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Capitolo 46

Appoggiò la borsa di Clarisse sul tavolo, per poi togliersi lo zaino e lasciarlo cadere ai piedi della sedia su cui si sedette. Rimase a guardarla preoccupato, notando fin troppo il tremolio delle sue mani mentre avvicinava a sé la borsa.

Rilasciò un sospiro, l'ennesimo che faceva da quando avevano lasciato l'università. Sentiva ancora il cuore battergli a una velocità più sostenuta del normale, remore del terrore che l'aveva colpito quando aveva sentito il rumore acuto degli pneumatici sull'asfalto.
Per i primi attimi aveva creduto di averla persa. Se così fosse stato, non si sarebbe mai perdonato il modo in cui l'aveva lasciata.
Fortunatamente non era accaduto, e tutto grazie a un ragazzo dai riflesso rapidi che era riuscito a tirarla a sé prima del peggio.

Il macigno che sentiva sulla bocca dello stomaco, però, gli rendeva difficile anche il solo respirare. Si sentiva in colpa per quello che era accaduto; si sentiva in colpa perché lei aveva rischiato la vita una seconda volta. E si sentiva in colpa, anche e soprattutto, per tutte le parole che le aveva sputato addosso dalla gita in montagna e il silenzio prolungato a cui l'aveva costretta.

Abbassò gli occhi sulle sue mani incrociate in grembo. Ora come ora gli sembrava impossibile che avesse cercato di allontanarla.
Si era fatto prendere dalla paura di eventi passati,

Dopotutto aveva ragione lei: era sempre la stessa persona che aveva conosciuto.
Sapeva però che era stata la paura a farlo comportare in modo così duro, nonostante lei non gli avesse mai fatto altri torti oltre a quella menzogna. Anzi.
Era rimasta con lui nonostante sapesse che, così facendo, non sarebbe mai riuscita ad allontanarsi completamente dalla musica; l'aveva salvato, e forse quella era la dimostrazione d'amore più grande.

«Sto bene» sentì la voce di Clarisse arrivargli in lontananza e alzò il viso, osservandola in modo vacuo e confuso; si era talmente immerso nei suoi pensieri da isolarsi completamente.

«So che sei preoccupato, ma sto bene» spiegò lei quando notò la sua espressione.
Davide inarcò le sopracciglia, riluttante a credere a quelle parole. Aveva visto il terrore stampato nei suoi occhi, il respiro affannato e il corpo tremante. Era impossibile che stesse bene; non psicologicamente, almeno.

«Sicura di non voler andare in ospedale?» domandò per la terza volta in quella mezz'oretta appena passata. «Solo per un controllo; per stare più sicuri...».

«No!» lei alzò la voce fermando il ragazzo a metà frase. «Sto bene, accidenti! Non credi neanche a questo?»

Davide rimase in silenzio e Clarisse lo interpretò come un segno di assenso. Si sentì ancora più male nel pensare che lui avesse perso la totale fiducia; e per cosa? Per uno stupido nome!
Iniziò a credere che non fosse più lei il problema. Tutte le persone che le volevano bene l'avevano assecondata in quella scelta, fatta mesi prima. Perché lui non riusciva a capire che in quel momento era stata l'unica cosa che l'aveva fatta andare avanti?
Fino a poche settimane prima, non le era neanche passato per la mente di rinnegare il nome di sua sorella, ma si era convinta solo per lui. La paura di perderlo era diventata più grande della paura per quel mondo diverso da cui aveva cercato di scappare.

Abbassarono entrambi il capo, ognuno dei due sommerso dai propri pensieri.

Fu il giovane a spezzare il silenzio, prendendo coraggio per parlare.
«Li hai avvisati i tuoi?»

Clarisse ruotò gli occhi, sbuffando in un modo che sembrò quasi artificiale, fatto apposta per far capire a Davide che ora la parte del manico ce l'aveva lei.

«Dovrebbero saperlo...» continuò lieve, beccandosi solo un'occhiataccia.

«Cosa vuoi Davide? Perché sei qui?» chiese fin troppo acida. «Visto che sono quasi stata investita, per te è tornato come prima? E tutte quelle parole che mi hai detto - "non mi fido più di te", "la fiducia è tutto", "meglio che la finiamo qua" - le hai cancellate? Credi che sia così semplice? Quello che è successo è solo colpa tua!» gridò buttando fuori il risentimento e la paura che ancora la soffocava. Solo quando vide il suo sguardo cambiare, però, si pentì delle parole che aveva pronunciato.

