Capitolo 39
«Non so cosa pensare.»
Marianne si prese il capo tra le mani, continuando a camminare avanti e indietro, costringendo Massimo a muoversi nella sua direzione opposta per vedere la televisione.
«Veramente, non so cosa pensare...» ripeté per la quarta volta.
Il ragazzo sbuffò, sprofondando nel divano e rinunciando a godersi il film che stavano dando in quel momento.
Sua cugina si era presentata alla porta quasi venti minuti prima, con un'urgenza così devastante che aveva pensato, come minimo, alla morte di qualcuno. Era arrivato appena a chiederle cosa fosse successo che lei aveva iniziato il suo monologo senza fine. Si era seduto disinteressato quando aveva capito il soggetto delle sue preoccupazioni, sperando di poter continuare a guardare il film. Invece, lei si era posizionata proprio davanti, con le mani sui fianchi, e gli aveva spiegato filo per segno ciò che era accaduto. Erano stati i venti minuti più lunghi della sua vita, con continui "Davide di qui" e "Davide di là".
Prese il cellulare, in un ultimo tentativo di disperazione, concentrandosi su un gioco che non faceva da tempo.
«Tu cosa mi consigli? Cosa dovrei fare?» chiese Marianne, finalmente fermandosi e osservando il cugino in attesa di risposte.
Lui rimase in silenzio, chino sull'apparecchio elettronico, passandosi una mano tra i capelli leggermente più lunghi rispetto a qualche mese prima.
«Massimo, mi stai ascoltando?» esclamò la ragazza, avvicinandosi al cugino e prendendogli il telefono dalle mani.
Il giovane alzò gli occhi su di lei, spalancandoli leggermente per il gesto rude.
«Ma che fai?»
«Non mi stavi prestando la minima attenzione» constatò un po' delusa. «Ti stavo parlando di una cosa importante...»
«È sempre importante quando parli di lui, no? E io ti servo solo a questo: a darti consigli e sorbirmi lamentele sulla tua vita amorosa» inveì Massimo, alzandosi e fronteggiando la cugina con una rabbia che non le aveva mai rivolto. «Cosa ci ricavo, poi? Nulla! Non mi cerchi mai, se non per i tuoi problemi. Solo se scompaio ti accorgi della mia esistenza» proseguì, riprendendosi il cellulare e tornando a sedersi sul divano.
Marianne lo guardò sbalordita, balbettando incapace di obiettare le sue accuse.
«N-non...»
«Sei qui da mezz'ora, eppure non mi hai chiesto neanche una volta come stavo» la bloccò lui, facendole segno di spostarsi di lato. «E, adesso, esci da casa mia. Voglio finire di vedere questo film in santa pace.»
Senza lasciarle il tempo di commentare, alzò il volume in un modo che alla ragazza sembrò esagerato, quasi come fosse un'ulteriore invito ad andarsene.
Abbassò la testa, intristita da quel comportamento, anche se poteva capirne le motivazioni. Tutto ciò che le aveva rivolto era pura verità. Da quando aveva iniziato a frequentare Davide, Massimo era passato decisamente in secondo piano e, se prima non l'aveva visto come un torto nei suoi confronti, ora si pentiva di averlo messo da parte in quel modo. Praticamente da un giorno all'altro.
Varcò la soglia, richiudendosi la porta alle spalle con un senso di rimorso che risalì dalla bocca dello stomaco, contorcendole le budella e facendola lottare contro se stessa per non piangere.
Aveva perso anche lui e questa volta era veramente colpa sua.
***
Era seduta sul divano, con le ginocchia magre strette al petto, da un tempo che non ricordava neanche. La televisione di fronte a sé era accesa, ma la sua mente era rivolta altrove e le sue orecchie erano tese per captare il minimo suono.
Quando il campanello emise quel famigliare bip, scattò subito in piedi e si diresse al citofono, tentennando sull'apertura del portone quando vide il suo viso. Rimase con il dito a mezz'aria tremando leggermente, finché un secondo suono proveniente dall'oggetto la costrinse a cliccare il pulsante.
Sospirò, cercando di scacciare dalla mente ciò che l'aveva perseguitata durante quella settimana. Le parole del rettore avevano continuato a ronzarle nella testa come api impazzite, facendole perdere il sonno più volte. Non riusciva a stare tranquilla con solo quella rassicurazione che le aveva fatto Davide, decisamente troppo evasiva per farle passare il dubbio. Era sicura che non le avesse detto tutta la verità e non riusciva a trovarne un motivo, se non perché le paure del rettore erano fondate.
