Capitolo 34
Il suono ripetitivo del campanello non riuscì a farla distrarre dalla lettura di un nuovo giallo che l'aveva presa già dai primi capitoli.
Rimase seduta sul letto, con il libro sopra le gambe incrociate che iniziavano a formicolarle. Girò pagina, appoggiandosi alla testiera con la schiena e continuando a leggere frenetica di scoprire la soluzione di quel mistero.
Adorava Agatha Christie e credeva che "Dieci piccoli indiani" fosse il suo più grande capolavoro: una trama intricata come quella, in cui era impossibile capire chi fosse l'assassino, ancora più delle sue altre opere, portata avanti da quella strana filastrocca macabra, non poteva che creare il celebre giallo apprezzato in tutto il mondo.
Completamente assorta nella lettura, non si accorse dei leggeri battiti sulla porta della sua camera e della figura di Davide che fece capolino nella stanza, perciò sobbalzò nel sentire la sua voce.
«Ciao» salutò lui. «Tua mamma mi ha indicato la stanza e...»
«Entra» lo bloccò lei, riprendendosi dalla sorpresa e sorridendo per quella visita inaspettata.
Chiuse il libro, sistemandosi meglio sul materasso. Si passò una mano tra i capelli cercando di sistemarseli meglio che poteva, rendendosi conto solo in quel momento dell'aspetto terribile che doveva avere dopo tutto il pomeriggio passato a letto.
Quando il ragazzo varcò completamente la porta, chiudendosela alle spalle, lo osservò ingessato nel suo completo elegante tra l'incuriosita e il divertita.
La camicia bianca appariva come la luce di un faro in mezzo all'oscurità se accostata alla giacca e ai pantaloni scuri. Al collo, per fortuna, non aveva stretto nulla e aveva lasciato aperti i primi due bottoni, quanto bastava per intravedere un lembo di pelle. Non aveva rinunciato neanche alle sue amatissime scarpe da tennis bianche, che gli conferivano un look un po' meno formale.
I suoi capelli biondi, di solito lasciati ricadere sulla fronte, erano stati sistemati con un bel po' di gel. Nonostante ciò, c'era sempre quella ciocca ribelle che non voleva rimanere ancorata alle altre e, a disagio di fronte a Marianne, continuava a sistemarsela con nervosismo, facendolo apparire ancora più bello agli occhi della giovane.
«Cosa ti sei messo?» gli chiese, dopo averlo invitato a sedersi sulla sedia di fronte alla scrivania.
Davide la osservò da capo a piedi, sollevando l'angolo destro della bocca per il muso d'orsetto di peluche stampato sulla maglia del pigiama e i capelli leggermente scompigliati.
«Te ne sei dimenticata, vero?» fece lui, con un tono di voce che lasciava trasparire una certa delusione.
«Dimenticata di cosa?» domandò, ancora, la ragazza perplessa. Scorse nella sua mente tutte le conversazioni che ricordava aver fatto con lui per comprendere cosa avevano in programma quel pomeriggio.
«Dovevamo uscire stasera» spiegò Davide. «Te l'ho chiesto mercoledì, dopo le lezioni...»
Le guance di Marianne si imporporarono velocemente e un lampo squarciò le nubi della sua mente, facendole ricordare l'appuntamento che si erano dati due giorni prima.
Si passò una mano tra i capelli, ormai arrivati oltre le spalle nonostante il taglio fatto il mese precedente, scuotendo la testa amareggiata prima di parlare.
«Accidenti, scusa. Mi era proprio passato di mente.»
Sospirò, incrociando appena lo sguardo di Davide.
«È un periodo un po'...», si fermò qualche secondo per cercare la parola giusta, «particolare.»
Il giovane si sporse di poco in avanti con il busto, come per voler captare ciò che lei non gli rivelava, preoccupato dall'espressione sul suo viso che gli era nuova.
«È accaduto qualcosa?» chiese.
Lei puntò gli occhi blu nei suoi, ma rimase in silenzio, come se stesse cercando di capire cosa gli potesse dire.
