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Capitolo 18

Prima di rientrare in sala, a Davide fu chiesto di mostrare di nuovo il biglietto. Dopodiché si accomodò al suo posto.

Appena fu vicino a suo padre, quest'ultimo si chinò verso di lui.

«Tutto bene?» sussurrò apprensivo. «Sei stato fuori parecchio tempo».

Il ragazzo annuì. «Ho incontrato una mia compagna di corso che si è sentita poco bene. L'ho aiutata a riprendersi» mormorò poi.

L'uomo sussultò. 

«Cosa è accaduto?» chiese alzando di troppo la voce, ricevendo qualche occhiataccia dalle persone sedute nella fila davanti alla loro.

«Va tutto bene adesso. Ha avuto solo... un giramento di testa». Davide si morse la lingua, sentendosi improvvisamente in colpa per aver mentito al padre. Non l'aveva mai fatto prima d'ora.

Perché gli aveva nascosto la verità? Aveva forse paura della risposta che avrebbe ricevuto? Oppure, perché sapeva che avrebbe dovuto chiedere aiuto invece di improvvisarsi infermiere. Però, vedere Marianne in quelle condizioni, sapendo benissimo cosa stesse provando, l'aveva fatto agire d'impulso.

«Papà...». Il ragazzo lo richiamò verso di lui. «Mi sono offerto di riaccompagnare a casa questa ragazza. Abita a Trento e prendere il treno peggiorerebbe solo il suo malessere; perciò posso prendere la macchina?» domandò quasi tutto d'un fiato, nella speranza che l'uomo accettasse.

«La macchina? E, scusa, io come torno a casa dopo lo spettacolo?»

«A piedi» rispose Davide, quasi con ovvietà. 

«Papà, abitiamo, sì e no, a dieci minuti di distanza da qui! Abbiamo preso l'auto solo per il freddo» spiegò quando vide l'espressione contrariata dell'uomo.

«Ma...». Pietro venne bloccato da un signore che gli intimò di fare silenzio, perciò abbassò la voce, avvicinandosi ancor più al figlio.

«Tra un po' sarà buio... Vuoi veramente andare a Trento a quest'ora?» domandò riluttante all'idea del figlio.

Davide osservò l'orologio che aveva al polso, per poi alzare lo sguardo verso il padre con dolcezza.

«Sono quasi le cinque e mezza. In un'ora vado e torno. Non mi accadrà nulla, te lo prometto» lo tranquillizzò.

Le ultime parole che disse convinsero l'uomo, forse anche perché non aveva più argomenti e la fiducia nel figlio era sproporzionata. Si disse, inoltre, che doveva tenere molto a quella ragazza per decidere di andare nel capoluogo a quell'ora del pomeriggio; già prima usciva poco la sera, e se lo faceva era solo per suonare nel locale di fronte al loro appartamento, e da quando quel problema l'aveva costretto ad allontanarsi dalla musica, passava le sue giornate tra l'università e la sua stanza. Aveva ripreso in mano la chitarra e il piano solo da poco, e solo per mantenersi allenato, speranzoso che tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi.

Pietro sospirò e infilò la mano nella tasca della giacca, tirando fuori le chiavi della macchina. 

«Hai dietro la patente, vero?» fece, socchiudendo gli occhi, prima di consegnare l'oggetto al figlio.

«L'ho sempre dietro» ammise con un piccolo sorriso, compiaciuto dalla riuscita del piano.

Ricevute le chiavi, si chinò verso il padre, lasciandogli un bacio sulla guancia ruvida e un grazie.

Poi, si fece strada tra il piccolo passaggio tra una poltrona e l'altra, ricevendo alcuni sbuffi scocciati, e uscì dalla sala con un sorriso enorme sulle labbra.

Quando si ritrovò di nuovo all'aria aperta, un brivido lo percorse tutto. Alzò gli occhi verso il cielo, che già si stava oscurando, colpa dell'imminente arrivo dell'inverno. 

Beh, fino a Trento ce la poteva fare.

Ritornò alla realtà, notando Massimo che stava ancora discutendo con Marianne vicino al patio del bar.
Era certo che lui stesse cercando di farle cambiare idea. Dopotutto per lei era uno sconosciuto; serviva una buona dose di fiducia per accettare un passaggio. Oppure, come nel caso della ragazza, una pazienza raggiunta ormai al limite e la sola volontà di allontanarsi da lì il prima possibile.

Si avvicinò con calma, fermandosi ogni tanto nella speranza che i due concludessero i loro scambi di opinione prima che lui potesse origliarne una parte anche solo per sbaglio.
Quando Marianne si appoggiò al piccolo poggiolo di legno, le braccia conserte e lo sguardo rivolto alle sue scarpe, credette che ormai avessero concluso. E, invece, fu proprio in quel momento che Massimo sbottò, alzando la voce tanto che pure lui riuscì a distinguere chiaramente le parole.

«Va bene allora, vai con lui, fai come cavoli vuoi! Sei maggiorenne e vaccinata. Sappilo, non me ne frega più niente!»
Detto ciò, si allontanò da lei, venendo verso la sua direzione. L'unica cosa che fece fu quella di scoccargli un'occhiata rude, piena di rabbia, prima di sorpassarlo e rientrare nel teatro.
Davide osservò la giovane con preoccupazione. Si vedeva chiaramente che era scossa; sembrava irritata e al tempo stesso dispiaciuta per il comportamento del cugino. Gli occhi erano lucidi e il labbro tramava, ma riuscì comunque a trattenersi dal piangere.
Alzò il viso sul ragazzo tirando le labbra in un sorriso poco convinto.
«Allora?» Era in apprensione. Aveva paura che lui ora si tirasse indietro.

