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🌹 5.

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Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?

William Shakespeare
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La pioggia aveva iniziato a scendere non appena ebbi lasciato il sentiero. Nel tragitto attraverso il centro abitato mi ero inevitabilmente bagnata, ed ero quasi completamente fradicia quando entrai nell'ingresso di casa. Richiusi la porta - troppo forte - alle mie spalle ed esitai qualche secondo con la schiena poggiata contro, cercando di calmarmi.
Salii le scale diretta al bagno di sopra, mi avvicinai con passo incerto al lavandino, aprii il rubinetto e mi sciacquai abbondantemente il viso con l'acqua fresca. Poggiai le mani tremanti sul bordo di porcellana, ed osservai il mio riflesso nello specchio; ero un disastro. I capelli mi scendevano scompigliati in una massa di nodi a causa della corsa, il volto era pallido e le labbra violacee. Il rosso vivo di una striscia di sangue che velava due graffi sulla mia guancia, contrastava nettamente con il colore cereo della pelle. Li toccai delicatamente con un dito; dovevo essermeli procurati fra i rovi... mi avevano trinciato anche la manica della maglia.

Mi spogliai in due mosse, lasciando a terra la maglia oramai rovinata e mettendo a lavare tutti gli altri vestiti.
Mi buttai sotto la doccia, spostando il miscelatore al massimo sul cerchietto rosso: ecco quello che ci voleva, pensai, estasiata da quel momento.

Lunghi minuti dopo cominciai a rilassarmi e i miei nervi iniziarono a distendersi lentamente. L'acqua bollente mi batteva forte sulla testa leggermente chinata in avanti e sulle spalle, scivolando come una carezza sul resto del corpo. In poco tempo tutto il bagno divenne completamente bianco, avvolto da dense nuvole di vapore acqueo. Tenevo gli occhi chiusi e, nonostante mi ero imposta di dimenticare quello che era accaduto, i miei pensieri offuscati dal calore mi riportavano alla mente due occhi grigi che brillavano, troppo vicini ai miei, posizionati su un viso dai lineamenti decisi, incorniciato da folti capelli scuri e leggermente arricciati, che accentuavano la bellezza di quello sguardo surreale.

Era un delinquente, entrava nelle case altrui per rubare. Era pericoloso. la vocina nella mia testa mi ammoniva. Non avrei dovuto sottovalutare il pericolo, ero stata un'incosciente. Mi sarei dovuta concentrare su quel pensiero anziché sui suoi occhi.

Certo, ero entrata anche io in quella casa senza invito, ma non avevo trovato il portone aperta in fin dei conti?

Come se la mia intenzione non fosse stata quella di forzarlo.

Scacciai il ricordo di come ero stata determinata ad aprirlo, spingendolo con tutte le mie forze.
In ogni modo, non mi sarei mai sognata di portare via nulla da quel posto, ero lì solo per soddisfare la mia scellerata curiosità.

Mentre mi insaponavo i capelli, ripensai alla breve conversazione avuta con il ragazzo misterioso: aveva affermato che il castello fosse suo.

«Che cosa ridicola...», bisbigliai. Il castello era abbandonato da anni, dai tempi in cui mia nonna era solo una ragazza, poco più grande di me ora. E poi se il castello fosse stato davvero abitato, qualcuno se ne sarebbe accorto.

Finii di insaponarmi e mi sciacquai abbondantemente, questa volta con acqua tiepida, quasi fresca.

Ok... Mi ero ripresa dallo shock, quasi.

Uscii dalla doccia e mi tamponai energicamente i capelli bagnati con l'asciugamano, per velocizzarne l'asciugatura con il phone. Mi diressi nella mia camera e mi avvolsi nella mia vestaglia -enorme ed incredibilmente soffice- e me la strinsi bene in vita. Decisi di sdraiarmi qualche minuto sul letto, come facevo spesso dopo la doccia. Per mia fortuna, le forti emozioni di quella mattina non lasciarono molto spazio ad ulteriori pensieri: dopo qualche attimo crollai in un sonno profondo.

