29. Chiave di (s)volta
Elle entra in camera sua e la seguo, curioso di scoprire cosa ha in mente.
La vedo ficcarsi nel suo armadio a muro e la sento mormorare parole indistinte. Dà l'impressione di cercare qualcosa.
«Posso darti una mano?» Mi offro, dato che mi sembra in difficoltà.
«No». Si blocca, rigida e distaccata. Poi prende un respiro e scrolla le spalle per distenderle. «Grazie. È una cosa che non hai mai visto, e mi sembrava fosse qui, da qualche parte».
Si allunga sulle punte, per arrivare agli scaffali più alti.
Che sia un dildo? Non avrei nulla in contrario, anzi, sono favorevole a ogni accessorio che possa alleviare lo stress altrui e aiutare nell'arte dell'autoerotismo, ma non capisco come possa essere utile alla nostra causa.
Ok, lo confesso, pensare di stordire Blaise con un pene di gomma è soddisfacente, ma ho come l'impressione che sia più coriaceo, nonostante il sex toy possa avere più variabili di velocità, cosa che lo può prendere alla sprovvista.
Elle mi riporta al presente con un gridolino vittorioso. La vedo saltare come un lupo che ha puntato la propria preda sopra un albero, per poi arrampicarsi in modo precario sugli scaffali dell'armadio e portare alla vista una scatola chiara, tanto lineare da passare inosservata.
Temo per la sua incolumità, ma riesce a far avanzare la scatola sul bordo dello scaffale e a uscire indenne da lì. Peccato che, nell'indietreggiare, inciampi in una scarpa fuori posto.
Seguo la scena a rallentatore, la vedo pronta a schiantarsi a terra, ma i miei riflessi hanno deciso di entrare in azione e la prendo al volo. La afferro per la vita e la rimetto in piedi, prima che il suo sedere tocchi il pavimento.
Forse ha ragione nel dire che sono un eroe. Più veloce di Iron Man e più efficiente di Capitan America. Gli altri Avengers possono pure pulirmi casa.
Libera il viso da una ciocca di capelli e, in imbarazzo, mi parla con gratitudine: «Se non ci fossi stato tu mi sarei giocata l'osso sacro, grazie!»
Il sorriso caldo e spontaneo che mi regala è la ricompensa migliore degli ultimi giorni. Ritrovo la persona che ho conosciuto, ma ora riesco a vederla in tutta la sua integrità. Ferite passate e forza del presente, luci e ombre, punti di forza e fragilità. E tutto questo lo amo ancora più di prima.
«Certo che anche tu in quanto a disordine non scherzi, lo sai?» Rido divertito mentre entrambi facciamo un passo indietro per uscire da una situazione che sembra poter degenerare alla svelta. Sento il bisogno di far restare quel sorriso ancora per un po'.
«È una critica?» Alza il sopracciglio con tono di sfida.
«No, ti pare? È un elogio alla tua creativa disposizione di ogni oggetto qui dentro». Il suo buon umore fa diventare felice me. Ed è forse questo il senso dell'amore, fare della gioia dell'altro la propria.
«Ah, ecco. Ti sei salvato in corner». Si schiarisce la gola, imbarazzata. «Potresti prendere quella scatola, per favore? Io non ci arrivo».
Dai? Non me ne ero proprio accorto.
Guardo la scatola e... no. «Dovrei prendere quella cosa con disegnato sopra un teschio e la scritta a caratteri cubitali NON TOCCARE? No, ti conosco, non voglio rischiare la vita. Ho ancora molto da dare al cinema. E non». Ammicco con fare drammatico.
Elle alza gli occhi al cielo, ma in realtà è divertita dalle mie uscite di dubbio gusto. «Su, non fare il bambinone. Ti do il permesso. La cosa che cerco è lì».
Ci guardiamo e una silenziosa sfida passa tra noi. Io non mi fido, dato che sta vivendo in un equilibrio precario, mentre lei è risoluta nel farmela prendere.
Quando vede che non ho intenzione di muovere un muscolo mi sollecita: «La cosa che mi – anzi, ci – sbarazzerà di Blaise è nella scatola».
Non so se è stato quel noi implicito a fare leva sulla mia coscienza, o se invece è stata l'idea di rispedire Bleah al mittente, fatto sta che ancora prima che finisca la frase ho già la scatola in mano per poi posarla sul letto.
