31. Gandhi, il ritorno
Ho sbagliato tutto.
Ho mentito a me stessa per mesi. L'ho fatto con l'idea di proteggermi e, invece, ho finito per essere la mia peggior nemica.
Ho avuto paura e per questo mi sono autocondannata, credendo che chiudermi in me stessa potesse tutelarmi quando, in realtà, non ha fatto altro che aiutare le mie ferite a non rimarginarsi.
Ho passato un periodo d'inferno credendo fosse colpa di Blaise, invece era solo colpa mia, perché gli ho permesso di avere ancora un ascendente su di me. Credevo di essere condizionata dalla paura di dimenticarlo, ero convinta di amarlo ancora.
Non ti amo più.
E, invece, ero terrorizzata dall'idea di liberarmi per sempre della sua presenza. Da quello che aveva rappresentato. Ero convinta che fosse lui a tenermi incatenata al passato, invece sono stata io la carceriera di me stessa, perché il futuro mi spaventa più di quello che ho vissuto.
Ed è stupido, perché mi sono privata di tanto, soprattutto di me stessa.
È bastato poco, pero, per riappropriarmi di ciò che era mio. Il sorriso, i pezzi rotti, la vita. Me.
Quattro parole, dette con una difficoltà assurda per la verità che contenevano, e il peso opprimente che mi attanagliava e inseguiva da mesi, che soffocava ogni mio passo o scelta, se n'è andato.
Dove? Non lo so, e non mi interessa nemmeno saperlo.
Non ti amo più.
Sono riuscita davvero a pronunciare una simile frase e non solo a immaginarla. A sentire quanto queste parole fossero vere una volta uscite dalla mia bocca.
Ho schiaffato in faccia – letteralmente – a Blaise il mio rancore, gli ho detto quello che voleva. E, al posto di sentirmi persa, mi sembrava di riacquistare il senso di me stessa. Mi sento meglio.
Mi sento bene.
Non ti amo più.
E non pensavo fosse possibile sentirmi così. Intera, anche se frammentata. Guarita, anche se provata. Ero convinta che Blaise fosse la ferita che non si rimargina mai, quella che lascia la cicatrice che, anche solo a guardarla, fa male.
Ma mi sbagliavo.
Sorrido e mi accorgo solo ora di piangere per il sollievo.
Non ti amo più.
Averlo davanti, in tutta la sua pochezza, ha reso tutto più facile. Avere davanti lui, che rappresentava tutti i miei errori, mi ha fatto capire che non erano per forza miei, ma che Blaise, semplicemente, li incarnava tutti.
È stato liberatorio.
E sono tornata me stessa.
Non ti amo più, Blaise, e riesco a pensarlo senza farmi male, dopo momenti in cui pensavo di morire a causa della mancanza di respiro che il tuo male mi ha provocato, ma sono ancora qui.
Sopravvissuta. Viva. Felice.
Bentornata, Elle.
*
Mi sento stupida a parlare con me stessa, ma è un discorso che mi devo, che ho sentito il bisogno di fare, e ho approfittato di questo momento per trarre le mie conclusioni.
Seb è in ospedale. Gli hanno medicato le ferite al meglio, ma essendo lui un VIP, ha diritto alle cure migliori, per cui paga profumatamente, e l'equipe medica ha deciso di tenerlo sotto osservazione per vedere se i colpi gli hanno provocato qualche trauma.
Pivelli, il vero trauma di quel ragazzo sono io e, ora che me ne rendo conto, non so esprimere quanto mi faccia male il pensiero.
Anche perché, se si trova lì conciato a quel modo, è solo colpa mia. E di Daniel, ma sono dettagli.
Sono rimasta con lui più a lungo degli altri, quasi potessi vedere le ferite rimarginarsi di secondo in secondo e gli ematomi sparire dal viso e dalle costole, ma a un certo punto Seb mi ha spedita a casa, dicendo che era stanco.
Stanco di me, suppongo, e non posso dargli certo torto.