Scesi al piano di sotto che era tardo pomeriggio, quasi ora di cena. Mi diressi in cucina sentendo i crampi allo stomaco;
non avevo neanche pranzato, mi ricordai: avevo fame.
Mi preparai quello che trovai in frigo: del pollo e delle patatine fritte. Mangiai distrattamente davanti al televisore, guardando un programma a caso, senza seguirlo. La mia mente, mio malgrado, continuava a pensare ad altro.

Finii di mangiare e sparecchiai, pulendo per bene tutta la cucina per distrarmi. Guardai fuori dalla finestra e mi accolsi che il sole non era ancora sceso del tutto, e che aveva smesso di piovere, quindi decisi di fare due passi.
Mi infilai una tuta grigia ed un paio di sneakers bianche, indossai una giacchetta leggera di un rosa pallido ed uscii.

Camminai godendomi le piccole stradine che in quel momento erano più vuote del solito, poiché tutte le altre persone dovevano essere probabilmente sempre a tavola. Mi godetti l'odore dell'asfalto bagnata ed i colori del tramonto che lasciava il posto alla notte.
Tornai a casa poco prima che calasse del tutto il buio, mi spogliai e mi infilai il pigiama. Presi un libro dal mobile e mi misi direttamente a letto.

Cominciai a sfogliarlo distrattamente, troppo distrattamente. Mi sentivo irrequieta... Sbuffai e lo richiusi, insoddisfatta: Dalla terra alla storia, avrebbe dovuto aspettare.
Spensi la luce e rimasi in attesa, sperando di addormentarmi nel minor tempo possibile.

Stavo scappando, ero inseguita da un'entità malvagia che voleva farmi del male. Correvo nel bosco, senza fiato e dagli occhi mi scendevano lacrime di sangue. Ero caduta, inciampando in una radice e la bestia mi aveva raggiunta incombendo su di me.
Mi sentii sovrastare da una figura grande e possente che mi fece scudo con il proprio corpo, subendo quello che doveva essere il colpo della morte per me. L'uomo non sembrò battere ciglio a quell'attacco, tirò fuori la sua spada enorme che brillava nella notte e, con un'unica, sola mossa squarciò la gola dell'essere, che esplose in milioni di frammenti, dissolvendosi nelle tenebre.

Mi svegliai di soprassalto nel cuore della notte, sudata e spaventata, e cercai a tentoni l'interruttore della piccola lampada che si trovava sul comodino vicino al letto. Provai di ricostruire quello che avevo appena sognato e a cui non riuscivo a dare una spiegazione. Se il ladro che la mattina mi aveva immobilizzata al muro terrorizzandomi, era il cattivo... perché allora, il possente uomo che mi aveva protetta nel sogno, salvandomi la vita, quando si era voltato a guardarmi, aveva grandi e luminosi occhi grigi che risplendevano sotto la luna?

Mi alzai molto prima del suono della sveglia, ero ancora assonnata ma non ero riuscita a riprendere bene il sonno dopo l'incubo.
Mi lavai e vestii distrattamente e scesi al piano di sotto.
Decisi di chiamare mio padre per sapere dove si trovasse: stando alle sue abitudini doveva essere per strada.

«Pronto, Shanna?». Disse la voce al di là dal cordless.

«Papà, a che punto sei? Stavo per preparare la colazione, tu hai mangiato?».

«Sono molto vicino cara, direi praticamente fuori dalla porta», rispose lui.

Mi diressi all'ingresso ad accogliere l'omone un pò goffo a cui ero profondamente affezionata.

«Ciao papà», lo salutai sorridendo e lo aiutai a togliersi il cappotto.

«Ciao, mia casa», rispose, risistemandosi il golfino verde petrolio.

«Come va?», chiesi, mentre portavo la valigetta nera nel salotto e la poggiavo sul divano.

«Bene, va tutto bene. E per rispondere alla tua domanda di prima... No, non ho ancora mangiato e sì, sono molto affamato», disse sorridendo.

«Va bene, vado a preparare qualcosa allora, tu intanto rilassati».

Mi dileguai al di là della porta, diretta in cucina, profondamente grata di avere qualcosa da fare con cui poter tenere occupata la mente.

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