Devo riconoscerglielo: Elle, quando vuole, sa essere convincente.
Vorrei chiedere di più sul contenuto della scatola, ma Elle si siede sul letto e la posiziona sul grembo con una solennità che mi lascia senza fiato. La guarda con riverenza, paura e malinconia.
Mi siedo accanto a lei e attendo i suoi tempi, quando i respiri si allineano ai ricordi senza fare troppo male.
«Sai, qui dentro ci sono quei pochi ricordi che mi sono portata da Parigi. Ma non li guardo mai perché fanno male. terribilmente». I suoi occhi sono acquosi, appannati da lacrime che minacciano di rigarle il sorriso apparso poco fa.
«Prova a sbarazzartene», cerco di sorridere in modo cauto a mia volta, «un giorno».
Sospira, poi solleva il coperchio. «Già. Forse lo farò. Magari quando diventerà semplice...»
«Non diventerà mai semplice. Se aspetti il momento perfetto non lo farai mai». Come ho fatto io con lei. Ho aspettato, fino a capire che se avessi atteso il momento adatto non le avrei mai confessato i miei sentimenti. Non è andata come speravo, ma non sono pentito, perché non ho sbagliato nel dar voce a quello che provo. «Sono più per la terapia d'urto».
Senza dire altro prendo una foto a caso dalla scatola e la trappo a metà.
«Seb!» Mi rimprovera, scioccata per il mio gesto.
«Diciamo che ho iniziato a fare pulizia. Forse sono stato un po' burbero». Mi passo la mano sulla nuca, a disagio, ma quando noto di aver rovinato una foto con Blaise non mi pento nemmeno del mio gesto. Per fortuna non era un ricordo con i parenti.
«Sono troppo sotto shock anche solo per arrabbiarmi». Mi fissa con occhi enormi e sorpresi. «E perché ho trovato quello che cercavo».
Vorrei essere io il riferimento di questa frase, ma so che non sono importante per lei come lei lo è per me. Però va bene, ormai ho accettato la cosa.
Apre la mano e mi mostra un braccialetto semplicissimo, quasi insignificante all'apparenza. Un nastrino di caucciù nero, con due nodi che servono a regolarne la larghezza, e un pendente consumato a forma di chiave.
«Cos'è?» Chiedo curioso e scettico. «Non sarà la chiave di qualche cassetta di sicurezza che avete in comune?! Non voglio avere a che fare con storie di soldi». Anche se so che è una chiave troppo comune e leggera per un compito simile. Voglio solo farla ridere.
E ci riesco. «Scemo!»
Porta la mano con il braccialetto verso di me e, prima di parlare, espira. «Era la chiave del portagioie di mia nonna. Era lì che teneva i beni più preziosi. Non solo i gioielli, ma le lettere di mio nonno, quando le scriveva dal fronte di guerra. Non ha un valore monetario, ma sentimentale». Mi guarda e capisce che mi manca un passaggio. «Mia nonna diceva sempre che quella chiave rappresentava quella del suo cuore. E io ero molto legata a mia nonna. Lei, beh, lei è sempre stata importante per me, è un pezzo del mio, di cuore».
Prende una pausa per lasciare sedimentare quelle parole tra noi o, forse, per continuare un discorso che per Elle non deve essere facile affrontare. Non è mai facile, quando ci si denuda a livello emotivo con gli altri.
«Per me è diventata la chiave del mio cuore. E Blaise ha sempre voluto questo braccialetto. Forse come prova che fossi soltanto sua». Lo stringe con delicatezza tra le mani, quasi potesse salvarlo dalle grinfie del suo ex. «Ma io gliel'ho detto che non l'avrei mai dato a nessuno, a meno che non l'avesse meritato. E mi ero decisa a darglielo il giorno delle nozze...»
Abbassa lo sguardo, come se si sentisse sconfitta al solo pensiero di quel gesto e del giorno in cui avrebbe voluto donarglielo.
Io, invece, sono travolto dall'enormità di questo piccolo oggetto. Anche perché ora ho capito dove vuole arrivare.
«Non posso pensare di averlo, anche se temporaneamente. È troppo importante». Vorrei avere davvero la chiave per il suo cuore, ma vorrei che fosse Elle a donarlo a me, con coscienza. È una cosa così importante che il pensiero di indossarlo anche per poco mi fa sentire troppo responsabile di tutti i suoi sentimenti.
