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12. Buon compleanno

Mi sveglio e sento che c'è qualcosa di diverso. Lo so, è quella sensazione che ti scorre sottopelle e si annida sulla nuca, la stessa che te la fa irrigidire per poi sentire dei brividi.

Guardo la data sulla sveglia – che ha la stessa età del primo cellulare mai visto sulla terra – e segna il 25 giugno.

Ora so cos'è questa sensazione funesta, lo so con certezza. È un anno in più che mi arriva alle spalle come una mazzata.

Oggi è il mio compleanno. Tanti auguri a me!

Venticinque, ventisei, cambia molto? A me nulla.

Anzi, inizio questa giornata con un gusto agrodolce in bocca.

L'amaro è dato dal fatto che, dopo sette anni di onorata carriera, mi ritrovo a essere il perfetto cliché hollywoodiano. Dopo mesi a rinnegare lo stile di vita sregolato dello star system, ora rientro anche io nello stereotipo.

Faccio quello che da me ci si è sempre aspettato: scopo come un riccio.

E questa è la parte dolce della faccenda. Lo scopare, intendo.

Ma, per tornare "all'agro", io non faccio sesso con la prima ragazza che mi respira davanti, non ne cambio una a notte. Io lo faccio sempre con la stessa ragazza, che però non è la mia ragazza, anche se non mi dispiacerebbe se lo fosse.

Bel casino, vero?

Confusione che viene alimentata dal fatto che passiamo tutto il tempo insieme. Con gli amici, ma anche da soli.

Io sono libero ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, ed Elle è – tra il gruppo che si è formato – quella che ha più momenti liberi, nonostante le lezioni e i vari lavori.

Ma non è il tempo libero a essere il nostro collante, lo è l'alchimia che ci segue anche fuori dal letto e mi fotte la testa. Come se il corpo non bastasse.

Ecco perché sono sempre spossato. Elle, in pratica, si fotte ogni parte di me.

Ed è su questi pensieri che vorrei darmi alla vodka, ma è un po' presto, quindi penso che passerò i super alcoolici e andrò direttamente alla cura di questa mia "sbronza mentale", che curerò con ettolitri di caffè.

«Auguri!» Urlano i miei amici, vestiti di tutto punto e intenti a fare la colazione, appena mi vedono.

«Grazie» rispondo squillante, mentre mi approprio della mia tazza fumante e mi siedo al tavolo con loro.

«Allora, stasera si festeggia?» È Dan a porre la domanda che, in realtà, anche gli altri miei amici vorrebbero fare. Hanno lo sguardo acceso di curiosità e divertimento. Cazzo, prevedo guai in vista.

«Oh sì, ho chiamato Miley Cyrus, le ho fatto affittare Buckingham Palace – di modo da sfrattare Betty, come se in questo periodo non fosse già abbastanza incazzata per colpa di Meghan – e abbiamo invitato solo i miei amici intimi: giusto due o tre mila persone. Non vi è arrivato l'invito? Senza non si entra!» Li prendo in giro con l'indice alzato che ondeggia, in chiaro segno di divieto e ammonimento.

«Una cosa sobria» commenta Charles con un sorriso sulle labbra.

«Assolutamente». Sto al gioco. «Qualche artista del circo, dei nani, dei mangiatori di fuoco, un paio di elefanti, una ruota panoramica e un dj set di Steve Aoki. Profilo basso, come piace a me».

«Niente spogliarellista?» Edward si finge scandalizzato.

«Naah, troppo pacchiana come cosa» ribatto, come se ci dovessi anche pensare. E, soprattutto, come se il resto che ho citato facesse di un evento dell'alta società.

«Peccato, io avevo in mente un paio di numeri...»

«Un paio? Non è da te, Dan!» Edward si intromette nel discorso.

«Ehi, calma con queste eresie. Era solo un inizio, il mio». Dan non manca di mettere in chiaro la sua posizione, come se ce ne fosse bisogno. «Le mie fantasie sessuali arrivano a quota trentotto, non mi fermo alla cifra singola!»

Tutti ridiamo delle sue scemenze, anche se sappiamo che il numero è arrotondato per difetto, un modo per mantenere un minimo di dignità apparente.

