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24. C'era una volta

Nessuno respira.

È come assistere all'esplosione nucleare di Chernobyl: stiamo a guardare – o, in questo caso, in ascolto – per capire cosa è successo, perché quello che abbiamo appena sentito è difficile da assimilare.

Una frase corta, all'apparenza semplice, ma che ha il peso di una bomba deflagrata.

"È il mio quasi marito". Cinque parole di un impatto che non ci sappiamo spiegare. Cinque parole che, però, in quell'ordine compongono la combinazione di un mondo: quello di Elle. Una frase che nasconde la sua storia, quello che l'ha spinta a essere la persona che è adesso, l'evento che ha plasmato le sue paure, tutto ciò che l'ha portata qui, a Londra, ora. Dove ci sono anche io.

Quindi, forse, non è un caso che le nostre strade si siano incrociate, ci sono dei fili invisibili che sono stati tirati e ci hanno portato a vivere ogni momento trascorso insieme.

Soltanto ora riesco a notare che la stanza, dopo la sua dichiarazione, è avvolta in un silenzio carico di aspettative e pensieri, un mutismo interrotto solo dai nostri cuori al galoppo, sconvolti dalla notizia.

La novità mi ha tramortito, come spesso fa un temporale su Londra quando arriva inaspettato, soprattutto perché mi sta portando a pormi delle domande che non mi piacciono affatto.

Cosa so effettivamente di Elle? Quanto la conosco? Quanto in realtà mi ha taciuto in modo volontario?

Sono pervaso da troppe emozioni discordanti: rabbia, comprensione, stupore, tristezza, curiosità. E quello che mi lascia più a disagio ora è che non so quale fare prevalere.

So solo che mi sento un macigno sul petto, qualcosa di veramente pesante che non mi fa respirare a dovere e mi fa tendere e incurvare le spalle, come se dovessi portare la verità di quella frase e, soprattutto, tutte le sue conseguenze.

«Scherzi?» Charles, nel frattempo, invita Eddie a prendere posto sul divano accanto a lui. Il mio amico sente il bisogno del calore umano, percepiamo tutti la necessità di stare vicini, perché il gelo che regna in casa sembra entrare dentro di noi. Charlie è buono, lo domanda con fare meravigliato, nella speranza di aver capito male, ma sa benissimo che la frase di Elle non può essere soggetta a interpretazioni varie.

Elle lo guarda con compassione, mentre l'accenno di un sorriso infelice si fa largo tra le lacrime. «No. Purtroppo no». La tristezza che permea le sue parole, però, è rovinata dalla musica in sottofondo che non ci dà tregua, creando una scena quasi grottesca, tanto che Elle indica il balcone con il mento, prima di parlare: «Vi prego, salvate i piatti. Devo uscire un secondo e non voglio avere la tentazione di spaccargliene altri in testa».

Edward, senza alcun tentennamento, apre la porta del terrazzino e fa quello che è stato suggerito, poi Elle, con una calma che non sembra appartenerle, esce per affacciarsi oltre alla ringhiera. Daniel, da buon amico, la segue. Forse per evitare che possa compiere gesti penalmente perseguibili o, più probabile, perché è preoccupato per lei.

«Vattene via!» La sentiamo urlare anche da qui, con un tono disperato che fa ghiacciare il sangue nelle vene, la voce incrinata dal pianto. «Spegni la musica e vattene».

Il suo quasi marito, il suo ex, risponde qualcosa, ma nessuno di noi riesce a capire cosa.

Elle, così, si affaccia all'interno, dove vede Dan, e gli si avvicina per parlargli.

Lo vedo annuire e andare spedito verso la porta, senza guardarci o giustificare il suo gesto.

L'unica cosa che fa è lanciarmi un'occhiata piena di significati, peccato che io non ne capisca mezzo.

