Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

30. Street fighter

Elle spunta dopo pranzo. «Si può?» Bussa sulla porta mezza aperta per annunciarsi.

Annuisco e le sorrido appena. «Preoccupata?»

«Da morire!» Sospira, per poi entrare. «Tu no? Come fai a essere così tranquillo?». Si siede sul letto, di fronte a me.

È semplice: non lo sono. Sono tranquillo come Trump dopo aver scoperto di non essere stato rieletto, ma non posso darlo a vedere, quindi opto per rimaneggiare un po' il concetto e lo esprimo nel modo migliore possibile.

«So che tra poco mi tocca affrontarlo, tanto vale che io lo accetti». Alzo le spalle, come se non mi importasse, ma in questo momento sarei più interessato a partire per cercare le Sfere del Drago.

Elle si morde un labbro, per poi abbracciarsi le ginocchia e dondolarsi sul posto. «Mi dispiace così tanto averti trascinato in questo casino. Non l'avrei mai voluto!»

«Ehi, tranquilla. Niente che io non abbia voluto». Non proprio, ma sorvoliamo sui particolari. «E poi è stata un'idea di Dan, questa, ce la possiamo prendere con lui almeno per i prossimi tre anni».

«Sì, ma...» cerca di obiettare, ma la fermo sul nascere.

«E ti avevo promesso di starti vicino. Ricorda che mantengo sempre le promesse».

Rilassa le spalle, a metà tra l'essere più serena e sconfitta dalla situazione.

«Già» concorda a mezza voce. «E una volta risolto il problema Blaise la tregua finirà come stabilito, e tu tornerai a odiarmi come qualche giorno fa».

Gioca con qualche granello invisibile di polvere sulla mia coperta. Faccio per obiettare, ma continua, imperterrita. «Non voglio più disturbare. Né te, né gli altri. Ho già creato troppi problemi. Terrò un profilo basso, sarà come se non ci fossi».

Solleva le spalle, ma si vede che le costa dire una cosa simile.

È vero, qualche giorno fa ero arrabbiatissimo con lei, ma se penso ai passi avanti che abbiamo fatto nelle ultime ore non mi interessa tornare a quel punto, dove Elle era più lontana che mai, quando sembrava diventata inarrivabile. Sono passati pochi giorni, ma non mi ricordavo nemmeno dei nostri litigi, perché sembrano davvero lontanissimi, come se l'arrivo di Blaise avesse spaccato in due la nostra concezione temporale: prima e dopo la sua venuta.

Ora Elle è convinta che io voglio che lei sparisca, che si faccia da parte per lasciarmi tranquillo, ma è l'opposto di quello che desidero.

Ho bisogno che lo sappia. «Io non vo...»

Vengo interrotto da un clacson che suona con insistenza. Bleah è un signore. Non c'è che dire. Quando parlo di prima e dopo la sua venuta non ho tutti i torti, anche se l'avvento di Cristo è accolto con più favore della presenza del mangiarane, poco ma sicuro.

Siccome non diamo cenni di vita, perché entrambi ci siamo fermati, il cafone ai piani bassi suona di nuovo il clacson, tanto che i miei amici arrivano in massa per avvisarci.

«Direi che è arrivato e vi aspetta». Dan si appoggia allo stipite della porta di camera mia. Cerca di essere simpatico, ma il suo sguardo è ombroso. Questa situazione preoccupa anche lui, ma non lo vuole dare a vedere. «Ha i modi di un vero lord, non c'è che dire. Delicatissimo».

L'interruzione di Blaise me lo fa odiare ancora di più, perché riesce a interferire pure a distanza, è una dote che non è da tutti. E per fortuna, aggiungerei.

Mi alzo, arreso, e controllo che il braccialetto sia al polso.

Mi ritengo presentabile, tanto che sorpasso il gruppo per andare ad affrontare quel coglione in strada, nella speranza che se ne vada il più lontano possibile, quando Elle mi raggiunge. «Vuoi che venga con te?»

«No, preferisco che tu stia qui. Ce la vediamo lui e io, non voglio che abbia altre scuse a cui aggrapparsi per non andarsene. Lo voglio fuori da questo paese entro stasera». Le lascio un bacio sui capelli e mi chiudo la porta alle spalle.

La rabbia che ho conservato in questi giorni cresce a ogni gradino che percorro e mi avvicina a Blaise, dimentico tutto il resto per ricordarmi perché un uomo simile va odiato.

