1. Presentazioni
Ci sono delle bugie universalmente riconosciute a cui ricorriamo più spesso di quanto vorremmo: sto bene, il tempo sistema ogni cosa, sei dimagrita, da lunedì inizio la dieta, a settembre mi iscrivo in palestra ed esco per un drink veloce, seguita da torno presto.
Il lunedì famoso in cui devo iniziare una dieta ha compiuto un anno e mezzo questa settimana, per dire. E il drink veloce per cui sono uscita si è moltiplicato per quattro. O cinque. Forse sette.
Però posso dire di essere tornata presto. Le quattro di mattina è presto, giusto? Sì, è mattina presto. Quindi, quando ho detto alle mie coinquiline che sarei rientrata presto, in fondo, non ho mentito.
Forse ho omesso il fatto che mi sarei ubriacata ma, lo giuro, non avevo intenzione di ridurmi a uno straccio. Ma, ehi, i miei compagni di corso e io ci meritavamo di festeggiare, dopo aver passato un esame complicato con il professore più stronzo della facoltà.
Così un bicchiere di vino è diventato un mojito, un mojito è diventato un vodka lemon, un vodka lemon è diventato un long island. A cui ne sono seguiti altri due.
Per non parlare del tizio che un paio di mie compagne di studio volevano appiopparmi. Ho dovuto bere per dimenticarlo, quindi la colpa non è nemmeno mia se sono fuggita dalla finestra del bagno di un locale ubriaca fradicia e ora non so dove mi trovo.
Rido. Dovrei andare in panico, ma non ne ho le facoltà mentali.
Prendo il cellulare e faccio scorrere la rubrica, decidendo di chiamare i soccorsi. Se rientro in questo stato Jane e Rachel potrebbero uccidermi, dato che il giorno dopo lavorano o studiano, quindi arrivo all'unico contatto che può salvare le mie chiappe disperse chissà dove.
«Pronto». Daniel è assonnato.
Ops! Dovevo immaginarlo, dato che è giovedì mattina.
«Sono io!» Bisbiglio, strascicando le parole, più confuse dei miei stessi pensieri. «Non dirlo a nessuna, ma sono un po' ubriaca. Ho bisogno del tuo aiuto! Mi vieni a prendere?»
Lo sento imprecare prima di sospirare. «Dove sei?»
Ridacchio, incapace di sembrare una completa ebete. Mi guardo attorno e, dopo aver fatto mente locale, gli rispondo con una certa sicurezza: «In una strada, ci sono delle case».
«Ma dai, chi l'avrebbe mai detto che Londra è una città abitata con zone residenziali?!»
Alzo gli occhi, non credevo di dovergli spiegare ogni cosa. In fondo, Dan qui ci è nato. «Certo! Noi ci abitiamo, genio». Lo schernisco, per fortuna quella ubriaca dovrei essere io! «Vedo un albero con i primi fiori e, oh, una cabina telefonica senza l'anta per chiuderla. Se non sbaglio è casa di Bert, il senzatetto che gira nella nostra zona. Chissà come ci è finita qui!»
Avrei giurato che queste cose fossero vicine alla palazzina dove abitiamo perché, sì, Dan è il nostro vicino di casa. Vive con altri due ragazzi, Edward e Charles, e da quando mi sono trasferita nell'appartamento davanti al loro, siamo diventati un gruppo di amici alquanto affiatato.
«Arrivo. Tu, per l'amor di Dio, non ti muovere». È a metà tra il divertito e l'incazzato.
Annuisco, ma ha già riattaccato, quindi non penso possa avermi vista.
Ok, forse non ha senso, ma non fa niente, l'importante è che i rinforzi stiano arrivando.
Dopo qualche secondo sento un portone che si apre e vedo comparire i capelli disordinati e scuri di Dan e i suoi occhi azzurri. Wow, devo essere più vicina a casa di quanto credessi.
«È arrivata la cavalleria». Mormora, nel tentativo di reprimere una risata. «Come ti sei ridotta?» E, nel dirlo, mi solleva dal marciapiede. Quando mi ero seduta?