È Charlie a riportarci alla realtà. «Scherzi a parte, cosa vuoi fare stasera?»

Beh, con la scusa che tutti lavorano a parte me ed è un giorno infrasettimanale, non mi sono fatto un vero e proprio programma, anche perché non amo festeggiare il mio compleanno, sono già troppo al centro dell'attenzione per il lavoro.

«Noi, le ragazze, un pub e delle birre». Non mi serve niente di più per essere felice, non quando ho tutto quello che mi serve per esserlo a portata di mano.

«Signori, questi sì che sono i festeggiamenti di una star di Hollywood!» Eddie si prende gioco di me e riempiamo la stanza di altre risate. In fondo basta poco per essere soddisfatti della propria vita, e questo momento – per me – ne è la più grande dimostrazione.

Non conta cosa si fa, ma con chi.

«Il pub possiamo sceglierlo noi?» Charles avanza questa strana proposta. «Ti fidi?»

Non più che di uno squalo bianco che segue una scia di sangue e che promette di non divorarti, ma non mi sento di contraddirli.

«Sì, di voi sì», indico lui ed Eddie, prima di passare a Daniel, «di lui no. Cos'avevate in mente?»

«Un pub nuovo, non molto grande, ma merita. Si chiama Three heads. È tranquillo e anche un po' nascosto».

Sembra avere tutti i requisiti per contenere la mia ingombrante fama prima che mi rovini la festa, quindi accetto, anche se ignoro il motivo per cui vogliono andare proprio lì. Certe volte, quando ci sono di mezzo i miei amici, meno cose si sanno e meglio è.

«Direi che è l'ideale. Andato! Grazie». Ringraziarli mi sembra il minimo, dato che mi hanno levato il problema di pensare a dove andare.

Veniamo interrotti da delle nocche sulla porta, così ci ritroviamo a urlare indistintamente che è aperta.

«Ciao a tutti, ma soprattutto al festeggiato. Auguri!» Jane entra con un'espressione che cerca di essere solare, ma in realtà è solo strana. Un po' inquietante, tipo il sorriso di Joker. Ognuno è libero di scegliersi il proprio preferito, ma il concetto rimane lo stesso: è tutto, tranne che naturale e contagioso.

La ringrazio e la invito a entrare, ha scritto in faccia che vuole chiederci qualcosa.

«Scusate se vi disturbo». Non sa come continuare, ma si acciglia mentre pensa a come formulare il concetto al meglio. «Rachel però è a lavoro e non è passata lei prima per paura di svegliarvi. A proposito, ti fa gli auguri anche lei!»

La ringrazio mentre bevo il mio caffè. È come la scena di apertura di un film. C'è l'azione che dà il via a tutto, una cosa che sembra non avere il minimo senso finché, alla fine della scena, tutto assume un significato. Ecco, Jane sta per dare la svolta alla scena di apertura di questa giornata, ce l'ha scritto in faccia.

«Potreste controllare Elle, stamattina? È strana. Anche per i suoi standard». Tenta di scherzarci su, ma la sua preoccupazione traspare da quelle parole.

«Cosa è successo?» Cerco di controllare il tono, non voglio sembrare troppo coinvolto, ma sono allarmato. Se anche le sue amiche sono apprensive nei suoi confronti, deve esserci sotto qualcosa che non va.

«Boh. Continua a guardare il computer, piange. Ha già scritto ai compagni di corso che oggi non si presenterà in aula studio per preparare il proprio progetto finale e ha cancellato tutti gli appuntamenti con i cani in programma». Sospira, un segno di impotenza davanti al muro che Elle sembra aver eretto attorno a sé. Regina di una fortezza inespugnabile. Forte, ma terribilmente sola.

«Abbiamo provato a chiederle se le serve una mano, ma ha detto di voler restare sola. Magari con voi parla, o si svaga, non so. Sono preoccupata, ma devo correre a lavoro».

La vedo mordicchiarsi un'unghia in preda all'ansia. Pessimo segno. Se una donna rinuncia alla sua manicure c'è sotto qualcosa di grave. Anche se, lo ammetto, non so se Jane è tipa da smalto, non ci ho mai fatto caso.

