18. Game over
Se devo riconoscermi un talento, in questo momento della mia vita sceglierei la perseveranza.
E no, non lo annovero tra i pregi.
Perché dopo il mio monumentale fallimento nel pieno cuore pulsante di Londra, ho deciso di strafare e guadagnarmi un premio. Non il primo della mia carriera, ma di sicuro il più azzeccato. Quale? Coglione dell'anno.
Già, perché non contento di essere stato massacrato dalla ragazza che amo, le ho permesso di distruggermi una seconda volta.
Come? Con il sesso.
Lo so, sembra una cosa assurda, ma è così.
Quindi, dopo l'evento funesto sul London eye, abbiamo deciso di comportarci come se nulla fosse e, dopo vari approcci rigidi come può esserlo Jason Momoa mentre danza, e lo so perché ci ho lavorato insieme sul set, siamo arrivati al dunque.
Ieri abbiamo fatto sesso. E la cosa strana è che è capitato solo una volta. E, da quando è successo, non è che proprio corriamo a cercarci.
Insomma, se pensavo di aver toccato il fondo sulla ruota panoramica, mi sono dovuto ricredere, perché nel fare sesso abbiamo raggiunto nuovi picchi negativi inimmaginabili.
È stata l'esperienza più terrificante della mia vita, e non per l'atto in sé, ma per noi due, per le connotazioni che ha assunto.
Siamo stati l'ombra di quello che eravamo. Mancava la chimica, la complicità, la passione. Tutto quello che ci ha sempre legati è venuto a mancare.
Solo al pensiero una sensazione sgradevole mi percorre la schiena e si concretizza con un brivido.
Pensavo di essere l'unico a subire un cambiamento, ad approcciarmi a lei in modo diverso, in realtà anche Elle era rigida e distaccata. La percezione di calore che abbiamo sempre creato quando entravamo a contatto è sparita. Puff, andata.
Non è stato del sesso fatto per desidero, per la voglia che avevamo l'uno dell'altra, quanto più mera pulsione. La conferma che potevamo far finta di nulla, come se niente fosse accaduto.
Spoiler alert: abbiamo fallito miseramente.
È stato un atto condito dalla rabbia repressa, dalle parole trattenute che ci siamo ingoiati pur di non riprendere il discorso, e alla fine è risultato che siamo gli echi in tempesta delle nostre stesse insoddisfazioni. Un qualcosa di macchinoso che non merita di essere ripetuto.
Ed è da quando è successo che sto cercando di evitarla, da quando – nel silenzio vuoto e imbarazzante del post coito – ha preso i suoi vestiti e se ne è andata senza dire una parola. So, però, che non ci riuscirò per sempre, perché le nostre vite sono troppo intrecciate per concedermi il lusso di schivarla.
Mancano poco meno di due mesi all'inizio delle riprese e, se qualche Dio avesse a cuore la mia salute mentale, mi aiuterebbe nell'impresa, ma, siccome l'unica relazione stabile che ho è con la sfiga, posso scordarmi un simile privilegio.
Quello che mi fa imbestialire è che ho sempre creduto di essere forte. Tutti davano per scontato che, non essendo amante dei conflitti, prima o poi io crollassi davanti all'isteria generale che la fama ha portato con sé, convinti che per alleggerire la pressione cedessi all'alcool o alla droga. Eppure non è successo, la fama si è sempre limitata agli eventi ufficiali, per il resto tendo a vivere la mia vita nel modo più normale possibile, anche se non nego che è cambiata parecchio.
Ho fatto ricredere tutti, o quasi. Ho affrontato la pressione mondiale che mi hanno addossato i media e ne sono uscito indenne, non senza difficoltà, ma ne sono soddisfatto.
Invece ora?!
Non riesco a non cedere ogni volta che Elle lo chiede, anche dopo avermi annientato. Sono un burattino nelle sue mani perché non riesco a negarle quello che vuole, nella speranza che prima o poi corrisponda a quello che voglio io.
Dove ho lasciato la dignità? E le mie palle?
Scommetto che le ha Elle e le usa come antistress.
Così sfogo la mia frustrazione in corse per il parco, di modo da far felice il mio personal trainer, che ho evitato come se fosse l'incarnazione della sifilide fino a l'altro ieri, e mi stordisco con i videogiochi.
Motivo per cui sto giocando da più di tre ore a Call of duty.