Alla fine del mio percorso me lo ritrovo davanti in tutta la sua arroganza, cosa che mi urta il sistema nervoso ancora di più, se possibile.

Quando mi vede arrivare controvoglia, non per paura, ma più per la mia poca volontà di interagire con un minus habens, alza beffardo un angolo della bocca.

«Ehi, pivello!» Provoca, prende in giro. «Dormito poco? Cos'è, coscienza sporca?» La postura del suo corpo, atta a intimorire, fa pensare a uno che è convinto di avere già la vittoria in mano. Perché con persone del genere è sempre una questione di supremazia.

Io, però, gli sorrido allo stesso modo e mi presento davanti a lui con un portamento fiero che nemmeno sapevo di avere. È ora di divertirsi. «Sì, ho dormito poco. Non è stata la coscienza a tenermi sveglio, ma Elle. Sai com'è, instancabile. Anche con te era così o si fingeva stanca per evitare del sesso scadente?»

Il mio tono è arrogante come il suo, ma io sono pervaso dalla soddisfazione davanti alla sua faccia attonita. Pensava di farmi paura o – peggio – di irritarmi, ma sono bravo quanto lui a giocare a questo gioco, perché io sto interpretando un ruolo e lo so fare meglio di lui.

Azzera le distanze e mette le mani sulla mia maglietta, forse nella speranza di essere minaccioso, ma non ho intenzione di farmi intimorire da un uomo piccolo che cerca di farsi grande con gesti prepotenti e la voce grossa. «Ritira quello che hai detto, altrimenti ti rovino quel bel musino che ti ritrovi, fenomeno da baraccone». E mi spinge indietro.

È questo che mi fa incazzare di persone simili: possono essere arroganti, offendere e, nel loro immaginario, tu dovresti stare lì a subire e li dovresti pure ringraziare. Ma se ti azzardi a rispondere alle provocazione e agli insulti lo stronzo sei tu. Ah, il meraviglioso mondo dell'incoerenza.

È fin troppo facile.

Gli do una pacca amichevole sulla spalla, perché la sua spinta non mi ha portato così lontano da lui come sperava. «Su, non essere così scontroso». Gli parlo in tono gioviale, come se fosse un ospite e non un demente, quasi fossimo in confidenza. «La verità fa male? Scusa, ma me l'hai servita su un piatto d'argento».

Alzo le spalle, a minimizzare la cosa.

Ora mi prende per il colletto, ha gli occhi fuori dalle orbite e, se potesse, penso che mi scaverebbe una fossa qui sul marciapiede per seppellirmi ancora vivo. So che è un controsenso, ma mi dà una grande soddisfazione riuscire a irritarlo quando, almeno in apparenza, le sue parole non sembrano toccarmi. Mi fa sentire potente, quasi il suo stesso gioco andasse a mio vantaggio e si stesse ritorcendo contro di lui.

«Se provi a dire un'altra stronzata ti giuro che ti ritroverai sul piano di un obitorio prima di rendertene conto». Mi dà uno leggero schiaffo sulla guancia, atto a irritarmi, prima di lasciarmi andare. «Andiamo, sbarbatello, siamo qui per un motivo. Dimostrami che non avete detto un mucchio di stronzate e ti risparmio la faccia».

Blaise ride, come se sapesse che non ho le prove per dimostrargli una simile cosa, come se si pregustasse il momento in cui divento il suo sacco da boxe personale.

«Pensi di resistere al colpo o vuoi sederti a terra?» Forse ci sto prendendo gusto a provocarlo, ma non posso evitarlo, non quando so che gli fa perdere la testa e che ho qualcosa davanti a cui anche lui dovrà arrendersi.

Mi sento il gatto che gioca con la lucertola che ha catturato. Non vuole ucciderla, ma solo passare il tempo. E sì, io voglio decisamente giocare con lui prima di dargli il colpo di grazia.

«Smettila di prendermi per il culo, Hartford!»

«Perché dovrei?» Continuo a schernirlo. «È divertente. E in più te lo meriti. Pensi di esserti comportato in modo umano con Elle? Alla fine tutto torna, stronzo. È il karma. Io sono il tuo».

«Tu sei solo una spina in un fianco». Mi fissa, furente.

«Così come tu sei un errore confinato nel passato».

«Non sai di cosa parli. Non parlare, prima che ti metta io a tacere per sempre». Stringe i pugni e serra le mascelle. La posa potrebbe sembrare minacciosa, se uno così mi facesse paura e non pena. «La mia pazienza ha un limite».