«Se non vi ascolta controllate almeno che non muoia di stenti, o affogata nelle sue stesse lacrime». Non ci dà tempo di rispondere, conscia che troveremo un modo per monitorare la situazione, guarda l'ora e ci saluta. «Grazie, siete dei tesori. Scappo, ma se succede qualcosa chiamatemi!»

«Mi dispiace che non stia bene, chissà cosa è successo». Charlie è il primo a prendere parola, è pensieroso. «Vorrei aiutarla, ma devo correre a lavoro».

Ed ecco che iniziamo a perdere i pezzi.

«Anche io». Ed, ugualmente preoccupato, mastica una parolaccia mentre cerca una soluzione.

«Io ho un provino, non posso spostarlo». Anche Daniel è solenne nel dire una cosa simile, non ci mette il solito sarcasmo.

È normale che tocchi a me, per tanti aspetti. Perché sono quello con più tempo libero e si può immolare, perché con lei ci passo tanto tempo e ci faccio sesso, e non è giusto che si senta usata in questo modo. Ma, soprattutto, perché mi piace davvero e soltanto sapere che sta male fa mancare il fiato a me.

Sento il bisogno fisico di controllare come sta.

«Tranquilli, vado io. Non ho nulla da fare e lo faccio volentieri». Non aspetto le loro risposte e vado in camera a vestirmi.

«Grazie Seb, vorremmo esserci anche noi, ma tu hai molto più tempo libero». Conviene Edward, quasi dovesse giustificarsi per dover andare a lavorare.

«Non preoccupatevi. Se la situazione si fa complicata vi scrivo. Ora corro» dico, dopo essermi infilato la maglia pulita, mentre mi lavo i denti. Spero che mi abbiano capito.

In un attimo tutti e tre escono, ognuno diretto in un luogo diverso, e io mi catapulto nell'appartamento delle ragazze.

Entro senza chiedere il permesso, so che Jane ha lasciato la porta aperta per permettere a noi di controllare senza problemi.

«Ehi, ciao! Tantissimi auguri di buon compleanno!» Elle è sul divano e si gira, spaventata dal rumore della porta. Si tampona gli occhi con le mani e cerca di fare l'indifferente mentre chiude il computer portatile, come se volesse evitare che io possa leggere qualcosa sullo schermo.

Odio che stia cercando di nascondermi qualcosa, perché vuol dire che non si fida abbastanza di me, che sta tagliando fuori tutti perché vuole farcela da sola a ogni costo.

«Sì, ok, grazie». Minimizzo con un gesto della mano, intanto la raggiungo e mi siedo vicino a lei. Un modo per farle capire che ci sono, ma che non voglio essere oppressivo. «Ma basta con questa stronzata del compleanno. Cosa succede?»

Il sorriso, che era solo un diversivo, si spegne e lascia il posto a un singhiozzo e alle lacrime che fino a ora ha cercato di trattenere. Io non so come reagire, perché non so affrontare i pianti, mi trovo sempre emotivamente inadatto a gestire situazioni simili.

La abbraccio, nel gesto più istintivo che mi esce. «Non piangere». Una preghiera e un consiglio per salvarci entrambi da questa situazione.

Le accarezzo la testa, non so cos'altro fare.

«Stringimi. Non lasciarmi andare». Faccio come dice. Sono le parole che ho aspettato per un mese, eppure non c'è la felicità che pensavo di provare perché il momento è del tutto sbagliato.

«Non ti lascio». Appena la stringo mi ghiaccio. Quello che il suo corpo emana non è dolore, ma disperazione. È come avere tra le braccia il peso del mondo intero ed è travolgente, quasi fosse un'entità fisica. Non sono pronto per una simile cosa, ma le ho appena assicurato di non lasciarla, così abbraccio ogni angolo della sua angoscia e lo serro come se stessi tenendo a me la mia anima. «Cos'è successo?»

«Ho paura». Le sue parole sono un'ulteriore stilettata. È sempre così solare e sicura di sé, che vederla così vulnerabile e persa mi fa stringere il cuore un po' di più e non pensavo fosse possibile. «Promettimi che non mi lascerai mai andare. Ho bisogno di te».

In questo preciso momento, per quanto la situazione sia delicata, mi sento bene, come se finalmente fossi al mio posto, ed è il più bel regalo che potessi ricevere in questa giornata.