Dopo due giorni dall'atto sessuale più svilente della mia vita, nel pieno della mia partita on-line, dove mi pare di fare dei progressi non indifferenti, dato che sono impedito, Elle irrompe nel nostro appartamento con una gelida determinazione a circondarla che rende Elsa di Frozen una nativa hawaiana, a confronto.
Non dice nulla, ma si dirige verso la Playstation e la spegne senza cerimonie, un po' come ha fatto quando poi mi ha portato sul tetto e, con la stessa grazia dedicata alla consolle, mi spinge sul divano, dove atterro con un tonfo.
Colto alla sprovvista non capisco bene cosa stia succedendo. Sono sì arrabbiato con lei, ma è ancora difficile per me abituarmi alla nostra nuova condizione, se possibile ancora più indefinita della precedente.
Elle si approfitta della mia confusione per togliermi dalle mani il joypad e farlo cadere per terra, forse per la paura che possa darglielo in testa nel tentativo di difendermi da lei.
Con una delicatezza che mi stupisce si siede a cavalcioni su di me e mi studia. Non ritrovo gli occhi verdi e calorosi di sempre, ma uno sguardo lontano che sembra non appartenere alla stessa persona che ho conosciuto tempo fa.
Non mi dà tempo di riflettere su simili dettagli, però, perché mi alza la maglietta e mi bacia ogni centimetro del petto. Un gesto inappropriato, se penso che prima non c'è stata alcuna scintilla che ci ha permesso di scattare e arrivare a un simile punto, ma quello che più mi colpisce è l'inaspettata dolcezza con cui lo fa. Devo mordermi un labbro per non far scappare alcun gemito d'approvazione dalla bocca.
Il primo bottone dei jeans viene aperto con lentezza, ma vorrei che lo facesse in modo rapido, perché il desiderio cresce in poco, dopo avermi privato della mia poca lucidità. Elle inizia ad armeggiare anche con gli altri mentre le sfilo la canotta.
Mi sembra di sognare. La sua pelle di nuovo sulla mia, le sue labbra calde che la sfiorano e la accendono. C'è qualcosa di diverso dall'altra volta, una sorta di disperazione nel volerlo fare funzionare che ci accomuna e, inaspettatamente, ci unisce.
Mi ritrovo ad avvicinarla senza alcuna grazia verso la mia bocca per impossessarmene, per perdermi nel bisogno di sentire che c'è, che è qui con me. Forse ce la possiamo davvero fare, forse Elle ha sempre avuto ragione.
Poi, però, un lampo di realtà si fa strada tra l'eccitazione che mi ha obnubilato la mente.
Il distacco, il rifiuto, l'impormi di far fingere che i miei sentimenti non ci siano e non contino. Il suo egoismo.
Tutte queste cose si trasformano nella mia rabbia e l'aria attorno a noi cambia.
Poggio le mani sulle sue spalle per allontanarla da me, la prendo per i fianchi e la sposto sul divano, dove non può toccarmi. Infine le allungo la canotta.
Elle la afferra con fare stizzito, ma non la mette.
Vorrei disperatamente che coprisse il seno in cui ho desiderato tanto perdermi, in cui molte volte l'ho fatto davvero. Aiuterebbe la mia lucidità e renderebbe meno penoso il nostro prossimo scambio di battute.
«Cosa significa?» Ha il top ancora in mano, mentre mi guarda con espressione confusa, condita da una sincerità che non mi aspettavo.
So che quello che sto per dire mi costerà la vita o, peggio, la porterà e ad allontanarmi da lei, ma lo devo a me stesso. Se c'è una cosa che stare a contatto con Elle mi ha insegnato, anche se a caro prezzo, è l'avere il rispetto di me e di cosa voglio.
Ho sempre avuto troppa paura di assecondare gli altri per non deluderli, da sacrificare spesso i miei desideri, ma con lei no, è diverso, anche perché è come se avessi la sensazione che, se non mi impuntassi con Elle, sarebbe tutto sbagliato.
Non che ora sia una meraviglia, ma battersi per qualcosa in cui si crede è fondamentale, e io credo in quel qualcosa che scorre tra noi. Elle è terrorizzata, non è pronta ad ammetterlo, ma qualcosa deve esserci, altrimenti non saremmo qui, non dopo aver provato a chiudere un capitolo fallimentare senza però riuscirci.
Mi prenderò dello stupido, ma penso che sia soltanto abituata a tenersi alla larga da coinvolgimenti di una certa portata e io, per lei, sono stato uno tsunami come lei per me è stato un terremoto.
