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Quando andavo a scuola, mia madre mi diceva che il primo giorno non si scorda mai. Non insegno da molto, ma il primo giorno in effetti è sempre il primo giorno anche per i prof. Quest'anno, poi, mettere piede a scuola esattamente lo stesso giorno in cui ci ritornano i ragazzi, mi fa davvero troppo strano. È una sensazione mista a paura, imbarazzo, felicità, ansia, curiosità: per fortuna che ci pensa l'adrenalina a fare il resto e a tenermi più sveglia di un pesce in una boccia d'acqua che aspetta di mangiare. Per il momento ho solo un pensiero fisso: riuscire ad arrivare puntale alle 10 e firmare il foglio della presa di servizio. Poi potrò dedicarmi a sapere dove sono le macchinette e i bagni, ossia le cose indispensabili per la sopravvivenza scolastica. Ovviamente, in seconda battuta, dovrò presentarmi ai colleghi, conoscerli e imparare i loro nomi. Stessa cosa con i bidelli, gli unici veri padroni della scuola. Quelli che sanno sempre tutto di tutti e che, se ti prendono bene, ti danno una mano a entrare a familiarizzare col sistema. Dovrò anche conoscere il preside e il vicepreside, le segretarie e poi loro, i ragazzi. Se non farò una buona impressione poi col cavolo che riuscirò ad acquistarne la fiducia nel corso dell'anno, perciò spero bene. La parte che mi spaventa di più però è Margot. Dovevo dirglielo, accidenti, ma proprio non ce l'ho fatta. Non ho idea della reazione che potrebbe avere, anche se siamo sempre andate molto d'accordo e io mi ritengo davvero fortunata di avere una sorella come lei. Mi ha sempre appoggiato nella mia scelta di diventare un'insegnante e devo dire che se non avessi avuto nemmeno il suo incoraggiamento forse oggi non sarei qui.
Ricordo ancora quando l'anno scorso, con molta fatica, le ho dovuto dire che avrei dovuto trasferirmi a Cremona perché supplenze vicino a casa non le avevo trovate. Mi aveva dato uno di quei suoi abbracci coccolosi, come li chiama lei, e si era fatta promettere che ci saremmo sentite ogni giorno su WhatsApp e almeno tre volte a settimana su Skype. Forse anche per evitare di sentire ancora così tanto la sua mancanza ho scelto di insegnare nella sua scuola. Ora però mi sento tremendamente egoista perché avrei potuto prima sentire da lei se effettivamente le avrebbe fatto piacere. Per fortuna che oggi Margot inizia alle 9 e finisce alle 12 e che l'unica classe che ho in sede, una terza appunto, la vedrò solo dalle 11 alle 13. Quindi lei dovrebbe già essere andata via e sicuramente oggi non la incontrerò. Domani vedo solo le due prime e una delle due seconde perciò sarò sempre in succursale. Il problema sarà lunedì in cui sarò in sede all'ultima ora in terza. Non vedo l'ora che mi diano il nome utente e la password di accesso al registro elettronico per sapere se in quella classe ho per caso qualche sua amica. Se è così, devo riuscire a dirglielo nel weekend. Almeno non lo scoprirà da loro. Sono talmente ciozze a volte che sono certa che se le ho in classe glielo dicono ancora prima che possa obbligarle a non farlo. L'autobus si ferma finalmente davanti alla scuola. Margot aveva ragione. È davvero comodo, peccato non abitare a Bologna o comunque vicino a dove insegno, sarebbe stato perfetto, ma già quei trenta chilometri che mi faccio al mattino in auto non sono molti. Varco il portone della scuola e una sottospecie di portinaio mi ferma all'ingresso.
- Dove pensa di andare? Guardi che non basta una borsa da prof per spacciarsi per tale. Cosa vende esattamente? Non compriamo niente.
- Lo so che può sembrare la cosa più assurda dell'universo, ma sì, sono una prof - rispondo, ridendo, mostrandogli la carta di identità con la dicitura 'insegnante'.
- Siamo sicuri che sia una carta vera?
- Siamo sicuri che lei sia un portinaio e non un agente della CIA?
- Spiritosa, dovevo ridere? - commenta, scocciato - su, vada, vada. Primo giorno da prof, immagino. Pivella.