Elle rientra in casa e chiude la porta alle sue spalle con un gesto stanco. Entrambe le mani ancora sulla maniglia, incapace forse di girarsi per affrontare i nostri sguardi carichi di curiosità e compassione, si appoggia lungo il legno degli infissi con tutto il corpo ed emette un respiro sfiancato.

«Fammi indovinare, non abbasserà il volume e non se ne andrà finché non scenderai a parlargli?» Domanda Jane in modo cauto.

La vediamo annuire con lo sguardo basso, quasi si sentisse in colpa per lo spettacolo penoso che è stato offerto dal suo ex. «Già. È per questo che ho mandato Dan a intimargli di andarsene».

E, nel pronunciare la frase, sembra che quello che Dan gli ha detto abbia sortito l'effetto desiderato, perché la canzone ha smesso di vibrare nell'aria e arriva fino a noi il rumore di un motore su di giri, segno che un'auto è partita a tutta velocità.

«Cosa è successo?» Edward lo domanda sottovoce, con la paura di ferirla. «Sempre se ce lo vuoi dire» Aggiunge, per mettere in chiaro che non vuole forzarla, soprattutto in un momento così delicato.

«Cosa ti ha fatto?» La mia domanda invece è diretta e ruvida, ma la mente sta lavorando in modo frenetico per farmi impazzire. Perché non mi ha detto nulla? Perché non si fida di me?

Ero convinto di meritare la sua fiducia. Io, che le ho dato tutta la mia, fino al punto di farmi male, di sanguinare davanti a lei nonostante fossi conscio di vederla buttare il sale e spremere il limone sulle mie ferite.

A quanto pare non è stato abbastanza.

Se conosco quel poco che di lei ho visto, questo tizio deve aver fatto qualcosa di grave.

Sento quattro paia d'occhi fulminarmi, ma non mi interessa passare da stronzo. Loro non sanno cosa mi ha fatto Elle, merito di sapere perché sono stato trattato in questo modo.

«Avete scoperto la parte del passato che avrei voluto tenervi nascosta, non ha senso fare finta che nulla sia successo, stasera. Tanto vale che sappiate la verità». Sospira, come a cercare di mettere insieme ogni cosa. «Però aspettiamo che Dan torni a casa, così non devo ripetermi».

Quasi richiamato da quell'affermazione, Daniel compare in casa con il fiatone. «Mi sono perso qualcosa?» Ha corso per evitare di rimanere a corto di dettagli. Come non capirlo, tutti abbiamo scritto in faccia la curiosità verso la storia di Elle.

Elle, però, non sembra dare peso alla sua domanda. «Come hai fatto a schiodarlo da qua sotto?» Chiede a sua volta. È chiaro che non sa come prendere quello sviluppo. Ha vinto con troppa facilità, sembra quasi sia indecisa tra l'essere ferita per aver visto l'ex arrendersi dopo poco, e al contempo sollevata, proprio per esserselo levato dai piedi.

«L'ho pregato, poi minacciato e gli ho mostrato i pugni» dice concitato Daniel, ancora in piedi nei pressi dell'entrata dell'appartamento. «Ma a dire la verità solo quando gli ho confessato che il tuo nuovo fidanzato era di sopra, pronto a fargli il culo, si è convinto ad andarsene».

Alza le spalle, con fare sbrigativo e soddisfatto, e si siede sul pouf, rimasto libero. «Ha detto che però non si arrende finché non ti parla, tanto che domani ha intenzione di tornare».

Elle alza solo una parte del labbro, in una smorfia disgustata, gli altri, invece, sembrano annuire alla bugia del nuovo fidanzato, quasi fossero soddisfatti del suo ingegno. A quanto pare solo io sono allibito da questo suo espediente che si rivela fallimentare anche solo in teoria, figurarsi in pratica.

Poi Elle spalanca gli occhi, deve aver elaborato ogni informazione a sua disposizione. «Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Come risolviamo questo problema non trascurabile?!»

Se potessero schizzarle gli occhi fuori dalle orbite, lo farebbero. Lo giuro. Mi sembra che quello destro abbia un leggero spasmo.

