13. Let's party!
Nel pomeriggio, quando Rachel è la prima a rientrare a casa, lascio le ragazze alla loro privacy e le saluto con la promessa di rivederci per le sette sul pianerottolo.
Finché Rachel non è rientrata, però, ho passato la giornata tra un bacio, un abbraccio o una carezza di Elle e una telefonata o un messaggio di chi ha avuto un pensiero per farmi gli auguri.
E, per quanto la gente sia stata carina, ho odiato ogni suono emesso dal mio cellulare, ma non ho potuto non rispondere. Erano amici, parenti e colleghi che volevano dedicarmi un minimo del loro tempo, non potevo non fare altrettanto per il mio egoismo.
Ora, tra le mura del nostro appartamento, sono fresco di doccia, pronto per vestirmi per fare colpo. Anche se, al momento, sono ancora in abbigliamento casual. Molto casalingo e molto discutibile. Ma per fumare una sigaretta con i miei amici sul balcone non ho bisogno di smoking, per fortuna, altrimenti dovremmo smettere tutti di fumare. Tutti eccetto Ed, lui non ha mai iniziato. Bravo Edward, almeno dimostra che uno di noi non proprio testa di cazzo c'è, dopotutto.
«Amico». Daniel mi guarda e fischia. «Sei un fiore! Hai intenzione di uscire così, stasera? Potresti fare una strage!»
Osserva la mia t-shirt, che forse ha un buco sullo sterno, per proseguire sui boxer e le calze da basket abbinate alle ciabatte cento percento tutta plastica con le bande bianche e nere che indosso. Penso ci siano senzatetto, là fuori, vestiti meglio del sottoscritto.
«Sei un cretino». Lo apostrofo, con la voglia di assestargli uno schiaffo sulla nuca così forte da rimettergli in moto i due neuroni che si ritrova, ma in realtà sento il bisogno di giustificarmi. «Sei soltanto invidioso perché con un paio di jeans sono a posto, mentre tu sei lì, a pensare a cosa indossare, per poi prenderti un due di picche».
L'ho detto che invecchiare mi rende nervoso e tendo a diventare stronzo?
No? Ecco, ora è di dominio pubblico.
«Dai, Seb!» Si intromette Charles, anche se Dan non sembra toccato dalla mia frecciatina, a stemperare gli animi. «Per una sera vestiti in modo decente, metti da parte il tuo look da scappato di casa». Dovete sapere che Charlie ha una passione per il vestire e, spesso, ragiona come Francine.
«Sei peggio della mia agente!» Lo apostrofo, con l'indice puntato verso il suo petto in tono d'accusa.
«Una camicia non ti ucciderà» risponde, per nulla intimorito dal mio linguaggio non verbale. Dio, sto perdendo colpi.
«Magari trovi qualcuna da rimorchiare». È Dan a infierire. Ci manca solo che se ne esca pure Ed per darmi il colpo di grazia con una frase del tipo: quei capelli sono il ricettacolo della forfora, vergognati.
E io, la forfora, mica ce l'ho.
«Una camicia non farà la differenza». Faccio notare ai miei amici.
«Se non provi, non lo sai». Dan si rivolge a me con fare solenne, come se stessimo parlando di fisica quantistica e di riduzione delle polveri sottili e non di un maledettissimo capo d'abbigliamento.
Edward arriva a mettere fine al nostro teatrino e ci richiama all'ordine, mancano una decina di minuti alle sette e noi siamo ancora mezzi nudi e impresentabili.
È così che entro in camera mia, apro l'armadio e passo il tempo a fissare le camicie appese, alla ricerca di una azzurra perché Victor – mio fratello che lavora come creative director da un famoso stilista – mi ha detto che mi fa risaltare gli occhi.
Sono volubile, lo so benissimo, ma se tutti ci tengono a vedermi conciato in questo modo, chi sono io per privarli di una simile gioia? E, soprattutto, se i miei amici avessero ragione sul rimorchiare grazie a una camicia? In fondo le donne badano sempre a queste cose.
Tentar non nuoce.
Ne pesco una di jeans, da mettere su dei calzoni neri e delle Vans classiche ed è così che mi presento dopo poco sul pianerottolo, pronto a festeggiare i miei diciotto anni con otto anni di esperienza alle spalle.