Trattengo la voglia di mandarlo a quel paese e di farmi licenziare ancora prima di aver conosciuto il preside o messo piede in classe. Mancano esattamente cinque minuti alle 10. Salgo lo scalone di questo vecchio edificio e raggiungo il piano delle segreterie, così come annuncia il cartello scritto a mano con una freccia che indica di proseguire a sinistra. La prima porta che trovo è accostata. Busso e una voce dall'interno mi invita a entrare.
- Ah, non sei tu, Carol - commenta una donna seduta dietro a una scrivania.
Purtroppo non è la stessa segretaria che c'era ieri alle convocazioni. Quella sembrava simpatica.
- Ehm, no, mi chiamo Lidia Salsatelli, sono venuta a firmare che ho preso servizio.
- Nuova supplente, eh? Accomodati - mi dice, indicando la sedia di fronte a lei - cosa insegni?
- Francese - rispondo, sorridente.
- Ah, oddio, auguri. Il madrelingua che abbiamo è molto sclerotico, mentre le altre prof di francese sono un po' delle prime donne. Sicura che vuoi davvero firmare?
Pensa di sdrammatizzare o di spaventarmi? Margot non mi ha mai parlato male della sua prof di francese o del madrelingua, anche se forse non mi ha detto nulla di cattivo nei loro confronti per paura che potessi prenderne le difese solo perché insegnano la lingua che ho sempre adorato. In fondo, non li conosco perché ai ricevimenti c'è sempre andata mia madre e di certo non mi sono mai soffermata sul carattere o sul comportamento che potessero avere queste persone.
- Sì, sì, firmo, sono qui per questo - rispondo, cercando di essere comunque cortese anche se mi aspettavo un'accoglienza diversa.
A Cremona ci avevano fatto trovare i pasticcini in sala insegnanti, per esempio, ed era stata organizzata una cena per presentare i colleghi nuovi ai prof storici. Non voglio però giudicare dalle apparenze, in fondo non sono ancora entrata in sala docenti.
- Bene, dai, questo è il foglio da firmare, poi ricordati di compilare quello sui tuoi dati anagrafici che ci serve per il contratto.
Fisso il foglio e mi ricordo improvvisamente di dover dichiarare non solo i miei dati, ma anche quelli dei miei genitori e di mia sorella.
- Ma è davvero necessario inserire i dati di tutta la mia famiglia?
- Sì, certo, è la prassi. Cerca di scrivere con una calligrafia chiara, non ho voglia di dover passare la mattinata a decifrarla.
Inserisco a malincuore i dati di Margot. Non ha un nome così comune. Spero che nessuno noti o si accorga che potrebbe esserci un legame di sangue fra di noi. Lo sapevo che non avrei dovuto scegliere questa scuola, accidenti.
- Hai finito? Non ho tutta la mattinata da spendere per te, devono arrivare anche altri nuovi supplenti.
- Sì, sì ho finito - rispondo.
- Bene, dai, vieni, ti accompagno dal preside. E vedi di chiuderti il primo bottone della camicetta. Non lo devi conquistare con la tua scollatura, ma con il tuo curriculum.
Incasso la frecciatina, presa alla sprovvista. Non mi sembrava di avere una camicetta così scollata, visto che al massimo porto una seconda di reggiseno, ma evidentemente è davvero il primo giorno di scuola per tutti. Mi indica l'ufficio del preside, bussa alla porta ed entra, anticipandogli che ho appena firmato il contratto. L'uomo acconsente a ricevermi e la segretaria sparisce dopo avermi fatto cenno di entrare.
- Richiudo la porta? - gli chiedo, appoggiando per terra la mia borsa.
- Sì, grazie - risponde, inforcando gli occhiali e squadrandomi da capo a piedi - lei dovrebbe essere la giovanissima professoressa di francese.
Sorrido, sperando che quell'aggettivo l'abbia rimarcato solo in senso positivo.
- Buongiorno - dico, allungandogli la mano.
Me la stringe, ricambiando il saluto.
- È il suo primo anno di insegnamento? - mi chiede, allungandomi una ciotola contenente caramelle alla menta.
- No - rispondo.
