Capitolo 40
Scese velocemente le scale, schivando i vari studenti e rischiando di scivolare un paio di volte, finché non riuscì a fermare Massimo, mettendogli una mano sulla spalla.
«Ehi, ciao» gli disse quando si girò verso di lui.
Il ragazzo lo osservò torvo, non ricambiando il saluto e con l'intenzione di ritornare verso i suoi compagni di corso.
«Ti prego, ho bisogno di sapere come sta» supplicò Davide, bloccandolo di nuovo. «Non risponde ai miei messaggi e quando provo a chiamarla ha sempre il cellulare staccato. Sono anche andato a casa sua, ma al campanello non risponde mai nessuno.»
Massimo assottigliò lo sguardo, come se stesse cercando di analizzarlo.
«E da un po' che non la sento anch'io, in realtà» rispose, infine. «Però so da sua madre che sta molto male in questo periodo. Sei tu la causa?»
Davide arrossì, avvertendo i sensi di colpa stringergli lo stomaco.
«Credo... credo di sì» mormorò, con la voce affievolita.
Vide Massimo stringere i pugni, forse sperando di placare il leggero tremore alle mani.
«Cosa le hai fatto?» domandò ancora, la voce bassa e un po' più roca.
«I-io...» Davide balbettò incerto. Percepiva la rabbia del ragazzo di fronte a sé in modo quasi tangibile, pronta ad esplodere alla minima sollecitazione.
Rimase in silenzio per qualche secondo. Non sapeva come rispondere, se dire la verità o provare a far finta di nulla. Ma aveva sbagliato così tanto nell'incoraggiarla a ritornare sulla via della musica?
«Allora?» lo incalzò Massimo.
«Ha cantato.» Decise alla fine che non aveva senso mentire.
«Cosa?» L'espressione rabbiosa dell'altro lasciò il posto a uno sguardo sbigottito.
«Mi sono messo a suonare una canzone che avevo scritto; la seconda strofa non era finita e, beh, lei... l'ha completata» ammise, sentendo un leggero malessere nel pensare che, a causa di un suo capriccio, forse Marianne non si sarebbe più ripresa.
«Non pensavo potesse essere così dura per lei, lo giuro» continuò prima che Massimo potesse anche solo pronunciare parola.
«Speravo solo che coinvolgerla in qualche modo nella musica, l'avrebbe aiutata a stare meglio. Invece...» si bloccò, mordendosi il labbro per trattenere le lacrime che faticava a contenere.
I fotogrammi di ciò che aveva causato, insieme alle frasi che lei gli aveva rivolto, continuavano a tormentarlo.
Quando la ragazza aveva iniziato a cantare, aveva sentito per la prima volta dopo più di un anno la scarica di piacere che solo la musica sapeva dargli, come se fosse stato lui stesso a emettere quelle note con la propria voce. Sembrava surreale il fatto che fosse bastato così poco per sbloccarla.
Ma, ovviamente, era stato tutto troppo bello perché potesse durare; come, dopotutto, qualsiasi cosa nella sua vita.
Sospirò, incrociando gli occhi verdi del cugino di Marianne. Non c'era più sgomento. Teneva la mascella tirata e un piccolo solco si era formato tra le sopracciglia inarcate troppo a lungo.
Gli sembrò che lo stesse osservando con curiosità, ma le sue labbra rimasero sigillate, e così aspettò un suo intervento, in silenzio anche lui ma senza quell'aria spavalda che mostrava il suo interlocutore.
Rimasero così per un bel po', finché Massimo non rilassò il viso, inspirando ed espirando pesantemente.
«Non mi stai a genio, Carli» iniziò, mettendosi le mani nelle tasche della giacca.
«Però mi ha sorpreso il fatto che tu sia riuscito a farla riavvicinare così tanto alla musica. Sua madre ci ha provato per mesi senza successo, e tu, in poche settimane, sei riuscito a compiere il miracolo.»
«Non è stato un miracolo se, a causa di questo, è ritornata a stare male!» intervenne Davide, con uno slancio che Massimo non si aspettò.
«Lo è, invece» affermò quest'ultimo, per la prima volta facendo apparire un piccolo sorriso, alzando il lato destro della bocca. «La costringerà a riflettere sulle decisioni che ha preso, e spero vivamente che capisca cosa è più giusto per lei.»
Davide non ricambiò il sorriso. Rimase impassibile, con quella tristezza che continuava ad alleggiargli attorno. Abbassò solo lo sguardo, concentrandosi su quelle parole per sentirsi un po' meno in colpa.
«Tieni molto a mia cugina» disse Massimo, vedendolo così afflitto.
«Sì, è così» fece lui a fil di voce, nonostante non ci fosse bisogno di una risposta, rialzando il capo. «Più di quanto immagini.»
Più della mia stessa vita, ma quest'ultima frase la pensò soltanto.