Attribuiamo due significati diversi a quelle parole, ma non posso impedirmi di sperare che, in fondo, questo suo bisogno possa dipendere da altro, non dalla semplice confidenza.

Come si fa a non innamorarsi di una creatura così sfaccettata e complessa?

Cazzo.

Ho appena parlato di innamorarsi. Lo sono?

Penso di sì. Sì.

Prematuro? Forse. Ma sono fatto così, mi butto a mille in una cosa, anche se è una discesa a cento chilometri orari e l'unico modo per frenare la corsa è un muro.

La verità è che qualcosa in Elle mi ha catturato da subito, mi ha fatto sentire vivo in un modo che non avevo mai sperimentato, in quel modo che ti fa sentire tutto di più, che ti fa vedere i colori più vibranti e accentua gli odori per associarli ai ricordi.

Elle, per me, è così. È quel profumo che accomuni alle cose belle che ti rimangono sottopelle. È il sapore che ti fa esplodere i sensi. È la sensazione che ti prende la pancia e la lancia in caduta libera, per poi farla diventare sentimento che si posiziona lì, sulla bocca dello stomaco e ne prende possesso. È la sfumatura che mancava al mio mondo per essere completo e in technicolor.

Non me ne sono accorto prima perché è una cosa che, nonostante la tempistica, è cresciuta lentamente, senza che me ne rendessi davvero conto. Ma ora lo sento, l'amore che provo per lei c'è ed è quello che mi spinge a volerla proteggere, a volerla accanto e di più, non solo fisicamente. Tutt'altro che fisicamente. È una vicinanza, quella che desidero e che ho con lei, che non ha niente a che vedere con il corpo.

Elle ora mi sta dando l'opportunità di essere la sua unica salvezza. Un regalo immenso.

«Lo prometto. Sono qui».

La sento espirare mentre il suo corpo si rilassa appena contro di me, mentre il mio, dopo la consapevolezza di quest'attimo, è martoriato. «Ho paura del passato».

«Perché?» Domando con voce strozzata. Devo riprendermi per entrambi, altrimenti rischiamo di uscire più acciaccati da questa conversazione che dai traumi che abbiamo vissuto finora.

«Perché non importa quanto io possa scappare lontano e il più veloce possibile, è sempre lì, pronto a stanarmi». Elle si asciuga gli occhi con la mano, nel tentativo di risultare in ordine, come se quel gesto bastasse. «Non voglio che mi trovi. Se non fosse così non sarei scappata».

Rimette il braccio intorno alla mia vita e affossa il viso nella maglietta. Non so se per conforto o per pulirsi il naso, ma è una cosa naturale per me. Una posizione che mi fa capire che i nostri corpi sono stati fatti per stare così, uno incastrato nell'altro, a proteggere l'altro, per completarsi e combattere contro ogni paura.

Le sollevo il viso e lo prendo tra le mani. Non so da dove vengano le parole che sto per pronunciare, ma ho tanto bisogno di dirgliele quanto Elle di sentirle. «Se anche ti trovasse io non ti abbandono, lo affronteremo insieme. Sono qui per questo». Sono nato per questo. Questa volta le lacrime gliele asciugo io, piccole stelle a illuminare il mondo di cui il suo viso è una mappa dettagliata. Nonostante stia piangendo è di una bellezza disarmante, sia dentro che fuori. Di quell'incanto che appartiene alle persone che si scrivono sulla pelle i loro punti di forza e le debolezze, senza timore di mostrarle.

Elle spalanca gli occhi, colpita dalle mia parole e sorride appena. «Grazie».

Non le lascio il tempo di aggiungere altro e le labbra sono sulle sue per potare via ogni parola intrisa di panico che era pronta a pronunciare. È il primo bacio che le do con la coscienza di quello che provo, è il suggellare una promessa che le ho fatto e che ho tutta l'intenzione di mantenere, soprattutto nel momento dell'eventuale bisogno, mentre per Elle, con tutta probabilità, è solo l'ennesimo bacio con il suo scopamico Seb. La rassicurazione di cui aveva bisogno.

Certo, un porto sicuro, ma non una casa, come io percepisco lei quando stiamo insieme.