- Se non è il primo sarà il secondo - commenta - data la sua età.
- Se la mette sul piano dell'esperienza, purtroppo non ne ho molta, mi spiace - mi rialzo, dopo appena tre secondi.
- Si sieda - mi dice, accennando un sorriso - ho sempre stimato le giovani leve e in particolare chi come lei decide di sacrificare la sua vita per gettarsi nella giungla dell'insegnamento. Vi considero dei martiri. Ma chi ve l'ha fatto fare?
- Forse l'incoscienza - commento, ironica - oppure la passione per la materia che vorremmo spiegare a modo nostro. Basta considerare la faccia della medaglia che più ci piace.
- Non è la risposta che mi aspettavo, ma mi ha quasi convinta.
- Comunque, è un piacere conoscerla. Mi chiamo Lidia Salsatelli.
- Spero che a fine anno il piacere sia tutto mio - risponde - ha già visto quali classi avrà dall'orario?
- Sì, preside, due prime, due seconde e una terza.
- Non è un incarico difficile, praticamente sarà sempre al biennio. Abbiamo evitato di darle classi alte come quarte e quinte per non metterla troppo in difficoltà. Spero apprezzerà.
In realtà no che non apprezzo. Se non inizio ad avere classi difficili come posso pensare di maturare anch'io? Se mi riduco per anni di fila a spiegare sempre gli stessi programmi come posso ipotizzare di crescere come insegnante?
- Lo abbiamo fatto per lei. In quarta e in quinta c'è lo scoglio della letteratura ed è tutta da spiegare in lingua. È difficile per una prof. giovane come lei affrontare una questione del genere. I genitori, poi, pretendono prof di ruolo. Sa com'è...
No, non lo so come sia. Perché non me lo spiega lei? Quanto vorrei dirglielo, ma preferisco tacere. Sono giovane, magari con la faccia da ebete, ma sono in grado di parlare in lingua per più di un'ora. Non capisco perché i prof anziani si accaniscano così tanto contro noi giovani. D'altronde, ci accusano di essere inesperti negandoci la possibilità di fare esperienza. Bella coerenza, di questo passo non saremo mai pronti.
- Lo so che in questo momento è delusa, ma si fidi. A giugno mi ringrazierà. I programmi del biennio sono decisamente più semplici da affrontare per una persona alle prime armi come è lei.
- Ha ragione, la ringrazio.
Quanto mi costi dirlo lo so solo io, ma non riesco a rispondergli come vorrei. Fortuna che secondo la segretaria di ieri il preside doveva essere contento di trovarsi di fronte a una supplente giovane. Sinceramente tutta questa felicità proprio non la vedo. Osservo il suo volto e noto un'impercettibile sensazione di sorpresa.
- È sempre bizzarro sentirsi dare ragione da una donna che sto superficialmente sottovalutando solo per la sua giovane età e che è abbastanza intelligente da capirlo senza farmelo notare - asserisce, sorridendo e alzandosi in piedi - benvenuta alle "Neruda", professoressa Salsatelli.
Non so esattamente se prenderlo come un complimento o una frecciatina sottile al mio buon senso. Di certo non posso litigare col preside il primo giorno di scuola, ma non sono nemmeno così brava a fingere che abbia davvero ragione. Mi alzo in piedi anch'io ed è solo poco prima che abbia richiuso la porta che mi richiama dentro.
- Ah, professoressa, solo una domanda! - dice, alzando l'indice.
Se avesse alzato il medio me lo sarei meritata solo per avergli dato ragione a torto.
- Sì, signor preside? - chiedo.
- Ha mai sentito parlare del valore assoluto?
- No, signor preside, mi dispiace.
- Il valore assoluto è una funzione che associa ad un numero negativo il numero stesso con segno positivo - mi spiega.
- Mi scusi, signor preside, ma la matematica non è mai stata il mio forte.
- L'importante è che sappia che il valore assoluto di un numero è sempre positivo o eventualmente nullo.
- Scusi, ma non capisco dove voglia arrivare.
- Ora che sa la definizione sta a lei decidere dove vuole arrivare.
- Mi perdoni, ma continuo a non capire.