«Ho bevuto un cocktail di troppo». Glielo mormoro nell'orecchio – dato che mi sorregge come se fossi un peso morto – quasi fosse un segreto.
«Anche cinque o sei, puzzi come una distilleria nei Caraibi». E si sventola la mano libera davanti al viso.
In risposta inizio a canticchiare la canzone di Pirati dei Caraibi, ma lui mi zittisce.
«Non portarmi a casa, le ragazze mi ucciderebbero se le svegliassi».
«Io invece sono felicissimo di essere stato chiamato nel cuore della notte». Eppure mi sembra divertito. «Ok, ti ospitiamo sul divano noi, non c'è problema».
In questo momento mi andrebbe bene anche la cuccia del cane, se solo ne avessero uno. Non mi sfiora nemmeno l'idea che, in teoria, hanno la stanza libera del loro quarto coinquilino. Ma va bene così, l'importante è dormire e smettere di vedere il mondo girare.
«Grazie». Sorrido e gli appoggio la testa sulla spalla, esausta.
*
Sebastian Hartford e io siamo vicini. Pure troppo, se si considera che non lo conosco. Di certo è un bel passo avanti, per una che ha sempre voluto vederlo da vicino. Non c'è da stupirsi, dato che è l'attore del momento, protagonista di una saga urban fantasy che sta battendo ogni record possibile al botteghino.
Osservo le sue labbra muoversi, mentre si avvicina a me. Non importa cosa ci ha portati a essere così vicini, a condividere a breve un bacio che desidero da mesi, come la più sognatrice e illusa delle adolescenti, so che lo sto aspettando come un disperso nel deserto attende un'oasi.
«Ti voglio» Sussurra sulle mie labbra e, nonostante siamo circondati da persone e dalla musica, lo sento distintamente, come se fosse l'unico suono importante per me da percepire.
«Anche io» rispondo incredula, con le guance rosse e gli occhi spalancati per la sorpresa. «Oh, Seb!» Sospiro, vittima dei suoi occhi azzurri e glaciali che potrebbero abbassare di qualche grado la temperatura terrestre, costringendo così Greta Thunberg a tornare a scuola, orfana di qualsiasi scopo.
Scatto in avanti, mi metto a sedere e mi sporgo un po' in avanti. Per quanto Sebastian abbia la consistenza del sogno che ho appena fatto, sento il calore irradiarsi sulle mie labbra. A volte ci sono quei sogni che sembrano così veri da lasciarti le loro sensazioni addosso. Più spesso sono incubi, ma a volte capita che siano piacevoli e ti pervadano con le loro vibrazioni positive.
Ed è per questo che non apro gli occhi, per non rendermi conto che non è vero, che questa sensazione reale non è altro che il frutto della mia più fervida immaginazione. Non voglio pensare che la percezione della sua barba leggermente incolta che mi pizzica è un'allucinazione, perché è tutto così bello che so che non può essere vero, ma vorrei lo fosse.
Mi sdraio di nuovo e all'improvviso lui è alla guida di un'auto d'epoca decappottata e io sono al suo fianco, mentre attraversiamo la campagna inglese.
«Una volpe!» Indico elettrizzata un campo verde vicino a noi. «Osserviamola da vicino».
«No, è quella della caccia reale». Sebastian è serio e concentrato, tanto da renderlo ancora più affascinante. Sembra addirittura più maturo dei suoi venticinque anni, cosa che me lo fa piacere di più. «Salviamola».
Un uomo che salva un animale in difficoltà, c'è qualcosa di più seducente? No, appunto. Tanto che arriva il momento – anche se solo mentale – di strizzarsi gli slip.
Salviamola e poi montami come se fossi la panna fresca a lunga conservazione. Molto lunga.
Vengo svegliata dal rumore della macchina del caffè, che mi martella in testa come se fosse avessi un cantiere al suo interno. È la tipica conseguenza di una sbronza con i fiocchi, così come il sogno che ho appena fatto.
Se solo Dan sapesse che ho una sbandata per l'attore del momento, l'idolo mondiale delle ragazzine che non superano i sedici anni di età, nonché un suo vecchio amico – da quello che raccontano i ragazzi – mi prenderebbe per il culo a vita.