Il solo pensiero mi spezza, ma non posso lasciare spazio a simile riflessione, voglio farla stare meglio e, per farlo, anche io devo stare bene.

«Cosa vuoi fare per distrarti?» Cerco di alleggerire la tensione, di modo da permetterle di non pensare alla cosa che l'ha turbata tanto.

«Non lo so». Elle è ancora confusa, tanto che deve riflettere un attimo sulle mie parole. «Decidi tu ma, se permetti, il sesso è fuori questione, anche se è il tuo compleanno. Oggi va così, prendere o lasciare».

Al sesso non avevo nemmeno pensato, quindi non è un problema rinunciarci. Lo facciamo spesso, non sento la necessità di volerlo fare per forza oggi, quasi fosse il mio regalo di compleanno. Mi va più che bene stare così: abbracciati sul divano, con la consapevolezza che sono indispensabile per lei, anche se non ha nulla a che vedere con i sentimenti.

«Prendo». Le sorrido mentre sbarra gli occhi per la sorpresa, non si aspettava una simile risposta. «Guardiamo un film?» Propongo con indifferenza.

«Ok». Si alza per portare il portare il computer nella sua stanza ma prima recupera un fazzoletto con cui si tampona il viso. Mi piace che non si preoccupi di essere impeccabile in un momento simile, dimostra di non aver paura di mostrarsi per come è, al meglio o al peggio.

Eppure la mia testa è rimasta al computer e a quello che l'ha fatta piangere. Qualunque cosa sia non si fida abbastanza di me per aprirsi e questo fa male.

«Quale?» Urlo per farmi sentire.

«Boh, fai tu». E l'impressione che ho è che non sia importante il film, ma lo stare insieme così, uniti, per sapere che c'è qualcuno pronto a raccogliere i tuoi pezzi nel momento del bisogno.

«Ne ho uno perfetto». Batto le mani, contento della mia idea. «Robin hood: un uomo in calzamaglia».

Abbiamo bisogno di leggerezza in questo momento, penso sia il film adatto alla situazione. Spero solo che, essendo un film genialmente stupido, Elle non torni dalla camera da letto munita di una mazza da baseball chiodata in pure stile The walking dead per rispondere alla mia proposta. Non ho voglia di inaugurare i miei ventisei anni senza denti.

«È perfetto!» Nella voce, attutita dalla distanza, percepisco del sincero entusiasmo, cosa che mi fa rilassare.

Sto per alzarmi per andare nella mia stanza a prendere il DVD, ma la vedo avvicinarsi piano a me da dietro il divano. Sembra quasi imbarazzata e ha le braccia dietro la schiena, in un atteggiamento che definire bizzarro è riduttivo.

Quando vede che la noto rallenta.

«Cosa c'è?» Piego la testa di lato e cerco di nascondere il panico. Lo sento, dietro la schiena ha davvero la mazza da baseball ed è pronta a darmi una randellata per farmi rinsavire.

«Seb...» Accenna appena, non sa come continuare, tanto che si ferma appena prima dello schienale del divano che ci separa.

Qualcuno dovrebbe dirle di non illudermi così, di non farmi sperare in questo modo nella dichiarazione che non arriverà mai. Potrebbe uccidermi con quest'attesa e non saprebbe nemmeno il perché.

«Avanti, non mangio!» La invito. Non per tirarla fuori dall'impasse, ma per evitare che il giorno del mio compleanno inizi con un attacco di cuore.

Elle si tranquillizza e arriva di corsa vicino a me, si accovaccia e, mentre porta entrambe le mani davanti a sé, quasi urla: «Tanti auguri!»

Cerca di respirare normalmente, ma so che il nodo alla gola che aveva fino a poco prima non è scomparso, che è lì, pronto a farle mancare il fiato appena abbassa le difese. Eppure sorride e lo fanno pure gli occhi, di quel sorriso che rivolge solo a me, anche se sono gonfi di pianto.

Di certo non mi aspettavo un simile risvolto. «Un regalo? Per me?!»