- Provi a traslare la metafora e ad applicarla al suo comportamento. Il valore assoluto è un ideale che vorrei arrivare a trasmettere nella mia scuola. Si informi, magari il prossimo valore assoluto potrebbe essere lei.
- Non la seguo.
- Sono solito dare un premio a fine anno per l'insegnante più meritevole. Tutti pensano che sia più interessato a premiare chi fa tanti progetti o chi non porta i ragazzi in gita. Il valore assoluto non è questo. Io cerco qualcuno in grado di associare ad un evento negativo l'evento stesso e di risolverlo in maniera positiva. Io cerco qualcuno che abbia spiccate competenze di problem solving, capisce? Insegnare è un terno al lotto, se lo ricordi. Se se la caverà, sarà solo passato un anno. Se non se la caverà, abbandonerà, come hanno fatto tanti altri prima di lei. Si ricordi, però, che la matematica è una scienza esatta e che prima o poi troverò il mio valore assoluto. Ho premiato tanti insegnanti in questi anni, ma nessuno di loro lo considero davvero un valore assoluto. E si fidi che me ne intendo, prima di accomodarmi dietro a questa cattedra, ho insegnato nei migliori licei scientifici d'Italia. Ora vada e si ricordi cosa le ho detto.
Chiudo la porta, sorridendo, dopo avergli augurato una buona giornata. Forse è davvero contento di trovarsi di fronte una professoressa giovane oppure mi ha spiegato quella funzione matematica solo per farmi capire che non sarò mai il suo valore assoluto. Non ho esperienza, non ho metodo, non ho abbastanza competenze da poter pensare di essere quel tipo di persona. Perché i professori anziani che fanno i presidi riescono sempre - nel bene o nel male - a spiazzarmi? Forse perché mi ricordano chi ha già vissuto una vita intera e ne ha viste di cotte e di crude, sa già che non riuscirò a farcela e decide di distendermi nella bambagia di quattro classi del biennio e di una 'facile' del triennio. Continuo a camminare senza fare caso al professore che sta venendo dal senso opposto ed è solo per un soffio se riesco ad evitarlo. Mi scuso a gesti e chiedo a una bidella di indicarmi la segreteria didattica.
- Entra e chiedi di Adelaide.
- D'accordo, grazie - rispondo e faccio come mi dice - buongiorno, sono la professoressa Salsatelli, avrei bisogno di parlare con la signora Adelaide per avere le credenziali del registro elettronico.
- Sono io - dice una delle tre signore, alzando la mano - ci siamo viste ieri alle convocazioni, ti ricordi? Hai già parlato con il preside?
- Sì, prima.
- Ti ha attaccato la pezza del valore assoluto, vero? O non avresti quella faccia...
- Sì, più o meno.
- Comunque, queste sono le tue credenziali. Scommetto che non vedevi l'ora di stalkerare gli studenti, eh?
- Come?
- Dai, sto scherzando! Vedo che hai il bottone della camicetta chiuso quindi sei già stata dalla segretaria che rompe il cazzo a tutti solo perché il marito l'ha tradita con una professoressa giovane e le ha rinfacciato di non aprirsi mai quel dannato bottone. Aprilo, nessuno si scandalizzerà. Se te lo stai chiedendo, sì, il preside è suo marito. In realtà, se ti ha detto di chiudertelo, è perché pensava che potesse essere attratto anche da te.
Mi vomita addosso un mare di parole che mi sta solo mandando ancora più in confusione. Non sono interessata a teatrini e pettegolezzi vari, o meglio diciamo che non me lo aspetto da una scuola cittadina.
- Questo è il foglio, firmami qui per presa visione. Che dire? Fanculo le buone maniere e divertiti in questa giungla. Se hai bisogno di qualcosa, chiedi di me ossia di Adelaide, ma il nome lo sai già perciò stai in una botte di ferro. Ciao, Lidia, benvenuta alle "Neruda".
- Grazie... - rispondo, leggermente sconvolta.
- E di che? È il mio lavoro, no? Ah, giusto, dimenticavo, la sala docenti è al piano ammezzato. Non chiedermi che cazzo significhi, perché non l'ho ancora scoperto, tu regolati con l'ascensore che non c'è e con le scale che fanno pena. Quando trovi i gradini malconci e ti viene da pensare 'gradini di merda' sarai arrivata a destinazione.