Siamo davvero due calamità naturali: è destino che accadano, non si possono prevedere e, soprattutto, non si possono fermare. È normale, però, che davanti a simili eventi ci si spaventi. È l'ineluttabilità della cosa a terrorizzare le persone, ad atterrire Elle. Deve accettarlo, accettare di non avere il controllo sui suoi sentimenti, come si ostina a fare.
Non si può, non si possono controllare.
«Significa che non faremo più sesso». Ecco, l'ho detto.
Mi torturo i capelli con le stesse mani che fino a poco fa erano sul suo corpo e la distanza mi sembra già una tortura.
Sgrana gli occhi, furibonda, ma, prima che possa dire qualcosa, continuo: «So che ti ho detto che avrei fatto finta di nulla ma, spoiler, non ce la faccio. Non riesco a mettere da parte i miei sentimenti. Pensavo di poterlo fare, ci ho provato. Beh, mi sbagliavo».
La sincerità, condita da una buona dose di arrendevolezza, è l'unica cosa che posso offrire in questo momento. A lei e a me.
Osservo il suo viso e ha uno sguardo così tagliente da ferire. Sì, ci riesce benissimo, perché una parte di me, molto profonda e molto nascosta, inizia a sanguinare un po'. Speravo potesse capire, apprezzare la mia schiettezza ma, a quanto pare, non è così.
Ho appena visto il mio terremoto diventare uragano.
«Avevi promesso!» Tuona, dopo essersi infilata la canotta con gesti rabbiosi. «Io te l'ho chiesto, e sei stato tu ha rispondermi che non era un problema. Pensarci un attimo, prima di sparare certe cazzate? Pensavo ti comportassi da uomo...»
Una frase che mi colpisce più del dovuto, tanto da farmi imbestialire. So di cedere al suo gioco, perché vuole portarmi al suo livello. Vuole litigare e le sto fornendo i dettagli per farlo, ma sono stufo di calpestare la mia dignità.
«Mi sto comportando da uomo dandoti tutta la sincerità che ho a disposizione. Sono stato uomo nel trovare il coraggio di rivelarti i miei sentimenti, anche se sapevo che c'era la possibilità di non essere corrisposto. A quanto pare, però, non ci sei abituata». I suoi occhi verdi si spalancano, percorsi da un lampo di stupore, ma non mi lascio intenerire. «Mi dispiace, ma non devo continuare a fingere solo per farti felice. Devo dirti che va tutto bene? No, cazzo, non va tutto bene. Ci sto male, e nemmeno poco. Ci ho provato, ti ho dato questa possibilità, ma non fa per me. Non sono un robot». Sputo tra i denti, quasi fosse un ringhio, dopo aver urlato. Una cosa che non è da me.
«Non capisci». Si alza, incapace di stare ferma. È così agitata che nella sua rabbia riesco a vedere una sfumatura più onesta di Elle: la disperazione. «Dovevi comportarti come un qualsiasi uomo: stare zitto per la troppa paura di un rifiuto e andare avanti sereno per la strada che avevi intrapreso. Invece no! Hai voluto fare l'eroe, come tuo solito, e hai deciso che i tuoi sentimenti dovevano uscire allo scoperto. E per cosa, poi? Per toglierti un peso dalla coscienza».
Attacca per difendersi, ma la sua difesa è debole.
Eppure sono stufo di perdonarla, darle corda, darle un'altra possibilità. Ne va della mia salute mentale.
«Forse non hai capito una cosa», mi avvicino a lei per ruggirle in faccia, «non sono la tua sgualdrina. Non calpesto me stesso per far dormire sonni tranquilli a te. Non più».
Mi giro, sfiancato, ma consapevole che il discorso è ben lontano dalla sua fine. Elle vorrebbe prendere parola, ma ho troppe cose da dire e ho intenzione di dirle tutte. «Sai che c'è? C'è che sei solo un'egoista». Riprendo posto sul divano, come se avessi riacquistato la lucidità perduta.
È Elle ora a urlare. «Pensi che io sia egoista? Tu non sei diverso da me, le cose si fanno in due». Si siede sul tavolino davanti a me e mi pianta le unghie nelle guance quando arpiona il mio viso. «Tu, che dai tanto dell'egoista a me, che sei stato preso dai tuoi sentimenti», dice rabbiosa, quasi schifata, «e, quindi, da te stesso... ti sei accorto che uno dei tuoi amici è perso per una mia amica, eh?»