«'giorno» biascico incerta, mentre la stanza inizia a muoversi e il sapore acido dell'alcool si agita leggermente tra lo stomaco e la gola. Non promette nulla di buono.
«Tutto bene?» Charles è divertito. Oh, che se ne approfitti, perché alla prima occasione in cui lo becco ubriaco ho intenzione di vendicarmi.
«Cos'hai fatto ieri sera?» Ed si sposta il ciuffo di capelli castani all'indietro e mi guarda con occhi curiosi. O almeno così immagino, dato che non riesco a tenere i miei aperti, c'è troppa luce e non riesco a reggerla. Sembra mi picchi esattamente sulla tempia per cercare di scavare un buco nella mia scatola cranica. Quanto vorrei che qualcuno mi togliesse dalla testa il martello pneumatico che sta cercando di lobotomizzarmi.
«SSSSHHH! Non urlate, mi scoppia la testa». Sono consapevole che stanno parlando a un livello normale per qualsiasi essere umano, ma per me è troppo, come se io fossi un vampiro e loro il sole: le loro parole mi stanno uccidendo. Le accetterei soltanto se fossero bisbigli, come quando si parla in chiesa per non disturbare.
Scosto la coperta leggera con cui ho dormito e mi metto a sedere. Mossa sbagliata: lo faccio troppo velocemente e un conato sale con prepotenza, ma cerco di placare il mio stomaco. Per trovare la concentrazione mi reggo la testa con una mano e questo dovrebbe far capire quanto sono ridotta male.
Poggio i piedi sul linoleum fresco ed è l'unica cosa che mi dà un po' di sollievo.
Sospiro sollevata, ma la sensazione di benessere dura poco. Mi concentro su quello che ho indosso, perché è impossibile che io sia riuscita a dormire nel mio top di paillettes, più rigido di un'armatura medievale. Difatti, con mio enorme disgusto, scopro di aver addosso una felpa blu e dei boxer con il primo piano di Wolverine stampato sopra. Uno di quei modelli larghi, molto anni '90. Pessimi.
Decido di evitare di rispondere alle loro domande, non ho voglia di affrontare l'argomento in uno stato simile, e cambio soggetto: «Come mi avete conciata? Quanto ero disperata stanotte?»
Edward è il primo a prendere parola: «Chiedilo a Dan, è lui che ti ha messo addosso quella roba. Sembra l'abbia ripescata direttamente dalla sua adolescenza».
«E rivolgiti sempre a Dan per sapere quanto eri disperata». Charles alza le spalle, come se la risposta fosse ovvia. «Io comunque direi molto, se sei ricorsa a lui per essere salvata».
«Brutto stronzo». Lo apostrofo mentre Daniel, pacifico, continua a fare colazione con il pane tostato, il bacon e le uova, come se non fosse il centro del nostro discorso. «L'hai fatto per cercare il mio tatuaggio. Hai visto che è vicino all'inguine, vero?! Lo sapevo che non avrei dovuto ubriacarmi la sera in cui ci siamo conosciuti, perché tendo a parlare troppo. Giuro che non berrò più».
«Ed è per questo che ci ritroviamo qui, stamattina». Lui alza un sopracciglio, con evidente sarcasmo. «E sono talmente stronzo da essere venuto in tuo soccorso». Fa un sorrisetto compiaciuto e mi lancia una scatola di analgesici che aveva preparato per me, senza aggiungere altro.
Sarà anche un po' pervertito e uno fissato col sesso, ma è un ragazzo dal cuore d'oro, motivo per cui abbiamo legato fin dal primo momento in cui mi sono trasferita da Rachel e Jane.
«Me la pagherai, lo prometto». E nella mia mente annebbiata cerco di dar vita a un modo per vendicarmi di questo suo colpo basso. Il nostro rapporto è così.
In tutta risposta ridono tutti e quattro, mentre sono impegnati a fare colazione.
Alt. Devo essere ancora ubriaca dalla sera prima. A quanto pare la sbronza è più potente del previsto.
Facciamo un ripasso dei vicini: Daniel, Edward e Charles. No, nessun quarto coinquilino.