- D'accooordo - commento, uscendo, con le credenziali del registro in mano e tanta voglia di ridere che però non posso esternare.
Raggiungo finalmente la sala docenti e scopro di non avere un cassetto, o meglio sicuramente c'è, ma non so il cognome della professoressa che sostituisco. Dannazione, potevo chiederlo ad Adelaide.
- Cerchi il senso della vita?
- Come, prego? - chiedo, rivolgendo uno sguardo interrogativo al professore che mi ha appena rivolto la parola.
- No, dico, ti sei piazzata qua in mezzo al passaggio senza avvisare!
- Sì, mi scusi, cioè volevo dire scusami. È il primo giorno di scuola e...
- Anche il mio.
- Ah, beh, sì, certo, come tutti i prof. - commento - comunque, sono Lidia.
- Non mi interessa, potresti anche chiamarti Gertrude, ma sei comunque in mezzo alle balle.
- Mi sposto subito - rispondo, cercando di essere sorridente.
- Bene, almeno l'italiano lo capisci - commenta, dirigendosi verso il suo cassetto.
Mentre lo apre, gli salta per sbaglio in testa l'anta del cassetto superiore. Ma allora il karma esiste! Lo so che non dovrei ridere, ma è più forte di me. Rinuncio a cercare il cassetto ed esco dalla sala insegnanti. Ovviamente, tanto per non fare ulteriori figure di merda, mi scontro con un altro professore. I fogli che aveva in mano cadono tutti per terra.
- Scusami tanto - rispondo, inginocchiandomi e iniziando a raccogliere tutto.
- Giù le mani da quei fogli!!! - mi dice, con tono scocciato, ma senza alzare la voce - non toccare niente! Guarda che macello hai combinato!!!! Potresti anche guardare quando cammini!
- Scusami, mi dispiace davvero, non l'ho fatto apposta.
- E ci spero! Se si sono rovinate, mi incazzo, eh! - risponde, incrociando le braccia - me le hanno appena consegnate, sono le relazioni su Socrate che i miei di terza dovevano fare per le vacanze! Non esiste una copia perché hanno scritto tutto a mano!
- Scusami, davvero - dico, mentre gli allungo gli ultimi tre fogli rimasti e mi scontro con i suoi occhi verdi che mi fissano.
- Ma che terze hai esattamente?
- Ma i fatti tuoi, no, eh? Se si sono rovinate, faccio un casino immane! Speriamo che almeno quella di Margot non si sia sciupata...
Trasalisco. Mi sembrava proprio di aver riconosciuto la scrittura di mia sorella negli unici fogli che sono riuscita ad allungargli.
- Di chi?
- È una mia studentessa. Comunque, stai attenta quando cammini.
- Sì, sì, certo, ricevuto, sarò super attenta.
- Bene - risponde, sistemandosi i capelli a ciuffo.
Mi ricorda tanto un professore che avevo al liceo. Come stronzaggine siamo lì. Si riprende il pacco di fogli e si infila una mano nella tasca ad altezza pettorali. Ha un cappotto doppiopetto che gli arriva alle ginocchia che non è niente male, lui però ha un carattere di merda. Per quattro fogli che gli sono caduti fa una tragedia greca. Dovevo scommetterci il dizionario che insegnasse filosofia. Comunque, grandioso, Lidia! Non sono nemmeno le 10.30 e hai già avuto da dire con due colleghi. Forse è il caso di farsi indicare un bagno e di sistemarsi un attimo prima di andare in classe. Mentre ci penso, mi ferma una signora sulla sessantina.
- Non sapevo che avessero aperto i cancelli dell'asilo per iscriversi in graduatoria quest'estate... - commenta, ironica.
- È davvero un piacere conoscerla - rispondo, ricambiando il tono ironico.
- Non volevo infierire sulla tua giovane età, ma faccio fatica a darti trent'anni.
- Infatti non li ho... - commento, piccata.
- Fossi in te non me ne vanterei più di tanto. Significa che sei totalmente inesperta e alle prime armi. Noi leonesse di 60 anni siamo sempre affamate e le bambine come te se ce le mangiamo vive in un secondo, chiaro?