Mi ritrovo sotto la nostra palazzina dopo essere scesa alla fermata della metro più vicina a casa e mi accorgo, con soddisfazione, che Blaise è sparito davvero. Per sempre, questa volta.
E, dopo mesi, mi sento libera.
Salgo le scale con in testa la lista di cose da portare a Seb, perché non voglio che rimanga senza scorte in ospedale, nel caso dovesse fermarsi più del dovuto. Vestiti sportivi, intimo, un paio di ciabatte e il suo e-reader per passare il tempo. Ah, sì, lo spazzolino da denti. E il deodorante.
So che non vuole che torni, che dice che non gli serve nulla, ma senza queste cose penso che la sua permanenza possa diventare ancora più lunga e noiosa.
Passo dal mio appartamento a prendere le chiavi di casa dei ragazzi, perché sono passate un paio d'ore da quando loro hanno lasciato l'ospedale e presumo che siano tornati tutti alle loro attività.
Quello che sto per fare non è necessario, me ne rendo conto, ma è il mio modo di ringraziarlo. Cioè, è un modo per cominciare. Si merita tutti i grazie di questo mondo per avermi aiutato, e altrettante scuse, perché ho riversato su di lui l'odio che in realtà provavo per il mio ex, e non è giusto.
Infilo le chiavi nella toppa e giro la chiave. Come presumo la casa è inondata dal silenzio.
Vado in camera di Seb e mi metto alla ricerca di un borsone sportivo, penso che non mi serva un bagaglio più grande. Lo trovo sopra l'armadio e dopo un paio di tentativi riesco ad acciuffarlo. Racimolo un po' di boxer, qualche paio di calzini, alcune t-shirt e dei pantaloni sportivi, sia corti che lunghi, nel caso avesse freddo.
Recupero le sue cose in bagno, il suo e-book reader e, boom!, arrossisco.
Mi rendo conto solo ora che sono tutte cose che, fino a qualche settimana fa, gli ho levato dal corpo, mentre ora mi ritrovo a sistemarle con ordine nella sua sacca come la più meticolosa delle fidanzate.
Mi fa sentire fuori posto. Non perché ci sia qualcosa di male, ma perché è un gesto intimo, di quella familiarità che non abbiamo mai raggiunto, perché io gliel'ho impedito. Ma il karma sa come prendersi gioco di ognuno di noi, quindi eccomi qui, a fare quello che ho sempre evitato.
E lo faccio pure con premura, perché voglio farlo, anche se ci metto tutta la discrezione possibile, perché mi sembra di invadere il privato di Seb.
Chiudo la zip del borsone e sospiro, pronta per fare un altro viaggio verso l'ospedale, quando noto qualcosa che cattura la mia attenzione. Sullo schienale della sedia, accanto alla scrivania, c'è un capo familiare.
Poso il piccolo bagaglio che ho con me sul pavimento, ma rimango dove sono, incerta sul da farsi, nella speranza che la mia sia solo un'allucinazione dovuta al calo di adrenalina. Ma la curiosità mi frega, così, senza che io dia il comando alle mie gambe, quelle traditrici si muovono da sole e coprono la distanza che mi separa dall'oggetto incriminato.
Lo studio e sì, posso dire con certezza che è la camicia azzurra che portava al Venom e gli stava divinamente, facendo risaltare i suoi occhi chiari nonostante l'oscurità e le pessime luci.
Sembra passata una vita, invece si tratta del fine settimana appena passato. Il week-end più lungo della storia.
Come una drogata in crisi d'astinenza la prendo e la annuso, perché ho sentito la scia del suo profumo colpirmi appena mi sono avvicinata. È un odore limonato e fresco, che tante volte gli ho sentito addosso e tramite cui potrei riconoscerlo in mezzo a un milione di persone, perché è il modo in cui si sposa alla sua pelle che mi è rimasto impresso e ha cambiato il modo di sentire tutte le altre fragranze. Quella di Seb mi fa sentire al sicuro, a casa.
Poco importa che sia il profumo di cui è testimonial, è così lui che sembra che la Maison l'abbia creato ad hoc per Seb.
