Quinta tappa
Erano ormai distanti da quel postaccio. Almeno una dozzina di miglia. Più si allontanavano, più quel peso sul cuore dell'autista andava alleggerendosi. E più il tempo scorreva fluente più si sentiva libero di respirare, in pace con il suo animo. Ma altri dolori lo avrebbero accolto dietro l'angolo. Un cielo grigio e minaccioso danzava col vento sulle loro teste, mentre il taxi si addentrava nella fetta di deserto più remota, burbera e inospitale. Sembrava lo scenario moribondo di un lugubre romanzo distopico.
- Dove siamo?
- No lo so.
- Non importa - disse in fretta, - cercherò una rapida uscita da questo deserto. La macchina non tollera troppo l'aria secca di qui. -
Il taxi non poteva dare torto all'amato padrone, per cui iniziò a tossire e starnutire ripetutamente, gettando vetri e carrozzeria in preda a spasmi e violente vibrazioni.
Procedevano alla ricerca di un'uscita dalla loro oscura selva, di uno spiraglio sulla retta via, e notarono di stare esplorando un deserto particolarmente sporco. La sabbia era costellata di sacchi della spazzatura e bottiglie, che galleggiavano in quell'oceano. Blocchi di calce e cemento annegavano tra le dune, pneumatici e fogli di carta andavano a zonzo sul dorso del vento. Sul ciglio della strada sostavano svariati edifici, abbandonati a loro stessi, lasciati ad ingrassare, mangiando la polvere del deserto, a sgretolarsi nelle piaghe del tempo, dimenticati dal mondo.
Dopo un tempo indefinibile ma apparentemente lunghissimo, pensarono di essere arrivati alla fine, all'uscita dell'inquietante parco degli orrori. E si palesò nel bel mezzo della carreggiata un uomo a cavallo. L'autista esitò a indispettire l'auto premendo il freno, perché sospettava stesse attraversando. Invece lui era immobile, con lo sguardo impassibile, fisso su un punto lontano, nascosto tra le sabbie.
Dopo aver arrestato bruscamente il taxi, l'autista uscì strattonando lo sportello, e sguinzagliò rabbiose domande, con un'ardente lama celata negli occhi:
- Ehi, voi! Voi che volgete lo sguardo alle nuvole, dovreste stare più attento a cosa combinate su questa terra! Un altro po' e vi avrei investito! -
L'uomo a cavallo si girò verso il suo interlocutore.
- Nel deserto è facile dimenticare tante cose. Ad esempio, il proprio nome. Il mio? L'ho perduto tra queste dune, anni fa. Ma ci sono cose che non posso scordarmi. Chiedo scusa, se sono rimasto assorto nei miei discorsi in un momento poco consono. -
L'uomo a cavallo era anziano, canuto, e aveva i capelli lunghi, spettinati e arruffati, arricciati dal vento. Era alto, abbastanza da far sembrare l'autista un lillipuziano. E vestiva di stracci, logori e sporchi; lo coprivano a malapena.
Nessuno dei due ebbe l'audacia di proferir parola per un paio di imbarazzanti minuti. Poi, un fil di voce diede alito ai nervi del vecchio a cavallo.
- Siete in un camposanto. Dovreste portare rispetto. L'uomo seppellisce qui quelle cose che ha usato, consumato, stremato, fino a sfiancarle, smembrarle in grumi di disperati atomi dimentichi di cos'erano o di cosa potrebbero essere. E il deserto è ridotto alla stregua di un posacenere, riempito dai resti di tanti piccoli piaceri passati, adesso abbandonati all'abbraccio della polvere.
E sappiatelo! Verrà il giorno in cui le sabbie potranno rincontrare le antiche luci.
Andatevene, lasciate questi luoghi. All'uomo non è più consentito popolarli. L'ha deciso sua madre, la Terra. È furibonda.
Io farò lo stesso. Sto partendo, in effetti. Andrò a Ovest, a vedere il mare. Nel deserto annegano molte memorie, troppe. Non ricordo più nemmeno l'odore dell'acqua e i colori della salsedine. Prima di darmi alla vecchiaia, dovrò porvi rimedio. -
E se ne andò al galoppo, scomparendo nel rosso della luce del tramonto.
Il viaggiatore e l'autista rimasero a guardarsi, stralunati, e poi ripartirono, seguendo il consiglio dell'uomo a cavallo.
La strada rimase piatta per svariate miglia, e poi s'inarcò sull'inizio di una salita. Stavano cominciando a scalare dei brevi pendii, che, entro le prime luci dell'alba, li portarono fuori dal deserto.
Durante la mattinata attraversarono un lungo tratto pianeggiante, adibito alla coltura di cavoli, verze e altre verdure autunnali. I contadini controllavano le piante, curavano gli orti, magari erano al pascolo con i loro animali, mentre i cani abbaiavano ferocemente al taxi che passava dinanzi a loro.
E dopo ampie zolle di terra coltivata, dopo molti prati , dopo molti cani, al tramontare del Sole, raggiunsero una regione boschiva che si ergeva, con le sue immense foreste, verso Nord, su delle colline scoscese ai piedi dei Monti, vicino alla frontiera.
Il fogliame iniziava ad accumularsi sull'asfalto, ad ammassarsi ai margini della strada, per poi essere spazzato via da una folata di vento, e portato sulle sponde d'un fiume. Una fioca luminosità riluceva attraverso gli alberi, dipingendo con punte di rosso le loro fronde ingiallite ed imbrunite.
Il taxi si accostò al primo motel che vide. Erano stanchi, tutti e tre. Il viaggio li aveva lasciati senza forze. Dunque dormirono un giorno e mezzo, per poi ripartire, alla volta della prossima tappa.
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