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23. Chi è?

È impossibile fermare la mente, ora che anche Daniel – l'uomo più refrattario ai sentimenti e alle relazioni su questo pianeta – ha notato il coinvolgimento di Elle. Nei miei confronti.

No, non posso essermelo sognato, se anche per gli altri non è passato inosservato.

Questo mi fa sentire potente e mi fa animare di speranza.

Daniel – e Dan Elle la conosce, non come Marcus, che mi ha dato consigli senza sapere chi avessi davanti – dice che devo essere paziente, e lo posso fare, perché in questo sono sempre stato bravo, se no non sarei arrivato dove sono ora. Però non ha senso aspettare quando nemmeno ci parliamo, quindi l'idea successiva è semplice quanto spaventosa.

Salto in piedi, colpito da quello che la mia mente sta formulando.

«Ti sei bevuto il cervello?» Dan, pronto a dedicarsi al suo amato divano, si è spaventato per la mia rinnovata esuberanza. Mi muovo in cucina, frenetico, incapace di stare fermo, mentre seguo il flusso dei miei pensieri. «Una volta eri un tipo tranquillo, quasi apatico, lo sai? Beh, mi piaceva quel Seb». Borbotta qualcos'altro sottovoce, ma non gli presto attenzione.

Sto cercando di capire quando fare la mia prossima mossa perché sì, anche se ho appena detto di dover agire con calma, fremo d'impazienza.

«In base a quello che ci siamo detti poco fa ho pensato che, per quanto io debba essere paziente e aspettare, devo iniziare dal chiederle scusa» dico sfoggiando uno sguardo che deve assomigliare parecchio a quello di un posseduto. «Il prima possibile. Perché ieri, in effetti, mi sono comportato da coglione. Troppo anche per i miei standard».

Le chiedo scusa e poi basta, la lascio libera di fare un passo verso di me se e quando vorrà.

«Giusto, quando si ha sbagliato è meglio ammettere le proprie colpe». Concorda, ma è sbiancato. «Ora, però, dai una testata al muro per calmarti, poi siediti, perché così mi fai paura».

Non riesco a stare seduto, è più forte di me, sono elettrizzato. È come un riprendere il percorso che ero convinto di aver abbandonato per sempre e mi rasserena. «No, no, no. Vedi, non capisci?! Devo chiederle scusa ORA». La speranza deve essere una specie di droga che mi entra in circolo come l'adrenalina. Sembra che niente mi possa fermare. Sono così convinto della mia posizione che inizio ad avviarmi verso la porta, per poi bussare a quella di Elle, quando sento Daniel sparare una combo di parolacce alquanto colorite nella mia direzione. Giuro, avrebbe fatto inorridire anche i clienti più discutibili dei peggiori bar di Caracas.

«Cosa c'è, ora?» domando girandomi sul posto, senza abbandonare i metri che ho guadagnato. Il vantaggio di vivere in un posto dove la cucina, il salotto e l'entrata non hanno muri divisori.

Daniel è disperato ed esasperato, si passa una mano sulla faccia per cercare di cancellare quelle emozioni, ma non ce la fa. «Prendi il pouf e mettilo qui davanti a me e sieditici sopra. Stai zitto e ascoltami, ho bisogno che mi presti attenzione».

Gli rivolgo un sorriso beffardo, un gesto per fargli capire che non ho voglia di farlo in questo momento e mi giro verso l'uscita, quando si fa più serio: «Prendi quel fottuto pouf e posaci il tuo culo rinsecchito, cazzo». I suoi occhi chiari mi inquietano.

Faccio ciò che mi dice, anche se controvoglia. Soprattutto perché il mio culo non è rinsecchito. È tutto tranne che rinsecchito. Voglio dire, l'ha visto? Insomma, è una delle poche certezze delle mia vita, non può minarla così, come se nulla fosse.