La mia sbronza, la mia fantasia, o entrambe, si stanno prendendo chiaramente gioco di me.
Mi avvicino dunque alla quarta persona, che intanto gira sullo sgabello per porsi di fronte a me con una tazza in mano. Mi studia con la testa piegata di lato, un sopracciglio alzato e un sorriso appena accennato, cauto ma cordiale. Lo ammiro nella sua bellezza, però non mi lascio impressionare.
«Ciao, io sono Seb. Ma forse mi conosci già, dato che...»
Lo interrompo – incapace di trattenermi – con una risata così fragorosa da dovermi appoggiare alle ginocchia. Ho le lacrime per il troppo ridere e non mi capitava da tempo. Lui, però, si piega verso di me e qualcosa cambia. L'odore del caffè nella tazza che ha in mano mi investe e con esso arriva anche l'odore delle uova ed è tutto così insopportabile che smetto di ridere. E di respirare.
Devo essere diventata verde, perché Daniel è preoccupato quando mi domanda: «Cos'hai?»
Non ho tempo per inventarmi una bugia che mi salvi la faccia, così opto per la sincerità: «È arrivato il momento di vomitare. L'alcool mi dà le allucinazioni». E, nel dirlo, guardo nel punto esatto dove mi sembra di vedere Sebastian Harford. O, meglio, la mia proiezione mentale alcolica di Sebastian Hartford. Non completo nemmeno la frase e corro in bagno.
Dopo aver vomitato anche quello che sembra il pranzo del mio quinto compleanno, essermi lavata i denti con il dito e aver pulito dove ho sporcato, ritorno da loro in cucina, con po' meno succhi gastrici in corpo, ma con un po' di lucidità in più.
Li trovo lì, intenti a scherzare, come se non ci fosse stata una ragazza posseduta in bagno intenta a vomitare anche l'anima. Non mi arrabbio, sono uomini, fanno una cosa alla volta e tendenzialmente la fanno male, quindi è logico che abbiano continuato a dedicarsi alla colazione.
«Ora sto meglio». Ritorno stiracchiando le braccia e la schiena e cerco di concentrarmi su altro che non sia il cibo sul bancone dell'isola davanti a loro. «E vi ho pulito il trono di ceramica, dato l'avevo ridotto uno schifo. Non c'è di che». Aggiungo, sapendo che ho fatto loro un favore.
«Beh, allora ti prego, vomitaci più spesso, almeno qualcuno lo pulisce!» Charles e la schiettezza non richiesta in un momento così delicato per il mio stomaco.
«Non farmi pensare a quello che hai appena detto, potrei avere un secondo round con la tazza seduta stante». E torno pallida.
Questo li deve spaventare abbastanza, tanto da spingere Edward a cambiare discorso. «Vuoi qualcosa?»
«Solo del thè, grazie». Gli sono grata. È l'unico un po' responsabile del gruppo ed è quello che, tra tutti, ha un po' i modi da mamma chioccia. Senza Ed penso che la casa sarebbe un porcile vero e proprio.
Mi giro di nuovo nel punto in cui c'era la mia visione alcolica di Sebastian, pronta a vedere un posto vuoto e a impossessarmi dello sgabello, ma lui è ancora lì.
Il thè che mi ha porto Ed mi va di traverso e ho gli occhi fuori dalle orbite. «Tu non sei un'allucinazione?»
«No!» Aggrotta le sopracciglia e ridacchia e, potrei giurarlo, è un suono che potrebbe creare unicorni. Ora, che io avessi un debole per Sebastian Hartford era palese, ma ad averlo davanti posso garantire di avere un ottimo gusto.
Mi sento in dovere di continuare a interagire con lui, per la paura di vederlo sparire da un momento all'altro se dovessi smettere. Devo solo trovare qualcosa di intelligente da dire.
«Posso?» E muovo l'indice, vicino alla sua guancia. Qualcosa di intelligente, come no. Potrebbero darmi la laurea ad honorem solo per un intervento simile.
Sebastian deve essere abituato alle richieste folli di donne adoranti che hanno occhi solo per lui, perché alza le spalle prima di dire: «Fai pure».
