Capitolo 25
Nonostante gli era sembrato sempre così lontano, anche il primo esame era arrivato, e ritrovarsi di nuovo sul treno diretto a Trento, dopo quasi tre settimane, non lo faceva esultare. In realtà, più dell'esame, che comunque era di matematica, materia che a lui piaceva particolarmente, lo faceva preoccupare rivedere Marianne. Non si era più fatto vedere dopo quel pomeriggio di dicembre e non sapeva come comportarsi.
Sospirò, osservandosi attorno quando il capotreno annunciò l'arrivo nel capoluogo. Troppo presto! La mezz'ora di viaggio era volata e non era ancora pronto a incontrarla.
Uscì dalla stazione e il freddo pungente lo colpì come un pugnale. Si strinse nella giacca rabbrividendo e si isolò dal resto del mondo mettendosi le cuffie nelle orecchie. Nonostante non avesse più quel rapporto con la musica – ora era decisamente più conflittuale – era comunque ancora l'unica cosa che riusciva a calmarlo. Si lasciò trasportare dalle note dure che gli rimbombavano in testa, mescolandosi con il suo respiro; con il suo stesso sangue. In testa ripercorse i movimenti delle dita sul pianoforte accorgendosi quanto gli mancasse la sua vita precedente: il palco, i borbottii della gente prima di esibirsi, le luci puntate su di sé, e l'ansia... ecco, gli mancava quell'ansia che lo faceva tremare dietro le quinte per, poi, fargli sprigionare il meglio una volta seduto di fronte al suo strumento.
Forse aveva amato troppo tutto quello e per ciò gli era stato privato.
Quando arrivò in prossimità dell'università, cercò di scacciare quei pensieri, e si tolse le cuffie entrando nell'edificio. Salì le scale fino al primo piano, e lì si fermò. C'erano tantissimi altri ragazzi che, come lui, stavano aspettando si essere chiamati per fare l'esame, e si districò tra loro in modo da arrivare davanti alla porta dell'aula dove si sarebbe svolto il test. Si guardò attorno aspettando si vedere il suo viso, finché due occhi di un blu intenso non incrociarono i suoi. Per un attimo rimase immobile a osservarla, ma poi si ridestò e le sorrise timidamente, alzando una mano in segno di saluto. Lei vide il suo gesto, ma non ricambiò e abbassò lo sguardo, concentrandolo su alcuni fogli che teneva in mano.
Davide si avvicinò cauto e, quando le fu vicino, la salutò di nuovo.
«Ehi, ciao. Come va?»
Marianne lo guardò con le sopracciglia inarcate. Avrebbe voluto dirgli tante cose, quelle che si stava tenendo dentro da tutte quelle settimane e poche erano piacevoli, ma si trattenne e pronunciò solo un «agitata».
Abbassò, di nuovo, gli occhi sugli appunti, con l'intenzione di chiudere quella conversazione ancora prima di iniziarla. Dopo quasi un mese senza essersi fatto sentire neanche per un saluto, era indignata che lui provasse ancora a parlarle come se nulla fosse accaduto. Non si era neanche preoccupato di sapere se quel giorno dei mercatini era tornata a casa sana e salva.
In quel tempo aveva potuto pensare molto e l'unica risposta al suo comportamento che continuava a martellarle la testa, era che lui l'aveva presa in giro tutto il tempo.
Davide era ancora in piedi accanto a lei, in silenzio; ogni tanto si guardava attorno mostrando un certo imbarazzo, anche se la verità era che stava nascondendo la ferita che aveva provocato l'indifferenza della ragazza.
Marianne dopo un po' sospirò, sentendosi in colpa per il suo atteggiamento. Quando l'aveva visto le era venuto un tuffo al cuore e, nonostante si era ripromessa di creare delle distanza da lui, non le sembrava giusto allontanarsi senza neanche lasciargli il tempo di spiegarsi. Perciò lo guardò e gli rivolse la stessa domanda che le aveva posto.
«Bene» fu la sua risposta, anche se l'espressione sul viso sembrava indicare tutt'altro.
