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Capitolo 31

Davide era chino su un block notes. Con la penna in mano, stava scarabocchiando qualcosa sul foglio immacolato quando una voce alle sue spalle lo fece sussultare. Istintivamente, richiuse il blocchetto, e poi alzò la testa girandola verso destra.

«Ciao» salutò con un sorriso, che si spense quando vide i suoi occhi osservare la mano sulla copertina del quadernetto. Mise velocemente l'oggetto e la penna nello zaino che si era portato e si alzò dalla panchina su cui si era seduto durante l'attesa, fronteggiando la ragazza.

«Entriamo?» chiese Marianne, sollevando lo sguardo su di lui e indicando con il pollice la struttura accanto a loro. Il giovane annuì e la ringraziò mentalmente per non aver fatto domande su ciò che stava facendo.

Si diressero all'interno della ÿogurteria, investiti improvvisamente da un'aria leggermente più tiepida e piacevole del freddo che si sentiva fuori. Salutarono la donna dietro il balcone ordinando, e poi si sedettero a un tavolo con i due piatti di carta in mano.
Davide si guardò attorno con un piccolo sorriso sulle labbra prima di parlare.

«Sai che non sono mai entrato in una ÿogurteria prima d'ora?» disse, mentre tagliò un pezzo di pancake e lo immerse nello yogurt fresco, mettendolo in bocca.

«Davvero?» fece la ragazza con un misto tra incredulità e imbarazzo. Scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli.
«Cavoli, quando ti ho mandato il messaggio, non mi è neanche venuto in mente che magari lo yogurt non ti piace...» mormorò, facendo una smorfia dispiaciuta.

«Il fatto che non sia mai entrato in una ÿogurteria non significa che non mi piaccia lo yogurt» esclamò lui, non riuscendo a trattenere un sorriso. «E, poi, non credi che ti avrei proposto qualcosa di diverso? Magari un gelato?»

«Hai ragione!» Marianne ridacchiò, togliendosi il velo di preoccupazione.
«Però dai, un gelato è troppo banale! A quel punto non avrei accettato io» commentò, aumentando la risata, seguita a ruota dal ragazzo.
Poi addentò il suo waffle.

«Comunque, sono felice che tu mi abbia proposto questa uscita. Avevo bisogno di cambiare un po' aria» continuò Davide.

«E io sono felice che tu abbia accettato» concluse lei, mantenendo il sorriso.

Per un po' i due non emisero fiato, incrociando lo sguardo di tanto in tanto. Quello bastava a renderli felici più di mille parole. Non c'era imbarazzo tra di loro, nonostante il silenzio.
Fu in quel momento, mentre Davide osservava quegli occhi azzurri che tanto adorava, che nella sua mente si disegnarono le note perfette per una dolce melodia, simbolo di quel piccolo amore che stava sbocciando nel suo cuore.

Quando finirono di mangiare, il ragazzo accompagnò Marianne fino a casa sua, sia perché avrebbe comunque fatto quella strada per andare in stazione, sia perché voleva passare ancora un po' di tempo assieme a lei.
E la giovane non era da meno.

«Hai un'ora precisa in cui devi tornare a casa?» gli chiese, quando furono davanti al portone. Avrebbe voluto che quella giornata non finisse mai.

Erano come due calamite di poli diversi; ogni volta facevano una gran fatica a staccarsi l'uno dall'altra, per poi sentirsi incompleti quando non erano insieme.

«No, posso prendere anche l'ultimo treno della giornata» rispose lui.

«Ti andrebbe di salire, allora?» fece Marianne indicando la palazzina, con un coraggio che non si aspettava di avere. «Potremmo guardarci un film...» aggiunse velocemente.

Davide osservò la facciata sopra di loro. Non aveva neanche bisogno di pensarci, ma aveva un certo timore. Non era la prima volta che si ritrovava davanti al suo portone, ma era la prima in cui lo invitava a salire.

Ma poi un pensiero gli attraversò la mente, e si ritrovò ad annuire.

Quindi, varcarono il portone, ritrovandosi in uno spiazzale dove una macchina scura era parcheggiata sotto una specie di capannone di fortuna. Lei lo accompagnò fino alla porta di casa, situata in cima ad una scalinata, per, poi, farlo entrare in casa con un gesto quasi teatrale che lo fece ridere.

Dopo aver appoggiato la borsa sul divano, la ragazza chiamò a gran voce la madre e questa fece capolino da una delle porte che dal soggiorno conducevano nelle camere da letto, con una bacinella piena di panni bagnati. Evidentemente i due ragazzi l'avevano sorpresa durante i lavori domestici.

Appena vide il nuovo arrivato, si bloccò sorpresa, appoggiando il piccolo catino sul tavolo del soggiorno e rivolgendosi alla figlia.
«Non mi avevi detto che avremmo avuto ospiti.»
La donna, però, non aspettò risposta e si avvicinò al ragazzo, porgendo la mano cordiale e presentandosi.

Davide ricambiò, facendo sussultare leggermente Karmen quando pronunciò il suo nome.
«Finalmente ti conosco» disse, sorridendo amabilmente. «Sei ancora più carino di quanto Marianne mi ha raccontato.»

