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CAPITOLO III

C'era un piacevole odore di salsedine. Era una mattina fresca e luminosa. Il Tamigi brillava alla luce del sole, sprigionando bagliori scintillanti sulle navi attraccate ai moli. Il brusio di voci provenienti dai passanti, le urla e i richiami da parte dei marinai e il rumore delle carrozze che passavano sulle strade mi confondevano. Era tutto così vivace, benché fosse mattina presto. I pescherecci erano già tornati in porto, dopo una lunga nottata di pesca. Gli uomini erano occupati a scaricare casse colme di pesci e di frutti di mare, nudi fino alla cintola.

La mia carrozza si fermò proprio dinanzi al mio vascello, una delle più grandi e imponenti imbarcazioni che momentaneamente era collocata nel Porto di Londra. Osservai la nave, intimorita da tutta quell'ampiezza. Una grossa scritta di vernice bianca sullo specchio di poppa citava "Galatea". I pennoni, gli alberi e le verghe erano in abete, il fasciame invece di quercia. Era una nave a vela con quattro alberi. C'erano delle aperture sulle fiancate, dotate di portelli di chiusura, dove erano collocati i cannoni installati sui ponti più bassi. Il signor Williams mi aveva spiegato che la nave era equipaggiata di armi e cannoni per evitare qualche sconveniente durante la navigazione. Mi aveva fatto un lungo discorso sugli ammutinamenti e il rischio di imbattersi nei pirati dinanzi le coste dell'America. Poiché nella nave c'era una grossa somma di denaro e tesori vari, il signor Williams aveva giustamente pensato che fosse necessario noleggiare una nave da guerra per la protezione del patrimonio di famiglia e di me stessa. Proprio mentre pensavo a lui, scorsi la sua figura tra la folla. Discuteva animatamente con il Capitano, Theodore Jones.

Scesi dalla carrozza, aiutata dal valletto, e d'improvviso fui circondata da due marinai che, a quanto sembrava, facevano parte dal mio equipaggio.

«Buongiorno, signorina», dissero quasi all'unisono. Si affrettarono a scaricare i miei bauli e le valigie.

Il professor Brown e sua moglie scesero dopo di me. La signora Brown apparve estasiata alla vista della Galatea.

«Buon Dio, è magnifica», mormorò, incredula.

«Signorina Adler!» esclamò il signor Williams, appena lo raggiunsi.

«Salve, signori. Una splendida mattinata, non trovate?»

«Perfetta per la navigazione», affermò il Capitano, con un sorriso cordiale. «Bentrovata, signorina Adler. Come vi sentite?»

«Alquanto ansiosa, devo dire.»

«Non temete, il mio equipaggio è uno tra i migliori. Siete in buone mani.»

«Immagino di sì. Sono già tutti a bordo?»

«Esatto, aspettiamo solo voi.»

«Allora sarà meglio non farli aspettare troppo.» Mi rivolsi poi al signor Williams, incapace di nascondere la mia agitazione. Il Capitano chinò il capo in segno di rispetto e si allontanò, lasciandoci soli per permettermi di salutare.

Il signor Williams mi mise affettuosamente una mano sulla spalla, osservandomi attentamente. «Non dovete temere, Eveline. Il viaggio finirà prima che ve ne rendiate conto.»

«Lo spero davvero. Non ho mai viaggiato per mare.»

«Il Capitano Jones si prenderà cura di voi, ne sono certo. Questo veliero è uno dei più moderni e comodi che si possa desiderare.»

«Vi devo ringraziare per avermi aiutata in tutto questo.»

«Che uomo sarei se non aiutassi la figlia di uno dei miei amici più cari? Porgi i miei saluti a tutta la famiglia, Eveline. Dite a vostro padre che aspetto sue notizie. Quel farabutto non mi manda una lettera da mesi.»

Ridacchiai. «Non è un tipo da lettere, lui.»

Il signor Williams fece una smorfia. «Lo so fin troppo bene. Appena arrivate a Charlestown costringetelo a scrivermi, d'accordo?» scherzò. «A costo di prenderlo per un orecchio.»

«Sarà fatto.»

«Oh, sono venuti anche i signori Brown, a quanto vedo! Buongiorno!»

«Salve, signor Williams.»

«Per me è un vero piacere rincontrarvi di nuovo. Avete ospitato Eveline in queste ultime settimane, dico bene?»

«Sì, è stata un'ospite eccezionale», osservò la signora Brown. «Così cortese, così educata.»

«Come sempre!»

A quel punto la conversazione si interruppe e tutti capimmo che era ora di salutarci. Li guardai di sottecchi. Il signor Williams stava ancora lottando per trattenere le lacrime. Era più basso di me, con una stazza grossa e paffuta. I capelli grigi gli cadevano sull'ampia fronte e le sue mani erano infilate nelle tasche dei calzoni. Il nostro umore mutò all'istante. Il silenzio teso ci costrinse a parlare.

«Be'», disse il professor Brown, «credo sia ora per voi di andare, Eveline.»

Sospirai, tesa. «Suppongo di sì.»

«È stato un vero piacere conoscere tutti voi», intervenne il signor Williams. «Voi Adler siete delle persone davvero... davvero meravigliose.» Una lacrima scivolò sulla sua guancia.

«Salutate da parte mia la vostra cara moglie, e John e Louis», gli dissi.

«Certo, certo!»

Poi mi voltai verso il professor Brown. Lui non parlò. Non disse niente. Ci guardammo soltanto. La signora Brown mi sorrise dolcemente, mi augurò buona fortuna, ma non prestai troppa attenzione alle sue parole; continuavo a guardare lui. Ci stringemmo la mano.

«Prendetevi cura di voi, d'accordo?» disse il professor Brown.

Annuii.

«Vi auguro un buon viaggio e un felice ritorno a casa.»

Casa.

Certo, casa mia non era qui a Londra, dov'ero nata e avevo trascorso gran parte della mia vita. Casa mia era dov'era la mia famiglia. Pensai ai miei genitori, a Henry, Gideon e Mary che stavano impazientemente aspettando che tornassi da loro, che tornassi a casa.

Cercai di dire qualcosa, qualsiasi cosa. Schiusi le labbra, ma non proferii suono. Ero delusa da me stessa, delusa dal fatto che per la prima volta ero rimasta senza parole.

Il professor Brown abbozzò un sorriso gentile. «Eveline, lo so. Lo so. Adesso vai, e cerca di non voltarti indietro.»

Prima di fare il passo decisivo per salire sulla passerella, mi arrestai. Mi resi conto che appena avrei poggiato piede sulla Galatea non avrei mai più toccato il suolo dell'Inghilterra, di Londra.

Mi voltai. Certo che mi voltai. Come potevo non farlo? Posai gli occhi lontano, verso la gente, verso gli ampi edifici che caratterizzavano il porto. Cercai di memorizzare nella mente quella vista: il cielo plumbeo, i rumori della città e tutte quelle persone che si affrettavano verso mete a me sconosciute. L'acqua del Tamigi sotto di me era scura e verdastra, odorava di alghe esiccate e pesce fresco. Notai il professor Brown, sua moglie e il signor Williams, sulla banchina. Mi osservavano.

Addio, signora Brown.

Addio, signor Williams.

Addio, professor Brown.

E a mai più rivederci terra natia.

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