«È questa la differenza tra voi due. Assurdo». Elle sorride triste, capisco cosa vuol dire. Blaise l'ha sempre voluto, e ha cercato di ottenerlo con la forza, mentre a me lo sta offrendo e ho il terrore di accettarlo. «Ma è importante che tu lo abbia. Sarà quello che lo ferirà e gli dimostrerà che è una cosa seria. Dovrebbe bastargli per togliersi dai piedi».
Dovrebbe. Un verbo che sa troppo di incertezza a entrambi. Forse sappiamo tutti e due che Blaise si farà andare bene solo quello che a lui andrà a genio, che sia un braccialetto dal significato profondo o no penso che poco gli importi, in realtà.
«Sapere che qualcuno ha questo braccialetto mi rende ansiosa, ma sono felice che quel qualcuno sia tu».
E per me equivale a una dichiarazione d'amore, anche se non lo è.
Lo prendo con la dovuta attenzione e lo studio con la riverenza che merita. «Avere tutta questa responsabilità tra le mani mi spaventa, però spero di essere all'altezza del compito».
Lo riappoggio nel suo palmo, perché finché non sarà necessario che ce l'abbia io, preferisco che rimanga nelle mani sicure di Elle.
«No, non tra le mani», questa volta sorride speranzosa, «ma al polso!»
«Sei sicura che io debba indossarlo?»
Senza darmi una risposta prende la mia mano sinistra, infila il cordoncino e ne regola la larghezza attorno al mio polso, poi ammira il risultato con un misto di paura e approvazione.
«Sì». Sussurra convinta, anche se è terrorizzata.
Mi fissa con occhi spaventosamente sinceri, così aperti sulla sua anima da farmi tremare. «Ora custodisci il mio cuore. Fa' che non si spezzi di nuovo».
E, al posto di allontanarsi, lascia la sua mano nella mia.
La stringo, nella speranza che questo possa essere un nuovo inizio tra noi, qualsiasi cosa voglia dire. Spero almeno che i dissapori che ci hanno contraddistinto fino a qualche giorno fa siano sotterrati e che non sia soltanto la presenza di Blaise ad averli fatti accantonare per il momento. «Farò in modo che non accada, te lo prometto».
«Bene». Espira e si alza, poi si sistema i pantaloni, nel tentativo di alleviare il clima solenne che permea la stanza. «Ora ti avviso: fai anche solo un graffio al braccialetto e ti stacco le palle».
Vorrei fare una battuta a riguardo, una pessima battuta, ma so che Elle ha bisogno di ritrovare almeno un po' di controllo e preferisco lasciarglielo, se può farla stare meglio.
Alzo le mani in segno di resa e di intesa, ho capito benissimo di doverlo trattare bene.
Annuisco ed Elle mi guida fuori dalla sua stanza, di nuovo nel mio appartamento.
Appena rientriamo Dan non perde occasione per punzecchiarci. «Ehi, cosa succede? Avete trovato il modo di scacciare il mangiarane?» Lo sguardo d'intesa che passa tra Elle e me lo mette sull'attenti, tanto da farlo raddrizzare sul pouf. «Avete la prova schiacciante che lo farà tornare nella terra del Moulin Rouge a calci in culo?»
È speranzoso e guardingo.
«Abbiamo l'arma di distruzione di Bleah... a portata di mano». Elle risponde prima che io possa formulare una frase di senso compiuto, e lo fa con una risatina compiaciuta.
Nessuno, però, può capire la sua battuta, così sollevo il braccio, impacciato, per mostrare di cosa si tratta. «È un braccialetto molto importante sia per Elle sia per Bleah, anche se per lui lo è per i motivi sbagliati». Mi butto di peso sul divano, come se la ricerca della soluzione mi avesse stravolto. «Speriamo basti a convincerlo».
Guardo i nostri amici e tutti sono più sereni, caratterizzati da un sorriso trionfante. A quanto pare loro credono che sia la prova di cui Blaise ha bisogno. Vorrei avere la loro stessa sicurezza.
«Noooooo» urla Dan, disperato, facendo rialzare i livelli di guardia dei presenti.
«Cosa succede?» domando allarmato. Sta male? Cioè, Dan è uno che sta male di suo a livello mentale, ci tengo a chiarirlo, ma non vorrei fosse un infarto. Se, invece, parliamo di demenza senile precoce, beh, non posso farci niente, anche se a mia discolpa posso dire che mi aspettavo una simile diagnosi.
