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Capitolo 24

Sentiva gli occhi pesanti e la testa le doleva. Era tardi e lo sapeva, ma non poteva andare a dormire prima di finire quel capitolo.
Aveva fatto qualche calcolo e, se non arrivava a concludere gli appunti entro quel fine settimana, non sarebbe arrivata a studiare in tempo per il primo esame.

«Maledizione!» borbottò a denti stretti, battendo la matita sul libro. Era la terza volta che ripeteva lo stesso paragrafo senza capirne il significato. Appena iniziava a leggere, le parole si mischiavano le une con le altre e la sua mente ritornava a qualche settimana prima.
Dopo quel fatto, Davide aveva di nuovo iniziato a saltare le lezioni e ciò non le aveva dato la possibilità di confrontarsi con lui.
Più volte aveva pensato di mandargli un messaggio per chiedergli almeno come stesse, ma l'indecisione l'aveva trattenuta. Dopotutto, neppure lui si era fatto vivo.

Prese il cellulare, dando un'occhiata ai messaggi mentre passava la mano tra i capelli, sciogliendo i nodi con nervosismo. Ancora nulla; ma, in realtà, cosa si aspettava di ricevere? Si conoscevano solo da qualche mese. Troppo poco per pretendere che lui spiegasse i suoi comportamenti.
E poi, di cosa doveva realmente spiegarsi? Aveva tutti i diritti di avere una ragazza e, di certo, non era costretto a raccontarle i particolari della sua vita privata.

Sospirò, rendendosi conto che era stata una sciocca a scappare via in quel modo e aver creduto, anche solo per un istante, che potesse esserci qualcosa tra loro.
Era stato solo un momento di debolezza. Aveva avuto bisogno di qualcosa che colmasse il vuoto creato nel suo cuore; quel piccolo pezzo di felicità che le era stato portato via troppo in fretta. E aveva puntato su di lui. Quel ragazzo che nascondeva sotto la sua pelle più demoni di lei, ma che aveva fatto di tutto pur di strapparle un sorriso.

La sua forza... Avrebbe voluto averla anche lei.
La capacità di dimenticare e andare avanti. Vivere una vita serena e felice.
Ma lei non ce l'avrebbe mai fatta. Lo sentiva. Non sarebbe mai riuscita ad annullare il dolore.
Sarebbe stato lui ad annullare lei.

***

«Come sta andando l'università, Marianne?».
L'uomo di fronte a lei la osservò con i suoi piccoli occhietti verdi, mettendo in bocca un pezzo di vitello e masticando velocemente.
«Bene, zio» rispose lei accennando un sorriso. «Ma non ho ancora iniziato nessun esame, perciò è meglio se me lo richiedi tra qualche...».
«Sono sicuro che sarai eccellente. Sei sempre stata brava a scuola» la lodò lui, senza neanche lasciarle finire la frase.

La ragazza pensò che la stesse descrivendo in un modo non del tutto veritiero, ma non aprì bocca. Incrociò, invece, lo sguardo di Massimo. Era inespressivo: quasi come se non fosse neanche lì con loro, ma in un mondo tutto suo. Già quando erano arrivati a casa dei suoi parenti, come ogni anno facevano per il pranzo di Natale, si era accorta della freddezza del cugino. A mala pena le aveva fatto gli auguri e per tutto il tempo, mentre aspettavano le pietanze, era stato attaccato al cellulare, rispondendo a monosillabi alle sue domande.

Possibile che fosse ancora arrabbiato con lei per la trascuratezza che aveva avuto nei suoi confronti? Era passato quasi un mese e mezzo; non aveva senso tenerle il muso per così tanto tempo.

«È stato un anno duro per te, Marianne» continuò suo zio, facendole distogliere l'attenzione da Massimo. «È stata dura per tutti quanti, ma tra qualche giorno inizierà un nuovo anno ed è giusto che tu possa vivere una vita serena». Fece un sospiro, appoggiando le posate ai lati del piatto, come se quello che stava per dirle fosse talmente importante da richiedere una pausa adeguata dal resto della frase.
«Ho deciso di ereditarti la mia quota di azioni della società» annunciò, infine.

Per qualche secondo quelle parole rimasero sospese in aria, per poi ricadere sui presenti con violenza. Marianne trattenne a stento un sorriso, pensando che fosse uno scherzo di brutto gusto, ma quando incrociò gli occhi dei suoi zii, capì che non si trattava di una battuta.