Lascia il mio viso dolorante, come se avesse la vittoria in tasca, la prova schiacciante del mio evidente egoismo, come se i miei sentimenti fossero più importanti di quelli degli altri.
Posso affermare di aver avuto dei sospetti, ma che non ho mai indagato oltre perché non sono fatti miei. Magari ho pensato di essermi immaginato le cose, ma di sicuro so che non mi riguarda, e che se uno dei miei amici ha bisogno di sfogarsi sa di trovare in me un ascoltatore.
Solo perché non ho condiviso con lei i miei dubbi, non vuol dire che non ne abbia avuti. E, solo perché sono dubbi, non vuol dire che io debba andare alla ricerca della verità a riguardo, quando non mi riguarda perché è una faccenda privata.
Il mio silenzio, però, sembra aizzarla. «Vedi, zero. È così da Parigi. Edward prova qualcosa per Jane. E lo sapresti, se non pensassi solo a te stesso».
«Il fatto che io non abbia sbandierato un qualcosa che ho notato ai quattro venti, non vuol dire che non l'abbia visto». Mi alzo e così anche il mio tono di voce, che si fa più imperioso. «Il fatto che non ne abbia parlato con te, non vuol dire che io non abbia badato a queste cose. Mi dispiace, Elle, ma come hai detto tu siamo sempre stati scopamici. Non devo dirti tutto quello che mi riguarda».
E, per la prima volta, vedo che sono riuscito a ferirla. Potrei prenderla come una vittoria, la dimostrazione del fatto che non è impermeabile come vuole sembrare, ma sono troppo incazzato per accontentarmi delle briciole.
Voleva che mi lasciassi prendere dalla rabbia? Beh, l'ho fatto, ma l'ho usata contro di lei, ed Elle non se lo aspettava.
«Parli così solo perché non sai accorgerti degli altri». Mi guarda con rinnovata cattiveria. «Ma certo, l'egoista sono io, continua a ripetertelo».
«Sei solo una stronza». Inveisco senza pentirmene. «Stai cercando di cambiare argomento ma, ehi, vuoi sapere una cosa? Tentativo fallito, Elle». Mi devo levare qualche sassolino dalle scarpe, è tardi per tornare indietro. «La verità è che hai torto e i tuoi argomenti per cercare di far ricadere la colpa su di me sono ridicoli. Cercare di colpire su altri fronti rende il tuo tentativo ancora più patetico».
Se serve a farla crescere ben venga. In fondo lei con me non si è risparmiata e, per quanto faccia male, ho imparato ad alzare la testa. Lei dovrebbe imparare a guardarsi allo specchio e ad affrontarsi, perché è la peggior nemica di se stessa.
Non si aspettava certe parole da me, dal mite Sebastian sempre pronto ad assecondarla. Una lacrima le fende la guancia e fa male, è come se fosse la dimostrazione visiva della ferita che le ho scavato dentro. Colpisce più dei pianti a dirotto a cui ho assistito finora. So che c'è tutto il suo dolore, ma sono troppo arrabbiato per dispiacermi per lei.
«Quello che odio è che non capisci quello che sei per me». Non so perché mi ostino a riversarle addosso una sincerità che non merita, ma ormai non riesco più a contenermi. «Anzi, lo capisci e te ne freghi, ed è anche peggio. Mi uccidi con ogni tuo tocco, che sembra sempre essere il primo, ma per te non vuole dire nulla. Ora sono stanco».
E, in questo modo, so di aver messo un punto al discorso.
Un punto che diventa la parola fine sul nostro rapporto insieme, ma non c'era più terreno su cui andare avanti. Uno dei due doveva farlo e, a sorpresa, l'ho fatto io per entrambi.
Elle deve aver capito che la conversazione è finita, tanto che si ricompone e va alla ricerca della freddezza con cui mi ha trattato dal nostro appuntamento. «Sai, credevo fossi un uomo, invece sei solo un ragazzino».
Questo vomitarsi addosso offese non ha più senso, ma ormai siamo lontani abbastanza per ferirci in più modi di quelli che conosciamo così, dopo essermi arreso all'evidenza, mi avvicino alla porta con una calma inadeguata al momento.
«Sai che c'è, Elle?» Apro la porta, in un chiaro invito. «Vaffanculo».
Una parola tanto volgare detta però in modo cortese, calmo, giusto a sottolineare la gravità della situazione.