Ed è così che gli tocco la guancia e scopro che ha la pelle liscia come quella di un bambino. Scioccata, mi scopro a osservarlo meglio, ad andare oltre quegli occhi azzurri come una giornata limpida d'estate, di quelle che ti sembra ti facciano respirare meglio. Ha i capelli spettinati, non di quelli che lo rendono trasandato, ma di quelli che lo rendono provocante, come se avesse appena avuto un orgasmo. Orgasmo che, per inciso, sarei più che felice di esserne l'artefice.
Il naso è dritto, la mascella è decisa e quadrata e ti fa venire voglia di riempirla di morsi. Le labbra, invece, sono abbastanza sottili, di quelle che si gonfiano subito per i baci.
Ha un fascino tutto particolare. Sebastian è famoso per essere un tipo impacciato e, per quanto spudoratamente bello, non è uno di quelli dall'aria arrogante. Anzi, sembra un nerd troppo bello per passare il tempo davanti a qualche computer o alla Play station nel tempo libero.
Sbatto le palpebre e cerco di riprendermi. Dio, che figuraccia. L'ho vivisezionato come farebbe un anatomopatologo davanti a un cadavere. Deve essere così che iniziano i serial killer, con un'ossessione che rasenta lo stalking. E siccome la parola fan deriva da fanatic, devo ammettere che dopo questa attenta analisi sono decisamente una fan di Sebastian Hartford. Più di prima, s'intende.
Poi realizzo. Sono arrivata ubriaca, indosso dei boxer idioti, ho ammesso di aver vomitato nel bagno di casa sua e lo sto guardando come una pazza invasata.
L'unica cosa che posso fare è diventare rossa e abbassare la mano, prima di perdere l'ultimo briciolo di dignità. Come se non fosse già tardi.
Sorride e mi sembra che nella stanza ci sia più aria. «Ehi, tranquilla, succede a tutti, sai?!»
Il suo atteggiamento è incoraggiante e cerca di mettermi a mio agio, dato che il mio imbarazzo deve essere palese, ma questo suo leggermi come un libro aperto mi rende soltanto più nervosa.
«Leggi nel pensiero?» Oppure, al posto di pensare certe cose, le ho dette? Spesso non ho filtro tra i pensieri e la bocca, è possibile che la sua presenza abbia mandato in tilt il mio buonsenso.
«No». Ride, divertito. «È solo che ti si legge in faccia l'imbarazzo». Si prende un attimo per studiarmi a sua volta, poi deve decidere che sono pazza, ma non pericolosa. «E comunque tu sei?»
Cazzo. Come se non bastasse allungo la lista delle figure di merda di quella mattina nel ricordarmi che, dopo la mia superba introduzione, non mi sono nemmeno presentata.
«Oh, io sono Elle. Piacere!» E gli stringo la mano che mi porge. «E di solito passo la maggior parte delle mie giornate sobria. Completamente sobria».
Spero che il mio sorriso appaia fiducioso e non una smorfia sofferente.
«Mi sembra un buon inizio» dice, senza perdere la sua allegria.
Ha un sorriso... strappamutande. Non trovo un modo migliore per descriverlo. Alza un angolo della bocca e BOOM!, nel mondo viene risolto il problema della secchezza vaginale. Addio Vagisil.
Sì, anche così, leggermente disordinato e stanco, sprigiona un fascino magnetico di cui sono vittima. Vorrei dire di essere diversa dalla maggior parte delle altre donne, ma io questa maggior parte la capisco, la capisco benissimo. Penso di essere appena diventata la fondatrice del club "martiri di Sebastian".
«Non pensavo avessi un debole per Seb». Daniel, con un tatto degno della squadra degli Avengers che si abbatte su Sokovia per sollevarla da terra, mi riporta alla realtà. A quanto pare i post sbronza mi lasciano un problema di concentrazione non indifferente.
«Ma che dici!» E, più che cercare di sdrammatizzare, il mio sembra un urlo degno delle peggiori paternali.