«Tranquilla, uno di questi tre animali può fingere di essere il tuo "promesso" per un paio d'ore, non morirebbero mica». Ci indica con la mano aperta e il palmo verso l'alto, come se fossimo animali allo zoo. «Ma di questo ci occuperemo dopo, ora raccontaci la tua storia».

Daniel si allunga sul tavolino e recupera le caramelle gommose che teniamo sempre come scorta, quasi fosse al cinema e la proiezione fosse in procinto di iniziare.

Un po' sono basito perché la sua sembra una mancanza di tatto, ma dall'altra parte sono ammirato perché sta facendo lo sforzo di comportarsi normalmente e penso che Elle gliene sia grata, dato che nell'ultimo quarto d'ora non ne ha avuta nemmeno un briciolo.

Jane, nel frattempo, le porge un fazzoletto di carta, che Elle usa per tamponarsi le guance e gli occhi. Prova a darsi un aspetto ordinario, ma la sua faccia porta i segni di un dolore che è difficile nascondere, non ora che l'ha mostrato e lasciato libero di esprimersi.

Elle prende un respiro profondo, che sembra dare il via al suo racconto. «Sapete che mi sono trasferita qui in gennaio, giusto?»

Tutti annuiamo in coro. Anche io ho scoperto la cosa appena l'ho conosciuta, una sera in cui Dan mi ha dato i dettagli su come Elle fosse entrata nella sua vita e fosse diventata sua amica. Continuiamo a fare sì con la testa, penso che nessuno di noi osi rispondere a voce per paura di disturbarla e farle cambiare idea sul proseguire nella storia.

«Ecco, in pratica mi sono trasferita dopo aver rotto con lui. Blaise». Precisa, con un cenno della testa verso il balcone.

«Come si chiama quel tizio che era sotto casa nostra?» Daniel non ha capito il nome e lo fa notare con tutta la mancanza di tatto che lo contraddistingue.

«Blaise, si chiama Blaise». Elle non è offesa e risponde con gentilezza, sfoggiando il suo perfetto accento francese. Vedere che non ha servito a Dan una risposta saccente dimostra quanto sia lontana dall'essere la persona che ho incontrato mesi fa e fa male scoprirlo.

Non perché sia brutto che si dimostri fragile, ma vorrei evitare di vederla soffrire, in un modo così esposto che non è da lei, che le costa ogni goccia di autocontrollo e dolore.

Ha perso tutta la voglia di vivere, di combattere, di essere forte, di mostrare i muri dietro cui cercava di nascondersi. È un'immagine potente che mi entra nel cuore per spezzarlo, anche se vorrei che lei ci trovasse rifugio.

«Tutto nasce circa sei anni fa. Ai tempi ero tornata da un bel po' a Parigi con i miei genitori. A diciannove anni, però, non ero più immune al fascino dei ragazzi, soprattutto a quello dei parigini, all'apparenza più affascinanti degli inglesi». Alza gli occhi al cielo e scuote leggermente la testa, come a cancellare l'immagine patinata dipinta. «Quanto mi sbagliavo!»

Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento del mio riscatto. Grazie stronzo francese per farmi guadagnare punti, me ne ricorderò.

«Comunque, prima di iscrivermi all'università mi sono presa un anno sabbatico e ho trovato un lavoro come assistente di un fotografo. Lo aiutavo per mettere da parte qualcosa e avere la mia indipendenza. Ho sempre saputo di voler fare l'interior designer, ma non me la sentivo di iniziare subito, forse perché non ero convinta di voler studiare a Parigi, così ho preso tempo».

Sospira, ma parlare sembra aiutarla a recuperare un po' di lucidità.

«Jacques, il fotografo, era amico di amici. A lui serviva un aiuto e a me un lavoro, ci siamo capiti al volo». Sorride. Mi rincuora un po' sentire la sua voce più ferma, senza l'ombra delle lacrime a rigarle il volto. «Siamo diventati amici, tanto da collaborare senza problemi. E, mentre ci curavamo della post produzione di un servizio fotografico, in studio si è presentato un suo amico. Alto, moro e con gli occhi più scuri e belli che io avessi mai visto. Era Blaise. È stato amore a prima vista».