Questa camicia, per me, ha la stessa importanza di un tesoro prezioso, soprattutto in questo momento. Ho il bisogno di sentirlo vicino, ora che la sua assenza sembra farsi concreta ogni secondo che passa. E no, non è la distanza che c'è tra casa e l'ospedale, ma il fatto che Blaise non è più qui e non abbiamo più scuse per comportarci come abbiamo fatto gli ultimi giorni.
Presumo che torneremo a frequentarci meno, e capisco perché Seb non voglia avere a che fare con me, dopo aver toccato il punto più basso della mia vita al Venom, dove l'ho ferito in modi di cui non sapevo di essere capace.
Quindi faccio la cosa più stupida che io possa fare, prendo la camicia e per usarla come un antidepressivo naturale, almeno finché Seb non tornerà a casa.
Non penso che si accorga della mancanza di una camicia di... YVES SAINT LAURENT?
La lascio andare appena, quasi potessi contaminarla con il mio gene della povertà. Ok, no, non sono povera, ma una camicia da ottocento settanta sterline è decisamente al di fuori della mia portata. È il mio affitto, in pratica.
Cavolo, avrei dovuto pensarci, dato che è il brand di cui è testimonial, ma... è uno shock ritrovarmi davanti simili capi. Quindi, riassumendo: io non me lo posso permettere, lui può e, per di più, certe cose gliele regalano in quanto volto della campagna pubblicitaria.
Questa è la dimostrazione di quanto il mondo sia ingiusto.
Guardo la camicia e lei mi guarda a sua volta. Mi supplica di essere portata con me, di essere sniffata, perché se rimane lì, inutilizzata per qualche altro giorno, diventerà triste.
Quindi la prendo in prestito, la restituirò al proprietario prima che si possa accorgere della sua mancanza. Lo giuro.
E il fatto che io stia dialogando con un oggetto inanimato mi fa capire che questo periodo, per me, è stato parecchio stressante.
Rassegnata alla follia che incombe, recupero la camicia e con la mano libera riprendo il borsone per uscire di nuovo.
Sono nei pressi della porta di casa quando, con il bagaglio, urto una lampada da terra che quasi rischia di farmi cadere, tanto che mi fa accogliere la cosa con un'imprecazione colorita.
«Cazzo!» Esordisco, con il mio proverbiale savoir faire.
«Disturbo?» La voce di Dan mi arriva dalle spalle e mi fa gelare all'istante.
Mi giro, con il borsone in una mano e la camicia nell'altro, quasi mi avesse colto sulla scena del crimine con la refurtiva addosso.
Devo pensare a qualcosa e alla veloce.
«Cleptomania» rispondo, sventolando la camicia che ho sotto il naso, salvo poi accorgermi che non dovrebbe sapere che è stata requisita a scopo personale, quindi la nascondo dietro le spalle e replico: «Tu?»
Ora che sono girata nella sua direzione lo vedo spuntare a torso nudo sul divano, motivo per cui non l'ho visto quando sono entrata, e la mia esclamazione bucolica – con fracasso annesso – deve averlo svegliato.
«La cleptomania è l'ultimo dei tuoi problemi, credimi». Sbadiglia e si gratta il petto, meditabondo. «Cosa ci fai qui?»
Fa' che non sia nudo, Signore. Ti prego, faccio voto di astinenza se vuoi, ma evitami la visione della pannocchia di Daniel proprio oggi, potrei avere un crollo mentale.
«Ho preso alcune cose da portare a Seb in ospedale, visto che non si sa quanto ci rimane».
«E ti sniffi le sue camicie?»
E che palle! Ha due neuroni soltanto e si è appena svegliato, proprio ora doveva farli funzionare?
Il mio silenzio colpevole lo fa continuare, soddisfatto: «Oh, piccola cleptomane, quella è il tuo Seb-souvenir per le notti solitarie!»
Arrossisco, incapace di replicare, mentre lui sposta un dito tra me e la camicia.
Maledetto stronzo sadico.
«Tanto anche se provi a dirlo a qualcuno non ti crederebbero mai».