Raccoglie l'invito a testa alta, ma non sa che l'aspetto tradisce quello che prova e sembra passata per una battaglia che l'ha vista martoriata dai colpi. Probabilmente ho le stesse sembianze, perché la nostra è stata una guerra e nessuno dei due, alla fine, ne è uscito vincitore, ma almeno io ho l'accortezza di ammetterlo.
Prima di andarsene torna a osservarmi e, quando il suo sguardo aggancia il mio, risponde pacata: «Vedi, ancora non hai capito. Non vaffanculo, piuttosto dovresti dire andare a farsi fottere».
So che non si aspettava una chiusura da parte mia, convinta che potessi tornare da lei in ginocchio e accettare ogni sua condizione, ma questa volta le cose sono andate in modo diverso. Cerca di chiudere in bellezza, ma la verità è che la sua ironia è un grande buco nell'acqua che non mi scalfisce come vorrebbe. Non più.
«Beh, l'importante è che tu ti faccia fottere da qualcun altro, perché non è più un problema mio». Detto questo chiudo la porta con decisione.
Un punto fermo.
Una fine.
Me la sono lasciata alle spalle.
Ho finalmente la mia dignità, ma l'ho ottenuta a caro prezzo. Ho gestito io la situazione e ho il coltello dalla parte del manico, però non ho più niente. Penso che, dopotutto, la cosa che c'era tra noi fosse destinata a finire in questo modo. In fondo è ciò che le calamità si lasciano alle spalle dopo il loro passaggio, le macerie di quello che è stato e il nulla di quello che è.
Resto in ascolto del suo uscio che si chiude e, una volta che mi sento al sicuro, appoggio la fronte alla porta davanti a me e sferro un pugno al primo pezzo di muro a portata di nocche.
E poi un altro.
E un altro ancora.
È un dolore necessario, un male che copre quello che ho dentro, creato da un qualcosa di definitivo che ora c'è tra me ed Elle.
Soltanto quando vedo il muro leggermente sporco di sangue, mi accorgo della pelle aperta sulle nocche. Ed è in questo momento che i due dolori si mischiano per fluire insieme con rinnovata forza.
Mi appoggio alla porta con la schiena e mi lascio scivolare sul pavimento mentre libero qualche lacrima di frustrazione al pensiero che l'ho persa. L'ho persa davvero e per sempre.
Sapevo che la discussione sarebbe finita in malo modo, ma non immaginavo nemmeno una simile risoluzione. Fa male, più della mano che gocciola sangue.
Mi asciugo gli occhi, cercando di portar via il vuoto che sembra aver preso posto dove ho il cuore, dove c'era Elle. Mi alzo e, d'istinto, prendo il telefono per comporre il primo numero che mi viene in mente. È un gesto automatico, in questi casi. Sopravvivenza.
«Amore mio, come stai?» Esordisce dall'altra parte.
Sospiro, come se quelle semplici parole fossero sufficienti per curare ogni mia ferita, sia quella in superficie sia quelle più profonde. È la sensazione calda e accogliente che mi fa capire che lei sarà sempre il mio posto preferito nel mondo, tanto da farmi scendere nuove lacrime.
«Mamma, mi hai sempre detto che crescere è difficile. Ma non pensavo potesse fare così male».
So che avrei dovuto esordire in maniera meno diretta per evitare di farla preoccupare, ma è stato uno sforzo anche pronunciare una sola frase, non avrei retto anche i convenevoli che mi avrebbero portato al succo della telefonata. Sono stremato.
La sento schiarirsi la voce, si è fatta subito carico di un dolore che non è il suo e ha un nodo in gola, le sento appena parla: «Vieni qui, ti va? Ho bisogno di abbracciarti».
E, forse, è l'unica cosa di cui ho bisogno per sentire che qualcosa può andare ancora bene.
«Arrivo». Chiudo la telefonata ed esco di casa senza guardarmi indietro nemmeno una volta.
*
Fred è riuscito a raggiungermi a tempo record per portarmi a Richmond-upon-Thames, dove i miei vivono.
Il tragitto è stato un'agonia. Avrei voluto distrarmi, ma la mente – quella stronza – ha continuato a ripropormi la lite con Elle. Sarebbe potuta finire diversamente? Avrei potuto dire qualcosa di diverso? Avremmo potuto fermarci prima che fosse troppo tardi?
Rivivo ogni istante e fa più male del precedente. Ed è così che mi ritrovo a dire a Fred che mi accendo una sigaretta, senza sapere se posso e senza chiedergli il permesso.