Suo padre, accanto a lei, si mosse un attimo sulla sedia, imbarazzato dalla situazione che si era creata.

«Non stai dicendo sul serio» mormorò inarcando le sopracciglia. «Vero, Luigi?»
«Ma certo che sto dicendo sul serio!» rispose il fratello, quasi scoppiando a ridere per l'espressione di Stefano.
«Gli anni si stanno facendo sentire. Non sono più un giovincello e credo sia ora di passare il testimone. E poi, è necessario che qualcuno si prenda cura di nostro padre a tempo pieno» spiegò, riprendendo le posate e continuando a mangiare tranquillamente.
«Ovviamente, prima devi concludere l'università, ma sono solo altri due anni e mezzo» disse, ancora, rivolgendosi alla ragazza. «Sono sicuro che riuscirai a gestire l'azienda nei migliori dei modi. Sei giovane e piena di idee innovative».

«Sì, ma Luigi... non credi che sia troppo presto. È solo a metà del primo anno e ha tutto il tempo per decidere cosa vuole fare nella vita. Magari cambia idea e scopre che l'imprenditoria non è il suo mondo» intervenne Karmen, spiazzata anche lei da quella decisione presa senza neanche un consulto. Sperava ancora che sua figlia tornasse a cantare e quella scelta avrebbe portato a zero la probabilità che ciò accadesse.

«Sciocchezze» rispose l'uomo sventolando una mano davanti al viso, come per cancellare dalla sua mente quelle parole.

«Perché non scegli Massimo, invece?» continuò la donna. «È più prossimo alla laurea rispetto a Marianne e di certo quella è la sua strada, visto che è da anni che studia nel campo dell'economia».

Il cognato rimase in silenzio, ma il suo viso cambiò completamente espressione.
«Sì, infatti papà. Spiega perché non scegli me» si intromise il ragazzo, usando un tono che risultò quasi insolente da quanto era ironico.

Marianne posò lo sguardo sul cugino, notando nei suoi occhi una rabbia repressa che mai prima d'ora gli aveva visto. I pugni erano stretti attorno al tovagliolo di carta, talmente forte da notare il bianco delle nocche.

«Tu stai zitto, Massimo. Non c'entri nulla in questo discorso» attaccò Luigi.

La ragazza vide il viso del cugino contrarsi in una smorfia, prima di esplodere e sbottare: «non c'entro niente?»
Si alzò di scatto, sbattendo i palmi sul tavolo con furia. La madre di lui sobbalzò e cercò di lanciargli uno sguardo di avvertimento. Non voleva assistere a un altro litigio, per di più davanti a ospiti.
Il ragazzo neanche si accorse dei segnali che gli stava mandando la donna. La sua attenzione era completamente rivolta verso il padre, che ora lo stava osservando con gli occhi leggermente socchiusi.

«Sono il tuo unico figlio, maledizione, e mi stai tagliando fuori dall'azienda di famiglia che, in base a quanto detto dal nonno, è mia di diritto! Ho diritto a ereditare le tue quote e sai perfettamente quanto sto studiando per poter dirigerla al meglio».

«Tu non hai diritto a nulla, invece, e ciò che dice tuo nonno non me ne frega nulla. Le quote sono ancora di mia proprietà e decido io a chi darle» disse l'uomo con una freddezza che non poteva apparteneva veramente a un genitore.

«Ma sono tuo figlio!» ripeté Massimo battendo, di nuovo, le mani sul tavolo.

Il padre non rispose, preferendo invece dare attenzione al pezzo di polenta che stava per mettere in bocca.
Il ragazzo si mise lentamente in posizione eretta, togliendo le mani dal tavolo.

«Non puoi veramente farmi questo» mormorò, mentre un subbuglio di emozioni gli ribolliva internamente. «Non puoi distruggere il mio sogno, ciò per cui ho studiato così duramente in questi anni».

«Hai fatto tutto da solo» rispose lui, e per il figlio fu peggio del ricevere un pugnale nello stomaco.
«Luigi, smettila ora» lo rimproverò la moglie, capendo che aveva sorpassato il limite.
Poi si rivolse al giovane, chiedendogli di sedersi, e infine domandò ai suoi ospiti se volessero un pezzettino di crostata, cercando di riportare un minimo di tranquillità in quella casa.