Invece Davide mostrò le chiavi che aveva in mano, ricambiando il sorriso in uno più aperto, sperando di tranquillizzarla un attimo. 

«Andiamo?» chiese poi, indicando con la testa il parcheggio.

Lei annuì, stringendosi di più nel giaccone per placare l'insicurezza che ora l'attagliava. Seguì il ragazzo senza riuscire a togliersi dalla mente le parole del cugino. Aveva cercato di dissuaderla in qualsiasi modo poiché, nonostante Davide l'aveva aiutata a superare il momento d'ansia, alla fine sapevano ben poco di lui. Ormai però aveva accettato; Massimo era già rientrato nella struttura e mancavano pochi passi all'auto. Oltretutto, Davide non le sembrava un cattivo ragazzo. Certo, all'inizio non l'aveva trattata in un modo molto gentile, ma poi l'aveva fatta ricredere.

«Ecco, è questa» gli sentì dire quando furono davanti a una macchina scura. Una Ford, le sembrava. Non era però esperta di marche.
Lui le aprì la portiera del lato del passeggero, sorprendendola per il gesto galante e decisamente non necessario.
Mormorò un imbarazzato «grazie» quando lui gliela chiuse appena fu accomodata.

Subito dopo salì in auto anche lui e mise in moto. L'agitazione non era poca. In realtà, non aveva mai avuto passeggeri, se non suo padre, e iniziare proprio con Marianne lo rendeva ancora più nervoso di quanto già non fosse.

Il silenzio nell'abitacolo era sempre più asfissiante. Mentre lui guidava, lei osservava il passaggio montagnoso scorrerle davanti, immersa nei suoi pensieri. Un leggero senso di colpa le lambiva la bocca dello stomaco.

Imboccarono la superstrada con inaspettata facilità, forse anche a causa dell'orario e del freddo, che non faceva scollare le persone da casa.

Davide guidava senza fretta, come se volesse ritardare il momento in cui si sarebbero separati. In qualche modo, si stava affezionando sempre più a quella ragazza praticamente sconosciuta.

La sentì sospirare accanto a sé, e girò velocemente lo sguardo per vedere se stesse bene.

«Marianne...» mormorò piano, interrompendo il silenzio religioso, ma fu subito bloccato dalle parole di lei.

«È capitato anche a te, giusto?»

Davide continuò a guardare la strada, sorpreso da quella domanda, e poi annuì leggermente.

«Come?» chiese ancora la ragazza.

Lui non rispose subito. Non gli piaceva tanto parlarne. Gli faceva ricordare momenti che voleva solo dimenticare.
Mantenne gli occhi sulla strada.
«Più o meno come è accaduto a te» mormorò alla fine. 

La ragazza continuò a osservarlo, sicura che non avesse detto la verità, ma non provò a forzarlo. Se non voleva parlarne evidentemente era per un motivo.

«Comunque... Accetto» esclamò subito dopo lui. L'intenzione era quella di cambiare argomento, ma come risultato si beccò solo un'occhiata confusa.

«Accetti cosa?» domandò Marianne.

«Di partecipare al lavoro di gruppo con te» rispose Davide con decisione. La ragazza inarcò le sopracciglia, sorpresa da quell'affermazione. 

«Ovviamente, sempre se l'offerta è ancora valida» aggiunse, poi, il giovane, con molta meno sicurezza di prima.

«Sì, è ancora valida, ma...», Marianne cercò le parole adatte, «pensavo non volessi» disse infine.

«Ho cambiato idea» fu l'unica risposta che ricevette, per di più unita a un'alzata di spalle, come se quello che era capitato qualche settimana prima non fosse nemmeno accaduto.

Lei non disse nulla, eppure qualcosa non la convinceva. 

Conosceva quel ragazzo da neanche un mese e l'aveva già visto sotto tre diversi aspetti: prima spiritoso e ironico, poi freddo e pieno di rabbia, infine gentile e caritatevole. Per di più, ora, l'aveva lasciata senza parole per quella uscita che aveva avuto così improvvisamente. Non poté fare a meno di chiedersi cosa aveva in mente. Le sarebbe piaciuto poter leggergli nel pensiero; capire chi effettivamente era, cosa era accaduto nel suo passato e quanto aveva sofferto. Sentiva, in un qualche modo, che loro due erano più simili di quanto pensassero, ma nonostante ciò, le sembrava ci fosse sempre una barriera invisibile tra di loro.

Lo vide girare la testa verso di lei. Un secondo in cui i loro occhi si incrociarono. Poi entrambi distolsero lo sguardo, come se fossero in imbarazzo, e non ci fu più nessuna conversazione tra di loro finché non arrivarono a Trento.

Capitolo abbastanza lungo, devo ammetterlo.

Davide, alla fine, ha deciso di fare il lavoro di gruppo insieme a Marianne, ma fino a ora il loro rapporto non è stato proprio rose e fiori.
Secondo voi cosa accadrà? Riusciranno a collaborare?
Ma, soprattutto, Davide otterrà la fiducia di Marianne, nonostante la sua evidente difficoltà ad aprirsi completamente?

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Prossimo capitolo, sabato 6 aprile ❤.

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