«Nooooo» ripete, come un giocattolo rotto. «Se voi rimandate a casa Bleah dopo chi comanderò come due burattini? Voi non vi presterete più alle mie messinscene perfette!» E incrocia le braccia, con un broncio che dà forma alle labbra.
Lo guardo allibito. Devo capire se l'aria di questo appartamento gli atrofizza i neuroni o cos'altro, perché si comporta come un bambino. Il problema è che è serio.
«Sei un cretino». Lo apostrofa Charlie. «Ci hai fatto preoccupare per una cazzata».
«Grazie Charles per aver dato voce al nostro unico pensiero» lo asseconda Edward.
«Voi non capite». Daniel si imbroncia ancora di più. «Come passerò il tempo?»
«Spero tanto ti prendano a Broadway. Per la tua – e la nostra – sanità mentale»
«Cambiare aria ti farà bene» concordo con i miei amici. «Spero. Altrimenti vuol dire che sei irrecuperabile».
Alza il dito medio, ma noi ridiamo perché Dan è diventato, ancora una volta, il collante dell'allegria dell'intero gruppo.
*
Mi risveglio riposato, ma con la strana sensazione di aver dormito cinque minuti, quando in realtà mi sono fatto quasi otto ore filate di sonno. Ricordo di essermi addormentato di schianto, appena appoggiata la testa sul cuscino.
Ma, la cosa che più ho impressa nella mente è che, al momento della buonanotte, Elle è venuta a cercarmi in camera, si è allungata sulle punte e mi ha baciato una guancia. Io, di rimando, mi sono girato il giusto per far scontrare le nostre labbra e lei, al posto di scostarsi, si è protesa ancora di più verso la mia bocca per imprimerci il suo sapore.
Un gesto semplice, ma non per noi.
Un fatto complicato, con tutte le implicazioni che porta con sé.
Poi mi ha sorriso e se ne è andata.
E io sono crollato.
Forse sono addirittura morto, non saprei dirlo con certezza.
Però la posizione in cui mi trovo sembra sfatare questo dubbio.
Gambe sono piegate in modo innaturale, tipo la sagoma della vittima in una scena del crimine più finta di quelle che ci si immagina in Cluedo, il braccio destro che penzola fuori dal letto, chiara dimostrazione del mio coraggio da eroe della storia, alla faccia del mostro che ti mangia gli arti con cui ti addormenti fuori dal materasso ma, soprattutto, la mia mano sinistra. Quella è posata sul petto, all'altezza del cuore, per ricordarmi che sono vivo, che batte ancora e con più forza. Non so se per la felicità con cui Elle sta accorciando le distanze tra noi o se per l'ansia di dovermi trovare di nuovo faccia a faccia con Blaise con la paura di rischiare qualche dente.
Sono indeciso.
Mi passo la mano tra i capelli – l'equivalente di una spazzolata per rendersi presentabile – e mi colpisco la fronte con qualcosa. Guardo il polso e ritrovo la chiave della nonna di Elle e il cordoncino a cui è appesa.
E capisco perché la mia mano fosse posata proprio lì, vicina al cuore. Perché quello è il posto di Elle e anche il mio corpo sembra saperlo alla perfezione.
Il sorriso scompare quando mi rendo conto che è arrivato davvero il giorno della resa dei conti con Blaise che, da idiota qual è, non ha il coraggio di confrontarsi con la sua ex – o, meglio, non ha il coraggio di accettare le motivazioni che lei gli ha dato – e allora decide di rifarsi su di me.
Il problema? È che parto svantaggiato. Forse dalla mia ho la rabbia, ma lui di sicuro ha la cattiveria e quel tocco di stronzaggine a cui potrebbe far ricorso per usare la mia faccia come un punching ball senza il minimo scrupolo. Io, invece? Io mi faccio delle remore al solo pensiero di sfiorarlo, anche se è una merda e come tale andrebbe schiacciato.
«Buongiorno!» Mi accolgono solari i miei coinquilini, mentre mi trascino in cucina con la stessa verve di uno zombie a digiuno.
Vorrei soltanto tornare a dormire.
Daniel, che arriva poco dopo di me, prende posto nella sedia di fronte alla mia e si mette a studiarmi con la stessa perizia con cui un geometra osserva un palazzo in costruzione. «Sembri pallido. Hai dormito?»