- L'ho sempre detto che facevo bene a non avere paura dei cani, ma delle persone.
- Porta rispetto, ragazzina. Non hai un'idea di cosa significhi insegnare - dice, allontanandosi.
Ma io ho fatto qualcosa di male nella mia vita precedente? Non ho ancora trovato un collega simpatico, carino e gentile e sono qui dentro da nemmeno un'ora. Sulle scale mi scontro con un altro docente.
- Guarda dove cammini, idiota - mi urla, scocciato - è già buona che non fossi davanti allo schermo di un cellulare. Di che classe sei? Spero di non essere un tuo prof.
Non gli rispondo nemmeno, perché ormai qui tutti mi scambiano per una studentessa e non accettano le mie scuse. Salgo di un piano e una bidella mi ferma subito.
- Dove crede di andare?
- Sono una prof, cioè una supplente, ho appena firmato la presa di servizio, per favore non mi sbrani - le dico, ridendo - so di non avere la faccia da insegnante, ma mi creda, lo sono.
- Va bene, va bene - commenta - cosa le serve, prof?
- In questo momento, nell'ordine: un caffè, un bagno e sapere in che aula si trova la 3^N visto che alle 11 ho lezione da loro.
- La sala docenti l'ha già vista, prof?
- Sì, ci sono appena stata. Comunque, ho solo una classe qui in sede, perché le altre sono tutte in succursale, perciò diciamo che mi preme sapere dove sia la 3^N.
- È già passata da Maiale, prof?
- Da chi?
- Da Maiale, il tecnico che deve darle il codice per le fotocopie.
- Ahhhh - cerco di trattenere le risate - no, non ci sono ancora passata.
- In fondo al corridoio a destra.
- Cosa?
- Le macchinette. Sì, le serve un caffè. Poi scenda di un piano e vada da Modesto Maiale. L'aula della 3^N guardiamo subito dov'è - fissa una cartina appesa al muro - ah è fortunata, è sempre su questo piano. Terz'ultima porta sulla sinistra.
- D'accordo, grazie.
Mentre la ringrazio e passeggio a passo spedito nel corridoio rido mentalmente al pensiero che il tecnico delle fotocopie si chiami con un nome così ridicolo. Poveretto, chissà quante prese in giro fra i banchi di scuola. Raggiungo le macchinette. Davanti a me c'è un professore che avrà una quarantina d'anni, è slanciato e ha i capelli corti. Indossa una camicia blu a righe e un paio di jeans grigi. Non so perché, ma la sua faccia mi ricorda tanto quella di un personaggio di un cartone animato francese.
- Ciao - mi saluta - hai una vaga idea di come possa emettere il resto questa macchina?
- Dovrebbe esserci scritto - commento - oppure darlo in automatico non appena togli il bicchierino pieno.
- Magari ci fosse scritto, comunque aspetta che provo a toglierlo così poi vediamo.
Estrae il bicchierino, ma il resto non esce. Inizia a ruotare la paletta trasparente nel caffè caldo, finché ammette che quei dieci centesimi non gli cambieranno l'esistenza.
- Dai, non può non darteli - dico, inginocchiandomi a cercare di recuperare i soldi.
- Non preoccuparti, per dieci centesimi - commenta, inginocchiandosi a sua volta.
È proprio quando riesco finalmente ad accaparrare il resto che faccio la mossa sbagliata e gli urto il braccio. Inavvertitamente mi rovescia il caffè caldo sulla camicetta bianca.
- Cazzo - commento, sconsolata, cercando di pulirmi.
- Oddio, non volevo, credimi, non volevo davvero - mi dice, estraendo dalla tasca il suo fazzoletto e porgendomelo - tieni, fallo tu, perché è in una posizione un po'... ecco... dai, mi giro...
Fantastico, ora ho anche una bella chiazza marrone sulla camicetta proprio dal lato del seno. Ma perché tutte a me questa mattina!
- Scusami davvero non ho fatto apposta, mi dispiace un sacco... sei già andata in aula?
- No, e non ho nemmeno il cambio! Come faccio? Porcaccia la miseriaccia, sono nella merdaccia.
- Non fare così, dai, ti do la mia giacca...