Sorride, un po' più amara. «Almeno per me».

«Dopo esserci scambiati i numeri siamo usciti, ci siamo piaciuti e non ci siamo più lasciati. Nemmeno quando Jacques ha deciso di trasferirsi in Australia. Di sicuro un posto più adatto alle sue corde». Ridacchia al pensiero di qualcosa di divertente. «Sara disperso in qualche mangrovia. È meglio che mi informi sul suo stato di salute».

Poi, però, l'aria si fa di nuovo pesante, Elle si prende la base del naso e la schiaccia tra due dita, suppongo stia per arrivare la parte difficile della storia.

«La storia con Blaise è andata a gonfie vele, tanto che ho continuato a lavorare nello studio fotografico, senza iniziare gli studi, tanto che siamo andati a convivere, e dopo cinque anni ha avuto la brillante idea di chiedermi di sposarlo, e io gli ho risposto di sì». Si morde il labbro, conscia forse dell'errore che ha commesso, o forse è solo un modo per trattenere il tremolio al labbro, per contenere il nodo alla gola e le lacrime, che sembrano tornate a rendere i suoi occhi lucidi. «Ci saremmo dovuti sposare a fine maggio. Quando Dan è venuto a recuperarmi in mezzo alla strada, troppo ubriaca per ritrovare casa».

Cazzo. La mattina dopo l'ho conosciuta, mentre la notte stessa l'ho passata ad ascoltarla parlare nel sonno e mormorare il mio nome. Karma, sei un fottuto stronzo e hai un pessimo senso dell'umorismo, sappilo.

Inizia a piangere e, quello che più stupisce, è il fatto che Elle non si preoccupi più nemmeno di nascondere il suo essere a pezzi ma, anzi, sembra diventata la sua nuova coperta di Linus. «A concludere il quadro, poco dopo la proposta, a inizio novembre, ho scoperto di essere incinta. Ero così felice: stavo per avere tutto quello che non pensavo nemmeno di desiderare. Al diavolo gli studi. Il matrimonio, l'amore, un bambino, tutto era diventato più importante».

Tutto è rotto, in questo momento, tranne il silenzio. Il suo sorriso, il suo cuore, i suoi singhiozzi.

Noi siamo senza fiato, sconvolti da quella verità, che pesa anche di più del suo quasi matrimonio.

Io non so più cosa pensare, ogni frase che Elle aggiunge è qualcosa di inaspettato e inizio a capire il suo bagaglio emotivo e, soprattutto, perché non ha mai voluto condividerlo con qualcuno.

Elle, dopo aver atteso che le sue parole siano comprese da tutti, riprende il filo, forse per levarsi finalmente il peso che ha portato da sola per troppo tempo. «Tra Natale e l'ultimo dell'anno succede qualcosa di inaspettato: nel pomeriggio, mentre lavoro – per un nuovo fotografo, subentrato nello studio di Jacques – svengo a causa di crampi addominali e in seguito a un'emorragia. Mi portano al pronto soccorso con un'ambulanza».

Arrivano i singhiozzi a intervallare le sue parole, e sono così forti che deve prendere profondi respiri per tornare a farsi capire da noi. Il suo volto è trasfigurato dal dolore e dalla disperazione, tanto che è insostenibile fissare il pianto che le cola lungo le guance.

«I miei colleghi hanno rintracciato Blaise, che mi ha chiamato, ma non ha potuto presentarsi in ospedale, nemmeno dopo aver saputo che mi avrebbero ricoverata. Era intento a restaurare un affresco molto importante in una chiesa di Parigi». Stringe i pugni. «I medici mi dissero poi che ebbi un aborto spontaneo. Avevo perso il bambino».