Poco dopo, le labbra della ragazza di incresparono in un sorriso, ma il suo sguardo non si illuminò.
«Tranquillo, sono solo problemi di famiglia, nulla di cui allarmarsi» rispose, anche se non convinse del tutto Davide. Lui avrebbe voluto domandare maggiormente, ma si accorse che non sarebbe stato giusto insistere. Erano cose di cui non avrebbe dovuto impicciarsi, non ancora. Se voleva renderlo partecipe, l'avrebbe fatto lei stessa senza pressioni.
«Se non hai voglia di uscire, lo capisco» disse lui, qualche secondo dopo, alzandosi. «Ci vediamo lunedì a lezione e ci sentiamo per messaggi in questi giorni.»
Marianne imitò il suo movimento di scatto, e si ritrovarono a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altra.
«No, aspetta! Non andare» lo bloccò lei. «Non volevo ferirti dimenticandomi della cena...» gli prese la mano come per paura che potesse scappare.
«Ho bisogno di passare qualche ora con te» ammise, abbassando di poco il tono di voce.
Fece incastrare le dita che ancora stringevano la mano del ragazzo nelle sue, mentre con l'altra liberava la fronte dalla ciocca ribelle, in modo da poter osservare i suoi occhi in tutta la loro bellezza. Inclinò leggermente la testa, per poi lasciargli un bacio a fior di labbra.
«Se ti va di aspettare, mi preparo e andiamo» disse, una volta che si fu staccata, continuando però a tenergli la mano.
Lui si sorprese di quel cambio di umore, ma sorrise e annuì, sentendo subito dopo il corpo caldo di lei allontanarsi. La osservò guizzare via verso quello che ipotizzò essere il bagno, uscendo anche lui dalla stanza per poterle dare l'intimità che le serviva quando si sarebbe cambiata.
Appena mise piede in soggiorno, fu preso di mira dalla madre di Marianne e, mentre questa lo trascinava in cucina, non poté far a meno di chiedersi cosa le stesse nascondendo la ragazza che tanto amava.
***
«Ti hanno fatto il terzo grado, vero?». Marianne spostò una forchettata di spaghetti di riso dalla ciotola comune al suo piatto, prendendo la sua porzione e lasciando l'altra metà a Davide.
Di certo, quando aveva fermato la macchina davanti al ristorante cinese, l'aveva sorpresa. Si ricordava dell'accenno che gli aveva fatto riguardo a quel desiderio, ma era stato tempo prima quando avevano appena aperto, e non credeva che potesse ricordarsi di una cosa che a lei era apparsa così banale.
«No, non direi così» rispose il ragazzo, trattenendo un sorriso al ricordo della raffica di domande che gli aveva fatto Karmen. «Piuttosto, credo volessero solo conoscermi meglio.
Sono simpatici i tuoi genitori» concluse cercando di fare un complimento, ma quando vide il viso di Marianne incupirsi, si chiese se avesse commesso un errore.
Si mise un gambero grigliato in bocca, imbarazzato dal silenzio che aveva generato, anche se involontariamente. A un certo punto, credette addirittura che lei volesse andarsene ma, così com'era arrivata, quella sensazione svanì nel momento in cui gli rivolse un sorriso.
«Tu, invece, mi hai raccontato così poco della tua famiglia... non so neanche se hai dei fratelli» disse lei. Oltre alla volontà di cambiare velocemente argomento, la sua speranza era anche quella che le rivelasse la sua parentela con il rettore dell'università.
Lui scosse di poco la testa, preso in contropiede da quelle parole.
«Sono figlio unico» rispose, ma non si accinse a continuare. Smosse gli spaghetti con la forchetta pensieroso.
«Abito con mio padre» aggiunse poco dopo, decidendo finalmente di aprirsi totalmente a lei e svelarle le sue paure.
