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🌹 4.

Inorridii. Con mia somma sorpresa mi sentii rispondere da una voce cupa e minacciosa, che percepii pericolosamente vicina. La paura inesorabilmente mi invase e rimasi pietrificata, in un misto fra terrore... e vergogna, per essere stata colta in flagrante.

Mio dio, dev'essere un ladro o un malintenzionato che mi ha vista venire qui tutta sola, e mi ha seguita! Stupida, non ti sei portata neanche una difesa...

La mia mente viaggiava frenetica: non avrei fatto la fine di una vittima qualunque, protagonista involontaria di qualche thriller; non mi sarei comportata da sprovveduta, rimandando fino all'ultimo il colpo di grazia, per poi finire irrimediabilmente uccisa.
Mi ricordai di quello che stavo facendo, e voltai impercettibilmente lo sguardo per calcolare il meglio possibile - o il meno peggio - le distanze; abbassai gli occhi sul pesante candelabro in ferro, pieno di punte affilate, e feci un respiro profondo, serrando forte la presa.
Con tutta la forza che potevo, mi girai di scatto e, gridando, mirai alla testa dello sconosciuto, per stenderlo senza pietà!

O almeno ci provai.

Come un fulmine, l'aggressore mi afferrò il polso e lo strinse in una morsa. In un'attimo l'arma cadde, finendo a terra con un assordante rumore metallico. Non ebbi neanche il tempo di realizzare... Con il braccio libero mi sollevò e mi schiacciò contro il muro al lato della scrivania, e la sua mano corse a cingermi il collo.

Serrai involontariamente gli occhi.

Sentivo le sue lunghe gambe, dure come la roccia, premere contro le mie cosce per impedirmi qualsiasi movimento: ero completamente immobilizzata.
Mi sentivo atterrita, continuavo a tenere gli occhi chiusi e dal mio corpo non usciva un suono, se non quello del cuore che pareva esplodermi sotto la maglia in cotone troppo leggera.
Mi aspettavo a quel punto di essere malmenata e cercai di pensare ad un piano, anche se non era facile nella confusone mentale in cui mi trovavo.

Devi riuscirci, provaci.

Decisi che, quando e se, il delinquente mi avesse colpita, avrei simulato uno svenimento, finché non avesse abbassato la guardia; poi avrei provato di nuovo a colpirlo, sfruttando l'effetto sorpresa. Non mi sarei arresa. Mai.

Dopo diversi minuti che, in quel silenzio assordante, a me parvero ore, decisi di raccogliere quel poco di coraggio che mi rimaneva, e affrontai l'aggressore.
Mi preparai mentalmente ad accogliere lo sguardo truce e macabro di quell'essere ignobile.

Fatti forza.

Lo feci. Evitando ulteriori ed inutili indugi spalancai gli occhi: il cerotto andava tolto con uno strappo deciso, in fin dei conti.

Mi trovai di fronte a delle profonde pozze di un color grigio piombo, che pareva volessero penetrarmi l'anima. Lo sguardo era attento e minaccioso e contrastava con il resto del volto che era rilassato: evidentemente non doveva ritenermi particolarmente pericolosa, pensai. E come dargli torto? Era alto almeno un metro e novanta, ed in quel momento ci trovavamo faccia a faccia solamente perché, mi resi conto con sgomento, mi aveva poggiata, letteralmente, sopra un baule che si trovava lì per caso.

Continuava a guardarmi da vicino, studiandomi. I suoi occhi che parevano carichi di energie inspiegabili, erano a pochi centimetri dai miei. Potevo sentire il suo respiro regolare ed il mio frenetico. Era uno scherzo della vista, o il grigio delle sue iridi emanava una... luce? Era fievole, come quella della luna coperta dalla foschia, ma era senz'altro una luce. Stavo letteralmente morendo di paura.

Chi era quel demonio? Non avrei mai dovuto attraversare il bosco per andare in quel castello sperduto, e fra non molto sarebbe calata anche la notte...

«Perché ti trovi qui?», chiese lui finalmente. La sua voce profonda era calma, come una carezza, benché le sue parole fossero state pronunciate in modo duro e deciso.

Balbettai, cercando una spiegazione plausibile, senza successo. «Io... sono venuta in esplorazione», dissi con un filo di voce.

E avrei voluto aggiungere: ficcando il naso in cose che non mi riguardano, infrangendo diverse leggi, nonché la mia etica morale. Tutto questo per farmi prendere per il collo da un'orco con gli occhi di ghiaccio. Ma evitai.

In tutta risposta aggrottò la fronte, confuso. «In esplorazione...», ripeté. «E di cosa, esattamente?».

«Io n-non lo so' di preciso. Stavo solamente... volevo solamente, guardare», bofonchiai, quasi in preda al panico.

Non batté ciglio.

Dovevo cercare di uscire da quella situazione con l'astuzia, visto che della forza neanche se ne parlava. Mi concentrai per risultare il più calma e sincera possibile, pronunciando ogni singola parola con una sicurezza che assolutamente in quel momento non mi apparteneva. «Senta...», iniziai. «Non so chi sia, ma conosco i proprietari di questa casa e torneranno presto, direi a momenti. Chiameranno la polizia e la faranno arrestare se la trovano qui», mentii spudoratamente.

Detto ciò, quel ragazzo fece un sorriso amaro ed enigmatico che mi fece raggelare il sangue, e pensai al peggio. Invece mi liberò dalla sua presa, indietreggiando di qualche passo per darmi modo di scendere dal baule.
Mi ricomposi immediatamente e lo guardai dal basso; cavolo se era alto.

«Sono io il proprietario di questa casa...», disse secco.

«Certo... come vuole», risposi io, stringendomi nelle spalle.

Come no! Che fosse chi voleva, non me ne importava minimamente.

Mi resi conto di aver alzato involontariamente il mento in modo altezzoso mentre mi preparavo a parlare: lo facevo sempre quando mi sentivo a disagio. Il mio interlocutore parve notarlo, perché inarcò un sopracciglio scuro e ben delineato.

«Io la lascio alle sue cose allora, buona giornata», proseguii, pronunciando quelle parole avviandomi a passo svelto verso la porta, senza voltarmi. Percepii il peso del suo sguardo sulla mia schiena, mentre mi allontanavo.

«Sono davvero io il proprietario, mi hai capito?», lo sentii dire con tono stizzito, alle mie spalle.

Non mi preoccupai, ovviamente, di rispondergli. Ero già arrivata in cima alla grande scala quando finì di parlare, e la stavo scendendo quasi volando. In meno di dieci secondi mi trovai fuori dal castello. Il sole stava calando e, se avessi fatto presto mi sarei risparmiata di attraversare mezzo bosco al buio, almeno quello.
Con il cuore in gola e le gambe ancora tremanti, iniziai a correre, e attraversai il fitto intrico di rovi taglienti come fossero piume. Non mi fermai neanche quando qualcosa mi trattenne: strattonai il braccio e mi liberai. Continuai la corsa, schivando pietre e rami sporgenti, e raggiunsi finalmente il percorso principale; sudata, senza fiato e con la gola secca. Mi fermai qualche secondo per prendere aria, solo qualche secondo, tossii ripetutamente e ripresi la strada, stavolta camminando, ma sempre a passo spedito.

Volevo solo tornarmene a casa, lontano da quel posto.

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