Di nuovo il silenzio regnò sovrano tra i due. Si osservarono, e per la prima volta Davide vide, riflesso nello sguardo di Massimo, qualcosa che riuscì a interpretare solo come compassione.
Lo vide separare le labbra come se intendesse intervenire, ma poi si bloccò quando i suoi compagni di corso lo richiamarono impazienti.
«Beh, allora... ci si rivede in giro» disse, dando l'impressione di voler di nuovo alzare un muro tra di loro.
Si girò dandogli le spalle ma, prima di raggiungere i suoi amici, concluse con: «le passerà, vedrai.»
Davide aspettò che il gruppo di Massimo uscisse dalla struttura universitaria prima di incamminarsi anch'esso.
Ripensò alla chiacchierata per tutto il tragitto verso la stazione dei treni, divenendo man mano sempre più confuso dall'atteggiamento che aveva avuto il ragazzo. Gli era sembrato molto più empatico di tutte le precedenti volte in cui avevano discusso.
Nonostante ciò, non riusciva a togliersi il peso che aveva sul cuore. Non era sicuro che lei lo avrebbe perdonato facilmente.
Aveva rovinato tutto, peggiorando una situazione già fragile.
Si strinse nella sua giacca scura imbottita, lasciando finalmente scorrere sulle guance lacrime che aveva trattenuto per troppo tempo.
Marianne stava male per colpa sua. Era inutile continuare ad aspettare; nulla sarebbe cambiato se non interveniva, e c'era un'unica cosa, o meglio, un unico posto che l'aveva sempre aiutato a superare i momenti più difficili e che sperava potesse aiutare anche lei.
***
Si strofinò gli occhi per togliere i residui di bagnato che le segnavano le guance. La testa le pulsava in una maniera incredibile, ma si sforzò a mettersi seduta ed ingoiare un pezzetto della barretta che si trovava sul suo comodino, in modo da poter assumere l'antidolorifico e placare il dolore.
Una volta fatto, non si sdraiò di nuovo sul materasso, ma rimase seduta con le gambe incrociate e lo sguardo perso fisso davanti a sé. Aveva passato le intere ultime due giornate chiusa nella sua stanza, a letto, a piangere e pensare. Aveva mangiato poco che niente, nonostante le continue suppliche della madre, e ora sentiva gli effetti di quel digiuno forzato.
Ciò non bastò, però, a convincerla ad alzarsi per dirigersi in cucina.
Si stava punendo per qualcosa che non aveva fatto: il vuoto che sentiva dentro di sé, le stava divorando l'anima poco alla volta.
I suoi occhi si velarono ancora.
Sarebbe scoppiata in un pianto disperato se, proprio in quel momento, non sentì dei leggeri tocchi al legno della porta, che si aprì subito dopo.
«Mamma, ti ho già detto che non voglio nulla. Lasciami sola» riuscì a dire, con voce tremante, sollevando le ginocchia da sotto le coperte e circondandole con le braccia.
«Neanche la mia compagnia?»
La voce maschile che sentì la fece sobbalzare. Girò la testa verso l'uscio della camera, con le labbra socchiuse.
«Davide...» sussurrò, vedendo la sua figura illuminata dalla poca luce che proveniva dal corridoio. «Che ci fai qui?»
Il ragazzo osservò le tende tirate, mentre l'odore di chiuso gli entrò nelle narici. Lasciò la porta socchiusa, facendo sì che la stanza cadesse nella penombra.
«È da settimane che provo a contattarti, ma non rispondi alle mie chiamate o messaggi» disse, e la ragazza diede un rapido sguardo al cellulare spento sul comodino.
«Ieri ho incontrato Massimo e mi ha detto che stavi ancora molto male. Perciò io non ce l'ho più fatta ad aspettare; ho continuato a suonare al tuo campanello finché tua mamma non mi ha aperto. Sinceramente, sembrava sollevata di vedermi...»
Gli occhi di Davide scivolarono su di lei, facendole corrugare la fronte come se si vergognasse a farsi vedere in quelle condizioni da lui, e bastò la sua voce preoccupata per farla sentire in colpa.
«È colpa mia?» mormorò il giovane. «Io ti ho fatto questo, vero?»
Lei abbassò lo sguardo sulla trapunta a fiori.
«No» rispose sospirando, come se si fosse tolta un peso enorme dal petto.
«Come? Che stai dicendo?» Davide alzò la voce, alterato con se stesso per quanto dolore aveva causato a Marianne, e con lei perché lo difendeva nonostante tutto.
«Guardati, stai malissimo! Se non ti avessi costretto ad ascoltare la canzone...»
«Quello che è accaduto quel giorno non c'entra» lo bloccò d'improvviso. «O, almeno, non più così tanto...» mormorò.
Per qualche secondo la stanza piombò nel silenzio più assoluto. Marianne strinse le coperte nel pugno per evitare di scoppiare in lacrime, quando lo sentì avvicinarsi al suo letto. Il materasso alla sua sinistra si abbassò e un braccio le circondò le spalle, cingendola per placare i lievi tremiti che stavano iniziando a scuoterla.