Elle si preme i pugni sulla faccia, quasi volesse nascondersi da noi, mentre io mi sento morire. Immaginare la sua sofferenza, mentre è da sola e deve affrontare una notizia simile, mi fa mancare il fiato e il battito. Non è umano quello che ha dovuto sopportare.

Daniel è scioccato quanto me, Eddie e Charlie hanno gli occhi lucidi e Jane e Rachel stanno piangendo a dirotto insieme a Elle.

E io, che ho sempre voluto conoscere i dettagli della storia, all'improvviso mi rendo conto di non essere pronto. Non sono preparato per un carico emotivo simile che mi stringe la gola e mi soffoca.

Elle, però, ormai è pronta per rivelarci tutta la verità. «Mi hanno fatto un raschiamento d'urgenza, mi hanno tenuto in osservazione la notte e a pranzo del giorno dopo ero pronta per essere dimessa. Ho chiamato Blaise per chiedergli se poteva passarmi a prendere. Ero distrutta, avrei dovuto dirgli del nostro bambino e non sapevo come fare, perché dirlo ad alta voce avrebbe reso vera la cosa. Ma lui mi ha semplificato la situazione: mi ha detto che era incastrato con quel lavoro tutta la giornata e che ci saremmo visti a casa dopo pranzo e si sarebbe preso cura di me. Non chiedevo altro».

Le sue parole si fanno flebili, mentre l'occhio mi cade sul fazzoletto di carta che ha tra le mani e che ha distrutto in mille pezzi. Forse avere qualcosa in cui ritrovarsi la consola un po'.

«Gli dissi che avrei chiesto ai miei di passare a prendermi, che sarei rimasta da loro e sarei tornata nel pomeriggio». Prende una pausa per ingoiare un singhiozzo. «I miei genitori, però, non erano reperibili a causa del lavoro, così presi un taxi e mi diressi a casa nostra, annientata dagli eventi e con la voglia di raggomitolarmi sul divano e piangere tutte le mie lacrime».

Fa un sospiro pesante, quasi il peggio dovesse ancora arrivare. «Sono arrivata a casa, pronta a prendermi un po' di tempo per me e per pensare a come dare a Blaise la notizia del bambino ma, nell'arrivare sull'uscio della camera da letto, ho avuto l'ennesima sorpresa: Blaise che si scopava una ragazza che credevo mia amica».

Sto per vomitare. Giuro. Io un essere simile non l'ho mai conosciuto in vita mia e non pensavo potesse esistere.

«Capite? Lui non poteva passare a prendermi dopo un ricovero in ospedale perché doveva scoparsi un'altra. Ok, gli avevo detto che non era stato niente di grave, ma Blaise, al posto di correre da me per sostenermi, ha pensato di aver casa libera una notte per farsi i fatti suoi». Il suo pianto diventa disperato, ogni singhiozzo è un mio battito del cuore che viene a mancare. «Ma vi rendete conto con chi stavo per sposarmi?»

Nessuno sa come rispondere, siamo ancora troppo scioccati dalla notizia. Dio, avrei voluto sapere i dettagli prima che Daniel scendesse per allontanarlo. Avrei voluto che Elle lo centrasse con i piatti poco fa. Anzi no, avrei preferito scendere io al posto di Dan e ammazzarlo di botte.

«Mi sono schiarita la voce per annunciare la mia presenza, gli ho detto che avevo perso il bambino e che, alla luce dei nuovi risvolti, il matrimonio era annullato». Elle cerca di calmare il respiro, mentre ognuno di noi riflette su quanto ci è stato detto. «Mi sono trasferita quella mattina stessa, dopo aver messo al corrente i miei di ogni cosa. Soltanto poi ho scoperto che quello non era stato un episodio isolato, ma che in cinque anni per lui era abitudine fare sesso con altre. Quanto posso essere stupida?»

Che si accusi per la cattiveria di un'altra persona mi fa male, perché non è colpa sua se il suo ex è un pezzo di merda.