Non l'ho mai visto così risoluto, quindi prendo quel dannato affare scomodissimo e mi lascio andare. «Cosa c'è?»

Domando con un filo di voce e lo sguardo basso, fisso sulle fughe tra le piastrelle, un po' in imbarazzo per essere stato ripreso da lui.

Dan deve capire al volo come mi sento, perché si scusa per i modi: «Scusa, ma prima che tu vada è meglio che sappia una cosa».

Prende un respiro, poi inizia: «Dopo che sei uscito di casa tra un "cazzo, mi sono svegliato tardi" e un caffè bevuto mentre stavi per raggiungere Francine, ecco, sono venute di qua le ragazze per fare colazione. Beh, non tutte».

Mh. Strano, di solito si muovono in branco, come se fossero una sola entità, specialmente per la colazione del sabato mattina. O della domenica, se qualcuna lavora.

«Dunque?» Alzo un sopracciglio per invitarlo a continuare, ora ha la mia attenzione.

«Dunque ho chiesto come mai Elle mancasse all'appello...» Gioca con le dita, nervoso.

«Non c'era?» Un po' lo capisco. È difficile che non risponda al richiamo del brunch, ma è anche possibile che sia rimasta a letto, perché per lei un buon sonno dovrebbe durare almeno quattordici ore. Ha dei bioritmi discutibili.

«No». Mi guarda colpevole, quasi gli pesasse continuare a parlare.

«Sarà stata parecchio ubriaca, visto che ieri ci ha dato dentro».

Ma Daniel non è convinto dalla mia spiegazione.

«No». Ora sono sulle spine. «Stanotte non è proprio rientrata».

Ecco la mazzata. Era troppo bello per essere vero. Ormai è chiaro: io, con i piani semplici, non vado d'accordo. Una badilata sulle reni avrebbe fatto meno male.

Ora è chiaro perché Dan mi ha fermato, tanto sarebbe stato inutile presentarmi a casa sua con le mie scuse più sincere e trovarmi davanti a una porta chiusa.

Per un attimo mi sono scordato di ieri sera ma, ora che Daniel mi ha riportato alla realtà, tutto ritorna a galla. Il modo in cui ci siamo provocati e feriti, come Elle si è rifugiata nelle braccia di Tobias, come se ne è andata con lui. Io pensavo che la riaccompagnasse a casa, soprattutto perché io avrei fatto così. Ma sono un illuso. Tobias non ha perso tempo ed Elle non si è tirata indietro.

Prendo una sigaretta dal pacchetto e la accendo. Siamo in due sul terrazzino minuscolo e Daniel si fa piccolo, perché anche a lui è chiara la mia rabbia alla luce degli ultimi eventi. Sento il mio umore nero montare così tanto che mi sembra possa condizionare il tempo, quasi le nuvole di Londra cariche di pioggia e l'aria fresca fossero state richiamate dal mio umore.

«Merda!» Sbatto la mano sul parapetto e Dan sgrana gli occhi. Forse perché questo balconcino ha tutto, tranne che un'aria stabile. «È impossibile con lei. Fanculo! Non le chiedo scusa. Stronza è, stronza rimane».

Basta, ci rinuncio. Anche a sembrare una persona decente che ammette di aver sbagliato. Non se lo merita.

«Dai, ora sei incazzato, ma riflettici a mente fredda». Daniel cerca di farmi ragionare, ma non ho voglia di farlo, di comportarmi da adulto e da persona razionale.

«Io non voglio disincazzarmi».

Ed è qui che è chiaro che la lingua ufficiale del paese dovrebbe essere affidata a me. Conio nuovi neologismi che dovrebbero finire dritti nel dizionario. Disincazzarsi sembra un misto tra disincanto e incazzarsi, ed è così pertinente alle mie sensazioni che mi merito il nobel per la letteratura a mani basse.

Ci avrà fatto sesso?

Do la cosa per certa, tanto a Elle interessa soltanto quello? Sfogarsi. Qualcun altro o il sottoscritto non fa la differenza, l'importante è farlo. In fondo gliel'ho detto io di rivolgersi ad altri e che non è affar mio. Beh, mi ha ascoltato. L'unica volta in cui avrebbe dovuto fare l'esatto contrario di quello che le ho suggerito.

Maledizione.

Quand'è che una cosa andrà nel verso giusto o, almeno, quello sperato? Una soltanto, non chiedo poi molto.

«Abbiamo qualcosa di più forte della birra?» Ho bisogno di bere, devo affogare i miei pensieri, stordire i sensi e cercare di annegare i miei dispiaceri dell'alcool. E, perché no, annegarci pure Elle.

«Ma sei scemo? Sono passate da poco le due. Non è l'ora giusta per darsi al whisky». Ha parlato il monaco buddhista. Come se lui con l'alcool, o il sesso, di solito si facesse scrupoli.

«Il whisky è perfetto». Almeno so che in casa c'è qualcosa che supera la gradazione alcoolica della camomilla, ottimo. Si è fregato con le sue stesse parole. «E comunque rivoglio il mio amico, la versione coscienziosa non mi piace».

E, mentre lo dico, mi alzo per andare in cucina e scovare quello che cerco. Ora devo solo trovarlo, ma so che Dan sarà l'ostacolo tra me e il mio obiettivo. So che se aprissi il frigo troverei le birre, ma non mi bastano. Ho bisogno di qualcosa che mi faccia bruciare la gola, che riesca a stordire i sensi e che lo faccia subito.

«Se stai per cercare qualche bottiglia di qualcosa di forte, beh, sappi che non la troverai in casa». Eppure è nervoso e controlla ogni mia mossa, segno che qualche goccia di malto invecchiato in casa c'è. E dev'essere quell'alcool che emana fiamme al solo contatto con la lingua.

Lo pretendo. La mia gola lo esige come una sfera poké chiama a sua volta la presenza di un pokemon.

«Io? Cercando dell'alcool? Cosa te lo fa pensare? Il fatto che sto facendo passare ogni armadietto di questa maledetta cucina?» ribatto sarcastico e irritato. «È solo un'impressione».

Mentre parlo apro l'ennesimo sportello, a cui consegue un altro buco nell'acqua.

Con la coda dell'occhio, però, vedo Daniel irrigidire il corpo e trattenere il respiro, giusto quel secondo di troppo che invece mi fa capire di aver centrato l'obiettivo. Riapro lo sportello e sposto dei contenitori strani, che hanno tutta l'aria di essere dei detersivi, e trovo finalmente il mio Santo Graal.

«Ah, ah!» Esulto trionfante, con la bottiglia di whisky in mano.

«Andiamo, non farai sul serio?» Dan alza un sopracciglio e poi appoggia un fianco al lavandino. Lo guardo con aria di sfida, svito il tappo e inizio a bere direttamente dalla bottiglia. Lo vedo sgranare gli occhi, preoccupato: «Attento, è fo...»

Non fa in tempo a finire la frase che si ritrova addosso la brodaglia ambrata che ho cercato di ingerire, ma che ho sputato su di lui.

Ops.

«Cos'è questo schifo?» domando senza nemmeno scusarmi. Mi passo la mano sulla bocca nel tentativo di togliermi quel sapore osceno dalle labbra. «È andato a male?»

Daniel si pulisce il viso con le mani, ma non manca di riservarmi uno sguardo d'odio. «No. È solo molto forte. Motivo per cui non lo teniamo insieme agli altri alcolici».

Alza gli occhi al cielo, a metà tra il divertito e lo scocciato.

«Maledetti scozzesi» borbotto, con la bottiglia abbandonata vicino al piano cottura. Dovrò pur prendermela con qualcuno, no?

Abbandono la cucina e mi siedo sul divano, con la testa che mi pulsa tra le mani, quasi la bottiglia mi avesse tramortito, e non che il contenuto quasi abbia sfiorato il mio esofago, sempre che i liquidi passino di lì.

Odio questa situazione, sempre così altalenante. Un attimo prima sembra che tutto vada male, poi si accende un barlume di speranza che infine viene spento brutalmente per far diventare ogni cosa peggiore rispetto all'inizio.

Sono stufo.

«Perché nemmeno Dio mi permette di mettere a tacere il caos in cui vivo per cinque minuti?»

Dan si siede accanto a me e mi mette una mano sulla spalla. «Magari è un messaggio». E con la testa indica la cucina. «Magari significa che non devi mollare».

«Beh, bel messaggio di merda».

*

Il pomeriggio è trascorso velocemente, anche senza whisky. Mi sono lasciato distrarre dai documentari sui serial killer che Netflix propone ed è servito a distendere i miei nervi. Questo la dice lunga sul mio stato mentale.

Pacifico come Ted Bundy – non quello interpretato da Zac Efron, quello vero – o Charles Manson.

Rachel e Jane hanno spezzato la mia routine, per poi unirsi a me e ai miei amici nella visione.

Elle è arrivata dopo ed è venuta a salutare senza nemmeno passare dal suo appartamento, tanto da presentarsi con ancora addosso lo stesso vestito della sera precedente.

Deve essersi proprio divertita con Tobias, se è rimasta con lui fino al pomeriggio. Moore deve essere un fenomeno a letto, se è riuscito a inchiodarla al materasso ed evitare che scappasse dopo essersi fatta scopare.

Elle è arrivata con un'espressione colpevole, come se si vergognasse della nottata brava trascorsa con un Dio del rugby, e quello sguardo mi ha fatto incazzare ancora di più.

Ed è per questo che ho annunciato a tutti che mi sarei fermato un paio di settimane in più del dovuto, per godermi la sua reazione attonita, per sapere di averle rovinato la bella giornata, di modo da non essere l'unico a essere cosciente che passeremo giorni schifosi quando saremo in compagnia l'uno dell'altra, a partire da oggi, perché i nostri amici hanno deciso di uscire insieme stasera.

Che gioia.

Prima di uscire, però, ci dedichiamo alla cena. Ai fornelli ci sono Charlie ed Eddie. Io so cucinare decentemente, ma loro sono davvero fenomenali, quindi lascio che siano loro a gestire il pasto della serata, perché il profumino è delizioso.

Annuso l'aria. «Sembra buono».

«Oh, lo è». Charles è fiero del suo operato e non lo nasconde. «Questo sugo è una bomba».

Ogni giorno ringrazio Dio che sua nonna abbia origini italiane e gli abbia insegnato molte chicche della tradizione.

La nostra pace, però, viene interrotta all'improvviso da una canzone sparata a tutto volume. È ovattata, segno che non viene dal nostro appartamento, è quasi come se venisse dalla strada o dalla casa delle ragazze.

Charles, Edward e io ci scambiamo un'occhiata scettica e tendiamo le orecchie per capire di che canzone si tratti. Someone you loved di Lewis Capaldi. Bella quanto triste.

È una delle canzoni del cuore di Elle. Ci sono le canzoni che ti parlano, quelle che ti raccontano e ti fanno stringere lo stomaco, e quando una volta è passata in radio mi ha detto che, per lei, è una di quelle canzoni. Quelle con un significato.

Do per scontato dunque che sia lei l'autrice del tentativo di demolire il palazzo a suon di decibel. Non riesco a capire, però, se la sua tristezza sia dovuta alla lontananza da Toby, e magari al fatto che le cose tra di loro non siano andate come lei sperava, o se invece è disperata all'idea di sopportarmi un paio di settimane in più.

Non so cosa dire, ma il volume aumenta e a tutte c'è un limite, soprattutto al disturbo della quiete pubblica. Non c'è bisogno che tutto il vicinato conosca il suo struggimento, ci manca solo che faccia un comizio sul perché di questo stato pseudo depressivo.

Già la immagino, all'angolo della strada, mentre incanta la folla composta da abitanti della zona. "A me manca il suo pisello, perché è davvero enorme, ma del suo amore non me ne faccio nulla, e ora lui si ferma due settimane più del previsto".

E no, la parte del pisello non l'ho affatto inventata. Se mi voleva soltanto per il sesso un motivo ci sarà pur stato, e il motivo principale può essere solo quello.

Ok, va bene, me lo sono inventato di sana pianta. Però, per sicurezza, controllo il contenuto dei miei boxer con una veloce sbirciata all'interno dei pantaloncini sportivi e sì, mi tranquillizzo, perché so che la mia teoria ha senso e, soprattutto, è più che giustificata.

Edward mi riporta alla realtà con il rumore del mestolo che cade e lui, Charles e io ci scambiamo occhiate scettiche.

Stiamo per andare dalle ragazze a chiedere di abbassare, giusto per evitare che gli altri condomini si lamentino del caos, quando qualcuno bussa alla porta.

«Avanti» grida Dan, mentre si alza dal divano dopo aver messo in pausa la Playstation, dopo essersi reso conto che chi ha bussato non sarebbe comunque riuscito a sentirlo.

Quando la porta si apre – o, più precisamente, viene abbattuta, perché la veemenza con cui sbatte fa pensare a un assalto delle forze speciali – mi ritrovo al collo una persona che da come mi stringe sembra voglia scusarsi. O uccidermi. Ho paura che per la forza di quell'abbraccio non mi arrivi il sangue al cervello.

Vedo Jane e Rach appoggiate allo stipite e guardano me e l'altra persona con un sorriso rincuorato.

È così che capisco che al mio collo c'è appesa Elle, non solo dal suo profumo, così riconoscibile tra mille per me, che sa di vaniglia e illusioni infrante.

«Grazie. Non ero convinta di meritare il tuo perdono, non così presto». Si stacca un po' da me, il giusto per guardarmi in faccia. «Grazie per questa dedica. Amici?»

Perdono? Dedica? Amici?

Tre concetti che al momento non mi appartengono, figurarsi se messi in una stessa frase e rivolti a Elle.

Chissà come lei e le ragazze passano il tempo libero in casa, probabilmente prendono la rincorsa per poi prendere a testate il muro, non c'è altra spiegazione.

Fatto sta che deve essere palese a tutti che tra me ed Elle qualcosa non va, e le ragazze sono sollevate dalla mia ipotetica presa di posizione e scuse annesse.

Beh, peccato che siano solo speranze disattese, una gigantesca incomprensione. Sono così rigido da non aver risposto all'abbraccio, perché sì, sono ancora incazzato con lei. E molto, anche. Whisky o no.

«Ti sbagli». Freddo ogni entusiasmo con tono neutro, per evitare di far degenerare la situazione. «Io non ho fatto nulla. Anzi, pensavo che la musica provenisse da casa vostra».

È alquanto imbarazzante giustificarsi per una cosa che non si è commessa.

Il sorriso di Elle si incrina, così come le espressioni di Rachel e Jane, e si allontana da me, quasi si fosse pentita di essersi esposta così tanto, davanti a tutti. «Ma se non sei tu, allora chi è?»

Ha lo sguardo confuso, più del mio di sicuro.

«Non lo so». Nessuno sta più capendo cosa succede, ma l'attenzione è focalizzata su noi due e vorrei nascondermi sotto il tappeto. Non mi piace la cosa, ma proprio per niente.

La canzone riparte, a un volume indecente, e ci risveglia tutti da quel momento di impasse.

«Da dove viene la musica?» Elle, sempre più spaesata, guarda le facce di tutti noi.

Dan, il più vicino alla portafinestra, risponde con un'alzata di spalle. «Dalla strada, a quanto sembra».

Con la scusa di uscire a fumare apre gli infissi e fuga ogni dubbio. Ora che i vetri sono aperti la musica entra senza filtro, tanto che sembra di avere Lewis Capaldi in concerto lì, in mezzo alla strada.

Sembra piacevole, ma non lo è.

Daniel, curioso, dopo aver aspirato la giusta dose di nicotina guarda verso il basso, poi infila il viso in casa, per renderci partecipi di ciò che ha scoperto. «C'è una decappottabile con lo stereo a canna – se non si fosse capito – e qualcuno appoggiato alla portiera dell'auto. Sembra una serenata. Uscita male» aggiunge, sempre più curioso di capire a chi sia rivolta, tanto che ritorna sul balcone in attesa di sviluppi.

Non so se abbia azzeccato la palazzina o meno, ma se è quella giusta la scelta ricade su una delle tre ragazze nella stanza, perché non penso che la signora Perry, la nonnina del secondo piano, si sia fatta il toy boy. Ma, ehi, se così fosse non mi sento di giudicarla.

Come minimo è Tobias che vuole dire a Elle che senza di lei non può vivere e cerca di impressionarla in questo modo. Spiacente, amico, io ho noleggiato un'intera cabina della ruota panoramica più mozzafiato del mondo ed è servita soltanto a rendere la mia umiliazione ancora più grande.

Elle, colta da un brivido lungo la schiena, come se si fosse ricordata che quella è una delle sue canzoni, si precipita con uno slancio allarmante sul terrazzino, e arriva talmente spedita che, quando si appoggia al parapetto, quasi precipita di sotto a causa della brusca frenata.

Si piega verso la strada per qualche istante, poi rientra in casa con un sorriso, nel silenzio generale. Eppure lo noto subito, ha qualcosa di diverso. Non è uno di quei gesti che riescono a scaldare una stanza. È agghiacciante, freddo. Sembra quello di un serial killer.

Ci guarda ma non ci vede e si dirige subito in cucina. Essendo aperta sul salotto, dove noi ci troviamo, la vediamo prendere alcuni piatti.

«Mangiate con noi?» Charlie è confuso per quel gesto, ma non ottiene risposta, siamo tutti troppo concentrati su Elle per interrompere il religioso silenzio con cui osserviamo la scena.

Elle, con i piatti al seguito, ritorna sul balcone, dove Daniel segue ogni sua mossa, stranito.

La vediamo appoggiare i piatti su un vaso vuoto, che usa come supporto. Prende il primo in cima alla pila e ne accarezza la superficie lucida con sguardo assente, trasognato, come se con il corpo fosse qui e con la testa lontana anni luce.

Guardarla prendersi il suo tempo è snervante e ridicolo, eppure non riusciamo a non farlo, un po' come quando ci si ritrova nei pressi di un incidente.

Elle si rigira il piatto tra le mani, finché non arriva al parapetto. Giunta a destinazione, con il piatto tra le mani, lo scaglia con violenza verso la strada. Lo lascia andare in modo perpendicolare al suolo. Se dovesse arrivare nei pressi della persona là sotto, lo colpirebbe in pieno. E lo ammazzerebbe.

Capisco non apprezzare il disturbo della quiete pubblica, sono d'accordo, ma così mi pare si esageri.

«Ehi! Ma che fai?» Si sente urlare con rabbia dal basso. È la voce di un uomo.

Elle, però, ignora il tono stizzito del ragazzo e fa per agguantare un atro piatto, ma Daniel è pronto a intervenire, butta la sigaretta e afferra Elle per la vita, per poi trascinarla in casa a fatica. Non è solo una questione di incolumità, ma anche di logistica: sono gli unici piatti che abbiamo e ci servono. Un altro giro da IKEA è fuori discussione.

Tra le braccia di Dan, Elle si anima di una furia sconosciuta, si dimena e urla come non è mai successo, tanto che andiamo in soccorso del nostro amico per tentare di calmarla.

«Lasciatemi! Lasciatemi!» Grida con rabbia e disperazione, mentre tenta di liberarsi dalle nostre attenzioni. Ha gli occhi fuori dalle orbite, così spenti e morti da terrorizzarmi.

Edward la lascia andare e chiude la portafinestra e ci si barrica davanti per evitare che esca di nuovo e combini altri danni.

E così, come tutto all'improvviso è iniziato, tutto finisce: Elle si spegne, come se niente fosse successo.

Si irrigidisce sul posto e fissa il vuoto, determinata e persa. Ci invita ad allontanarci con gesti rigidi e bruschi. «Sono calma, davvero».

Eppure non sembra.

Daniel, però, si fida e le fa posare i piedi a terra, tanto che Elle, poi, con una serenità innaturale che non si riflette nei suoi gesti, si dirige verso il divano sotto gli sguardi atterriti di tutti noi. E, anche se sembra distante da noi chilometri e chilometri, il suo sguardo è fisso sul balcone e la strada.

La verità è che tutti, nella stanza, dopo quel crollo, abbiamo un pessimo presentimento, una sensazione che credo nessuno dei presenti sia in grado di spiegare.

«Ma sei fuori di testa?!» Daniel è arrabbiato perché ancora scosso, come tutti noi, ma è il primo a dar voce alle mille domande che ci passano per la mente: «Che ti è preso? E chi è quel tizio?»

Il mutismo in cui si chiude Elle è estenuante e preoccupante; proprio lei, che ha sempre la risposta pronta e vuole avere l'ultima parola su tutto. Ma la cosa che più mi ferisce è leggere la reazione nei suoi occhi, a cui manca ogni scintilla di vita. Ed è da lì che parte tutto: inizia a far rotolare lacrime sulle guance che non si è nemmeno resa conto di versare.

Un pianto silenzioso e lacerante che non sa di mostrarci, ed è in quel gesto che ci mostra tutta la sua fragilità, la stessa che ha sempre cercato di nascondere dietro i muri che si è costruita attorno.

Il labbro inferiore trema appena e, infine, posa una mano sul cuore, sconfitta, come se potesse contenere tutto il dolore che si è accumulato all'interno, ma non può, perché ce l'ha dipinto in faccia.

È straziante. Elle è silenziosa, ma il suo corpo sembra stia urlando il segreto che si è tenuta dentro e che sembra rischi di squarciarla.

Dà l'impressione di poter cadere a pezzi da un momento all'altro.

Solo dopo un istante che sembra infinito decide di spezzare il silenzio con una frase che nessuno si aspetterebbe di sentire: «È il mio quasi marito».

Ciao!

Eccomi qui, con questo capitolo che introduce una svolta FONDAMENTALE.

So che ci ho messo un po' ad arrivare a questo punto, ma la situazione doveva essere ben delineata nel non essere delineata, tra Elle e Seb. Ha senso? 

Quindi sì, finalmente salta fuori il motivo per cui Elle ha così poca fiducia nei sentimenti.

Nel prossimo capitolo scopriremo anche il perché e non vedo l'ora di farvelo leggere.

Preparate armi, fazzoletti e una tazza di the bollente, vi servirà tutto.

Rimango in attesa dei vostri pareri 😈

A chi fosse sfuggito, invece, faccio notare che ho pubblicato una nuova storia. Si chiama LOST. È lo spin off di Matched, che trovate su questo profilo, ma se volete leggerla potete farlo senza conoscere la storia di Matched. Spero di ritrovarvi anche lì. La storia è completa e per questo aggiornerò ogni settimana.

Ci sentiamo tra quindici giorni con (Im)perfetta per me,

Cris

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