Lui, con la placidità che lo contraddistingue, continua: «Hai passato l'ultima ora a sospirare Seb, oh Seb!» Cerco di intervenire per tappargli la bocca, ma lui è più veloce di me nel prendere parola. «E non provare e dire che si tratta di un'altra persona, so che sei una sua fan. Ho visto la collezione di DVD in camera tua».
Ha il coraggio di strizzarmi l'occhio, lo stronzo. Si sta divertendo un mondo, non lo metto in dubbio.
«E poi mi hai tolto ogni dubbio quando l'hai baciato». Alza le spalle con indifferenza, ma vedo il sorriso diabolico di chi vuole mettermi in imbarazzo per farmi pagare la levataccia notturna e il conseguente soccorso.
FERMI TUTTI.
Riavvolgiamo un attimo il nastro. Io ho fatto cosa?
Non ero ubriaca, ero posseduta, non ci sono altre spiegazioni.
Vedo Sebastian mordersi il labbro e non alzare lo sguardo, mentre si passa una mano tra i capelli. Tutti gesti che fa anche nelle interviste e mi fanno sorridere, perché sono abitudini sincere e non gesti studiati. Sono quello che lo caratterizzano e che me lo fanno piacere perché è inconsapevole della sua bellezza e, soprattutto, del suo essere sexy.
Ciò non toglie che sta cercando di non ridere e io devo essergli sembrata una pazza squilibrata. Tipo quelle che cercano i suoi boxer usati su Ebay.
Adios dignità.
«Ti ho baciato?» Domando, nella speranza di essere smentita. Dio, fa' che io abbia sentito male e Daniel abbia detto "lanciato". Sempre di figura di merda si tratta, ma almeno sarebbe accettabile.
Sebastian, però, alza lo sguardo e si morde il labbro per non scoppiarmi a ridere in faccia. «In effetti...» Per fortuna è a metà tra l'imbarazzato e il divertito. Se io fossi stata al suo posto sarei stata a metà tra l'incazzato e il furibondo e, probabilmente, sarei già alla polizia per chiedere un'ordinanza restrittiva, cosa che Anastasia, la tizia delle sfumature, avrebbe dovuto chiedere nei confronti di Christian Grey, poco ma sicuro.
E questo dovrebbe far capire quanto sono accomodante e diplomatica verso il genere umano.
Cosa si fa in questi casi? Esatto: si chiede scusa e si cerca di rimediare alla figuraccia tentando di uscire dalla vita del malcapitato di turno, anche se è un peccato, dato che è la fonte delle mie fantasie, la crush delle crush, il mio punto debole eccetera, eccetera, eccetera.
«Oddio!» Mi metto la mano sul petto, veramente addolorata per l'accaduto ma, a quanto pare, il mio dispiacere lo diverte ancora di più. «Scusami. Scusami da morire! Non volevo». Incespico. Dio, ho baciato uno degli uomini più sexy del pianeta e nemmeno me lo ricordo, se non è sfiga questa non so cosa sia. «Cioè, io volevo in realtà, perché tu sei tu, ma pensavo fosse un sogno!»
Tema: chiedi scusa per i tuoi comportamenti psicotici senza sembrare una pazza ed evitati altre figuracce.
Svolgimento: mai una gioia.
Giudizio: sarebbe anche portata, ma non si applica.
«Ce ne siamo accorti». Daniel è la persona più sadica di questo mondo, quindi è probabile che goda di più in una situazione simile che per un vero orgasmo.
Lo ignoro e continuo a rivolgermi a Sebastian. «Giuro che non mi farò più vedere finché starai qui». Gli prometto. Glielo devo dopo questa mattinata che definire alternativa è farle un complimento. Non gli lascio il tempo di rispondere e guardo l'ora per uscire da quella situazione che si fa imbarazzante di secondo in secondo. «Cristo! Le ragazze saranno uscite, posso cambiarmi al volo e andare a lezione. Dov'è la mia roba, Dan?»
Tamburello le dita nervosa mentre ringrazio mentalmente il fatto che Sebastian Hartford non sia un chiacchierone, oppure la mia psicopatia l'ha lasciato senza parole. Meglio non scoprire la realtà a riguardo.