Daniel ignora le mie parole e batte le mani sul divano, accanto a sé. «Elle Cooper: siediti sul divano. Dobbiamo parlare».
Faccio una smorfia disgustata e, controvoglia, vado ad accomodarmi vicino a lui. Con sollievo mi accorgo che indossa dei pantaloncini sportivi. La pannocchia è al sicuro, e così la mia sanità mentale.
Signore, grazie, ma forse sul voto di astinenza ho esagerato un po'. Possiamo contrattare?
«Vuoi dirmi che sai articolare un discorso di senso compiuto?» Temporeggio e lo prendo di mira, nella speranza di distrarlo dai suoi intenti.
«Articolo discorsi fenomenali e non solo, vuoi provare?» E si indica l'inguine.
«Ok!» Alzo le mani in segno di resa. «Parliamo senza includere le tue parti intime, per favore. È stato un fine settimana impegnativo già di suo. Non voglio strafare!»
«Dunque, parliamo del borsone con cui ti aggiri in casa mia». Si accende una sigaretta nel bel mezzo del salotto, ancora con fare assonnato. «Volevi portare a Seb un po' di cose?! Perché?»
«Non si fuma fuori?» Domando, nel fallimentare tentativo di cambiare discorso.
«Se nessuno vede, nessuno sa». Dan alza le spalle con fare indifferente. Sa bene che se anche provassi a ricattarlo per questa cosa la mia minaccia non avrebbe valore. «Tu, invece, hai intenzione di rispondermi o devo pensare al peggio?»
Solleva un sopracciglio per sollecitare una mia confessione. Non so dove sia andata a parare la sua mente, ma ho paura di ogni possibile scenario. So che si sta divertendo a torturarmi, ma non sono nella posizione per farlo smettere. In fondo mi ha beccato con le mani nel sacco. O con le narici nella camicia di Seb, con il suo odore, fa lo stesso.
«Ok!» Sospiro, arresa. «Lo faccio per sdebitarmi con lui».
Ci guardiamo, Dan non sembra soddisfatto della mia risposta, ma continuo imperterrita: «E la colpa è tua. L'hai tirato in mezzo a questo casino, il mio casino, quindi dimostrargli un po' di riconoscenza per tutto quello che ha fatto mi sembra il minimo».
Incrocio le braccia al petto, sulla difensiva.
Una orribile sensazione di déjà-vu mi assale. Proprio qui, su questo divano, trincerata dietro i miei muri per proteggere i quattro cocci rotti di cui sono composta. Stesso scenario, stessi modi, o quasi, ma persone diverse.
Il risultato, però, non cambia: sono un essere umano pessimo.
«Non ha più senso chiedergli scusa per i tuoi atteggiamenti da stronza, al posto che fargli da badante?» Ok, ci va giù pesante e non posso dargli torto.
Metto da parte ogni ostilità e cerco di rispondere con tutta la calma del mondo. «Non hai tutti i torti, ma è più facile sdebitarmi facendo la colf, che ammettere di aver sbagliato».
Mi darei il premio Miss maturità, ma voglio restare umile e portare un po' di ragione dalla mia parte, cosa che mi fa perdere subito il premio che mi sono data mentalmente. Non riesco a essere coerente nemmeno nelle mie fantasie.
«E poi, ormai, c'è un muro tra di noi. Siamo troppo orgogliosi e fermi sulle nostre posizioni per riuscire a risolvere i nostri conflitti».
«No, tra voi non c'è un muro. Ci sei tu con le tue paure. In special modo quella di veder Seb come realmente è».
«E cioè?» Indago, ma cerco di stare sul vago.
«Un ragazzo innamorato di te. E tu ne sei terrorizzata». Mi guarda dritto negli occhi, come se mi sfidasse a contestarlo, ma avesse dalla sua la ragione. E, porca miseria, è così. «Hai paura che ti faccia soffrire come Blaise, perché è il potere che hanno le persone per cui proviamo qualcosa».
Non mi lascia via d'uscita e io mi ritrovo in mancanza di ossigeno.
Piccolo bastardo.