- Ho una camicetta bianca, purtroppo la macchia si vedrebbe lo stesso!
- Eh, allora amen - commenta, ridendo - potrai sempre vantarti di esserti macchiata la camicetta il primo giorno di scuola. Non è da tutti.
Sono contenta che si sia scusato, ma la macchia sulla mia camicetta rimane. Mentre cerchiamo di trovare una soluzione, la campanella suona e mi ricorda che devo al più presto raggiungere la 3^N.
- Scusami, ora devo andare. Grazie comunque per la giacca.
- Figurati - esclama, tutto dispiaciuto - non so proprio come rimediare.
- Tranquillo, non l'hai fatto apposta.
Mi allontano cercando di non sclerare troppo per la macchia sulla camicetta. Odio essere sporca o apparire tale, visto che è il primo giorno di scuola e le impressioni sono importanti. Ritorno sui miei passi in corridoio e non appena trovo la terzultima porta sulla sinistra mi fiondo dentro senza pensarci chiudendo la porta alle mie spalle.
- Buongiorno ragazzi - dico, senza convenevoli, appoggiando la borsa da prof ai piedi della cattedra.
- Didì! - una voce troppo familiare per essere confusa mi richiama all'ordine.
Mi giro in un attimo e non solo mi accorgo che c'è un ragazzo che sta appendendo il suo cappotto all'attaccapanni in fondo all'aula, ma soprattutto che Margot è seduta in un banco. Cazzo, ma non era in 3^O? Non possono avermi dato la sua classe!
- Cazz- Margot! - esclamo, presa alla sprovvista - ehm...ehm... ti... ti ho portato una cosa che avevi dimenticato a casa... ma te la posso dare anche dopo.
- Come mai hai la borsa da prof? - mi chiede Margot, indicando la cattedra.
- Ah questa? - le rispondo, cercando di trovare una scusa plausibile - beh, devo andare a insegnare anch'io nella scuola in cui mi hanno preso.
- Ahhh spero di non averti rubato del tempo portandomi questa cosa.
- No, no, tranquilla.
- Ma io ti conosco! - esclama il ragazzo che ha appena appeso il suo cappotto all'attacapanni e che mi sta puntando il dito contro - sei quella delle convocazioni!!! Quella che non aveva il deodorante da prestarmi!
Arrossisco in un batter d'occhio.
- Ma cosa...
- Oddioooooo - Margot scoppia a ridere e dà una gomitata alla compagna di banco - Brenda hai sentito? Questo prof mi fa già ridere...
- Ah, forse, ora ricordo - esclamo, imbarazzatissima perché non solo ho capito chi sia il tipo che ho di fronte, ma soprattutto ho compreso di aver sbagliato aula e di essere ovviamente capitata nell'unica terza in cui non volevo finire, quella di Margot - beh, è stato un disagio cioè voglio dire un piacere averti conosciuto e rivisto...
- A casa dovrò fare un sacco di domande a mia sorella - bisbiglia Margot alla compagna di banco.
- Ma tu avevi poi avuto una supplenza qui o sbaglio? - incalza lo sconosciuto puzzone senza deodorante.
No, non dovrei definire così il prof di mia sorella, ma chi l'avrebbe mai creduto possibile ritrovarci nella stessa scuola e lui addirittura insegnante di Margot. Forse avrei dovuto dargli quel deodorante. Sarebbe stato tutto più semplice. Invece alla sua domanda divento violacea.
- Cosa?! - esclama Margot, stupita.
- No, ma f-forse t-ti confondi... - rispondo al tipo, cercando in extremis di evitare di dare così presto spiegazioni a mia sorella.
- Bre, hai visto che grande mia sorella? - esclama Margot - già ci fa perdere tempo con questo!
- Ti chiami Lidia Salsatelli, giusto? - incalza il tipo.
Il mio viso attraversa diverse sfumature di rosso prima di ritornare normale.
- No, comunque io ti dovevo lasciare questo - dico a Margot, tirando fuori una cosa a caso dalla mia borsa e ovviamente la prima cosa che pesco è un assorbente.
Lo sconosciuto scoppia a ridere e si avvicina.