«È in camera di Ed. Tranne il top. Quello è in lavatrice, era sporco...» Il suo tono, troppo innocente e indifferente, non mi convince, ma non ho la lucidità necessaria per occuparmi dei suoi intenti, sono nel punto più basso della mia vita e sto cercando di non andare oltre il fondo.
«Ok, allora tengo la felpa cinque secondi, giusto il tempo di arrivare a casa». Ma so già che non sarà così. Tra noi e i ragazzi c'è un patto riguardo ai rispettivi appartamenti e agli indumenti e, siccome l'abbiamo voluto le ragazze e io, difficilmente me la farà passare liscia. Ci sono di mezzo furti di mutandine e altre cose raccapriccianti che ora non ho tempo di approfondire.
«Oh no». Mi ammonisce con perfida soddisfazione. «Non rientra nel patto».
«Nemmeno che io ti uccida, eppure la cosa sta per cambiare». Lo fulmino con lo sguardo, ma Dan è inamovibile così, furiosa, me ne vado in camera di Eddie, infilo i jeans, recupero la borsa e torno in salotto. «Tieni, non mi serve la tua stupida felpa». La sfilo e la butto per terra, rimanendo in reggiseno. Tanto ormai una figuraccia in più non fa la differenza.
Il brutto di essere cresciuta circondata da ragazzi: sono pronta a tutto e, anche se mi piace vestirmi da ragazza, tendo sempre a comportarmi come un maschiaccio, come se fossi anche io un ragazzo del gruppo.
Mi incammino verso la porta tra gli sguardi sconvolti degli altri ragazzi, ma Dan non demorde. «I boxer te li regalo, non so nemmeno di chi sono».
Al posto di rispondergli a parole alzo il dito medio e poi mi chiudo la porta alle spalle, attraversando veloce il corridoio nella speranza di non incontrare i vicini.
Al sicuro nel mio appartamento, ormai vuoto dato che le ragazze o sono a lavoro o a lezione, mi infilo una maglia. E all'improvviso capisco perché Daniel era tanto divertito.
«DAN!» Urlo talmente tanto che so che può sentirmi, e non mi interessa se è disturbo della quiete pubblica e gli altri condomini chiamano la polizia. Che lo facciano, perché tra poco si consumerà un omicidio, almeno non perdiamo tempo.
Torno come una furia nel loro appartamento solo per accanirmi su di lui, che mi logora i nervi più dei miei mille lavori messi assieme. «Tu non hai una dannata lavatrice! Non saresti nemmeno in grado di usarla!» Mi fermo sulla soglia che ho spalancato, perché se mi avvicino lo distruggo.
«Lo so». Mi dà ragione come se il mio fosse stato un complimento. «Fregata!» E, come se avesse aspettato la mia reazione, mi lancia il top in piena faccia, in cui sono avvolti i boxer di Wolverine.
Raccolgo il mucchio di indumenti con fare stizzito, in preda a una crisi di nervi, e me ne torno nel mio appartamento al grido di una minaccia: «Me la pagherai».
Cerco di guardare i lati positivi: i postumi della sbronza sono passati decisamente in secondo piano.
Buon anno a tutti!
Ho pensato, sai che c'è? Anno nuovo, storia nuova, così eccomi qui!
Cioè, avrei voluto pubblicarla ieri, ma la mia trasferta mi ha tolto ogni voglia di fare qualsiasi cosa che non fosse vegetare sul divano, quindi sto rimediando ora.
Vi è piaciuto come primo capitolo?
Ho un paio di cose da dirvi. La prima è che la storia è scritta dal punto di vista di Sebastian, tranne alcuni pov, come in questo caso, di Elle. Quando il punto di vista cambia verrà segnalato sopra, come ho fatto all'inizio del capitolo.
La seconda riguarda gli aggiornamenti. Purtroppo, non avendo avuto molto tempo per portarmi avanti, ho solo una decina di capitoli da parte, per questo preferisco postare una volta ogni dieci/quindici giorni. Spero possiate comprendermi, anche perché in questi momenti "morti" io lavoro per voi!
Se la storia vi è piaciuta vi va di votarla e di fare un po' di passaparola?
Vi aspetto numerose!
Cris
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