Appena le ragazze mi vedono rinnovano i loro auguri, soprattutto Jane, che non mi ha ancora incrociato durante la giornata.
«Ti sta d'incanto questa camicia, ti fa risaltare gli occhi!» Aggiunge poi, dopo avermi osservato ammirata.
«Grazie, troppo gentile» rispondo con un sorriso, ma vorrei alzare gli occhi al cielo. Vorrei ricordare al mio gruppo di amici che ok, anche se non metto la camicia al posto delle solite magliette, sono comunque solito indossarle a causa dei mille eventi formali a cui partecipo un giorno sì e l'altro pure, non c'è da renderlo un evento eclatante.
Elle, con la scusa di darmi un bacio di compleanno sulla guancia, come se non ne avessi ricevuti altri cento da lei durante il giorno, si avvicina a me, per poi bisbigliare: «Stai veramente bene così, però ti preferisco senza niente addosso».
Mi strizza l'occhio prima di allontanarsi da me, con un'aria maliziosa a incorniciarle il sorriso, e all'improvviso riacquisto il buonumore e ringrazio mentalmente i miei amici per avermi costretto a indossare la camicia. Penso che d'ora in poi la userò anche a dormire.
La guardo estasiato, con un'espressione ebete dipinta in volto e, mentre scendo le scale, quasi mi uccido perché salto per sbaglio un gradino. È l'effetto che Elle, i suoi gesti e le parole portano con sé, ma non riesco a farci l'abitudine.
Tra una camminata e un giro in metropolitana ci ritroviamo davanti al pub scelto dai ragazzi, ma sembra chiuso. Le luci sono fioche – troppo, anche per essere un pub – e dentro non c'è anima viva.
«Che sfiga! Sembrava carino» Sospiro. Ora bisogna riorganizzarsi di nuovo e non sarà facile. «Dove andiamo?»
Per tutta risposta mi arrivano tante risate diverse.
«Ma no, ha le luci soffuse!» Charlie sembra più ottimista di me.
Un conto è voler creare la giusta atmosfera, ma quella che vedo io è la stessa che si può trovare in un cimitero. Non proprio l'ideale per una festa di compleanno.
«Avanti, entriamo!» Rachel mi prende sotto braccio e mi spinge avanti, più sicura di me nel compiere quel gesto.
La cosa strana è che, effettivamente, la porta è aperta e non me lo aspettavo.
Il bancone, l'unico pezzo d'arredamento nell'entrata, è deserto, così scendo i tre scalini che sembrano portare alla sala in cui si beve per vedere se cambia la situazione.
Rachel lascia il mio braccio perché i gradini sono stretti, ma la situazione non cambia: non c'è nessuno e tutto è spento. Sembra di essere in un episodio di The walking dead e la cosa mi rende un po' nervoso, dato che non sarei in grado di sopravvivere una giornata in un mondo simile.
Altra cosa che fa peggiorare le circostanze è che, dopo essere sceso, non sento più i miei amici alle spalle. Sono solo.
«Ehi, dove siete?» Chiedo, spaventato.
Ma, magia, alle mie parole tutto si illumina e posso vedere ciò che mi circonda con chiarezza: la scritta buon compleanno sul muro, mamma, papà, Victor e Marcus. I miei amici e qualche altro conoscente che vedo sempre volentieri.
Nemmeno per un momento ho pensato a una festa a sorpresa, quindi devo dire che la cosa è riuscita alla perfezione.
Sorrido, grato per quel regalo immenso, perché non potrei chiedere di meglio.
«Tanti auguri!» Urlano entusiasti i più, mentre qualcuno esordisce con un: «Sorpresa!» Che rende l'effetto ancora migliore per via della spontaneità della faccenda.
Mi sento la persona più fortunata sulla faccia della terra.
D'istinto vado dai miei genitori per abbracciarli. «Grazie per la sorpresa e per essere qui!»
I miei sono pantofolai. Amano curare il giardino, parlare con i vicini e sono poco avvezzi alla mondanità, anche se qualche volta non disdegnano andare nel loro ristorante preferito. So che uscire la sera e arrivare fino al centro di Londra, dunque, è un evento in piena regola, per loro.
Quando li convinco a partecipare a qualche premier o a qualche premio, la loro presenza è più importante della manifestazione stessa.
«Auguri, piccolo mio». Mia mamma mi accarezza una guancia mentre mi sorride.