«Di limiti ne hai tanti, la pazienza è il minore dei tuoi problemi». Sorrido e mi do mentalmente una pacca sulla spalla per questa uscita. La seconda pacca è per il coraggio che ho dimostrato nell'averla detta ad alta voce. «Ok, ora ti do la prova che tanto desideri. Poi tu giri i tacchi e carichi la tua faccia da cazzo sul primo aereo per Parigi e non ti fai più vedere, intesi?»

«Non sei nelle condizioni di dettare le regole» Sibila tra i denti.

«Ah, no?» Faccio un passo verso di lui, stufo della sua presenza. «Va bene, allora, arriviamo al sodo. Non vedo l'ora che tu te ne vada e ci lasci in pace».

Stendo il braccio davanti a lui per mostrargli la mia prova. «Giudica tu stesso».

Alla vista del braccialetto Blaise sgrana gli occhi e un suono spaventoso gli esce dalla gola. Un grido che è anche un ringhio. «ELLE! SCENDI SUBITO!»

Guarda in alto, verso la portafinestra, forse nella speranza di indurla a raggiungerci, ma lui non ha potere su di lei. Non quanto crede.

«Lasciala stare». Faccio di nuovo un passo verso di lui e questo suo rimescolare le carte in tavola mi innervosisce.

«Voi mi state prendendo per il culo. È palese, non sarebbe arrivata a tanto».

«Non sarebbe arrivata a tanto... con te». Sottolineo, trionfante.

E poi, in un attimo, tutto cambia.

All'improvviso una specie di fulmine mi oscura la vista e sento una sensazione fastidiosa e bagnata in tutto il naso.

Mi ha sferrato un pugno in pieno viso, realizzo dopo averlo incassato in malo modo.

Non mi ero mai ritrovato in una rissa, non una vera, perlomeno, e ora so perché: non sono in grado di gestire l'imprevisto.

Le ferite che ho collezionato era finte, frutto di ore di lavoro di truccatori esperti. Invece ora il sangue che mi cola dal naso è vero e, in più, lo sento pulsare, mi fa così male da impazzire.

Il problema? È che non so nemmeno come si tirano i pugni. Non so da che parte si inizia. Penso che centrare il bersaglio possa essere un vero e proprio miracolo già in condizioni normali, figurarsi ora che sono quasi KO.

Eppure, preda della rabbia cieca che ha preso possesso del mio corpo, mi ritrovo a sferrare quello che penso sia un gancio con tutta la mia forza. L'obiettivo: lo stomaco di Blaise.

A quanto pare la mia iniziativa sorprende entrambi, perché lo vedo piegarsi sotto il mio colpo.

Tossisce, in ginocchio sul marciapiede. Ringrazio Dio di abitare in una zona residenziale non molto trafficata, almeno non c'è qualcuno pronto a immortalare la mia scazzottata in diretta sui social, Francine non lo apprezzerebbe.

Mi avvicino a lui, barcollante, per sputare un po' di sangue vicino a dove è inginocchiato. «Ti basta?»

Blaise, però, ride, anche se a fatica, dato che il mio pugno gli ha tolto il fiato. «Mi basta per capire tutto. Fammi indovinare», inizia, accasciandosi a terra un po' di più. «Tu la ami, ma lei non ama te».

E, anche se non è da me, gli do un altro cazzotto. Glielo do perché ha ragione, perché – nonostante l'abbia sempre a malapena vista – la conosce bene, perché è riuscito a rovinare la parte più sensibile di Elle.

Lo vedo pulirsi la bocca dal rivolo di sangue che gli esce dalla spaccatura che ho provocato. «Ho fatto un buon lavoro, a quanto pare. Ho minato la sua fiducia negli uomini. Io non l'avrò, ma non l'avrà nemmeno nessun altro. Compreso tu».

Sorride soddisfatto, il bastardo.

E io gli sferro un altro pugno sullo zigomo per levargli l'espressione appagata. Gliela voglio cancellare un colpo alla volta, anche se mi costerà una denuncia, il carcere e pure la mia carriera. Ma Blaise sembra troppo debole per rispondere ai miei colpi, quindi gli do le spalle per tamponarmi il sangue che mi cola dal naso, quando scopro che tutti i miei amici sono davanti al portone. Probabilmente sono accorsi quando Blaise mi ha colpito, non prevedendo poi che la situazione si potesse ribaltare in questo modo.