«Io... Mi dispiace» provò a rimediare, ma il ragazzo la bloccò nell'intento, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi alla stufa da tempo fredda della cucina. Non voleva mostrarle i suoi occhi che si stavano riempiendo di lacrime quando la sua coscienza non poté fare altro che concordare con lei.

«No, hai ragione» la voce di lui era un sussurro flebile, tanto che non seppe dire se l'avesse sentito o meno.
Quando, però, anche lei si alzò e si avvicinò, ebbe la conferma che le sue parole l'avevano raggiunta.

«Non volevo accusarti, ma devi capire che mi hai fatto male, Davide» spiegò mentre i loro occhi si incrociarono; tutti e due lucidi.
«Mi hai ignorato per settimane e quando finalmente ti ho parlato, l'unica cosa che sei riuscito a dirmi è stato...» tentennò a causa della paura che, se avesse ripetuto quelle parole, il tutto diventava vero, ancora più di quanto le sembrava in quel momento. «Quello» disse, infine, continuando a osservare il suo viso, cercando di capire l'espressione distante che pareva avesse.

Il giovane rimase in silenzio, sentendosi sempre più in colpa per come si era comportato.
«Mi dispiace...» riuscì a pronunciare dopo un po'. «Avrei dovuto fidarmi di te invece di far prevalere la mia insicurezza. Tu sei diversa e so che i tuoi sentimenti per me sono forti... Ho avuto paura; paura che riaccadesse».

«Riaccadere cosa?»

Davide si appoggiò alla sbarra di ferro che circondava il bordo superiore della stufa a legna, stingendolo con le mani per sostenersi.

«Non te ne ho mai parlato perché ho sempre creduto che non fosse importante per il rapporto che si stava creando tra noi» disse dopo qualche secondo. «Forse ho sbagliato; anche perché questa cosa mi ha reso molto insicuro di me stesso, senza pensare a tutto quello che stava accadendo nel mentre...»

«Cosa è successo?» domandò lei, mettendogli una mano sulla sua, leggermente preoccupata dato il repentino cambio d'atteggiamento.

«È stato quando ancora ero a Monaco. Da poco avevo ricevuto gli esiti degli esami per...» non disse nulla, ma lo sfregamento quasi spontaneo del palmo sul collo fece subito capire a Clarisse cosa intendesse.
«Confrontandomi con mio padre, ero riuscito a convincerlo a farmi seguire il primo ciclo di cure in Germania. Non volevo abbandonare tutto; e poi, credevo sarebbe durato poco...

Aveva deciso di passare al conservatorio per parlare con il suo insegnante di canto e spiegargli la situazione. Era inutile continuare a chiedere tempo se era ormai palese che non fosse più in grado di prendere parte a quello spettacolo.
Era stato un duro colpo vedere il dispiacere sul volto del professore, insieme a quella che sembrò compassione. Non avrebbe mai voluto provocare pietà, ma sapeva ancora prima di parlare che sarebbe accaduto.

Percorse il corridoio per arrivare all'uscita preparandosi mentalmente a quei mesi di riposo forzato a cui era stato costretto.
Mentre camminava una voce sferzò i suoi pensieri. La riconobbe subito.
Proveniva da un'aula vuota poco distante da lui. La porta era spalancata e, appena sentì la prima frase, il suo istinto gli suggerì di non mostrarsi, nonostante origliare non fosse una cosa che amasse fare.

«Non ce la faccio più a vivere così. Non si merita tutto questo». Il suono emesso da Rose era incrinato, come se stesse trattenendo le lacrime con tutte le sue forze.

«Vuoi veramente dirglielo? Così rovinerai tutto, lo sai?»
Riconobbe subito la seconda voce, anche se faticò a crederci.

«Cosa dovrei rovinare? Un'amore non corrisposto? Un'amicizia falsa?» Rose sembrava più determinata, ma il tremolio mentre parlava non voleva andarsene. «Perché non posso veramente amarlo dopo quello che ho fatto; che abbiamo fatto».

«E cosa abbiamo fatto secondo te? Eravamo ubriachi, non ragionavamo lucidamente!» continuò l'altro cercando di farla desistere. «Io voglio bene a Davide, accidenti. È come un fratello per me e venirne a conoscenza lo distruggerebbe, lo sappiamo entrambi».

«Anch'io gli voglio bene, cosa credi? È per questo che ho aspettato, ma veramente, non ce la faccio più. Non riesco neanche più ad abbracciarlo senza sentirmi in colpa...»