«Non sei stupida, eri innamorata, è lui che si è rivelato un bastardo». Daniel è più veloce di me nel rispondere, ma sono felice che abbia espresso il mio stesso pensiero.

«No, io sono stupida. In cinque anni avrei potuto cogliere gli indizi, ma ho preferito non farlo». Tira su con il naso, alla ricerca di una forza che non riesco a capire dove abbia nascosto, perché io al suo posto sarei crollato molto prima. «E sono stata meschina, perché dopo ero felice di aver perso il suo bambino. C'è qualcosa di sbagliato in me».

Blaise l'ha rovinata e capisco perché non riesca ad aprirsi con qualcun altro. Non crede di essere abbastanza, pensa di essere lei quella difettosa, non adatta agli altri, invece non si rende conto che Blaise non è mai stato alla sua altezza, che quello marcio è lui e lei non ha nulla di sbagliato. L'unico errore che ha fatto è stato quello di riporre la fiducia e l'amore nella persona peggiore che potesse scegliere.

«Ma, siccome anche dai miei non mi lasciava in pace, perché voleva che parlassimo e risolvessimo la questione, ho deciso di cambiare città senza salutare nessuno. Ed è così che sono arrivata a Londra». Sospira, esausta dopo aver rivelato tutta la sua verità, dopo averci rivelato la vera Elle, quella che ora riusciamo a vedere a tutto tondo per la prima volta. «Ed ecco svelato il motivo per cui nel giorno del compleanno di Seb ero disperata, i miei mi hanno mandato una mail in cui mi comunicavano che lui mi stava cercando ed era su una pista corretta».

Ed è così che il racconto si conclude, lasciandoci tutti gli elementi per capire ogni suo gesto. O, almeno, lasciandoli a me, perché gli altri non conoscono quella parte.

Si appoggia alla spalla di Jane e si abbandona a un pianto tanto silenzioso quanto disperato, mentre noi siamo chiusi in un mutismo denso di pensieri e dispiacere, fatto di così tante sfumature difficili da cogliere.

La cattiveria che il suo ex le ha riservato, l'egoismo becero con cui ha agito hanno segnato Elle in modo permanente ed è comprensibile. Si è chiusa a riccio e posso davvero capire il perché.

Ma mi fa male aver ricevuto lo stesso trattamento che ha riservato agli altri, lo stesso atteggiamento che rivolge a Blaise, come se anche io meritassi una pari punizione, quando ho solo voluto starle accanto e cercare di far emergere il suo sorriso.

Ha paura ad aprirsi ai sentimenti e a lasciarsi amare. Ma si preclude troppo. Forse tutto.

«Forse è meglio andare a casa, sei stravolta». È Jane a prendere parola, mentre le accarezza la schiena per cercare di calmare i singhiozzi.

«Ho paura». Elle si attacca alla maglia dell'amica. L'idea di essere circondata da noi, da tutti noi, evidentemente la aiuta ad affrontare meglio la situazione. Tornare nel suo appartamento deve farle mancare questa sicurezza.

«Rimanete qui, mangiate con noi. C'è sugo per tutti!» Eddie deve capire cosa frena Elle e cerca di assecondare il suo bisogno di compagnia e, magari, di chiacchiere inutili.

Elle annuisce e, di rimando, Jane e Rachel rilassano le spalle e lo ringraziano per l'invito, che accettano di buon grado.

«Hai fame?» Rach, preoccupata, si dedica a Elle e a quello che ora può farla stare meglio.

La diretta interessata, però, fa no con la testa, in un modo che sembra pesarle a ogni gesto.

Mi alzo prima di rendermene conto, mi avvicino a lei e la sollevo dal divano, per poi metterle un braccio sotto le ginocchia e uno dietro la schiena. Per me è strano constatare che, nell'averla tra le braccia, io non senta il peso delle sue confessioni gravarle sul corpo.

Elle, al posto di ribellarsi, si lascia andare contro il mio petto e mi circonda il collo con un braccio, per assicurarsi meglio a me.