Inspiro a fatica, ma rivolgo loro un sorriso rassicurante. Vorrei che rispondessero, ma vedo i loro sguardi preoccupati e li sento urlare tutti insieme il mio nome. «Seb!»

Non faccio in tempo a girarmi che mi ritrovo faccia a terra, Blaise mi ha atterrato attaccandomi alle spalle.

Approfitta della mia confusione per girarmi con la schiena a terra e si siede sul mio stomaco per immobilizzarmi. Ora è il suo turno per usarmi come un punching-ball. Lo vedo, l'odio con cui mi colpisce ogni volta, la ferocia con cui si diverte con la mia faccia. Gode a ogni colpo, a ogni crac.

Sento lo zigomo farmi male, il labro inferiore spaccarsi in due.

Sorride tra il sangue che gli ho fatto scorrere poco prima. «Picchi come una ragazzina, Hartford».

Si alza ma, al posto di allontanarsi, inizia a prendermi a calci nello stomaco. Non ho mai sentito un dolore così acuto, così tanto da lasciarmi senza fiato. Mi raggomitolo su me stesso per far passare i crampi, nel tentativo di incamerare aria, ma sembra tutto inutile.

Inoltre Blaise sa bene dove colpire e non dimostra alcuna pietà.

Daniel è sul punto di intervenire, riconosco il ritmo dei suoi passi sul marciapiede, ma Blaise lo ferma subito: «Avvicinati, ognuno di voi ci provi, e continuo. Ma più forte».

Ha la gamba sollevata, caricata, pronta a colpire con potenza, ma fissa con arroganza i miei amici e aspetta una loro reazione.

I ragazzi si freddano sul posto, mentre Elle piange disperata.

Colgo la distrazione di Blaise per uscire dalla sua traiettoria, alzarmi e assestargli un dritto in faccia. Dove l'ho colpito non lo so nemmeno io, ma so di averlo preso.

Devo avergli rotto il sopracciglio, perché sanguina sopra l'occhio e, benché la violenza faccia schifo, è il mio turno di sorridere soddisfatto. Scelta che pago perché, avendo il labbro spaccato, fa un male cane.

Blaise si avventa di nuovo su di me ma, ormai entrambi agli sgoccioli delle nostre forze, veniamo divisi dai ragazzi.

«Lasciatemi! Devo finire di ammazzare il vostro amico» Urla lui come un indemoniato. «Poi tocca a voi, se ci tenete tanto!»

«Cosa vorresti fare?» Grido, rabbioso. «Se mi avvicino abbastanza finisco l'opera, stronzo, almeno la faccia di merda che ti ritrovi sparisce».

Sono imbestialito. Per ogni dolore fisico che mi ha provocato, per ogni dolore psicologico arrecato a Elle. Perché non voleva alcuna giustificazione da me, solo un motivo per annientarmi. 

I ragazzi ci costringono a sedere a terra, ben distanti l'uno dall'altro, mentre attendono che ci calmiamo.

Elle è subito al mio fianco. «Tutto bene?»

Deglutisce a fatica mentre studia il mio viso e tutte le sue ferite.

«Sì» rispondo a fatica, poco convinto. La verità è che mi sento come se un camion mi fosse passato sopra e, per sicurezza, avesse fatto anche la retromarcia. Mi sento senza forze.

«Sicuro?» Continua, ma ha un'energia in corpo che non so spiegare, è come se fosse già concentrata sulla prossima mossa.

Annuisco, perché il labbro mi fa troppo male e parlare peggiorerebbe solo la cosa.

Ed è a questo punto che ero convinto che Elle mi riversasse addosso tutta la sua gratitudine e, soprattutto, tutta la verità che ha scoperto nel guardarci mentre Blaise e io ci riducevamo a pezzi, ovvero che mi ama alla follia e che lui non è altro che una persona di poco conto, che è il passato. Ero convinto che mi baciasse, nonostante la ferita aperta.

Invece nulla.

Annuisce a sua volta, distratta, e se ne va. Da lui.

Si mette in ginocchio accanto a Blaise e controlla le sue, di ferite.

E questo acuisce le mie. Le fa sanguinare di più.

Invita Edward ad allontanarsi, forse per parlare con Blaise.

Ci rivolge la schiena, di modo che nessuno capisca cosa stia succedendo tra loro.