«No, scusa, ho sbagliato, è per Tyson, solo che non riesce a scartarlo, avendo le zampe, e così ho pensato potessi farlo tu al suo posto». Scuote la testa e alza gli occhi al cielo. Il sarcasmo palese, tanto quanto il disagio che cerca di nascondere. «Avanti, aprilo!»

Faccio come mi dice e, appena rompo la carta, mi ritrovo davanti due vinili di Van Morrison, i due che non sono mai riuscito a trovare, e una copia de "Il signore delle mosche" di William Golding, il libro che da ragazzino mi ha fatto innamorare della lettura.

Salto in piedi, eccitato. «Mio Dio, come hai fatto a trovarli? Sono stupendi, grazie!»

Vorrei abbracciarla, ma ho le mani piene dei miei regali e non potrei essere più felice di così.

«Ti piacciono davvero?» Si morde un'unghia con fare preoccupato, intenta a studiare ogni mia reazione. Un gesto simile mi emoziona, perché denota attenzione. «Ho fatto un po' fatica a trovarli tutti. I vinili mi sembrava ti mancassero. Per il libro, invece, ho notato che ne hai un paio di copie in camera, ma che sono messe male. Così ho recuperato questa. Sai, è una prima edizione».

Cosa? «Prima edizione?» Sono senza parole. Non solo per l'impegno che ci ha messo, ma perché a quanto pare mi conosce bene, ha osservato l'ambiente dove mi muovo e ne ha colto i segnali. Non è da tutti.

«Proprio così». È soddisfatta della mia reazione. «Ho sudato sette camicie per trovarla, ma alla fine ce l'ho fatta!»

So di fissarla con sguardo ammirato e devoto, ma non posso farci nulla, è un istinto che non riesco a contenere. «Sono stupendi, non potevo chiedere di meglio». A parte lei.

Io amo questi regali, ma amo di più Elle e lei – il suo amore – sarebbe stato il regalo più bello di tutti. Perché quello che ci fa stare meglio non sono le cose materiali, sono gli attimi che le persone che ci amano decidono di passare con noi.

Le deposito un bacio sulle labbra e, prima di staccarmi, le mordo appena il labbro inferiore. Un gesto di appartenenza, ma più un impulso intimo di renderla mia, come se quell'impronta potesse fare da monito per chi verrà dopo di me. Se dipendesse da me non ci sarebbe nessun altro, ma non sono così illuso. È un modo per lasciare il segno, per ricordare a Elle di fare sempre il paragone con il sottoscritto, nella speranza di uscirne sempre vincitore.

Nella speranza che capisca che non ci dovrebbero essere altri, dopo di me.

So che sto sputtanando il nostro rapporto e la mia sanità mentale in un colpo solo, ma non posso evitarlo, il viaggio che mi porterà alla completa disfatta è elettrizzante.

«Ora vado a prendere il DVD in camera mia e a sistemare i regali. Li conserverò con attenzione, so quanto valgono». Quello che non sa Elle è quanto contano per me. «Non muoverti».

Sorride, mentre si stropiccia la faccia, molto più distesa di quando sono venuto di qui prima. Ora quello sconvolto sono io. «Non mi sposto di un millimetro, non mi sottraggo agli ordini del festeggiato!» Replica divertita, ignara di quello che mi ha smosso dentro.

Perché non si sottrarrà ai miei ordini, ma sfugge ai miei desideri.

Questa è la realtà impietosa in cui mi trovo.

Tanti auguri a me.

Beh, che dire, follettini e follettine,

Seb ha appena mandato al diavolo il suo proposito di rimanere distaccato.

E tanti auguri a lui!

Vediamo dove lo porterà questa cosa.

Di sicuro questo capitolo apre una transizione tra la fase 1 e la fase 2 di questa storia che, vista l'affermazione, sembra scritta da Conte, ma non lo è. Niente autocertificazioni per leggerla, lo giuro. E poi io vi farò più fasi di Giuseppe!

Ma, soprattutto, cosa avrà da nascondere Elle? Prima o poi i nodi verranno al pettine, ma lo faranno al momento meno opportuno 😈

Ho detto tutto, ora non mi resta che salutarvi e darvi appuntamento a... mercoledì 13 maggio.

Non era premeditata ma, beh... quel giorno capirò ancora meglio il Seb di questo capitolo! ;)

A presto, 

Cris

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