«Mamma!» La rimprovero, anche se non mi sottraggo al suo gesto, perché mi scalda il cuore.
«Su, lo so che sei un uomo. Un uomo con i fiocchi, se permetti, ma sarei sempre il mio piccolino».
Eccolo, il vantaggio di essere il minore di tre fratelli. Puoi essere alto un metro e novanta, puoi pesare più di ottanta chili, spuntare tra la folla come farebbe un palo della luce in mezzo alla pianura, ma rimarrai sempre il piccolo di mamma.
Lo accetto volentieri, io so che sono il suo preferito, alla faccia di Victor e Marcus. So che in caso di necessità sacrificherebbe loro per salvare me. O così mi piace pensare.
«Per la festa ringrazia i tuoi amici, sono loro ad aver organizzato tutto» Interviene mio padre, raccontandomi una verità che non avrei mai preso in considerazione.
Nel frattempo Dan si avvicina per porgermi un bicchiere di birra appena spillato. «Per te».
«Grazie. Non solo per la birra, ma per questo». E, per sottolineare la cosa, indico lo spazio che ci circonda. È bello vedere come la gente si diverte, parla con gli altri, balla e passa il tempo rilassandosi. «A te e agli altri».
«Oh, ci mancherebbe. È una festicciola informale. Ogni scusa è buona per bere!» Alza la sua pinta verso i miei genitori per festeggiare. Mamma e papà lo conoscono così bene che non si scandalizzano per certe uscite. «Beth, Philip».
Si congeda così, mentre torna nel vivo della festa, rapito dai miei fratelli. Sono così in confidenza che non mi stupirebbe vederli uscire insieme qualche volta per sbronzarsi a dovere.
«Ciao, caro!» Mia mamma lo saluta anche se è già lontano, prima di tornare a concentrarsi su di me. «Stai bene? Mangiate voi ragazzi?» Non mi lascia il tempo di rispondere che continua: «Mi sembri dimagrito, ma pare che Londra ti faccia bene».
Beth Collins in Hartford è così: iperprotettiva e ansiosa, ed è fantastica proprio per questo. Mi fa notare che sono magro, come se avessi mai avuto il fisico di Chris Evans, poi però dice che mi trova bene.
Non so se dipenda dal mio sorriso, dalla mia rilassatezza o altro, ma so che mi si può leggere in faccia quanto io, al momento, sia in forma, soprattutto perché non faccio nulla per nasconderlo.
«Sì, mangio. E non sono dimagrito, porto la stessa taglia di sempre. Ma sì, essere a casa mi rende felice». Le dico tra un sorso di birra e l'altro. «Voi come state, piuttosto? Vi danno fastidio i paparazzi?»
«Solita vita!» Minimizza con un gesto della mano. «Però il giardino è una meraviglia, un tripudio di fiori!»
«E ho montato il nuovo barbecue. Quando vieni lo dobbiamo provare assolutamente». Mio padre si infila nel discorso per bilanciare un po' le quote azzurre, in netta minoranza rispetto all'esuberante carattere di mia mamma. «E tranquillo, quegli avvoltoi non si intromettono nelle nostre vite».
Sospiro di sollievo. Quando il gossip impazza, spesso se li ritrovano fuori di casa nella speranza di avere notizie in anteprima o cercare di beccarmi quando mi do alla macchia, motivo per cui non sto dai miei, preferisco che vivano in tranquillità.
Mentre continuiamo a parlare mi guardo in giro per controllare che tutti si stiano divertendo, soprattutto Elle. La quale, sentendosi osservata, si gira verso di me e mi sorride, e ricambio allo stesso modo, anche se è difficile vederla parlare con Marcus che, tra noi tre, è decisamente il più abile con le ragazze.
Ritorno dai miei genitori, che mi stanno raccontando della crociera che hanno prenotato in Grecia – perché pantofolai sì, ma per le ferie fanno un'eccezione – a settembre, ma io ho lo sguardo imbambolato altrove, lo so.
«Seb, ci sei?» Mio padre non si lascia sfuggire la distrazione, ma non capisce dove la mia mente vada a parare in questo momento, per fortuna.