«Cosa sta succedendo, allora?» le chiese ritornando premuroso.
La giovane scosse la testa, ma Davide era in una condizione tale che neanche se lo avesse minacciato sarebbe riuscita a farlo desistere.
«Tra qualche giorno è il mio compleanno...» Il ragazzo riuscì a farle emettere un suono dopo il secondo tentativo, ma la confusione era palese sul suo viso.
«Compirò ventiquattro anni, Davide» proseguì Marianne, incrociando il suo sguardo.
«Sì, lo so... Ma cosa c'entra questo?» chiese, quando capì che non avrebbe continuato se non sotto sollecito.
«Io compirò ventiquattro anni» ripeté, come se solo quell'affermazione bastasse per fargli comprendere l'intero discorso.
«Mia sorella no» ammise infine. «Mia sorella no» ripeté in un sussurro prima di cadere in un pianto disperato.
Si vergognava di ciò; sapeva che piangere per una cosa del genere era assurdo, ma non riusciva a farne a meno.
Non riusciva ad accettare questa cosa - lei che aveva tutta la vita davanti a sé e poteva invecchiare, mentre la gemella no - nonostante fosse passato più di un anno da quando l'aveva persa.
Davide rimase in silenzio, combattuto. Non sapeva se confortarla fosse la scelta giusta. Di certo, dirle frasi fatte come "andrà tutto bene" o "vedrai che passerà" avrebbe solo dato il risultato di farla stare ancora più male.
Non aveva mai dovuto sopportare il dolore di una perdita, per fortuna, ma era certo che, se qualcuno lo avesse consolato in quel modo, la rabbia avrebbe sostituito la tristezza in mezzo secondo. Proprio perché erano frasi fatte, erano circondate da un velo di menzogna che tutti vedevano ma che nessuno provava a togliere.
Per questo motivo, continuò a rimanere in silenzio. Circondò le spalle della ragazza, che continuava a essere scossa dai singhiozzi, facendole appoggiare la testa nell'incavo del suo collo. Le accarezzò i capelli, cullandola, mentre lei si aggrappò alla sua giacca, stringendola come se fosse l'unica sua ancóra di salvezza.
Rimasero così fino a quando Marianne non smise di piangere. Alzò gli occhi gonfi e arrossati su di lui, incrociando il suo sguardo preoccupato.
«Grazie» riuscì a mormorare, facendo capire a Davide che aveva fatto la scelta migliore.
Abbassò il capo quel tanto che bastava per sfiorarle le labbra con le sue, in un bacio che racchiudeva tutto il suo amore.
Poi, di colpo si staccò, alzandosi e fronteggiandola. Vederla in quello stato aveva solo avuto l'effetto di convincerlo maggiormente su ciò che aveva organizzato per lei. Cambiare aria poteva solo farle bene.
«Adesso basta piangere, però» le disse. «Devi uscire da questa stanza e distrarti un po'.»
«No, ti prego, Davide. Non ce la faccio...» lo bloccò, allungandosi per prendergli la mano e costringerlo a sedere di nuovo accanto a lei.
Lui, però, non si scostò di un centimetro, troppo risoluto per cedere così presto.
«Alzati e prendi lo zaino» continuò allontanadosi per tirare le tende e aprire la finestra, in modo da far entrare un po' di luce. Marianne si mise una mano davanti agli occhi, infastidita dall'improvvisa luminosità.
«Mettici dentro tutto quello che ti serve per due giorni e una notte. Ti voglio portare in un posto che sono sicuro adorerai.»
«Davide!» lo fermò mentre lui aveva appena aperto la porta della sua camera. «Ti prego...» implorò.
Il giovane la guardò con un sorriso dolce e rassicurante.
«Fidati di me, Marianne. Hai bisogno di cambiare aria.»
Non le lasciò il tempo di replicare che uscì dalla stanza.
«Ti aspetto qui fuori. Non metterci troppo» concluse prima di chiudere la porta.
La ragazza sospirò. Sapeva che rimanere chiusa in camera con i suoi pensieri non le faceva bene, ma non aveva molta voglia di uscire.
L'unica cosa che la convinse ad alzarsi dal letto fu la preoccupazione che aveva notato negli occhi di Davide. Se non voleva farlo per lei, doveva farlo per lui. Aveva talmente tante altre cose a cui pensare, decisamente molto più importanti, che non poteva accalcargli anche i suoi problemi.
Con questa convinzione si alzò, anche se con poca forza, preparandosi per l'inaspettata sorpresa.
Scusate il ritardo, ma ho avuto un po' di problemi con la pubblicazione. Comunque, eccomi qui con un nuovo capitolo.
Chissà che sorpresa ha preparato Davide per far risollevare il morale a Marianne. Voi avete qualche idea?
Domenica 22 pubblicherò la prossima parte ❤!
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