Sospirò di nuovo, aprendo la porta e puntando il suo sguardo sul ragazzo fermo in mezzo al piazzale che si guardava attorno imbarazzato. Quando incrociò i suoi occhi, il suo cuore divenne più leggero nel rivedere quella piccola scintilla di vitalità e le guance più piene rispetto l'ultima volta.
«Credevo ti fossi dimenticata di avermi aperto il portone» disse Davide, illuminando il viso con un sorriso sbieco.
Marianne ricambiò quel gesto, appoggiandosi alla ringhiera del piccolo terrazzo.
«E io credevo ti fossi dimenticato del nostro pomeriggio a base di film» rispose, socchiudendo di poco gli occhi. «Sei in ritardo» rimbeccò, facendogli poi segno di salire. «Vieni?»
Il giovane passò lo sguardo da lei alla porta davanti a sé, ritornando serio.
«Io, in realtà, avevo in mente qualcos'altro» negò, facendo bloccare la ragazza che si era già avviata per rientrare in casa.
«Cioè?»
«Scendi?» domandò lui, alzando il capo e notando la confusione sul suo viso. «Ho bisogno di un tuo consiglio» rivelò.
«E non puoi chiedermelo quando siamo seduti sul divano con i popcorn davanti?» fece Marianne, iniziando però a scendere i primi scalini. Davide scosse la testa ridacchiando appena e, una volta che gli fu vicino, questo rivolse di nuovo gli occhi alla porta di fronte.
La giovane fece lo stesso, capendo solo in quel momento dove volesse andare a parare.
«Sei mai rientrata?» chiese lui.
La negazione che ottenne in risposta confermò i suoi dubbi.
«No, ma non l'ho più chiusa a chiave.»
Davide la osservò per capire se ciò che stava per fare potesse turbarla troppo. Non riuscì a decifrare l'espressione sul suo volto, ma decise di compiere lo stesso quel passo rischioso.
Si avvicinò alla porta, posando una mano sulla maniglia e aprendola con facilità. Si girò verso Marianne, porgendole il braccio.
Lei rimase immobile per qualche secondo, ma poi si fece coraggio e prese la mano del ragazzo, varcando insieme a lui la soglia. Il cuore le batteva talmente forte da farle male e, quasi involontariamente, strinse la presa su Davide, cercando di ritornare a un respiro meno affannoso.
«Perché sei voluto tornare qui dentro?» domandò qualche minuto dopo, quando riuscì a calmarsi, rompendo il silenzio.
«Te l'ho detto. Mi serve un tuo consiglio» rispose, liberandosi dalla stretta e dirigendosi al pianoforte, decisamente più lucido rispetto al mese prima. Tutto, in quel posto, era più pulito e ordinato: la polvere sugli strumenti e sui ripiani era sparita e il microfono, che la volta precedente non aveva neanche visto, ora si trovava vicino all'armadio dei dischi, in bella vista.
Si sedette sullo sgabello del piano, appoggiando lo zaino accanto a sé e aprendolo, per, poi, tirarne fuori alcuni fogli un po' accartocciati. Li porse alla giovane quasi con riluttanza, ma sapendo che era l'unica opzione che gli rimaneva.
«Cosa sono?» chiese lei, appoggiandoli al ripiano dello strumento e lisciandoli con il palmo. I suoi occhi caddero sulle prime frasi, e trattenne il fiato, rispondendo da sola alla domanda.
«È una cosa che ho buttato giù un po' di tempo fa, solo che...», Davide si sporse in avanti per indicarle il foglio successivo, pieno di cancellature, «non riesco a proseguire. Mi sembra che manchi sempre qualcosa e nulla di quello che mi viene in mente mi soddisfa» continuò sollevando, mentre parlava, il coperchio che proteggeva i tasti.
«Io non posso aiutarti...»
Davide fece scattare il suo sguardo sul viso di lei appena la sentì mormorare ciò.
«Sai anche te che non è vero» rispose lentamente, soppesando le parole come se, nel mentre che stesse parlando, stesse anche pensando. Lei lo osservò inarcando le sopracciglia, costringendolo a proseguire. «Al concorso Musica Trentina avevate partecipato con un inedito» spiegò, facendo cambiare espressione a Marianne.
«Era mia sorella che scriveva le canzoni» abbassò lo sguardo, stringendo i fogli e peggiorando lo stropicciamento. «Io riportavo solo su musica ciò che le veniva in mente...»
Davide le prese la mano, incrociando le dita con le sue.
«E allora?» chiese, facendo alzare il viso di Marianne. «Un consiglio puoi sempre darmelo». Si aprì in un sorriso dolce, aspettando una sua risposta. Quando, però, capì che lei non avrebbe pronunciato nulla, ritornò a parlare. «Ti faccio sentire la melodia. Tu puoi leggere le varie strofe e, alla fine, dirmi come ti sembra. Allora, ci stai?»
