivo al gomito per poi raggiungere il polso.
Approfitto della sua distrazione, le prendo il polso e cerco di sollevare il braccio. Quando Elle capisce cosa voglio fare tenta di opporre resistenza, ma è troppo tardi.
Nell'interno del bicipite campeggia la mia scritta. Il testo di She's, con la mia scrittura, ma ora mancano le note che aveva disegnato. È passato troppo tempo perché sia così vivido, soprattutto dopo una simile modifica.
«Come fa a essere ancora così bello?» Sono confuso. E curioso.
Elle ritrae il braccio, timorosa. Tanto che non risponde.
Le pungolo un fianco con un dito e si dimena, a disagio e all'improvviso taciturna, quasi fosse indisposta nei miei confronti.
«Non volevo che lo vedessi». Mormora appena, dopo aver abbassato il braccio e aver iniziato a giocare con un ciuffo di capelli che mi ricade sulla fronte con l'altra mano.
«È un po' difficile, dato che sei la mia ragazza, passiamo tanto tempo insieme e spesso siamo svestiti». Non mi riferisco solo al sesso, ma anche al caldo, dato che siamo in piena estate. Siamo spesso insieme, ora che non abbiamo problemi a condividere il tempo.
Elle alza le spalle ed esala un lungo sospiro. «Beh, speravo non lo vedessi subito».
«È il motivo per cui ieri mi hai evitato?» Le accarezzo il braccio mentre lei annuisce.
«E perché?» Ho una teoria, ma voglio sentirla uscire dalle sue labbra. Perché se è quello che penso è una cosa grande, un passo enorme da parte sua nei miei confronti, ma è da un po' che ho capito che Elle è fatta così, non si esprime a parole, ma basta osservare quello che fa per comprendere quanto tiene a una persona. Manifesta con i gesti, e forse è anche più significativo.
«Perché non so come tu possa prendere un gesto così... definitivo».
«Definitivo come cosa?» Alzo un sopracciglio. Eccoci al punto.
«Come un tatuaggio». Sospira, poi si indica il bicipite. «Quello che ho fatto ieri».
Boom. Mi ha inciso sulla pelle.
«Perché la mia reazione dovrebbe preoccuparti?» Appoggio il viso sulla mano, curioso di conoscere la sua risposta.
«Perché ho paura che davanti a qualcosa di indelebile tu possa dare di matto». Comprensibile. È una cosa grossa. Avventata, visti i precedenti e i tempi con cui ci siamo mossi. Stiamo parlando di un paio di mesi.
Ma i tatuaggi riflettono il bisogno di una persona, un momento preciso, un sentimento che in quel momento ha rilevanza, e va bene così. Se ha bisogno di questo per stare bene, per ricordarsi di un momento che l'ha fatta sentire adatta, non vedo il problema. Sapere di essere parte della sua positività, di essere un suo ricordo indelebile, per me è importante.
«A me basta sapere solo una cosa». Accenno un sorriso nel tentativo di tranquillizzarla.
«Sarebbe?» Finalmente mi guarda.
«Perché te lo sei fatto tatuare?»
«Perché, semplicemente, è lì che devi stare, vicino al mio cuore». Nel pronunciare quelle parole si distende, anche se le guance diventano rosse. «Ti sei fatto strada in tanti modi dentro di me, il minimo che possa fare è accoglierti, avere una parte di te sempre con me, nonostante tutto».
Nonostante la distanza che tra meno di un mese si metterà tra noi.
Le bacio la fronte mentre permetto alle sue parole di sedimentarsi dentro di me, lascio che mi scavino una vertigine che va a riempirmi il cuore. Il posto dentro di me c'è, se l'è ritagliato tempo fa, quindi capisco alla perfezione cosa vuole dire.
«Potresti dire qualcosa, per favore?» Domanda accoccolata al mio petto, preoccupata di scorgere la mia reazione.
«A volte non c'è bisogno di parole per esprimere quello che si prova».
«Queste, però, sono parole». Si indica il braccio.
«No, questo è un gesto. Ed è importantissimo». Con il pollice passo sopra il tatuaggio, lucido per la crema con cui lo tiene idratato e ancora in rilievo. «Ti sei impressa sulla pelle delle frasi, ma è renderle indelebili che dà valore al tutto».
Dà un senso in più a quello che c'è tra noi. A quello che siamo.
«Quindi non hai nulla da dire?» Alza il viso e appoggia il mento sulla mia spalla per guardarmi.
«Certo che ce l'ho». Le bacio la fronte, dove lascio il mio sorriso migliore. «Ti amo, e ti ringrazio per aver ceduto una parte di te a me, è una cosa preziosa di cui sarò sempre onorato».
Lascia andare un sospiro, sollevata per le mie parole.
«Mi sei arrivato dentro in posti che non pensavo di avere. E, se all'inizio ne ero spaventata, ora sono felice di aver accolto i miei sentimenti per te». Si accomoda sui cuscini accanto a me per guardare il cielo stellato, mentre con la mano arriva alla mia e intreccia le nostre dita. «Non riesco a pensare di lasciarti andare».
«Allora non farlo». Stringo la presa, non ho alcuna intenzione di permettere che accada.
Hello peeps!
Come va? Eccomi con il nuovo capitolo.
Rientrare nelle vite – e nelle teste – di Seb ed Elle è stato traumatico, ma sono riuscita a riprendere costanza, spero dunque di darvi aggiornamenti più celeri, anche perché ora ho chiara la direzione nuova da prendere, rispetto alla versione originale, e sono molto felice delle decisioni prese!
Capitolo forse breve, forse per voi di passaggio, ma qui c'è un passaggio fondamentale. Elle si denuda, non fisicamente. Parla, ma lo fa con i gesti, e quello che dice è importante, soprattutto per Seb.
Si apre sempre di più perché si fida. È una relazione che si costruisce per gradi.
A presto!
Cris
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