Mi nascondo dietro gli occhiali da sole anche se l'auto ha i vetri oscurati. So di avere un pessimo aspetto ma, soprattutto, voglio vedere il mondo come me lo sento cucito addosso: nero.
Controllo la fasciatura che mi sono fatto alla mano. Vorrei poter dire che non si nota, ma è impossibile, dato che siamo in piena estate e ho una maglietta a maniche corte. Mi sento un vero stronzo a mostrare una simile ferita a mia madre, che si preoccuperà più del dovuto. La verità è fuori discussione, quindi mi inventerò qualcosa come scusa adatta. La mia goffaggine può giocare a mio favore, in questo caso.
Sbuffo, stanco e alterato.
Il punto è che le parole di Elle stanno radicando in me, in quel punto dove lei stessa ha aperto una crepa. Sa dove colpire e, senza niente da fare, ci rifletto sopra più del dovuto.
E altre domande mi affollano la mente: sono davvero così egoista? E se fossi davvero un pessimo amico? Avendo notato l'interesse di Edward avrei dovuto affrontare l'argomento?
Stringo i pugni al pensiero. Se i miei amici, in questo momento, mi parlassero di Elle perché hanno notato qualcosa non la prenderei bene, mi chiuderei a riccio perché è un argomento off limits. Out of bounds, per dirla alla maniera britannica. Un tabù.
Stringo i pugni. La odio.
Alla fine è riuscita a farmi stare come voleva lei, ancora una volta. E non c'è dubbio che io stia di merda.
Arriviamo nella via dei miei e, dopo aver ringraziato Fred, soprattutto per la comprensione nei confronti della mia intolleranza, scendo dall'auto e percorro il vialetto che mi conduce alla soglia, già aperta per permettere a mia mamma di vedermi arrivare, deve aver sentito l'auto imboccare il vialetto. È molto tranquilla come zona.
Appena la vedo mi si apre un sorriso triste, che non riesce a contagiare gli occhi, e ringrazio di aver indossato gli occhiali da sole nonostante la giornata nuvolosa. Già devo essere uno spettacolo orribile, non voglio che riesca a leggere quanto io sia a pezzi. Non subito, almeno.
Per quanto io stia da schifo sono a casa, e mi sento davvero nell'unico luogo in cui potrei essere ora.
Mi abbraccia con amore incondizionato, nonostante io la sovrasti, tanto da appoggiare il mento sulla sua testa. «È bello averti qui». Non so dire il perché, ma so che con quel qui intende tra le sue braccia.
La profondità e il calore di quel gesto mi ricordano che non vorrei essere da nessun'altra parte, ora. Mi fa sentire amato, di quell'amore incondizionato che solo chi ti ha messo al mondo sa darti.
Mi accarezza una guancia, quasi avesse percepito quanto sotto le lenti io, in realtà, sia tirato. «Entra».
Espiro e appena metto piede in casa, con la mano nella sua, mi dimentico di tutto il male e ogni dubbio viene chiuso fuori dalla porta. Mi diventa estraneo, colpisce con meno intensità.
Ho mille difetti, me ne rendo conto, ma l'amore che provo non può esserlo.
Sospiro di sollievo nel sentire l'odore di biscotti. So che la giornata finirà bene, al contrario di come è iniziata.
Buongiorgio!
Sono ancora qua, con quellO che, a posteriori, considererei il secondo atto della scena sul London eye. Seb sempre più stanco, Elle sempre più in tilt.
Ma non preoccupatevi, arriveranno anche momenti divertenti, soprattutto perché sono circondati da un gruppo di creti... ehm, amici, molto particolare. E quando entrano in gioco loro ci saranno i veri casini 😂.
Come ragionavo sui miei social, ho pensato di prendermi la consueta pausa ad agosto. Quindi, oltre a questo capitolo, ci saranno altri tre aggiornamenti prima delle "vacanze". E, secondo i miei calcoli, l'ultimo dovrebbe arrivare il 5 agosto.
È un modo per permettere a tutti di godersi l'estate e a me di accumulare un po' di capitoli in più. Spero di riuscire nell'intento perché con me è un terno al lotto!
PS: La canzone di questo capitolo è HARD FOR ME - MICHELE MORRONE, che aggiungerò alla playlist iniziale.
A presto, con un capitolo divertente, in cui conosceremo un po' di più un personaggio visto pochissimissimo!
Cris
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