Lei osservò quelle scritte titubante. Seppur con un certo timore, la curiosità era troppa per non accettare la sua proposta. Voleva sentire come aveva trasformato in musica quelle parole, perciò annuì.
Il sorriso di Davide si ampliò. Si mise comodo e, dopo un respiro profondo, iniziò a suonare. L'ansia gli premeva il petto per il giudizio che avrebbe ricevuto da Marianne su quella canzone. Le prime note gli erano venute in mente pensando a lei. A quel loro primo incontro così casuale, alla rivelazione sul suo problema, a quel desiderio così intenso di baciarla durante i mercatini di Natale e alla sua realizzazione proprio nella stanza in cui quel momento si trovavano.
Tutto ciò che avevano passato era impresso nella sua mente talmente in profondità da essere parte integrante del suo stesso vivere. E, ragionandoci qualche secondo, era veramente così. Senza di lei non sarebbe mai diventato il ragazzo che ora era. In quei pochi mesi, era riuscita a stravolgere completamente la sua vita in un modo che non credeva fosse possibile.
Alzò lo sguardo guardandola per capire che effetto le stesse facendo la melodia.
Marianne scorreva veloce le frasi con gli occhi, sentendole nella sua mente trasformarsi in musica.
Sì ritrovò a separare leggermente le labbra, mentre l'istinto che credeva di aver perduto per sempre, l'avvolse in modo irrefrenabile, facendo aumentare il suo respiro e la sudorazione. Era tesa. Le due parti di lei in contrasto stavano lottando per prevalere una sull'altra, e più Davide suonava, più una delle parti guadagnava posizioni.
Frasi che aveva rinnegato da tempo stavano premendo per uscire; sentiva il bisogno di urlare quelle parole come mai prima d'ora.
Chiuse gli occhi, trattenendo il respiro e isolandosi da quello che accadeva intorno a sé. Sentiva solo le note premute sui tasti del pianoforte.
Le sembrò di tornare indietro nel tempo, quando era molto più piccola e il salotto era il suo palco, con suo padre che suonava quello stesso pianoforte e lei che cantava seguendo la musica, senza preoccuparsi se quelle fossero le parole giuste o stesse beccando tutte le note. Cantava così come le veniva, solo per un suo piacere.
Immersa in tutte quelle sensazioni, distaccata dalla realtà, si lasciò finalmente andare.
La voce le uscì insicura per i primi secondi, ma più cantava più qualcosa dentro di sé tornava in vita, rischiarando quel buio che aveva oscurato il suo cuore per tanto, troppo, tempo.
Davide alzò il viso su di lei quando emise i primi suoni, rallentando leggermente per la sorpresa e l'emozione di sentirla cantare di nuovo. Ma non si fermò, e a ogni nuova strofa cantata la sua felicità aumentò.
Arrivò la parte del ritornello e Marianne si accorse di quel cambio di tonalità. Riaprì gli occhi, bloccandosi di colpo, facendo scomparire quella magia che si era creata.
Osservò i fogli che teneva ancora in mano con un'espressione indecifrabile, per, poi, puntare lo sguardo sul ragazzo quando questo parlò, smettendo di suonare.
«Wow, è stato... sei stata» si corresse, restando per qualche secondo con la voce a mezz'aria, ancora disorientato da ciò che era appena accaduto. «Fantastica» concluse sfoderando un sorriso.
Lei non rispose, ma ritornò a guardare quella canzone scritta a metà, ora appoggiata sullo strumento. Iniziò a respirare affannosamente, con un vago senso di malessere.
La testa iniziò a dolerle e, ormai, la voce di Davide, che stava continuando a lodarla e a magnificarsi di quello che aveva appena fatto, era solo un fastidioso brusio. Si strinse al bordo del pianoforte, impallidendo e spalancando gli occhi sconvolta, come se fosse appena stata testimone di un omicidio; e, per lei, quello che era appena accaduto, non si allontanava tanto da ciò.
«O mio Dio... cosa ho fatto?» Credette di averlo solo pensato, visto che non le sembrava di aver emesso un suono, ma la risposta di Davide le diede conferma del contrario.
«Hai fatto una cosa stupenda, e sei riuscita a completare la canzone.»
Il ragazzo era troppo euforico per accorgersi del suo malessere.
«Ho tradito mia sorella» farfugliò ancora, talmente piano da risultare un sussurro incomprensibile alle orecchie del giovane. Lui le rivolse finalmente tutta la sua attenzione, accortosi che qualcosa non andava.
«Marianne...»