Li sentiamo parlottare, ma non riusciamo a capire quello che si dicono. E, lo giuro, per quanto io sia poco presente a causa della confusione dei pugni che ho preso, vedo con chiarezza, attraverso il livido che si sta gonfiando attorno al mio occhio, anche gli altri tendersi in religioso silenzio per ascoltare la loro conversazione, con scarsi risultati.

E poi succedono due cose: il rumore di un forte attrito tra una mano e una guancia, e Blaise che urla distintamente una parola.

«Puttana!»

Io non so come faccia a guardarsi allo specchio uno che ha così poco rispetto della persona che dice di amare.

Elle, però, non si lascia scalfire dall'insulto. Gli prende il viso tra le dita, affonda le unghie nella carne e aspetta che l'ex la guardi dritta negli occhi. Poi parla, con una sicurezza glaciale che mi fa scorrere un brivido lungo la schiena, come se avessi la forza di rabbrividire. «Ora noi portiamo Seb in ospedale. Quando torneremo a casa tu devi essere sparito. Per sempre. Hai avuto quello che volevi da me, ora vattene e non tornare mai più». Stringe di più la presa attorno alla sua mascella. «E prega che non ti arrivi una denuncia, stronzo».

Lo lascia andare e si alza.

Blaise, non contento, vuole l'ultima parola. «Spero tu possa morire male, insoddisfatta accanto a uno che non si accontenterà mai di te».

«Non augurarmi una cosa simile, non ti lascerei in pace nemmeno da morta». Lo guarda con pietà dall'alto al basso. «E, per tua sfortuna, gli uomini non sono tutti come te».

Ritorna da noi, da me, e mi guarda con rinnovata sincerità. «Ora tu fili dritto in ospedale».

Nego con la testa, la sola idea di finire in ospedale e che la notizia arrivi ai tabloid mi terrorizza, ma il naso mi pulsa e il labbro mi brucia, così mi ritrovo ad annuire anche se la testa fa male per quel movimento energico.

I ragazzi mi aiutano ad alzarmi, mentre Rachel corre a recuperare la chiavi dell'auto di Dan.

«Quando sarò più lucido mi dirai cosa gli hai detto?» Le parole escono strane, come se avessi il raffreddore. Non so nemmeno se si riesca a capire cosa ho provato a dire.

Mi leva i capelli dagli occhi e con un fazzoletto cerca di pulirmi dal sangue rappreso che ho sparso su tutto il viso. «Va bene». E sorride appena, a metà tra l'imbarazzo e il divertimento.

Mentre ci dirigiamo verso l'auto, Elle mi sostiene e mi sussurra: «Dio solo sa quanto mi dispiace per tutto questo».

«L'importante è che sia tutto risolto» ribatto senza muovere il labbro, con una voce nasale preoccupante.

Lei annuisce, ma non aggiunge niente.

«Ti fa male?» chiede Dan mentre mi aiuta a entrare nell'abitacolo. Lo studio un po' e, se i sensi ancora non mi tradiscono, mi pare di vedere che anche lui non è uscito illeso. «Perché hai la guancia rossa? Sembra ti abbiano preso a sberle».

Lui ed Elle salgono in auto, ma lei si piazza accanto a me. «Perché Mike Tyson qui presente», e la indica con il mento, «mi ha davvero preso ha schiaffi. Ha detto che se Blaise ti stava gonfiando come una mongolfiera era soltanto colpa mia».

Vorrei ridere e darle ragione, ma la testa mi pulsa, il labbro brucia e fatico a respirare, quindi mi lascio andare senza forze sul sedile.

Chiudo gli occhi e lascio che un fischio pervada le mie orecchie mentre tutto si fa nero.

Riesco solo a percepire Elle spaventata che grida: «È svenuto».

Poi perdo il controllo del mio corpo.

Hello you!

Eccoci qui, finalmente alla resa dei conti.

Blaise è scattato come una molla davanti al braccialetto, ma le ha suonate di santa ragione. Anche se, c'è da dirlo, Seb non si è mai tirato indietro.

Però ne è uscito con una cartina geografica in faccia, poverino.

Chissà se, però, prima o poi riuscirà a soddisfare la sua curiosità e a scoprire cosa ha fatto desistere Blaise alla fine.

Diciamo che, dopo questo scontro, il peggio sembra passato.

Voi cosa ne pensate? 

Riuscirà Seb ad arrivare in ospedale sulle sue gambe?

Lo scopriremo nel prossimo capitolo

Cris

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro