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Capitolo 33

«Credo di essermi innamorato di te».

Quelle parole le erano frullate nella testa per tutta la notte, insieme ai ricordi dei baci; se si concentrava, riusciva a sentire ancora le labbra morbide di lui sulle sue. A pensarci, lo stomaco le si contorceva e piccoli brividi la scuotevano. Non si era mai sentita così, neanche con il primo ragazzo che aveva avuto anni prima, l'unico con cui potesse dire di aver avuto una storia seria.

Al caldo nel suo letto, si girò sul fianco stringendo le coperte nel pugno della mano, in modo che l'avvolgessero, immaginandosi che fossero le braccia di Davide. Si chiese come fosse possibile che un ragazzo potesse ridurla in quello stato e anche il solo suo pensiero riuscisse a farla sentire così bene.

«Credo di essermi innamorato di te».

Di nuovo quelle parole rimbombarono nella sua mente. Non gli aveva risposto quando le aveva pronunciate, ma dentro di sé sapeva di ricambiare i suoi sentimenti.
Altrimenti, come si spiegava la nottata in bianco passata a pensare a lui e i continui sorrisi che le si formavano sul volto appena ricordava quei minuti? Anche in quel momento le sue labbra erano leggermente increspate all'insù.

Per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva più leggera. Felice. E appena si rese conto di ciò, il suo sorriso svanì. C'era sempre una parte di lei che le diceva di non meritare quelle cose belle che le stavano accadendo. Non era giusto nei confronti di sua sorella, perché lei non avrebbe mai potuto assaporare neanche la metà di tutto quello.

Di nuovo si ritrovò a chiedersi perché lei era sopravvissuta e la sua gemella no.
Cos'aveva di diverso?
Non poteva accettare che la sua era stata solo un colpo di fortuna; solo la scelta di un banalissimo posto a sedere su quella maledetta limousine; solo quei pochi secondi in più a far le scale che le avevano permesso di entrare nell'auto dopo sua sorella.

Era tutto troppo casuale per poter essere vero.

Quanto avrebbe voluto poterla avere ancora al suo fianco, confidarsi con lei; anche litigare con lei. Qualsiasi cosa era meglio di quel silenzio che stava diventando sempre più insopportabile.

Stranamente, si sorprese quando si ritrovò a piangere. Sembrava quasi surreale che solo qualche ora prima stava ridendo dalla gioia. Strinse ancora di più le coperte che la riscaldavano, stavolta per placare i tremiti che la stavano scuotendo, e si ritrovò a pensare a quando sua sorella, ogni volta che da piccola si risvegliava da un brutto sogno piangente, si spostava nel suo letto, stringendola e cullandola, aspettando che si addormentasse di nuovo.

A quel pensiero, le sembrò addirittura di sentire la sua piccola mano sfiorarle i capelli e la sua voce che le cantava una ninna-nanna per calmarla.

Avevano la stessa età, questo era certo, ma sua sorella era sempre sembrata più grande di quanto in realtà fosse. Era come se, quei pochi minuti di mondo che aveva assaporato di più di lei, le avessero conferito un'aria più materna, in particolare nei suoi confronti. Era per quello che si sentiva così persa ora.

Sollevò leggermente le palpebre, disturbata da un raggio di sole che la stava colpendo in pieno viso. Strofinò gli occhi gonfi e stanchi girandosi sulla schiena. Le guance non erano neanche un po' umide, e quello le diede la conferma che era finalmente riuscita a chiudere occhio.
Nonostante ciò, aveva un forte mal di testa e dei ricordi vividi dei suoi sogni. Perché aveva sognato; doveva per forza essere così. Non poteva veramente aver avuto accanto a sé sua sorella, anche se per pochi secondi.

Si mise a sedere, tenendosi il capo tra le mani e scuotendolo lievemente ogni volta che le sensazioni che aveva provato nel sogno le si attaccavano addosso, finché la porta non si aprì di poco, facendo scorgere il viso della madre.

«Tesoro?» sussurrò, non sapendo se stesse ancora dormendo o meno. Fece capolino nella stanza e, quando la vide, disse: «ah, sei sveglia.»

«Sì, mamma» fece lei, nonostante quella di Karmen non fosse una domanda.

«Vieni, allora. È mezzogiorno e il pranzo è pronto.»

«Arrivo» mormorò flebile, ma senza nessuna intenzione di lasciare il suo letto.

La donna la osservò con cipiglio preoccupato.

«Che hai?» chiese. «È successo qualcosa di brutto ieri?»

Marianne scrollò la testa appoggiando il palmo della mano sulla fronte. «No. Assolutamente no. Davide non c'entra.»

La madre continuò a scrutarla, abbandonando il suo appiglio sulla porta e avvicinandosi alla figlia. Si sedette sul letto accanto a lei, sospirando prima di parlare.

«Non sei riuscita a dormire, vero?»

La ragazza scrollò le spalle. Non aveva voglia di parlarne e, sopratutto, non aveva voglia di sentirsi dire sempre le stesse cose.

«Non stai bene, tesoro... Domani ti porto dal dottore» decise Karmen, battendo una mano sulla coscia, segno che la scelta era ormai stata presa. Fece per alzarsi, ma la voce della figlia la costrinse di nuovo a sedersi.

«No!» ribatté Marianne, capendo subito di quale medico stesse parlando. «È stato solo un sogno! Che male mi può fare sognare?»

«Lo sappiamo entrambe che non è così, ed è da mesi che va avanti questa cosa» disse sua madre, incrociando le braccia sul petto, facendola irritare ancora di più per le sue parole veritiere.

«Non sono pazza, mamma!»
Quasi urlò, facendo aumentare il suo dolore alle tempie.

«Non ho detto questo.»
Sua madre era calma, quasi si aspettasse quella reazione. Dopotutto, conosceva sua figlia come le tasche. «Ci siamo andati anche io e tuo padre. È normale visto quello che è accaduto, e ti può aiutare tanto, credimi» cercò di convincerla.

«Io non voglio dimenticarla.»

«E non accadrà» la rassicurò sua madre. «Non è a questo che serve. Può farti accettare la sua mancanza... e il dolore...»

La ragazza non rispose, troppo impegnata a ingoiare il groppo che le era venuto in gola.

«Non stai bene» ripeté Karmen dolcemente, accarezzandole i capelli. Marianne scosse di nuovo la testa, lasciandosi cadere sul cuscino e girandosi verso il muro per non dover vedere l'espressione della madre. Non avrebbe mai accettato di andare da uno psicologo a parlare dei suoi problemi; di sua sorella. Non avrebbe lasciato che una persona estranea le dicesse come comportarsi.

«Tesoro, dai...» mormorò la donna, mentre un senso di colpa la pervase. Non voleva costringere la figlia a fare quella cosa, ma il dolore aumentava quando la vedeva distruggersi pian piano. Era la disperazione che la faceva agire.

Neanche la nuova amicizia con quel ragazzo, in cui aveva riposto molta fiducia, era riuscita a farle superare il lutto. L'unica soluzione che vedeva era proprio quella di uno specialista.

«So che non vedi di buon occhio questa scelta, ma ti prego Marianne, è l'unica cosa che può aiutarti» proseguì, dando voce ai suoi ragionamenti.

La ragazza rimase in silenzio. Non trovava più la forza di rispondere. Avrebbe solo voluto piangere, ma non riusciva a trovare abbastanza lacrime neanche per fare quello.

Si strinse di più le coperte al corpo e serrò gli occhi con forza, pregando che quello fosse un brutto sogno; che tutta la sua vita dopo l'incidente fosse lo scherzo della sua mente. Ma quando sua madre parlò di nuovo, capì che non stava sognando.

«Anche questa cosa che stai facendo, che è solo un modo per restare legata a tua sorella, non ti fa bene.»

All'inizio quella frase la lasciò molto perplessa, e per qualche secondo pensò di aver sentito male.
Si girò verso Karmen, sollevandosi con un braccio per poter arrivare all'altezza del suo viso.

«Che intendi?» chiese con sguardo truce.

La donna si morse la lingua per le parole che si era fatta uscire di bocca. Pensò di rimediare in qualche modo, ma si accorse che ormai la frittata era stata fatta, e non aveva senso continuare a nasconderlo.

«Credo che tu sappia esattamente cosa io abbia voluto dire...» mormorò.

«Quindi sai?» domandò ancora Marianne, corrugando di più la fronte, in un misto tra confusione e sorpresa. «Da quando?»

Visto che la madre non rispondeva, ripeté la frase, alzando di qualche tono la voce a tal punto da far sobbalzare la donna.

«Dall'inizio» spiegò, con gli occhi bassi da colpevole. «A me e tuo padre ci era stato detto di assecondarti, perché era un modo della tua psiche di sfogare il dolore per la perdita. Il medico disse che sarebbe stato solo per un periodo e, con il passare del tempo, avresti abbandonato la cosa. Invece è passato un anno e non è cambiato nulla!
Credo sia ora di smetterla. Non sai quanto ci fa star male...».

«Non ci credo... mi avete mentito per tutto questo tempo?» la bloccò, spalancando gli occhi e osservando la madre quasi disgustata.

«No, abbiamo solo cercato di aiutarti.»

A quelle parole le sue labbra si tirarono in un sorriso che lasciava trasparire tutta la sua diffidenza. Ripensando a ciò, nella sua mente apparve limpida la conversazione con il padre di Davide e quelle domande che si era fatta così assiduamente qualche settimana prima, trovarono tutte una risposta.
Non si erano rivolti a lui per aiutarla a passare il test d'entrata, come aveva pensato inizialmente. Per fortuna, almeno quel posto se l'era guadagnato.

«È per questo che avete parlato con il rettore della mia università prima che mi iscrivessi?»

Karmen annuì appena.
«Abbiamo dovuto» mormorò, temendo una reazione troppo forte da parte della figlia.
Questa, però, non fece nulla. Si limitò a puntare lo sguardo vacuo sull'armadio davanti a sé e a intimare la madre a uscire dalla sua camera.

Spaventata ancor di più da quell'apparente tranquillità, la donna appoggiò la mano sulla spalla di Marianne tentando di spiegarsi.

«Ti ho detto di uscire dalla mia camera» fece la giovane, scostandosi con fastidio dal suo tocco.

«Tesoro...»

«Esci subito da questa maledetta stanza!» urlò infine, rivoltando su Karmen tutta l'irritazione e il risentimento che la ricoprivano.

La madre si alzò, cercando di placare i tremiti che la scuotevano leggermente. Si avviò verso la porta con lo stomaco che si contorceva dal dispiacere e dai sensi di colpa. Abbassò la maniglia, trovando il coraggio per guardarsi un'ultima volta indietro.
Marianne era ricaduta sul materasso e le dava la schiena, ma sentiva chiari i suoi singhiozzi. Ciò ebbe solo il risultato di farla stare ancora più male e, sospirando, uscì dalla camera, lasciando dietro di sé il dolore che aveva contribuito a creare.

Dopo il romanticismo dello scorso capitolo, si passa a un confronto madre e figlia particolarmente acceso.
Avete qualche idea su ciò a cui si riferiva Karmen? Di certo, ha scosso l'animo di Marianne...

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Prossimo capitolo lunedì 21/10 😘.

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