«Agitato?» indagò lei, abbassandosi per rimettere i fogli nello zaino, certa che ormai non potesse più ripassare.
«No» rispose lui senza distogliere lo sguardo dal suo viso, nonostante fosse nascosto dai capelli. «O almeno, non per l'esame» continuò, facendo scattare gli occhi confusi di Marianne su di sé, turbata dall'affermazione.
Davide si pentì subito di quell'ultima frase, accortosi che si era fatto scappare più di quanto avrebbe voluto, perciò cercò di rimediare affrettandosi a spiegare i suoi precedenti studi scientifici, sperando in questo modo di porre l'attenzione della giovane su altro. Non sapeva però che lei era già a conoscenza di tutto grazie a Massimo, anche se non disse nulla e si limitò ad annuire.
Qualche secondo dopo, un prof uscì dall'aula dove si sarebbe svolto l'esame e iniziò a far entrare gli studenti a due a due, in modo che, una volta controllata l'identità, a poco a poco, questi potessero posizionarsi tra i banchi e aspettare l'inizio dell'esame.
Veloce Marianne raccolse lo zaino e la giacca e aspettò in trepidante attesa insieme a Davide. Mentre davanti a loro la fila di ragazzi diminuiva sempre più, lui si girò verso la ragazza e propose: «finito l'esame potremmo andare a festeggiare con un caffè, che ne dici?».
Le parole gli erano uscite così, in automatico, senza avere neanche il tempo di elaborarle, ma l'espressione di lei gli fece capire che aveva fatto bene a chiedere.
«Okay, ma paghi te» rispose facendogli scattare il primo sorriso della giornata.
«Ovvio» rispose lui, appena un attimo prima che il prof richiese le loro carte d'identità per il controllo, facendoli poi entrare nella stanza e indicando i posti in cui avrebbero dovuto mettersi per svolgere l'esame.
***
«Cosa vi porto ragazzi?»
Il cameriere del bar accanto all'università, il più frequentato dagli studenti per i suoi ottimi aperitivi, si avvicinò a Davide e Marianne poco dopo che si furono seduti. Il caffè era ancora spoglio per i suoi soliti canoni di occupazione e i due poterono sistemarsi a un tavolo leggermente più riservato, poiché lontano sia dalla porta che dalle enormi vetrate.
«Per me un cappuccino» rispose il giovane, dando tempo alla ragazza di controllare velocemente la carta delle bevande.
«Io, invece, una cioccolata calda» disse lei.
Quando il cameriere si allontanò, il suo sguardo fu attirato dagli occhi di Davide che sembravano non voler smettere di osservarla.
«Cosa c'è?» chiese abbassando il viso per l'imbarazzo, portandosi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.
«Ti vedo molto stanca» notò lui, il suo tono era quasi inespressivo, ma in realtà nascondeva una certa preoccupazione. «C'è qualcosa che non va?»
Marianne fu sorpresa di quell'uscita. Non credeva che le occhiaie si vedessero così distintamente nonostante i suoi tentativi di coprirle.
«No, nulla, tranquillo» rispose titubante, sperando di prendere un po' di tempo per elaborare una scusa. Di certo non poteva dirgli che dormiva poco la notte perché faticava ad addormentarsi, e una volta che ci riusciva, il suo sonno era continuamente agitato da incubi rincorrenti. Di ciò che sognava riusciva solo a ricordare il rumore di voci in sottofondo e la presenza di una luce accecante, che la faceva sempre risvegliare con il cuore palpitante e la pelle cosparsa da uno strato di sudore. Ma forse, si disse, era meglio non sapere con che cosa la sua mente la stava torturando.
«Sono solo molto impegnata nello studio e molte volte mi capita di rimanere sveglia anche fino alle tre del mattino» spiegò, non sentendosi neanche troppo in colpa per la menzogna. Dopotutto era vero che nelle ultime settimane i suoi sforzi erano tutti concentrati sui libri, ed era vero anche che non era raro per lei addormentarsi verso ore così improponibili visto che ogni sera era costretta a rivedere in loop il momento esatto in cui tutte le sue certezze su Davide erano crollate miseramente, facendola di nuovo sentire impotente di fronte ad eventi di cui poteva solo subirne il corso.