«Provo riconoscenza». E indico la sacca alle mie spalle. «Moltissima».
«Io parlo di sentimenti» Aggiusta il tiro, senza mollare la presa. Nemmeno i cani da caccia si avventano con questa determinazione sulle loro prede. Almeno, penso, perché non ho mai assistito alla scena e, che rimanga un segreto, non ci tengo nemmeno.
«La riconoscenza è un sentimento». Mi difendo. «Almeno, penso. Non ho molta familiarità con questo genere di cose. Noi automi siamo fatti così».
Cerco di sdrammatizzare, ma Daniel non sembra impressionato.
Elle.exe ha smesso di funzionare.
Dai, se nemmeno la mia ironia entra in azione, poi devo ricorrere alla verità. E si è già visto che non ne sono in grado di affrontare simili situazioni.
«Hai la paura folle di scoprire che potresti innamorarti di Seb. Se non lo sei già». Mi provoca, soddisfatto, mentre spegne la sigaretta.
«Io? Innamorata di Seb? Assolutamente no!» AAA convinzione cercasi. Deve essere in compagnia della mia ironia, altrimenti non si spiega. «Cioè, non sto dicendo che non sia un ragazzo di cui ci si può innamorare. Ma non lo sono. Non ora». Scuoto la testa con convinzione, così tanta da poter scatenare un uragano alle Fiji come ogni effetto farfalla che si rispetti, ma la verità è che lo faccio per nascondere il rossore che quelle parole hanno provocato, e non per rimarcare il concetto.
Le parole di Dan sono un pugno nello stomaco perché, tralasciando l'ultima frase, ci ha preso in pieno.
Seb non è Blaise, è un ragazzo d'oro e merita il meglio. E il meglio non sono io, dato che l'unica cosa che ho fatto è stata sfogare la mia rabbia su di lui. Una cosa ingiusta che ha fatto bene a smettere di sopportare non appena ne ha avuto l'occasione.
«Senti, ma da quand'è che sei affetto da buonsenso? Sembri... sembri...» intelligente potrebbe essere la parola che cerco, ma non vorrei offenderlo nel tentativo di fargli un complimento.
«Fammi indovinare: Gandhi?» Ride, divertito, come se fosse una battuta fortissima.
«Esatto, Gandhi o giù di lì». Annuisco per l'assist perfetto.
Beh, Gandhi ha senso, anche se io pensavo più a una cosa come "sveglio", "furbo" o "Sheldon Cooper", dato che anche la gamma di sentimenti di Daniel, come la mia, non è molto vasta.
«Me l'hanno già detto». Sorride, divertito, mentre io rimango esclusa dai suoi ragionamenti.
Alt. Qualcuno fermi il gioco. Mi sono resa conto soltanto ora che gli sto parlando come se conoscesse la situazione ma, soprattutto, che Dan sta parlando come se la conoscesse a sua volta.
«E chi te l'ha detto che sono stata stronza e Seb è innamorato?» Alzo un sopracciglio, scettica.
«Perché avevo intuito che tra voi ci fosse qualcosa» dichiara, pratico. Ma il mio silenzio non lo convince, così continua a parlare: «E perché ho fatto cantare Seb come se fosse un usignolo. Quel ragazzo sottopressione non regge cinque minuti. Detesta lo stress psicologico. Una delle tante arti in cui io, invece, sono un mago».
Questa volta il suo sorriso è soddisfatto.
Vorrei dargli torto, ma Dan ha ragione da vendere. Seb dopo un po' di pressioni cede subito, mentre Daniel è davvero bravo a fare pressing. Un'accoppiata vincente, insomma.
«Io gli spezzo le gambe» esordisco, composta e glaciale. «Ora vado in ospedale e lo faccio. Almeno lo ricoverano per qualcosa di serio». Faccio per alzarmi, pronta a soffocare Seb con i suoi stessi calzini, quando Daniel mi afferra per la maglietta per invitarmi a rimettermi a sedere.
«Fermati, pazza squilibrata». Ridacchia. So che adora questa situazione, ci sguazza con un certo agio, il sadico. «La vedrebbe anche un cieco la vostra alchimia».