«Sì». Mi sento punto sul vivo. «E comunque io sono sempre pallido. Sono inglese! Tu pensi per caso di essere Denzel Washington?»
Perché se vogliamo giocare a cinquanta sfumature di bianco, tra noi quattro è una bella gara. Dan potrebbe partecipare con il pantone "color muro", tanto per dirne una.
Mi risponde con una smorfia, mentre Eddie e Charlie si godono le schermaglie di due persone che, prima di un ettolitro di caffè, non sanno interagire con il genere umano.
«Sì, ok, noi inglesi siamo pallidi. Ma non così pallidi!» E mi indica. Forse vinco la sfida con la tonalità bianco Casper, chissà. «Sei preoccupato?»
«Tu cosa dici?» rispondo sarcastico. «Devo incontrarmi con uno psicopatico che non accetta un no come risposta, non so cosa aspettarmi da lui. CERTO CHE SONO PREOCCUPATO».
Alzo appena la voce, con fare ovvio, mentre gioco nervosamente con il cucchiaino.
«Ti capisco. Sai come scendi, ma non sai in che condizioni rientri» conviene Charles, solenne e compassato, mentre si dedica al suo piatto con uova e bacon.
«Non sai se rientri» precisa Edward, indicandomi con la forchetta a mezz'aria.
Ah, come non sorridere alla vita, quando attorno a me sento solo il profumo della positività dei miei amici? Grazie per il supporto, davvero.
«Già, non deve essere facile incontrarlo con la consapevolezza che ti vuole spaccare la faccia perché stai con la sua ex. Soprattutto quando sai che in realtà non è così». Dan è serio, ma il sorriso che ha stampato in faccia stride con la compostezza con cui si esprime. La verità è che si sta divertendo un mondo. E lo fa mandandomi a morire in modo consapevole. Il primo che mi dice ancora che non è un sadico si ritrova la nuca infiammata dal mio schiaffo.
«E sai di chi è la colpa di tutto questo?!» Gli domando, ovvio, con gli occhi ridotti a due fessure.
Gli altri ridono della mia frase, io un po' meno.
Prima che Dan possa controbattere, veniamo interrotti dalle ragazze che vengono ad augurarci buongiorno prima di uscire. Elle è con loro, ma non uscirà di casa. Avrebbe dovuto portare a spasso un paio di cani, per poi lavorare mezza giornata da Selfridges, ma ha disdetto ogni impegno per la paura di incontrare Blaise.
Si è rintanata in camera sua per lavorare su qualche progetto per il suo futuro portfolio e abbiamo deciso di chiamarci all'arrivo di Bleah.
Io, nel mio tempo libero, passo la giornata a riflettere su quest'uomo, se così si può chiamare, e sono arrivato a una conclusione: lo odio per aver fatto a Elle del male, tanto da farle perdere fiducia nell'amore, ma devo comunque essergli grato, perché se non l'avesse ferita non l'avrei incontrata e non l'avrebbe lasciata libera.
Insomma, Elle ha sofferto, ma di sicuro l'ha aiutata a capire con che razza di stronzo avesse a che fare.
Pranzo con i miei coinquilini che, guarda caso, sono tutti a casa. C'è chi è in smart working, chi ha la giornata libera e chi, come Dan, ammette candidamente di non volersi perdere un secondo di questo confronto.
I miei amici, dopo averli messi sotto pressione, hanno ammesso di voler rimanere nei paraggi nel caso avessi bisogno di loro, ma suppongo che il vero motivo che li ha spinti a non uscire dall'appartamento sia lo stesso che ha convinto Daniel a seguirmi come se fosse la sfiga in persona.
Insomma, tutto sembra essere pronto per lo spettacolo.
Tranne me.
Aloa!
Scusate il ritardo con cui mi presento, ma ho avuto problemi a dividere il capitolo, ma avevo bisogno di focalizzare l'attenzione su due cose diverse, ed ecco il motivo del taglio.
Ma è stato più difficile del dovuto scegliere il punto esatto.
Ok, quindi altra parte del passato di Elle che viene fuori. Altra fragilità che non si preoccupa più di nascondere. In due giorni fa progressi da gigante. Blaise è la sua terapia d'urto, non trovate?
Alla prossima, ci sentiamo a febbraio!
Cris
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro