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22. Gandhi

Ero convinto che, dopo la notte appena trascorsa, il peggio fosse passato. Beh, mi sbagliavo.

Sono seduto al tavolo di un ristorante. E fin qui non c'è nulla di male.

Ma sono stato buttato giù dal letto dopo cinque ore scarse di sonno, sono in pieno post sbornia, con un mal di testa pulsante e sono davanti a una super incazzata Francine.

Questo perché il mio scatto d'ira non è passato inosservato, grazie alla presenza dei paparazzi, e ha fatto il giro del mondo nel giro di due secondi e mezzo circa, perché è stata un'azione così fuori dai miei canoni da aver suscitato un'attenzione spropositata. Cosa che ha fatto incazzare la casa di produzione di Legacy e, di conseguenza, ha fatto incazzare Francine. Di brutto.

È talmente fuori di sé dalla rabbia che è tutta rossa in viso e ha gli occhi fuori dalle orbite. Sembra un Pokemon mentre si sta evolvendo nello stadio successivo, lo giuro.

Sono ancora così ubriaco che il pensiero mi suscita una risata ebete e divertita, che fatico a trattenere, e lei se ne accorge. È il primo momento ilare da giorni, ma ho un tempismo di merda per manifestarlo, non posso negarlo.

Mea culpa, vostro onore.

Ovviamente Fran non me la fa passare liscia.

«Dio, Seb! Io ti sto rivoltando come un calzino per la tua cazzata e tu ridi?» Infilza con rabbia una foglia di insalata. Ci credo che è così suscettibile, è sempre a dieta! «Ma ti è andato di volta il cervello?»

Poi si ficca in bocca l'erba che ha ordinato e la mastica con frustrazione, come se ci fossi io sotto i denti.

Vorrei due cose: A) un cocktail, giusto per continuare ad alimentare il mio stato di semi incoscienza, e B) una gigantografia della foto in cui lancio la bottiglia al muro e quella si infrange in mille pezzi. È davvero una bella foto, mi fa sembrare pericoloso, un duro. Sembro quasi figo.

Ma non chiedo nessuna delle due cose perché alla vita ci tengo, ma ancora di più ai kiwi e so che Francine non ci metterebbe molto a mettere fine a una o agli altri, se non a entrambe le cose. Mi rendo conto di quali battaglie combattere, e questa non ne vale la pena.

Prendo tempo mentre mastico in slow motion la mia bistecca. Un po' perché il senso di nausea mi pervade a ogni boccone, un po' perché rifletto sul fatto.

La gente si è chiesta il perché di quel gesto che ha scatenato le ire della casa di produzione e, di conseguenza, quelle della mia agente, ma nessuno si è domandato una cosa: la mia, di rabbia? Perché non se ne preoccupa nessuno? Perché dovrei dare la spiegazione di un gesto quando nessuno mi chiede cosa c'è che non va?

«Scusa. Ero incazzato nero per alcune vicende private», Fran cerca di indagare, ma la interrompo subito, «di cui non voglio parlare, e ho reagito in quel modo. Mi dispiace per tutti i problemi che ho creato a te, al mio staff e alla casa di produzione. Non succederà più, lo prometto».

Sono mortalmente serio. So di aver fatto una stronzata e non ho intenzione di nascondermi dietro un dito: sono disposto a pagarne le conseguenze, ma sono pronto a fare di tutto per migliorare la mia situazione.

Ero convinto che le mie parole la calmassero, ma mi sbaglio di grosso. Fran, se possibile, è ancora più alterata.

«Cristo, non capisci? Non è che non deve succedere più, non sarebbe dovuto succedere e basta. Ora ci vorrà un po' per far dimenticare il fatto e far calmare le acque». Mi riserva uno sguardo truce che mi fa capire quanto le mie palle siano in pericolo. «Sei... sei...» non trova nemmeno le parole adatte a descrivermi.

«Un coglione?» Suggerisco, soddisfatto della mia capacità di sintesi.

«Esattamente. Grazie». Non vorrei essere al posto della sua insalata nemmeno per sbaglio. Ho visto meno violenza in Arancia Meccanica. «Niente più stronzate, intesi?»

«Mai più, lo giuro». O, almeno, non più in pubblico. Insomma, non posso cambiare l'essenza di cui sono fatto. Puoi togliermi dalle cazzate, ma non potrai togliere le cazzate da me.

Tutta la faccenda con Elle ne è la prova.

Dopo un'ora e il pranzo più impegnativo della mia vita, atto ad espiare le mie colpe, salgo nell'auto guidata da Fred. Pensavo di sentirmi meglio, invece sono uno straccio. Di sicuro lo slittamento delle riprese che Francine mi ha comunicato poco fa non contribuisce a rendermi un raggio di sole.

Al posto di iniziare a fine agosto, inizieremo a metà settembre. Questo vuol dire che mi fermerò a Londra altri cinquanta giorni, quattordici in più di quanto fosse preventivato.

Cinquanta giorni in cui vedrò Elle e mi ricorderò che non è mia.

Cinquanta giorni di pura agonia.

Milleduecento ore che mi apriranno uno squarcio nel petto che sarà difficile da rimarginare.

Settantaduemila minuti che mi separano dalla partenza, perché in fondo Claire è il male minore, dato che non è più in grado di ferirmi.

Già, perché – come se non bastasse – sul set rivedrò Claire, e anche la situazione con lei è orribile. Lavorare insieme non è un problema, siamo professionisti ed è facile per noi funzionare sullo schermo, ma c'è quel piccolo problema al di fuori dell'ambiente lavorativo, quella clausola insignificante compresa nei nostri contratti che ci lega per la sponsorizzazione della saga. In pratica dobbiamo alimentare il gossip su una nostra ipotetica relazione, o riappacificazione, di modo che l'attenzione si catalizzi su di noi e, di conseguenza, sul franchise di Legacy. Pubblicità gratuità che farà volare alle stelle gli incassi del film.

"Basta che vi facciate vedere in giro da soli, fianco a fianco, cosa volete che sia?" Ci hanno detto i pezzi grossi. Già, cosa volete che sia andare in giro con la propria ex quando non hai più niente a che spartire con quella persona, altrimenti non sarebbe ex?

Cosa volete che sia, per me? L'inferno, ecco cos'è.

Quindi meglio smetterla di quantificare il tempo in unità di misura sempre più piccole, allungando ancora di più l'attesa, tanto da renderla insostenibile. In fondo poi non vado a buttarmi in una situazione migliore.

È Fred a riscuotermi dai miei pensieri. «Ci metteremo più del previsto per arrivare a destinazione, il traffico è bloccato a causa di una deviazione. Mi scuso per l'inconveniente».

«Non ti scusare, non è colpa tua. E poi non è un problema, non ho altri impegni». Quello che Fred non sa è che preferisco leccarmi le ferite qui, da solo, senza trovarmi faccia a faccia con la realtà.

Però, preda del nervosismo che ho incollato addosso, faccio fatica a godermi la pace dell'abitacolo. Sento il bisogno spasmodico di fare qualcosa.

«Se abbasso il finestrino un po', posso fumare?»

Fred non ne è deliziato, ma il cliente ha sempre ragione e, in questo caso, il cliente sono io e necessito di nicotina, quindi mi dà l'ok tramite lo specchietto retrovisore.

«Grazie». Glielo dico come se mi avesse salvato la vita, tanto che si ammorbidisce ancora un po' e accenna un sorriso. Fred e io ci piacciamo: non siamo petulanti, non ci perdiamo in chiacchiere di circostanza e, soprattutto, siamo sempre gentili nei confronti dell'altro, che è la cosa che più apprezzo. Questo momento ne è la conferma.

Prendo il pacchetto dalla tasca, estraggo una sigaretta e la accendo. Comincio ad aspirare e, appena il fumo mi entra in circolo, lo butto fuori dalla O che la mia bocca forma.

Incredibile come le volute riescono a obnubilare la vista e a rendere il futuro che ho davanti agli occhi nebbioso, così fosco che mi perdo nei ricordi.

La scelta capita su uno dei miei preferiti, quando Elle era intenta a lavorare a un progetto a casa sua e io l'ho raggiunta.

Era seduta per terra, in mezzo ai ritagli di giornale – delle lampade che le servivano per il progetto – e con addosso soltanto una t-shirt troppo grande per lei.

Elle era tenera nei suoi capricci, così stanca da sembrare una bambina pestifera.

Tenera. Di quella tenerezza che volevo sentire sotto le dita, una morbidezza in cui voler lasciare il segno del proprio passaggio, come lei aveva stampato la sua impronta sul mio cuore.

Mi sono seduto davanti a lei, dopo aver spostato i ritagli di ore per non strapparli. Elle mi ha accolto, tanto da avvicinarsi per farmi sentire il suo sorriso sulle labbra, in un gesto accogliente e intimo che ho pensato potesse essere soltanto mio.

Ed è stato lì, su quel pavimento, che abbiamo riso e rinforzato il legame che c'era tra noi, tra la serietà del bacio che le ho stampato tra i seni, alla ricerca del cuore, e il divertimento per essermi ritrovato tutti i suoi ritagli appiccicati alla schiena, proprio mentre ero dentro di lei.

È stato lì che le mie insicurezze sono state spazzate via, tra una risata e un battito mancato, tra la leggerezza dell'allegria condivisa e l'intensità di quello che eravamo bravi a fare.

Ricordo alla perfezione che le avevo detto che era stupenda e lei, in risposta, aveva detto che ero io a renderla così.

Fa male rievocare ogni singolo dettaglio con una simile facilità, fa male far tornare alla mente la semplicità con cui ci trovavamo. Il divertimento nello stare insieme, non solo fisicamente,  il benessere di avere accanto l'altro.

E fa ancora più male sapere che era una cosa a tempo determinato.

È il bussare deciso al vetro del finestrino che mi fa risvegliare. Soltanto ora mi accorgo che l'auto è parcheggiata sotto casa, non so nemmeno da quanto.

«Ehi, bell'addormentato, a cosa stavi pensando? Fred ti ha chiamato, ma eri assorto. Aspettavi un mio bacio per risvegliarti?» È Daniel a riportarmi alla realtà, e lo fa con le labbra sporgenti per dare un senso alla sua osservazione.

«Potrei vomitare». Mi riempio le guance d'aria, per rimarcare quanto le sue labbra sulla mia faccia non siano affatto le benvenute.

«Ti piacerebbe molto». Dan è sicuro di sé, tanto da ammiccare più volte. «Sono bravo con la lingua». Alza le sopracciglia su e giù con fare eloquente.

No, non voglio provare le sue competenze nemmeno tra quattro ere glaciali. Anche se, se andiamo avanti di questo passo, è più probabile che diventino tropicali. Un ciao ai dinosauri, pronti ad accoglierci nel limbo dell'estinzione.

«I pensieri in cui ero perso erano sicuramente più piacevoli». Gli faccio notare mentre scendo dall'auto. «E grazie per l'immagine orribile che mi hai fornito, ora dovrò farmi uno shampoo con la candeggina per togliermela dalla testa».

I miei bellissimi capelli. Mi scoccia dir loro addio per l'immagine di Dan che mi assalta la bocca.

«È sempre un piacere riportati con i piedi per terra». Mi dà una spinta amichevole con la spalla, poi si rabbuia un po'. Perde il suo solito sorriso, ed è strano anche per lui. «Dai, saliamo prima che qualcuno ci noti e rompa le palle».

Intanto mi guida verso il nostro appartamento al secondo piano. Per lui sarà anche una passeggiata, per me, tutte quelle rampe di scale, sono più una prova di forza.

«Giornata no?» Indago, perché se ha bisogno di aiuto io voglio esserci per lui.

«In effetti... ho avuto il provino definitivo per la produzione di Broadway, ma non mi sembra che sia andato bene. Non voglio nemmeno pensarci». Scrolla le spalle, come se non fosse importante e  avesse già perso l'occasione, ma so che ci tiene da pazzi. «Vediamo cosa mi diranno al momento opportuno».

«Andiamo, sai benissimo di essere perfetto per il ruolo! Se ne saranno resi conto anche quelli della produzione. È il tuo momento, questo!» Lo credo davvero. Nei teatri di Londra è super richiesto e, per quanto abbia fatto tour anche al di fuori del Regno Unito, il suo sogno, come quello di ogni attore di teatro, è arrivare a Broadway. E se c'è uno che ha il talento per arrivarci è proprio Dan. Sul palco è magnetico, riesce a trasmettere ogni singola emozione, come se lui le avesse provate sulle propria pelle e la trasmettesse allo spettatore.

«Tu, piuttosto...» Cerca di cambiare argomento, è chiaro che non vuole approfondire oltre l'argomento e preferisce non pensarci. Messaggio ricevuto. «Cos'hai che non va? Lo stato di trance che hai manifestato in auto non è un buon segno. Sfogati con il tuo amico Dan».

Mi prende in giro, ma forse è meglio continuare a parlare dell'incertezza attuale della sua carriera, sarebbe di sicuro meno disastroso.

«Nah, non ho nulla. È solo il post sbronza». Minimizzo, tento di stare sul vago per deviare l'attenzione da me e dalla sfiga che mi perseguita, ma Dan mi conosce troppo bene, è difficile ingannarlo.

«Smettila con le cazzate. È da giorni che sei strano e non sei in hangover perenne, non ne hai il fisico!» Mi prende ancora per il culo dopo aver raggiunto casa e aver estratto una sigaretta dal pacchetto. «Hai perso il tuo buonumore. Vuoi dirmelo o devo sguinzagliare Scotland Yard per farti parlare?»

Ho la certezza che non lascerà perdere. È come se sapessi che è arrivato il momento di confidarmi con qualcuno. Ho bisogno di farlo, e non potrei scegliere nessuno migliore di Daniel.

So che può sembrare un cazzone, ma è un amico che darebbe la vita per le persone a cui tiene, sono felice di rientrare in questa cerchia ristretta. Se parlo con lui so che non arriverà a orecchie indiscrete.

Arreso, con una mano tra i miei capelli per torturarli, prendo anche io il mio pacchetto e lo seguo sul terrazzino, pronto a raccontargli la triste verità.

«Potrei avere un problema. Diciamo che è un periodo della vita parecchio incasinato» ammetto a denti stretti, perché mi costa raccontare il mio fallimento più grande.

«Che tipo di problema?! Lavoro? Famiglia? Crisi esistenziale? Alcool? Droga?» Ride, come se il resto non fosse nemmeno possibile. «Donne?»

Ovviamente l'opzione più improbabile per lui viene lasciata per ultima. Sarà un discorso davvero entusiasmante, dato che prima di tutto lo dovrò convincere di avere una vita sessuale. Spesso mi dimentico quanto lui e Marcus siano simili.

Serro insieme le labbra e alzo le sopracciglia. «Già».

«È uno scherzo, vero?» E, quando gli faccio no con la testa, butta fuori il fumo e tutta la sua sorpresa. «Cazzo! Ma sei sicuro?»

«Io pensavo che tu non scopassi da mesi. Da Claire, all'incirca...»

Se mi fa i conti in tasca – o, meglio, nei boxer – giuro che lo spingo oltre il parapetto del balconcino qui e ora.

Ritiro le belle parole di prima: è un cazzone, punto.

«Dimmi da quanto non fai sesso e poi giuro che divento serio». Lo guardo male, perché so che è una promessa che non può mantenere. «Lo prometto».

«Da quattro giorni» rispondo funereo.

«Oddio». Si mette una mano sul petto. «È più grave di quanto pensassi».

«Ma se non hai sentito la storia?»

«Io sto parlando di me». Piagnucola mentre gesticola con la mano con cui regge la sigaretta. «Da quand'è che ho preso il tuo posto nel gruppo e sono diventato l'amico sfigato che non batte chiodo da una vita? Non so se ascoltarti e deprimermi o se buttarmi ora e risparmiarmi l'agonia».

Com'è melodrammatico. E poi da quando sono io lo sfigato del gruppo? È Charlie quello che, tra noi, assomiglia a un monaco.

«Non dovevi essere serio?» Sto perdendo la pazienza.

«Andiamo, ti pare possibile, dopo una notizia simile? Dopo aver scoperto che la mia vita è ancora più triste di quanto credessi?» Prima che possa interromperlo per mandarlo a farsi fottere, però, cambia espressione e diventa serio. «Avanti, spara. Voglio sapere tutto».

Inspiro e cerco di sistemare le idee.

«C'è questa ragazza...» Inizio promettente, chi l'avrebbe mai detto che non sto parlando di babbuini? «L'ho conosciuta poco dopo il mio arrivo. C'è stata attrazione fin da subito, tanto che, dopo qualche settimana di battute e flirt, ci ho fatto sesso. Lei, però, ha proposto di essere scopamici, senza coinvolgimenti. Ho risposto di sì».

Dan è colpito, forse perché non si aspettava che riuscissi ad avvicinarmi a una ragazza così diversa da Claire, o forse perché – conoscendomi – non si aspettava che potessi accettare un simile accordo.

«Rompere con Claire è la cosa migliore che ti sia mai successa. Sei rinato e hai imparato a vivere la vita al meglio». Sembra orgoglioso di me, di come io sia diventato un ragazzo di ventisei anni comune, nonostante la mia fama, al posto di essere il classico monogamo innamorato dell'amore che è abituato a vedere fin dalla tenera età.

«Tutto bene, finché non me ne sono innamorato». Aggiungo, per onestà. E perché è la parte della faccenda che complica le cose.

«Vorrei ritirare la dichiarazione precedente, vostro onore» dichiara mentre spegne la sigaretta. «Diglielo, magari ricambia. Chi resiste a questo faccino da cucciolo?»

E non mi dà questo consiglio per prendermi in giro, lo dice con le migliori intenzioni di questo mondo.

«Oh, l'ho fatto. Lei mi ha rifiutato». Gli regalo un sorriso amaro, di quelli che solleva appena gli angoli della bocca.

«Ha detto di no al faccino da cucciolo? Hai anche sbattuto le lunghe ciglia per mostrare gli occhi chiari?» Il problema di questa situazione grottesca? È serio.

«Non è servito a un cazzo. Anzi, mi sono scavato la fossa da solo, perché distratto dal suo seno le ho promesso che avremmo continuato con il sesso ma, indovina? Non ce l'ho fatta. Gliel'ho detto e abbiamo litigato. Ora non ci parliamo più da quel giorno». Incrocio le braccia e mi appoggio con il sedere al parapetto, di modo da osservare le reazioni di Daniel al meglio.

«Quattro giorni fa».

«Quattro giorni fa» confermo.

«Io pagherei per avere una che non si innamora di me, ma si fa scopare volentieri». Scuote la testa, incredulo, quasi a dire che a lui certe fortune non capitano mai.

«Lo so, è per questo che siamo differenti: tu sei un animale, io no». Sottolineo, con il primo sorriso vero di questa conversazione.

«Zitto! Non hai diritto di fare un discorso simile, dato che tra i due sei tu quello che ci ha dato dentro fino a ora con una scopamica». Non posso dargli torto, così alzo le mani in segno di resa.

«Cosa ne pensi?» Gli domando, voglio conoscere il suo parere.

«Tu sei innamorato ed è palese, tanto da farmi capire l'espressione da ebete che ti porti in giro da un po'». Mi fa cenno di rientrare in casa, perché ha iniziato a piovere.

«Sei sempre di conforto». Uso il sarcasmo per farmi comprendere, ma Dan sembra non capire.

«Quando vuoi». Minimizza con una mano, come se mi fosse stato davvero d'aiuto. Prende il pacchetto con fare meditabondo e si accende un'altra sigaretta, anche se non siamo fuori. «Comunque, penso che Elle provi qualcosa per te, se no non si comporterebbe così. Ma, conoscendola, ci deve essere qualcosa che la frena e la spaventa».

«Ma non è...» sono così prevedibile?

No, non voglio una risposta perché, in fondo, la conosco già.

Alza un dito per interrompere ogni mia obiezione, poi butta fuori il fumo.

«Non provare a negare che sia Elle, se no giuro che ti spengo la sigaretta in mezzo agli occhi e poi ti ficco il mozzicone su per le chiappe». Bucolico, oserei dire. Shakespeare, se non sbaglio. «Era da tempo che avevo qualche sospetto, troppa tensione sessuale che poi si è allentata di colpo, ma dopo ieri sera e la tua confessione sul vostro litigio non ho più dubbi. È da giorni che vi evitate come Boris Johnson fa con le spazzole».

Vorrei ridere, ma il paragone, per quanto idiota, è più che azzeccato.

«Ok, va bene, è lei. Ma non dirlo a nessuno». Certo, poi gli chiedo anche il mignolino per fare un giuramento. Forse facevo prima a buttarmi dal balcone, sarebbe stato meno umiliante.

«Ok, ma è come dire a Brad Pitt che ha la mascella pronunciata: è palese. Comunque hai la mia parola, non lo dirò ad anima viva». Alza le spalle con fare ovvio. «Ma, credimi, si vede da come la guardi, da come le graviti attorno».

E come le graviterei attorno? Ho paura di scoprirlo. Di scoprire che ho vissuto un'illusione che io stesso mi sono costruito attorno.

«Quindi, oltre all'ovvietà della situazione, hai consigli su cosa fare?» Dimenticarla, conquistarla, darmi al giardinaggio. Qualsiasi cosa.

«Dalle tempo. Non le sei indifferente e ne sono certo. La conosco abbastanza per capirla». E su questo non discuto. La conosce da più tempo ma, soprattutto, la conosce davvero, anche se non sa tutto di lei. Elle e Dan hanno un modo di comprendersi che è una dimensione soltanto loro. Un po' come quella che pensavo di avere anche io con lei, anche se su un piano diverso. «Deve solo arrendersi all'evidenza e accettarlo. Al Venom avrebbe voluto uccidere la bionda con cui hai passato la serata. Se avesse potuto le avrebbe staccato le braccia. Probabilmente l'hai ferita».

«Come lei ha ferito me, più volte». Preciso, rigido. Anche io mi accendo una sigaretta. Meglio quella dell'alcool, dato che sono le due di pomeriggio. «Se le interesso ha un modo orribile per dimostrarlo. A quanto pare nelle relazioni è più impedita di me».

Però sapere che anche Daniel pensi che lei provi un interesse nei miei confronti riaccende in me un barlume di speranza. Mi auguro solo che non si noti perché voglio agire in modo più distaccato, senza lasciarmi confondere dalle supposizioni. Al momento voglio basarmi solo sui fatti, e i fatti non giocano a mio favore.

«Oh, beh, strana è strana». Conferma con naturalezza. «È come se avesse qualcosa da nascondere. Però tu vai tranquillo, un giorno si accorgerà che quello che ha dentro è molto più vero della maschera che indossa». È serio e, sinceramente, è un po' inquietante, perché sentire Dan parlare in questo modo è un evento raro. «Perché indossa una maschera da troppo tempo, come un muro di protezione, ed è così abituata ad averla da non accorgersi di portarla. Tu l'hai crepata e ha paura. Aspetta che qualcun altro la mandi in frantumi».

Aggrotto le sopracciglia, confuso, ma lui continua imperterrito, perso nei suoi pensieri, come se cercasse di recuperare il nesso.

«Ed è lì che subentri tu. Dovrai raccogliere i cocci, restituirglieli e fare in modo che li accetti, senza però indossarli più. Deve vederti, ma senza barriere a dividervi».

Daniel mi stupisce. Le sue sono parole profonde. Non è estraneo a ragionamenti simili, ma è strano che li condivida. E mi fa piacere perché, nonostante sembrano concetti difficili da apprendere, per me hanno perfettamente senso.

«Voglio la roba che ti fumi, deve essere eccezionale». Lo prendo in giro per alleggerire il discorso. «Hai iniziato a farti le cartine con i fogli su cui sono stampate le massime di Gandhi?»

Daniel rasato con i vestiti tipici del monaco... ce lo vedo e potrei abituarmi a questa visione, ma trattengo il sorrisetto di scherno che sta cercando di affiorare.

«Quanto sei coglione». Mi regala una smorfia schifata. «I due neuroni che ho si sono scontrati e si sono messi a lavorare. Adesso se permetti sono stanchi, hanno faticato troppo, è ora di concedermi un po' di tregua». È il bello di Dan: fare una cosa giusta e pentirsi di averla fatta.

«Dopo le perle sfoderate te lo concedo». Lo osservo, placido, mentre inizio a far volare la mente.

Ho bisogno di pensare alla prossima mossa.

Hola!

Un capitolo di transizione, ma saltano fuori un po' di cose: la produzione che irrompe, anche se marginalmente, nella vita di Seb per ricordare le clausole del contratto che li lega (e queste clausole sono e saranno importanti), il giorno dopo il gesto al Venom e le conseguenze, due settimane in più a Londra ma, soprattutto, DANIEL SA.

O, meglio, da essere superiore (ma umile, ci tiene a ricordarlo) qual è, ha sempre sospettato e ci ha visto giusto. E niente, chapeau a lui.

So che lo amate, e mi sento di dirvi che questo è il primo di tanti suoi momenti. Se Seb ed Elle sono i protagonisti della storia, da questo momento in poi Daniel ne è il "trascinatore".

Non vedo l'ora di farvi leggere il prossimo capitolo, sono in trepidante attesa delle vostre reazioni.

A presto ;)

Cris

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