«Mamma!» la sgridò la giovane, diventando di colpo bordeaux.

«Che ho detto di male?» chiese lei, quasi ferita da quel rimprovero. «Quando qualcosa è vero, è bene dirlo.»

«Sì, certo... Solo, trattieniti» mormorò la figlia, diventando, se possibile, ancora più rossa quando sentì accanto a sé Davide ridacchiare.
Prima che potesse lasciarsi sfuggire qualcosa di molto più sconveniente e imbarazzante, la madre ritornò alla propria occupazione.
Appena si allontanò per distendere sul poggiolo i capi bagnati, Marianne invitò il ragazzo a mettersi comodo, scusandosi per le parole della donna.

«Allora, cosa facciamo?» chiese, ritornando al suo colorito naturale e sedendosi a gambe incrociate sul divano. Lo osservò mentre faceva cadere lo zaino vicino alla sua borsetta e girava lo sguardo curioso per la stanza.
Alla fine, lo puntò su di lei.

«Hai ancora la chitarra, vero?» domandò, sorprendendo Marianne.

«Sì... perché?» chiese di rimando lei, con un tono di voce leggermente preoccupato. Non aveva più toccato il suo strumento dopo la morte della sorella, ma ricordava dove la madre l'aveva riposto. Non sapeva, però, se fosse pronta a rivederlo e a sentire quel suono.

«Ti voglio far ascoltare qualcosa» fu la risposta, mentre un sorriso furbo si disegnò sul viso di Davide.

«Non so se...»

«Ti fidi di me?» la bloccò.

Lei scosse il capo con forza.
«No, accidenti!» esclamò, strabuzzando gli occhi e facendo scoppiare a ridere il ragazzo.
Le sue labbra si tirarono in un sorriso, ma che svanì appena si alzò e gli chiese di seguirla.
Ovvio che si fidava di lui. Ma la fiducia non c'entrava nulla con la sua paura.

Prima di uscire di casa, da un recipiente messo sul piano di lavoro in cucina, prese una chiave seminascosta sotto molte altre e accompagnò Davide fino al piano terra, dove, vicino alle scale, si trovava una porta.

Mettere la chiave dentro la serratura fu facile; il difficile arrivò quando dovette girarla per aprire l'uscio. La sua mano tremava violentemente e il cuore le sembrava scoppiargli nel petto.

Avrebbe voluto con tutta se stessa sentire Davide suonare, ma non ce la poteva fare. Sapeva che non era ancora pronta per quello e si pentì per aver accettato la richiesta.

Il freddo del metallo le penetrò la carne per la forza con cui stava stringendo l'oggetto nel suo palmo.
Dovette aver chiuso gli occhi, perché si ritrovò ad aprirli nel momento in cui sentì un contatto caldo sul dorso della mano. Davide la stava guardando preoccupato e la costrinse a sciogliere il pugno.

«Ehi» sussurrò. «Tutto bene?».

Lei non rispose. Non riuscì a distogliere lo sguardo e il pensiero dalla porta che aveva davanti. Possibile che fosse arrivata fino a quel punto? Ora non riusciva neanche a superare la soglia della stanza che solo qualche anno prima era stato il suo rifugio?

«Ehi» ripeté Davide, scostandole la ciocca che le era finita davanti al viso. Con quel gesto ebbe anche la scusa di sfiorarle la guancia.
Marianne alzò gli occhi su di lui, incrociando il suo sguardo allarmato.

Prese un grosso respiro cercando di togliere quel velo di ansia che la stava stritolando lo stomaco.

«Scusa, non pensavo che...» mormorò il ragazzo, scuotendo il capo. «Andiamo a vederci un film» propose tirandola leggermente verso di sé e verso le scale.

«No» esclamò lei, riprendendosi. Non poteva veramente aver paura di entrare in una stanza solo perché, nei mesi prima del concorso, l'avevano usata lei e sua sorella per le prove. Aveva sempre adorato la sua piccola taverna insonorizzata dove potersi sfogare a suon di musica.

Si sciolse dalla presa del ragazzo e, in un momento di completa euforia, girò la chiave. Abbassò la maniglia e aprì la porta, facendo fuoriuscire l'odore penetrante del chiuso. Fece qualche passo al suo interno fino a scovare l'interruttore della luce e illuminare le pareti.
Poi, come se la carica che aveva avuto fosse improvvisamente finita, si bloccò alla vista delle librerie ricolme di dischi su entrambe le pareti laterali, del pianoforte scuro sulla sinistra e, soprattutto, della chitarra appoggiata alla parete di fronte a sé.

Eccomi con il nuovo capitolo, come promesso ❤.

Tante emozioni per Marianne, in particolare nel finale. È finalmente riuscita a scalfire un po' quella paura che la perseguita dalla morte della sorella. Ma, sarà veramente così? Rientrare nella stanza in cui è nata la sua passione e rivedere la sua amata chitarra, basterà per farla riavvicinare alla musica? Uhm, vedremo...

Intanto, tra i due ragazzi si sta creando un legame sempre più forte. Riusciranno, prima o poi, a trovare il coraggio per dichiarare l'interesse l'uno per l'altra?

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Prossimo capitolo domenica 6/10 😘.

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