Sospiro, incapace di contestare.
Perché sì, quando stiamo insieme tutto diventa magico, di quella sfumatura tanto bella da sembrare quasi irreale. Non per nulla l'equilibrio su cui ci muoviamo è tanto precario quanto perfetto.
«La cosa che mi domando è...» Vedo il mio amico prendersi qualche secondo e farsi serio, prima di continuare la frase, c'è una sorta di incertezza strana anche per lui. «Se volevi solo del sesso, perché non sei venuta da me? Sai che ti avrei accontentato più che volentieri, e non avresti corso gli stessi rischi incappati con Seb. Andiamo, sesso senza implicazioni sentimentali è il paradiso, per me!» Allarga le braccia, nel tentativo di alleggerire l'atmosfera.
«Perché tu sei mio amico, Seb non lo è stato, prima che imparassi a conoscerlo. Non volevo darti la soddisfazione di realizzare un tuo obiettivo». Catturo una pellicina che mi spunta dal labbro inferiore, nervosa nel toccare certi argomenti. «Non sei un brutto ragazzo, anzi, sei bellissimo, ma Seb mi è sempre piaciuto. E, come hai detto poco fa, tra noi l'intesa c'è sempre stata».
Alzo le spalle, come se ridurre a questa sintesi quello che c'è stato tra Seb e me fosse normale. Fosse tutto qui e non l'inizio del percorso affrontato insieme.
«Sai» inizia Dan, con uno sguardo comprensivo che mi spaventa. È troppo onesto, senza la sua ironia. «Dovresti imparare a essere sincera. Almeno con te stessa». Il suo sorriso è appena accennato, ma è permeato da una dolcezza che adoro e mi fa sentire in difetto allo stesso tempo, al pari delle sue parole, che sono un altro pugno in pieno stomaco.
Ancora un altro colpo e, oltre a portare il borsone a Seb, in ospedale mi ci fermo pure io, perché sono messa peggio di lui, al momento, anche se i miei segni non sono visibili come quelli che Seb ha in faccia, o sulle costole.
Le parole di Dan sono tanto vere da fare male.
«Sono stata sincera...» Provo a replicare, ma sono la prima a non credere alla frase che pronuncio.
«Forse sì, prima che Blaise ti cambiasse. Ma ora è sparito dalla tua vita, il minimo che puoi fare per gli altri, ma soprattutto per te, è tornare a essere onesta».
Alzo un angolo della bocca, divertita. Pensavo di averle viste tutte, in vita mia, ma questa le supera tutte: Daniel che dà consigli sensati sulla mia vita amorosa. Questo la dice lunga sulla stranezza della mia vita.
«Perché lo fai?» Lo guardo, riconoscente e spaventata. Perché si comporta bene con me?
«Perché ti voglio bene e mi piacerebbe vederti felice». Appoggia i gomiti sulle ginocchia, determinato. «E perché Seb è innamorato e l'ho visto soffrire per la situazione in cui siete coinvolti. Non voglio vederlo stare male, non voglio che tu lo illuda».
Chiudo gli occhi, è come se Dan mi avesse appena messo davanti l'amara verità. E ha fatto bene a farlo, perché non posso sempre scappare dai miei errori e dalle conseguenze che si trascinano dietro.
«Hai ragione. Mi scuserò e vedrò di non illuderlo più, lo prometto». Qualunque decisione prenderò.
«Mi fido di te, so che farai la cosa giusta». Mi mette una mano sul ginocchio e lo stringe. Forse Daniel non è bravo a comunicare con i gesti, e lo capisco, ma farebbe di tutto per le persone a cui vuole bene, e questo non fa che aumentare il mio affetto. «E, per favore, nel farla, rifletti anche sui tuoi sentimenti».
Annuisco, ma non dico niente a voce, perché per me è difficile. Mi sento tramortita dal nostro dialogo a cuore aperto.
«Dan?»
«Sì?!»