- Comunque, se sei Lidia e saremo colleghi, bisogna che ci presentiamo... piacere, sono Massimo Scago e insegno italiano.
- Didì, cosa hai fatto alla camicia? - Margot mi riporta alla realtà mentre la classe inizia ad avere le convulsioni dalle risate, forse dovute al cognome poco affascinante del nuovo docente di lettere.
- Margot, scusa, puoi uscire un attimo?
- Ah, ma quindi vi conoscete? - chiede Massimo, mentre inizio a farmi film mentali sui possibili thug life che potrei riservargli in futuro.
- Sì, ma te la rubo giusto due minuti, poi rientra in classe - rispondo mentre Margot annuisce.
Massimo le fa segno di uscire. Esco, aspetto che anche Margot sia uscita e poi chiudo la porta della sua classe.
- Didì, ha bevuto anche la camicia? Tieni, prendi la mia felpa! - mi passa una felpa di un colore acceso.
- No, Margot, aspetta, ti devo dire una cosa, ma non so da dove iniziare. Ho paura che tu possa reagire malissimo.
- Hai appena rifiutato la mia bellissima felpa fucsia! Più di così non potrei reagire male!
- Scusami, la felpa la prendo dopo... è una cosa importante, Margot.
- Ok, dimmi, ti ascolto - fa una pausa - sis non è che te ne andrai di nuovo, vero?
- No, non me ne vado... il problema è che... lo so, avrei dovuto dirtelo subito ieri sera dopo le convocazioni... l'unica supplenza annuale di francese era qui, nella tua scuola... Perdonami sis, ma ho scelto di venire qui...
- Sis... io... - balbetta Margot.
- Però sarò più tempo in succursale - la interrompo - perché qui in sede ho solo una terza...
- Sono contentissima!!!! - esclama.
- Non mi vedrai molto e comunque sarò il più indiscreta possibile a parte adesso che ho sbagliato aula - faccio una pausa - come hai detto, scusa?
- Sono contentissima!!!! - ripete, stritolandomi con uno dei suoi fantastici abbracci - sis, ci vedremo tutti i giorni, che bello!
- Ma... ma sei contenta? - esclamo, incredula, lasciandomi abbracciare.
- Certo che sono felice! Recupereremo il tempo perdutoooo!
- Meno male che l'hai presa bene!
- Aspetta! Tutte le domande di ieri sera erano per questo! Hai capito - commenta, con sguardo pervy.
- Sì, esatto - rispondo.
- Oh sis, che bello! A che ora esci oggi? Sai, a casa dovrò farti qualche domandina su Scago!
- Senti, ma la 3^N dov'è? Dovevo essere lì, in realtà, ma dalla bidella avevo capito che fosse qua - chiedo, indicando la sua aula - comunque oggi esco alle 13...
- In 3^N hai detto??? Ma sei da Mayaaaaaaaa!
- Da chi?
- Da Maya Lotta, la mia amica di teatroooo, sarà felicissima, vedrai!
- Oddio una tua amica! Ehm, sis, io da prof sono un po' stronza...
- Tranquilla.
- Non sapevo si chiamasse Scago quel tipo... oddio ti devo raccontare che razza di cosa da disagio mi ha detto alle convocazioni!
- Va bene, mi racconterai tutto dopo, comunque la 3^N è quella di fronte a te, mi raccomando metti la felpa così sarai più presentabile.
- Ok grazie per la felpa, sis - le allungo dieci euro - così ti prendi la merenda.
- Ohhh, che bello, adesso posso scroccare la merenda!
- Dovrò chiedere la chiavetta delle macchinette, così quando ne avrai bisogno la potrai usare.
- Ne avrò bisogno spesso!
- Ahhaha, allora quando la avrò vedrò di ricaricarla spesso.
- Dai, vado, se no Scago chi lo sente! Ci vediamo a casa sis.
- Torni in corriera?
- Sì, oppure dovrò scroccare anche un passaggio.
- Ok... ah sis... ultima cosa... posso dirlo che ho mia sorella in 3^O o preferisci che non lo sappia nessuno?
- Non dire niente su di me.
- Ok, allora che siamo sorelle non lo deve sapere nessuno.
- Esatto - mi dice, facendo l'occhiolino - a dopo.
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