Karmen e Stefano si lanciarono qualche occhiata, prima di accordarsi nell'andarsene.
«Scusaci Claudia, ma è meglio se vi lasciamo soli» disse Karmen, cercando di non far trasparire il proprio disagio.

«Cosa? Perché? Ma no! Restate, restate. È stato solo un piccolo bisticcio. Succede in famiglia, no? Restate, ho fatto la crostata con la marmellata di more. È buonissima» disse l'altra tutto di un fiato, non riuscendo a nascondere l'imbarazzo.
Si guardò attorno e vedendo il figlio ancora in piedi gli intimò, di nuovo, di sedersi.

«Davvero mamma? Siamo arrivati a questo punto? A negare l'evidenza?» domandò Massimo sgranando gli occhi. «Ti sei alleata con lui anche te...»

Aspettò risposta, ma in tutta la casa c'era un silenzio tombale.
Marianne guardò il cugino preoccupata e quando lui incrociò il suo sguardo, notò gli occhi lucidi.
Il ragazzo abbassò il capo, scuotendolo appena, per poi sospirare e allontanarsi.

«Dove stai andando? Tua madre ti ha detto di sederti» tuonò il padre.
«Mi è passata la fame. Sto andando in camera» fece lui con la stessa acidità. «Posso, o anche quella è di tua proprietà?»
Non aspettò di ricevere risposta e poco dopo si sentì una porta sbattere con violenza.

«Glielo faccio imparare io cos'è il rispetto» mormorò a denti stretti l'uomo, alzandosi. La moglie gli poggiò una mano sul braccio, fermandolo.
«Luigi, no. Lascialo stare, per favore».

Lui tentennò un attimo, ma poi acconsentì e si sedette. Al suo posto si alzarono i genitori di Marianne. Era ormai ovvio che quel pranzo non poteva più continuare normalmente, e i due si sentivano estremamente in imbarazzo per quella situazione.

«Noi dobbiamo veramente andare ora» disse Stefano.
«Non volete proprio restare per il dolce?» chiese Claudia, sperando di fermarli.
«No, noi... Ecco... Credo sia giusto andare» spiegò Karmen, mettendo una mano sulla spalla della figlia per farle capire di alzarsi.

Luigi sospirò, raggiungendo il fratello e la sua famiglia.
«Sì, vi capiamo. Scusate per avervi fatto assistere alla discussione. Non era nostra intenzione mettervi in mezzo» disse prima di accompagnarli alla porta.
«Comunque, la proposta è ancora valida. Pensaci su e poi fammi sapere» continuò rivolto alla nipote.

Marianne osservò lo zio con criticità, sconvolta quasi dalla rabbia che gli aveva visto solo pochi minuti prima. Ora sembrava così sereno e tranquillo: per nulla turbato da ciò che aveva detto al figlio.
«Grazie zio, ma non credo accetterò. Max adora l'azienda di famiglia molto più di me. È giusto che vadano a lui quelle quote» rispose, e appena pronunciò queste parole, lo sguardo dell'uomo si indurì. Durò pochi secondi, perché poi sfoggiò un sorriso rassicurante, seguito da un: «ma certo».

Una volta in macchina, la ragazza ripensò alla lite tra Massimo e Luigi. Alzò lo sguardo verso la finestra della camera del cugino appena prima di allontanarsi dalla struttura.
Aveva la sensazione che le fosse fuggito un pezzo importante in quella faccenda.
Perché lo zio era così ostico a lasciare che il figlio continuasse l'attività di famiglia? Gli aveva detto che aveva già rovinato tutto, eppure sapeva che era un ragazzo estremamente responsabile e pieno d'iniziativa.
Cosa stava accadendo?

Ciao a tutti!

Eccomi qui con un nuovo capitolo, come vi avevo già anticipato qualche mese fa, il primo di una sotto trama che avrà come protagonista il cugino di Marianne. Per ora conosciamo un po' di più Luigi, padre di Massimo e fratello di Stefano.

Si era già parlato del rapporto freddo tra lui e figlio, se ricordate, ma qui sembra ci sia sotto qualcosa...

Voi che ne pensate?

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Prossimo capitolo domenica 18/08.

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