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Capitolo 26: La fine dei giochi


Lestat Defendi

La telefonata si interrompe nell'istante in cui Daniel dice Non riesco.

Alzo la testa: Zaire e Alexander sono sull'attenti. «Dobbiamo andare!» esclamo con tono serio.

Durante il tragitto tento di chiamare Adriel, ma non risponde; provo con Daniel e proprio quando sto per perdere la pazienza sento la sua voce.

«Pronto? Lestat?»

Ci fermiamo su un tetto.

«Daniel! Dove siete? Che cosa è successo?» esorto.

«Eravamo nel salotto, quando abbiamo percepito il sangue di Demetra. Suo padre, Marco Nicchio, era un Akira ed era entrato nella sua stanza dal balcone» spiega.

«Che cosa è successo, Daniel?» urlo.

«Demetra è stata accoltellata allo stomaco... A...» mormora il mio subalterno.

«Adesso dov'è?» lo interrompo.

«Adriel l'ha portata in ospedale. Al Fatebenefratelli» risponde.

Lui ribatte qualcosa, ma riattacco.

«Andiamo al Fatebenefratelli» dico mettendo via il telefono.

«Abbiamo sentito» sussurra serioso Alexander.

Arriviamo al pronto soccorso dell'ospedale cinque minuti dopo e litighiamo con la signora dell'accettazione.

«Il suo danno?»

«Ascolti, una nostra amica è lì dentro ed è ferita gravemente» risponde Alexander in un italiano perfetto.

«Non posso farvi entrare» ribatte la donna.

Zaire fa un passo in avanti, si appoggia al piccolo bancone vicino al vetro dello sportello e sorride. «Forse non ha capito bene. Noi dobbiamo entrare lì dentro e solo lei, una bellissima persona, può farci passare» sussurra.

La donna rimane imbambolata per qualche secondo, poi sbatte le palpebre ripetutamente e stampa tre ingressi accompagnatori.

«Grazie, bellezza» mormora Zaire ammiccando.

Prendiamo gli ingressi, quando all'ingresso notiamo Giuseppe Meier.

«Dobbiamo parlargli, Lestat» dichiara Alexander.

«Solo per qualche minuto» sussurra Zaire.

«Non più di un minuto» ringhio.

Ci avviciniamo e Giuseppe sospira.

«Sono qui perché ho saputo di Demetra. Non siamo stati attenti e...» sussurra.

«Avete avuto due grosse perdite. È normale» mormora Zaire con tono comprensivo.

«No, non è normale» ribatto severamente.

«Lestat...» mi ammonisce Zaire.

«No, ha ragione» interviene il cacciatore. «Ora Demetra è fin di vita. Sono qui per informarvi che alla base del cervelletto ha una specie di microchip. Le è stato installato dal padre adottivo quando aveva dieci anni e...»

«E voi l'avete lasciato fare?» dico con tono minaccioso.

«Che proprietà ha questo chip?» chiede Alexander.

«Controlla e sottomette ciò che si può definire animo vampiro» spiega.

«Il minuto è passato» borbotto intravedendo Daniel fuori dalla porta.

Zaire e Alexander entrano nella sala d'attesa del pronto soccorso, ma il cacciatore mi chiama.

«Lestat, la Chiesa ti porge le sue scuse e rimane a disposizione per qualsiasi cosa» afferma Giuseppe Meier.

«Sì» sussurro.

Il cacciatore se ne va e raggiungo Daniel, il mio subalterno. Lo prendo per il collo, lo porto in un luogo nascosto e lo sbatto contro il muro. Sfodero i denti e mi trasformo.

«La stavi mettendo in pericolo!» esclamo.

«Lo so» sussurra Daniel.

«Potevi farle del male» esorto buttandolo a terra.

«Lo so. Non mangio da giorni e non sono riuscito a controllarmi» spiega il mio subalterno.

«Marco Nicchio?» domando.