«Certo!» rispondo con troppa enfasi. È vero che sono un uomo e mi è sconosciuto il significato del multitasking, ma giuro che sono riuscito a osservare ogni movimento di Elle e ascoltare il loro discorso. Circa. Diciamo le parole chiave. Crociera. Grecia. Settembre. Santorini. Atene. Acropoli. Ma ne stanno parlando da talmente tanto tempo che praticamente è come se il viaggio l'avessi organizzato io.
«Phil, vai a salutare Vic e Marcus». Mia madre esorta papà a darsi una mossa.
«Andate già?» Sono confuso.
«Oh, sì, largo ai giovani. Non abbiamo già avuto la nostra botta di mondanità! Siamo passati per un saluto veloce. Divertiti con gli amici e i tuoi fratelli! Tanto ci vediamo presto, quando passi da casa». E, nel concludere il discorso mi accarezza la guancia. «Seb?»
«Sì?» Mi risveglio dal calore del suo contatto. Attore o no, l'affetto dei genitori è una delle cose che preferirò sempre a tutto il resto.
«Chi è?» Mia mamma mi sorride in modo furbo, ma non comprendo, non in un primo momento, almeno.
«Chi è chi?» Cerco di sviare il discorso, ma ora mi è chiaro il motivo per cui ha allontanato papà, perché avrebbe arginato la sua curiosità. È una stratega, per fortuna non le ho insegnato a giocare a Risiko, altrimenti sarei spacciato.
«Chi è la ragazza per cui hai perso la testa?» Passa il pollice sulla guancia a mo' di carezza, forse nel tentativo di rendere la domanda meno compromettente, ma non ci riesce. «Tu puoi anche mentirmi, ma i tuoi occhi no. Non a me».
Ed è il motivo per cui amo mia madre, mi conosce così bene da mettermi alle strette anche quando non vorrei. Ed è il motivo per cui, forse, a volte mi infastidisce.
Mi torturo i capelli e tento di prendere tempo, così le sorrido nel modo in cui piace tanto a tutte, anche a lei. Sì, sto cercando di incantare mia madre, ma lei ha anni di esperienza alle spalle ed è allenata, non sono sicuro di riuscire nel mio intento. «Preferirei non parlarne».
«Oh, la ragazza bionda scura che ci fissa è veramente deliziosa. Se ne trovano poche di bionde naturali in giro, è proprio una perla rara». Sorride divertita, sapendo benissimo di averci preso.
Ma come fanno le mamme a sapere sempre tutto?
Se Beth Collins facesse parte degli Avengers non ci sarebbe Thanos che tenga, ve lo dico io. Anche Tony Stark si inginocchierebbe davanti a tanta magnificenza.
Mio padre torna da noi, interrompendo quel dialogo che mi avrebbe visto perdere in modo misero, e li accompagno alla porta del pub per controllare che salgano in auto senza essere disturbati. Li saluto con la mano mentre partono nel silenzio della notte, dato che siamo in una parte della città abbastanza tranquilla.
Nel tornare al pub mi accorgo che fuori, per tenere lontano la gente, c'è un'insegna – di quelle che si appoggiano a terra e con cui si scrive con i gessetti – che recita: party privato casa di riposo S. Matthew.
Rido di cuore, perché ho degli amici genialmente cretini!
Una volta tornato alla festa mi dedico agli invitati. Mi avvicino a Victor e Marcus per allontanarli da Elle, prima che ci mettano gli occhi sopra, come se quell'interagire con le ragazze fosse stato il loro vero obiettivo dall'inizio della serata. Un plot twist inaspettato, certo.
Una volta che ho sviato l'attenzione dei miei fratelli mi intrattengo con amici che non vedo da una vita. Hayden Evans si presenta con la sua ragazza, una ex modella di intimo che ho conosciuto a Los Angeles tanto tempo fa, e ci sono altre persone che vedo davvero volentieri.
Rachel è ubriaca e si mette a cantare a squarciagola ogni canzone della playlist pensata per la festa e riesce a coinvolgere gran parte degli invitati, scatenando l'ilarità generale.
È arrivata la torta e ho aperto i regali. I ragazzi mi hanno regalato nuovi giochi della Play, un modo per passare il tempo insieme, ma anche giochi di ruolo che posso fare quando loro non ci sono e io rimango da solo a casa.
Si preoccupano di come impiego le mie giornate, ma la verità è che io so bene come occupare il mio tempo, anche se loro non ne sono a conoscenza. Ed è difficile non fissare Elle tutto il tempo e rendere palese quello che ci lega, anche se viaggiamo su due frequenze diverse.