«Ti voglio bene». Lo abbraccio prima che possa sfuggirmi. È un gesto tanto strano per noi, quanto sentito. Dovrei abbracciarlo di più. Dovrei lasciare che i miei gesti comandassero un po' i miei sentimenti, e non viceversa.
«Cazzo, certo che mi vuoi bene». Risponde all'abbraccio con naturalezza. «Te ne voglio anche io. Voi due non potreste fare altrimenti, senza di me sareste persi».
Adoro la sua umiltà, riesce sempre a strapparmi un sorriso.
Lo vedo controllare l'ora sull'orologio, prima di iniziare a guardarsi in giro alla ricerca di qualcosa.
«Non so come farete senza di me» dice, mentre controlla sotto il divano.
«In che senso?» Alzo un sopracciglio, curiosa di saperne di più a riguardo.
«Anzi, ora devo andare». Trova la maglietta e se la infila. «Devo vedere il mio agente per la firma del contratto e, se non mi sbrigo, arriverò più in ritardo di quanto non sono già».
«Aspetta...» Wow. Firma. Contratto. Qui qualcuno ce l'ha fatta! E, ovviamente, non si tratta di me. «Vuoi dire che ti hanno preso?»
Annuisce con un sorriso che è l'essenza della felicità. «Sei la prima persona a cui lo dico».
È soddisfatto ed emozionato nel dirlo, non riesce a nascondere la gioia.
«Sono così felice per te! Te lo meriti, è il tuo momento». Vorrei abbracciarlo di nuovo, ma è già scappato lontano dal mio raggio d'azione, in cerca di un paio di jeans da indossare per l'incontro con il suo agente. Per fortuna, aggiungerei, perché trattandosi di Daniel non è una cosa così scontata. «Hai così tanto talento. Il mondo lo amerà. Ti amerà!»
Mi sento una mamma orgogliosa.
«Broadway, arrivo!»
«Quando parti?» urlo, dato che ormai è in camera sua e ho deciso, per la mia sanità mentale e e non, che non ci metterò mai piede.
«Inizio settembre, così mi cerco un appartamento in cui stare e mi sistemo per bene prima che comincino le prove».
Inizio a odiare settembre. Sarà il mese in cui tutti se ne vanno.
«Te ne vai con Seb, in pratica. Ci lasciate soli». Sporgo il labbro inferiore a dimostrazione della mia tristezza, anche se non può vedermi. «Senza di voi non sarà lo stesso».
«Ovvio, qui la vita sarà un mortorio». Torna abbigliato di tutto punto, circa. Sembra uscito da una centrifuga dell'ultimo minuto, ma almeno è vestito. È già qualcosa. «Ora basta momenti svenevoli, mi sento a disagio».
Ecco cosa intendo quando dico che Daniel ha le stesse emozioni di una pianta finta, parlare di partenze e arrivederci lo mette a disagio. Figurarsi se sapesse che vorrei abbracciarlo dalla felicità!
«Porta il borsone a Seb e giuro che non dirò a nessuno che gli hai rubato la camicia per uso personale» Ammicca malizioso, quasi la cosa avesse un risvolto sessuale. Beh, conoscendolo, per lui potrebbe essere davvero così. «Ciao delinquente, scappo che sono in ritardo. Acqua in bocca con gli altri, dirò tutto al gruppo quando Sebastian torna a casa».
Avrei voluto rispondergli qualcosa, ma soffia un bacio dalla distanza e si chiude la porta alle spalle, lasciandomi qui, in una casa mediamente grande e vuota senza rimedio, in una previsione orribile di quello che mi aspetta in poco meno di due mesi, e mi rendo conto di una cosa: non sono pronta.
E non lo sarò mai.
Hello you!
Come state?
Ecco. Svelato il mistero. Elle ha detto a Blaise quello che voleva sentirsi dire. Ci è riuscita e, al contrario di ogni suo pronostico, le ha fatto bene.
Un passo piccolo ma importante.
Dan, invece, ha la delicatezza di un trattore e si assicura che Elle lo sappia.
E la invita a prendersi il suo tempo.
Secondo voi cosa farà?
A presto,
Cris
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