«Marco Nicchio è morto, ma il problema è un altro. Nella stanza abbiamo percepito anche Tancredi ed Eva, ma sono scappati» afferma Daniel.

Entriamo nella sala d'attesa del pronto soccorso e non vedo né Zaire né Alexander. Adriel ci corre incontro e mi abbraccia.

«Lestat. Scusa. Scusa. Scusa. Non sapevo dove andare» dice con voce tremante.

«Non fa niente» sospiro accarezzandole la testa. «Voi state bene?»

«C'erano Tancredi ed Eva. Non siamo riusciti a fermarli. Sono scappati e ho pensato di portare qui Demetra. Perdeva molto sangue...» continua lei.

«Hai fatto bene. Dove sono Zaire e Alexander?» chiedo.

«In sala operatoria. Stanno operando Demetra» risponde Adriel.

È in buone mani.

Devo trovare Tancredi ed Eva prima che combinino qualcos'altro...

Rimaniamo seduti per due ore, ma non otteniamo ancora notizie.

«Io devo andare. Tancredi ed Eva sono ancora là fuori» dico.

«Vengo con te» dichiara Daniel.

«No, tu rimani qui» ribatto. «Fa' compagnia ad Adriel e tenetemi aggiornato.»

«Sì» sussurra Adriel asciugandosi il viso.

Lascio l'ospedale e dopo aver girato a zonzo per l'intera città mi rendo conto che non sono andato nell'unico posto che poteva definirsi ovvio: il cimitero. Lo raggiungo ed entro nella sala della tomba di Manzoni – il principale accesso – e lo vedo: mio fratello è in piedi davanti all'enorme lapide di marmo. Ha le braccia dietro alla schiena e la testa sollevata.

«Ci hai messo più del dovuto» dichiara nel silenzio tombale.

Tancredi si volta e mi guarda con un sorriso beffardo. «Come sta Demetra?» domanda con tono pungente.

La rabbia ritorna a galla e scatto verso di lui, che ride istericamente. Lo butto a terra e lo prendo a pugni: inizia a perdere sangue dal naso e il suo viso diventa viola.

«Credi che uccidere ti riporterà la tua Demetra? E i suoi genitori?» sibila Tancredi continuando a ridere.

«No. Non porterà indietro tutte quelle persone, ma ti impedirò di ucciderne altre» affermo battendo ripetutamente la testa di mio fratello contro il pavimento di marmo.

«Basta! Basta!» mi supplica di fronte alla mia insistenza. «Ti prego, sono pur sempre tuo fratello...»

Riprendo fiato per qualche secondo, guardando gli occhi tristi di Tancredi, ma improvvisamente mi ritorna in mente tutto il male che ha fatto.

«Ti prego?» esorto. «Non ti rendi conto di quanto tu stia risultando ridicolo? Mi stai supplicando, proprio come tutte quelle persone che hai guardato negli occhi e ucciso senza pietà: nostro padre, nostra madre, numerosi cacciatori, due giovani come Elia e Gabriela, umani innocenti e tua figlia. Tua figlia!»

«Tancredi, sei stato tu?» sussurra una voce femminile. «Avevi detto che era stato Lestat...»

Alzo la testa di scatto e vedo Eva in piedi vicino alla porta, con il volto intriso di lacrime.

Con lo sguardo ritorno sotto di me, a Tancredi, agonizzante per il dolore; metto le mie mani intorno al suo collo e stringo così forte da staccargli la testa, ritrovandomela tra le mani.

Respiro affannosamente, ma cerco di riprendermi. Alzo la testa e di Eva non c'è più traccia.

All'improvviso, nel silenzio del cimitero, la vibrazione del mio telefono rimbomba: ci sono un nuovo messaggio e una chiamata persa.

Leggo prima il messaggio. È di Giuseppe Meier: Eva Marchese si è consegnata a noi ed è appena stata giustiziata. Ci ha detto di Tancredi. Teniamoci in contatto.

La chiamata persa è di Adriel...

No...

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