Sto ballando con Jane dopo essere stato trascinato in mezzo alla pista dalla versione indemoniata e piena d'alcool di Rachel. Ok, ballare è una parola grossa, perché il senso del ritmo e io abbiamo preso due strade distinte quando sono nato, ma mi agito e lo faccio il meno possibile, in modo da causare pochi feriti attorno a me, non vorrei mai continuare la festa al pronto soccorso.
Mentre la canzone sfuma, Elle ci raggiunge e si rivolge alla coinquilina. «Scusa se te lo rubo, ma io non ho ancora ballato con il festeggiato».
Jane, in preda all'euforia del momento, cede il posto a Elle e va dai miei amici, dove Ed la accoglie raggiante, quasi non avesse aspettato altro per l'intera serata.
Mi giro verso Elle, pronto a riprendere la mia danza dello scimpanzé che ha appena scoperto di avere le braccia, quando la playlist mi lancia un tiro mancino e fa partire una canzone lenta.
Quindi mi domando: se oggi è il mio compleanno, perché lassù qualcuno ce l'ha su con me?
Un giorno di tregua è chiedere troppo?
«Ti piace la festa?» Elle, più a suo agio con la situazione, mette una mano sulla mia spalla.
Tutto diventa troppo intimo e anche respirare comporta una certa fatica. È come vorrei che fossimo sempre, senza un accordo di solo sesso a separarci, senza che sia un segreto per chi ci sta attorno.
«Molto». Mi prendo il mio regalo preferito di compleanno e le stringo la vita con un braccio, mentre le porgo la mano, dove mette la sua, in quel posto che sembra fatto per lei. Lego a lei i miei sentimenti, come se potesse arrivarle tutto quello che oggi ho capito e che vorrei vedere ricambiato splenderle in faccia. «Sai che starnazzi decentemente?»
Con la testa le indico la zona dove prima ha accompagnato Rachel in una sorta di karaoke collettivo.
Per risposta mi dà una piccola spinta sul petto. Poi scuote la testa, allegra. «E tu riesci quasi a ballare, pensavo avresti ucciso qualcuno!»
«Beh, immagino che la gente sia in salvo solo perché è un lento, se no tu saresti la prima vittima»
«Non fa una piega». Mi sorride in modo dolce, poi deposita un bacio sulla mia guancia. Un bacio lento, più del ballo che stiamo affrontando. Uno di quelli che lascia il segno anche dopo che le labbra hanno abbandonato la pelle. Una marchiatura a fuoco che è difficile da ignorare. Quei baci che hanno mille sfumature e ancora più significati. «Ancora tanti auguri».
Le bacio la fronte con le parole che non le ho mai detto, con i sentimenti che oggi ho finalmente capito di provare. «Grazie».
Ondeggiamo sul posto in silenzio. Siamo qui per celebrare il mio compleanno, ma la verità è che sto festeggiando la mia rinascita, il primo giorno della mia consapevolezza. Quello che, ne sono sicuro, diventa il primo giorno della mia fine.
Hola! Scusate il ritardo, ma oggi è stata una giornata frenetica. Mi sono ritrovata nei panni di Seb di questo capitolo e del precedente, quindi ho passato più tempo al telefono oggi di tutto il mese scorso!
Ma veniamo a noi. Una festicciola tranquilla, niente di che, come piace a Seb. Ma è importante perché per lui è cambiato qualcosa e inizia ad agire di conseguenza. E il bello è che sua mamma l'ha sgamato subito 😂 Beth è davvero un Avenger a tempo perso!
E poi l'easter egg di Hayden e Imo. Una comparsa minuscola, ma ho amato inserirli qui.
La scorsa settimana mi sono dimenticata di aggiungere la canzone del capitolo, quindi la aggiungo oggi alla playlist: There's nothing holdin' me back – Shawn Mendes
Vi saluto perché non ho altro da dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
AH, per chi si fosse perso gli annunci instagram e Facebook: STO SCRIVENDO UNA STORIA BREVE A TEMA QUARANTENA.
La pubblicherò appena sarà conclusa, spero che come progetto possa interessarvi.
A presto (se non faccio male i calcoli sarà lunedì 25)
Cris
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