Provò ad alzarsi per toccarle il braccio, ma appena la sfiorò lei, in un impeto di collera amplificata dal dolore, colpì i fogli sul pianoforte, facendoli volare in direzione del ragazzo. Si allontanò dallo strumento come se avesse appena preso fuoco, mettendosi le mani sulla bocca, mentre lacrime amare le rigarono le guance.
Indietreggiò ancora, notando l'espressione allarmata sul viso del giovane, e poi corse via, salendo le scale e entrando in casa di slancio.
Davide restò un attimo paralizzato dalla furia improvvisa della ragazza, capendo solo qualche secondo dopo cosa le fosse accaduto. Raccolse velocemente i fogli sparsi a terra, piegandoli e mettendoli nello zaino come capitava, per, poi, correre dietro a Marianne.
Varcò la soglia di casa sua, cercando di capire dove si fosse rifugiata. Mosse qualche passo in direzione della camera, fermandosi appena sentì dei singhiozzi trattenuti provenire da una zona della casa di fronte a lui.
Si diresse in quella direzione, facendo capolino nel bagno e sorprendendo la ragazza china sul water, che rigettava anche l'anima. Si avvicinò cauto, preoccupato per la situazione.
«Marianne...»
La giovane non gli degnò neanche uno sguardo, appoggiandosi invece al termosifone dietro di sé e chiudendo gli occhi. Espirò e inspirò con la bocca leggermente aperta, cercando di calmare il battito del suo cuore ed evitare ulteriori conati.
«Vattene» mormorò con gran fatica, dopo parecchio tempo, quando Davide provò a richiamarla per la terza volta e mosse qualche altro passo verso lei.
«Cosa?» sperò di aver capito male la richiesta.
«Non capisci, vero?» chiese la ragazza, sollevando finalmente le palpebre e puntando il suo sguardo su di lui, tagliente come una lama. «Ti avevo ripetuto più volte che non volevo più avere a che fare con la musica, eppure tu non hai mai accettato la mia decisione. Prima la chitarra, e ora... questo!» indicò tutto il bagno, per fargli capire che, se stava male, era solo per colpa sua.
«Esci da questa stanza, ti prego» fece, subito dopo, abbassando gli occhi per nascondere le lacrime che continuavano a bagnarle il viso.
«Non ho mai voluto farti del male» spiegò lui, ferito dalle sue parole. «Volevo solo mostrarti il mio amore tramite ciò che mi permette di esprimere meglio le mie emozioni: la musica. Non credevo potesse essere così difficile per te. Anch'io ho avuto dei momenti bui, ma non ho mai avuto un rifiuto così forte...»
«Tu sei tu» lo bloccò prima che potesse concludere la frase. «Io sono diversa. Mia sorella è morta a causa della musica» proseguì con una smorfia che lasciava trasparire tutto il suo dolore. «Come te lo devo dire?» quasi urlò.
Davide corrugò la fronte, sentendo il freddo di un pugnale puntato nel cuore. La veemenza che aveva usato contro di lui era ingiustificata e gli faceva male.
«Hai ragione. Tua sorella è morta, ma di certo non la riporterai in vita annullandoti» rispose grave, una volta assorbito il colpo. Uscì dal bagno senza lasciarle il tempo di controbattere e chiuse la porta. Rimase un attimo immobile con la mano sulla maniglia, trattenendo il respiro per evitare di lasciarsi trasportare dalle proprie emozioni.
Si allontanò quando le lacrime gli velarono gli occhi, costringendolo a sfregarseli con il dorso della mano per vedere dove posava i piedi. Doveva ammettere che aveva sempre avuto il desiderio di sentirla cantare di nuovo, ma non in quel modo; avrebbe voluto che lei prima capisse che l'incidente e la musica non erano direttamente collegati, e che, di certo, non avrebbe tradito lo spirito della sorella se fosse tornata a fare ciò che più amava.
Ciò, però, non era possibile, e ora ne aveva avuto la certezza. Fintanto che Marianne rimaneva legata a quella convinzione, non avrebbe mai potuto iniziare a vivere veramente, e lui non sarebbe mai riuscito a farle cambiare idea.
Eccomi qua con un altro capitolo. Lo devo ammettere: è decisamente lungo, ma è stato necessario.
Marianne si è finalmente lasciata andare e ha cantato, anche se ciò non l'ha aiutata a superare il suo blocco, bensì l'ha amplificato.
Purtroppo, ciò che pensa Davide è la verità: fintanto che continuerà a dare la colpa alla musica per la morte di sua sorella, non riuscirà mai a ritornare a cantare, e purtroppo nessuno può aiutarla a farle cambiare idea.
Secondo voi, ci riuscirà mai?
Intanto vi aspetto al prossimo capitolo domenica 15 marzo ❤!
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