Ci fu un momento di silenzio e, nonostante Davide volesse scappare via, si costrinse a resistere ancora un altro po', nella speranza di sentire anche solo una frase che potesse smentire ciò che già immaginava.

«Rose non farlo...»
Il ragazzo che era con lei provò a farle cambiare idea ancora un'altra volta, ma senza successo.

«Accidenti, non ci siamo solo baciati quella sera. Siamo finiti a letto insieme, Richard!» urlò, quasi fuori di sé per il mancato supporto del ragazzo. «Come puoi non sentirti in colpa?»

«Abbassa la voce...» borbottò subito lui, come se si fosse accorto solo in quel momento della porta aperta.
Ma ormai era troppo tardi e Davide aveva sentito tutto ciò che gli bastava.
Sentì il cuore spezzarsi una seconda volta. L'unico pezzo del suo mondo che era rimasto ancora in piedi e di cui era sicuro della sua solidità, crollò come un castello di carte, distruggendolo definitivamente.

«Non sono più riuscito ad ascoltare nient'altro, nonostante continuassero a discutere. Sono corso a casa, ho fatto le valigie e ho deciso di ritornare in Trentino. Non c'era più nulla che mi legasse a quel posto e mi sarei fatto solo del male a restare.
«Non ho mai detto a Rose, Richard e neanche a Simon il vero motivo della mia improvvisa fuga. Non ho neanche più cercato di ristabilire i rapporti...»

«Finché non è tornata, giusto?» Clarisse aveva ascoltato con attenzione e alla fine del racconto riuscì a capire meglio i suoi gesti e le sue parole.

Lui annuì lentamente.
«Fino ad allora ero convinto di amarla ancora. O comunque, credevo di non essere mai riuscito a tagliare del tutto quel legame sentimentale che avevo con lei». Si girò verso la sua ragazza, gli occhi leggermente umidi, e sorrise.
«Mi sbagliavo anche lì, evidentemente, perché appena l'ho vista tutte le mie certezze si sono infrante. Le ho voluto molto bene; forse l'ho anche amata, ma con lei non ho mai provato nulla di quello che provo con te».

«E lo avevi già capito... quand'è stato...», ci pensò qualche secondo, «in Dicembre?» chiese sorpresa. Non aveva mai immaginato che lui, fin da subito, si sentisse così legato a lei.

Davide sorrise annuendo, con le guance che si coloravano di un rosa più acceso.
Successivamente le sue sopracciglia si inarcarono e abbassò lo sguardo. «Purtroppo, però, la paura è rimasta. Non voglio perderti, ma non potrei neanche più sopportare il fatto di essere preso in giro un'altra volta».

«E non accadrà, te lo prometto» rispose Clarisse stringendogli la mano che era ancora sotto il suo palmo. «Non ne ho mai avuto l'intenzione, se è per questo. Anche se, in realtà, non mi pento di non averti detto subito tutta la verità. Sentirmi mia sorella era qualcosa di cui ho avuto veramente bisogno. Dirti che ero Clarisse sarebbe stato come rinnegare me stessa».

«Avrei dovuto capirlo...»

«Fa lo stesso, Davide. Adesso è passato...» si avvicinò a lui sfiorandogli la punta del naso con il suo, bramando quel contatto che da tempo non aveva più.
«O, almeno, lo è?» chiese con la speranza di aver riacquistato la sua fiducia e il suo perdono, anche se il suo sguardo lasciava poco al dubbio.

«Certo» rispose sincero con un sorriso a pochi centimetri dalle labbra di lei, prima di lasciarsi andare al bacio che segnava il loro ricongiungimento.

Eccomi tornata con un nuovo capitolo, come promesso ❤️!
In quello precedente vi avevo lasciati con un po' di suspance, ed ora (finalmente direte 🤣) avete scoperto che Clarisse si è salvata per un pelo, e senza neanche tante conseguenze per fortuna 😇.

Inoltre, vi è stato anche svelato il motivo della difficoltà di Davide a riacquistare la fiducia per Clarisse. Le tempistiche per la scoperta del tradimento non sono state delle migliori, e molto probabilmente è stato anche questo che ha portato Davide quasi nella depressione, in quel periodo.

Comunque, manca veramente poco alla conclusione, anche c'è ancora qualcosina da sistemare...
Capirete meglio cosa intendo nel prossimo capitolo 😉!

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