«Anche se delle volte mi sembra di vivere da solo... Cioè, non fraintendermi, so che mi vuole un bene dell'anima, ma ho come l'impressione che non riesca a capirmi completamente. Delle volte vorrei potergli raccontare tutto quello che mi tormenta, tuttavia difficilmente ci riesco. Ho sempre paura di ferirlo o di sentirmi dire che ciò che penso sia una sciocchezza» continuò, incapace di fermare quel fiume in piena. «Lui crede che quello che stia facendo mi rovinerà, e forse ha ragione, ma non riesco a immaginare nient'altro per me; dopo aver vissuto e toccato con mano quel mondo, non credo riuscirò mai a dimenticarlo e...», abbassò la voce così tanto che Marianne fece difficoltà a sentirlo, «ad abbandonarlo» mormorò rigirando sovrappensiero la forchetta negli spaghetti.
La giovane lo osservò preoccupata. Vedeva il suo sconforto e non sapeva come fare per alleviargli il dolore. Ora capiva cosa aveva inteso il padre di Davide quando le aveva parlato: lui non ce l'avrebbe mai fatta da solo e necessitava di qualcuno che potesse mostrargli anche altri aspetti della vita; che potesse fargli capire che c'erano tantissime cose belle, oltre alla musica, che lo stavano aspettando.
Un po' quello che doveva comprendere anche lei.
«Davide» lo richiamò. «So quanto è difficile, ma sappi che io ci sarò sempre. Di qualunque cosa tu abbia bisogno, nonostante qualsiasi scelta tu decida di prendere, io ti sono vicina.»
Lui increspò le labbra in un sorriso e le prese la mano, confortato da quel calore che ormai gli era familiare. «Anche io ci sarò sempre per te.»
Circa mezz'ora dopo finirono di consumare il dolce e si alzarono, avvicinandosi al balcone per pagare. Infine, uscirono nell'aria fredda di fine febbraio, ritrovando di nuovo riparo nell'auto del padre di Davide.
Per il ritorno, quest'ultimo fu costretto a parcheggiare vicino all'università di Economia, unico posto nelle vicinanze della casa di Marianne che non fosse a pagamento e che gli permettesse, in seguito, di dare un passaggio al padre finito il lavoro.
Erano quasi le otto, ma alcuni ragazzi del secondo e terzo anno si trovavano ancora nei pressi dell'edificio. La maggior parte stava in gruppo, fumando qualche sigaretta per liberarsi dallo stress di un venerdì troppo intenso.
Davide e Marianne attraversarono la strada insieme ad alcuni di loro, ma, invece di dirigersi verso la stazione o il bar più vicino, raggiunsero piazza Duomo. Mano nella mano, continuarono a parlare cercando in ogni modo di far durare di più quel momento. Chi li vedeva passare intuiva l'ingenua felicità che aleggiava tra di loro, e che solo il primo vero amore riesce a trasmettere.
Erano entrambi troppo euforici e felici di quella serata trascorsa insieme per potersi accorgere dell'ombra che gli stava seguendo, mimetizzata tra i studenti delle varie facoltà del capoluogo che, come quelli di Economia, avevano appena concluso una giornata faticosa.
Questa, nel momento in cui capì il punto d'arrivo della coppia, si fermò qualche metro prima, continuando a fumare la sigaretta che teneva tra le labbra mentre li osservava da lontano. Quando li vide baciarsi, l'espressione sorpresa che aveva sul viso, si trasformò in sdegno.
Lasciò cadere a terra il mozzicone, calpestandolo con forza, come se stesse riversando sull'oggetto la rabbia per quella visione.
Si allontanò prima che Davide si girasse, scomparendo velocemente in un'altra via della città.
Come avevo annunciato sui messaggi in bacheca, ecco il capitolo che dovevo pubbicare lunedì.
Il primo appuntamento da fidanzati per Davide e Marianne; una serata felice passata insieme, ma sorge spontanea una domanda: chi è l'ombra che ha seguito i nostri protagonisti nella parte finale del capitolo?
Oggi, invece, io ho passato la giornata al pronto soccorso per una strana infiammazione agli occhi, iniziata giovedì e peggiorata in maniera incredibile... Spero mi passi.
Per questo motivo, non so se riuscirò a pubblicare il nuovo capitolo il prossimo weekend. Vi avviserò con un messaggio in bacheca 💕.
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