Si è rintanata dietro un mutismo pesante, quasi fastidioso per essere una che cerca la compagnia degli altri. «La porto in camera mia, così riposa un po'». Annuncio ai nostri amici, prima che mi prendano per pazzo. Li vedono annuire, anche loro pensano che sia una buona idea.

Arrivati a destinazione la poso con delicatezza sul materasso, dove si stende per nascondere la faccia nel cuscino, così mi siedo accanto a lei e le scosto i capelli da quel poco di viso che si intravvede. «Non ti chiedo come stai».

Al posto di allontanare la mano, però, le accarezzo la testa con cura, in un gesto calmante e tenero, che spero possa farle arrivare almeno un briciolo dell'affetto e del conforto che mi auguro possa esserle d'aiuto. E, da vero egoista, mi piace vedere come quasi cerca quel contatto, con una disperazione inconscia che la porta così vicina a me come non è da tempo.

Poi, però, annuisce appena, un po' per darmi ragione e un po' per ringraziarmi, e i singhiozzi si fanno più intensi, tanto da scuoterla.

Mi avvicino a lei e le dico una cosa che mi sta a cuore, per farle capire che per lei ci sono, in qualunque caso, anche nei momenti peggiori. Soprattutto nei momenti peggiori. «Perché non ti sei confidata? Avrei capito, non ti avrei mai lasciata sola». E cerco di trasmetterle tutta la dolcezza di cui ha bisogno, e anche di più.

«Non l'avresti fatto, perché non lo merito». Si nasconde del tutto nel cuscino, quasi tentasse di nascondere la vergogna, un insieme di colpe che, in realtà, non le appartiene, che Blaise le ha cucito addosso con crudele sapienza, ma è difficile convincerla del contrario quando è più che sicura di essere lei la causa di quello che le è successo.

Al momento è troppo scossa per affrontare un discorso simile, così lascio perdere e vedo di lasciarle il suo spazio. «Vuoi che me ne vada?»

Elle annuisce. Vorrei dire di essere ferito, ma dopo essersi messa a nudo con noi come ha fatto, anche io mi sentirei stanco e vorrei rimanere da solo con me stesso per un po'.

Faccio per alzarmi, ma lei mi prende il braccio per fermarmi, così mi risiedo sul letto. A quel punto anche Elle si mette a sedere. «Seb, so che sei arrabbiato e deluso, lo capisco. Ma... possiamo fare una specie di tregua?» Guarda le lenzuola, rossa in viso, poi fissa la sua mano, ancora stretta attorno al mio polso. Quando si accorge della cosa, del primo contatto tra noi dopo che le cose sono precipitate, ritrae le dita, quasi non si sentisse autorizzata a tanto. «Mentre... mentre lui è qui. Non riuscirei ad affrontarlo senza il supporto di tutti. Senza il tuo sostegno».

E, nonostante sia una piccolezza, mi sembra un passo enorme nei miei confronti.

«Sì, va bene. In fondo te l'ho promesso, no? Il giorno del mio compleanno». Già, le avevo detto che se il suo passato fosse tornato, io per lei ci sarei stato. E sono una persona di parola. Voglio esserlo, soprattutto per lei.

«Grazie. Non puoi nemmeno immaginare quanto io te ne sia grata». Distende le spalle, rilassata per la prima volta da quando Blaise si è palesato.

«Vuoi mangiare qualcosa?» Magari il cibo e la compagnia aiutano a distrarla.

«No, mi si è chiuso lo stomaco».

Comprensibile, purtroppo.

«Ok, allora ti lascio in pace. Passo dopo a vedere come stai».

Elle si sdraia di nuovo, con il viso nascosto tra il cuscino e il muro, per attutire i lamenti del pianto.

Socchiudo la porta, di modo che le nostre voci le arrivino dalla cucina e non si senta così sola come pensa di essere, perché non lo è. Se c'è una cosa di cui sono certo, è che né io, né le ragazze o i miei amici, la lasceranno affrontare questa tempesta senza il nostro sostegno.