Il ragazzo annuì, preferendo non indagare oltre per evitare di diventare invadente.
Poco dopo furono portate le due bevande calde ordinate, e il ragazzo prese coraggio per parlare di ciò che era accaduto all'inaugurazione dei mercatini di Natale. Sapeva che una spiegazione non era obbligatoria, ma Marianne non si era fatta più sentire dopo quel giorno, nonostante avesse atteso con speranza un suo messaggio. Aveva seguito il consiglio di Rose e non aveva provato a contattarla per lasciarle i suoi spazi, solo che ora, dopo averla rivista inizialmente così fredda con lui, aveva paura che qualcosa si fosse spezzato tra loro e voleva ricucire quel legame a tutti i costi.
«Grazie per aver accettato di prendere un caffè con me; non credevo l'avresti fatto» iniziò impacciato.
Lei sorrise. «Perché?» chiese.
«Beh...» si ritrovò a tentennare imbarazzato. «Per quello che è accaduto ai mercatini» spiegò, mettendosi a girare il cucchiaino nella tazzina per non dover incrociare i suoi occhi.
Lei si rabbuiò, in ansia per quel discorso che si era preparata fin troppe volte nella mente. Di tutte le parole che aveva pensato di dire non se ne ricordava neanche una.
«Credo che dovremmo parlare di quello che è accaduto quel giorno» disse infine lei, osservandolo alzare lo sguardo e aggrottare le sopracciglia.
«Sì, dovremmo...» acconsentì lui, sentendo il respiro mozzarsi dall'agitazione.
Per qualche secondo entrambi rimasero in silenzio, forse sperando che fosse l'altro a iniziare. Davide bevve un sorso di caffè e a Marianne sembrò un invito a parlare. Non le piacque molto quel gesto; era come se lui non avesse neanche il coraggio per dirle un semplice "scusa", ma aveva anche lei le sue colpe ed era probabile che lui non si accorgesse delle proprie perché non le considerava tali. Vide quel momento perfetto per richiedere, e finalmente ottenere, una spiegazione valida.
«Mi dispiace essere fuggita in quel modo» fece, raccogliendo a mente tutte le cose che voleva dirgli per evitare di uscire da quel bar con ancora i dubbi che le attagliavano la mente. «Solo che... mi sono sentita di troppo, ecco. Di sicuro era da tanto che non vi vedevate e ho creduto giusto lasciarvi i vostri spazi.»
Prese un bel respiro raccogliendo tutto il coraggio che credeva di avere per continuare con la frase successiva; aveva paura che anche una sola parola sbagliata potesse rovinare il loro già fragile rapporto, ma era stanca di passare nottate intere a porsi le stesse identiche domande.
«So che ci conosciamo ancora poco e hai tutto il diritto di non rivelarmi nulla della tua vita privata, però se devo dirti la verità ci sono rimasta un po' male. Credevo tu mi avessi invitata per passare una giornata insieme... da soli», precisò, «e invece è spuntata lei dal nulla e...»
Vide impresso sul viso di Davide il disorientamento: la fronte corrugata e gli occhi leggermente socchiusi, che le stavano rivolgendo uno sguardo pensoso. Non seppe più come continuare, completamente in imbarazzo, sicura che quello che aveva rivelato fosse anche troppo di quello che avrebbe dovuto dire.
Rimase in silenzio, stingendo tra le dita fredde la tazza bollente, riscaldandole. La portò alla bocca e stavolta fu lei a bere qualche sorso di cioccolata per evitare di dover continuare a parlare e rischiare di peggiorare la situazione.
«Rose» mormorò lui dopo un tempo che alla ragazza sembrò infinito, quasi come se fosse la risposta ovvia a un problema che lo aveva fatto scervellare per giorni.
«Non era programmato, se è quello che ti stai chiedendo. Sono rimasto meravigliato anch'io dalla sua presenza» rispose, sollevato che il motivo di quel lungo silenzio non era stato causato da un suo comportamento.
«Uhm, ok.» borbottò lei, accorgendosi che lui non aveva compreso ciò che aveva voluto sottintendere. «Però... perché mi hai invitata a trascorrere il pomeriggio insieme?» la domanda le uscì involontariamente come se fosse un'accusa, oppure era proprio così che voleva apparisse; nonostante ciò, impacciata per quella stessa frase, continuò: «cioè, non sapevo fossi fidanzato e la cosa mi ha lasciata un po' sorpresa, ecco...»
A Davide per poco non andò il caffè di traverso. Diede qualche colpo di tosse per riprendersi.
«Fidanzato?» domandò, sconvolto che Marianne avesse avuto quella convinzione per tutto quel tempo. «No, aspetta: Rose non è la mia ragazza.»
«Ma lei ha detto...»
«È stato tutto un malinteso» la bloccò veloce nel voler chiarire quell'aspetto. «È la mia ex. Stavamo insieme nel periodo in cui ho studiato a Monaco, ma poi sono accadute delle cose e, quando me ne sono andato, non l'ho più cercata. Credevo mi avesse dimenticato, invece lei sperava che potesse tornare tutto come prima; però io non la amo più, e anzi, forse non l'ho mai veramente amata, anche se ho provato qualcosa di forte per lei in passato e insieme ci stavo bene.» Aveva deciso di essere il più trasparente possibile con lei; era inutile mentire dicendo che Rose non era stata importante.
«Delle volte però questo non basta» aggiunse quando lei rimase in silenzio. Puntò gli occhi nei suoi lasciando che il suo cuore si sciogliesse ad ogni secondo che passava.
«Hai detto che sono accadute delle cose.» Marianne interruppe il silenzio ma non il contatto visivo. «Intendi il problema alla voce?»
Lui trattenne il respiro per qualche secondo, ma quando lo rilasciò non trovò la forza di rispondere. Abbassò lo sguardo iniziando a torturare la bustina di zucchero vuota vicino alla tazzina da caffè, anch'essa vuota.
La giovane, vedendo quel cambiamento si sentì in colpa per la curiosità avuta; avrebbe dovuto sapere che quello era un argomento tabù, come per lei l'incidente.
Senza quasi rendersene conto, come se non fosse stato il suo cervello a comandare, allungò la sua mano verso quella di Davide, toccando dapprima solo le dita e poi accarezzandone il dorso. Il ragazzo osservò quel gesto sorpreso; il suo stomaco si contorse in una morsa piacevole e il cuore iniziò a velocizzare il suo battito. Un solo suo tocco era bastato per fargli dimenticare anche dove si trovasse.
«Io... scusa. Sono stata troppo invadente...» mormorò lei.
Lui la guardò e sorrise. «No, ma quello che è accaduto non ha più importanza» rispose e, senza preoccuparsi di possibili conseguenze, alzò la mano per incrociare le dita con le sue. La vide sussultare leggermente, ma poi ricambiò sia la stretta che il sorriso.
Gli sembrava così semplice essere felice accanto a lei, gli risultava così naturale che neanche sentiva la paura di perdere tutto da un giorno all'altro; sentiva che tra loro due c'era qualcosa di speciale e si chiese se ci fosse lo zampino del destino: se tutto quello che gli era accaduto era stato programmato per far sì che loro due si incontrassero. Guardando i suoi occhi sapeva che lei si stava ponendo le stesse domande.
E per la prima volta in quel lungo anno passato in agonia, non avrebbe voluto essere da nessun'altra parte se non lì, in quel bar nel centro di Trento, al tavolino più appartato, mano nella mano con Marianne.
Capitolo più riflessivo, questa volta. Spero che non vi abbia dato noia 😂.
Pian piano ci stiamo accorgendo del bisogno che Marianne e Davide hanno l'una dell'altro, non tanto fisico, ma più... spirituale? Sì, si potrebbe dire così.
Voi che ne pensate? Vi piace come si sta evolvendo il loro rapporto?
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Prossimo capitolo sabato 24/08 😘.
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