Mi fermo un po' in corridoio, nella penombra tranquilla che lo distingue dalla chiassosa cucina, nonostante la poca distanza, e resto in ascolto della frequenza dei suoi singhiozzi, per controllare che si calmino un po'.

Elle piange, perché il mondo le è caduto addosso un'altra volta, anche se ha fatto di tutto per evitarlo. Piange per quello che ha dovuto rivivere. Piange perché la faccenda non è chiusa come pensava. Piange perché ha allontanato tutti con le sue omissioni e, forse, si rende conto solo ora di aver fatto la cosa sbagliata. Piange perché si sente persa. Piange perché prova un dolore insostenibile, di nuovo. Piange perché non vuole affrontare un passato che pensava fosse rimasto a Parigi. Piange perché è terrorizzata da tutto ciò che Blaise comporta. Piange perché è fragile come non ha mai dimostrato di essere. Piange perché la parte più dolorosa, quella che ha tentato con tutta se stessa di nascondere, è venuta a galla. Piange perché, nonostante tutto, ha avuto la forza di raccontare ogni cosa, anche se poi ne è stata travolta.

Piange un dolore covato da troppo tempo.

E io percepisco tutte queste sfumature in ogni lacrima versata, in ogni singhiozzo strozzato che cerca di trattenere. Mi sento stanco e svuotato al posto suo, ma voglio essere pronto a raccoglierla e ad aiutarla, a guidarla fuori dalla tormenta.

Voglio farmi carico del suo male, anche se non è facile, anche se non lo voglio, perché non si può non condividere un dolore così grande, non si può non rimanerne coinvolti. Soprattutto se ami la persona che in questo momento ti sta mostrando che le sue ferite sanguinano, e per me è così.

Lo so che ero arrabbiato, ma è una cosa così grande che mette da parte – almeno per il momento – l'attrito che c'era tra di noi. Le ho promesso che le sarei stato accanto se il passato fosse tornato e così è successo. E ci sono.

E voglio esserci, anche se non so come.

Quando mi accorgo che si è calmata, mi stacco dal muro senza fare rumore e mi dirigo in cucina, dove Jane e Rachel chiedono subito sue informazioni.

«Non sta bene, ma almeno si è calmata un po'. Quando l'ho lasciata si stava addormentando».

Non so cos'altro dire, forse perché non so nemmeno cosa pensare.

«Bene!» urla Dan con un sorriso, davanti al piatto di pasta al forno, e noi lo guardiamo di sbieco, perché quel buon umore sembra davvero fuori luogo in quel momento. «Ora dobbiamo parlare di un altro problema».

E, dopo aver focalizzato l'attenzione di noi altri su di sé, infilza i fusilli e se li porta alla bocca, lasciandoci in sospeso.

Inghiotte il boccone e, dopo la sollecitazione di Charlie, finalmente si decide a parlare: «Chi si finge il nuovo fidanzato di Elle?»

Buonasera! 

So che il capitolo è lungo, ma non ho avuto cuore di dividerlo perché è troppo importante.

Elle non nasconde più niente, ora, se non le sue cicatrici.

Avrei potuto fare un capitolo dal suo punto di vista, ma ho pensato che sarebbe stato "troppo". Penso che il punto di vista di Seb, le sue reazioni, aiuti a elaborare in modo diverso il tutto.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!

Posso dire che siamo a metà della storia, quindi ce ne sono ancora di cose da raccontare!

La canzone associata a questo capitolo è: You should be sad - Halsey.

Oltre a essere una bellissima canzone, il testo è davvero adatto alla situazione.

Ora, oltre a Blaise, c'è un altro problema: il finto fidanzato di Elle. Come ne uscirà Dan dal guaio che lui stesso ha creato? Preparatevi, perché il prossimo capitolo vede come protagonista la sua materia grigia all'opera!

A presto,

Cris

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