Capitolo 22: Point of views parte 2
Lestat Defendi
Elia Meier aveva capito: ero io, il vero Lestat Defendi.
Il viaggio che abbiamo dovuto fare a Roma era per Demetra, per farle capire.
Tancredi l'aveva strappata dal mondo umano con violenza e per questo ne stava uscendo scossa.
Lei doveva capire. Doveva desiderare di vivere nel mondo sovrannaturale.
Stavamo salendo sull'aereo privato del Vaticano e il malessere iniziava a farsi sentire.
Essendo creature della notte e dell'inferno, qualsiasi contatto con la Chiesa ci danneggiava: avevo supposto che Elia si fosse messo in contatto con la Chiesa e avesse informato i suoi superiori in merito alla mia situazione. Per questo non provavo ancora un forte dolore.
Mi sedetti su un divanetto a bordo del piccolo aereo da ricchi della Chiesa e guardai fuori dal finestrino, continuando a pensare.
«Vuole darmi il suo giubbotto?» domandò gentilmente una hostess a Demetra.
«Sì, grazie» mormorò lei imbarazzata.
Camminava lentamente e continuava a guardarsi intorno, titubante.
«Sei nervosa?» le chiese il cacciatore sedendosi su una poltrona.
«Non so se... Può funzionare il piano?» ribatté lei diffidente, a bassa voce.
«È l'unico modo per sconfiggerlo» ammise Elia guardandomi di sottecchi.
Rimase in piedi nel piccolo corridoio e si strinse nelle spalle. Si sentiva fuori posto.
«Signori, vi chiediamo di accomodarvi. Il pilota sta per partire» annunciò la hostess.
Demetra annuì e si incamminò verso il mio divanetto. Dovetti resistere: volevo osservarla ogni minuto, se non ogni secondo. All'improvviso urtò con un piede il sedile di Elia e cadde senza sbattere la testa, perché riuscii ad afferrarla in tempo. Potrei passare la vita a salvarla e proteggerla, e sarei felice. Dannatamente felice.
La presi in braccio e la misi accanto a me. Lei mi guardò con i suoi grandi occhi neri e, ancora una volta, dovetti resistere: volevo baciarla.
Dieci minuti dopo che l'aereo ebbe preso quota, Demetra si addormentò sulla mia spalla. Ero felicissimo: sentivo il cuore battere forte e, finalmente, potevo osservarla senza interruzioni di alcun genere.
Elia beveva un calice di champagne quando, improvvisamente, disse: «Puoi spiegarmelo?»
«Quanto tempo manca all'atterraggio?» ribattei.
«Quaranta minuti» rispose il cacciatore.
«Hai presente quando ho dovuto far integrare Adriel e Daniel in una scuola di Milano per trovare un Akira?»
Elia annuì. «Sì, hai chiesto un'autorizzazione speciale per farlo.»
Inspirai e mi feci forza guardando il viso rilassato di Demetra. «La vidi quel giorno. Fu una coincidenza, ma la vidi. Ero davanti alla presidenza e lei passò come se niente fosse.»
«E cos'è successo?»
«Persi la testa, ma riuscii a gestirmi fino alla fine del colloquio. Dopodiché corsi via: una volta tornato al cimitero discussi con Tancredi, così decisi di prendermi una pausa dai rumori della città, dove la mia mente, il mio cuore e tutti i miei sensi cercavano di nuovo quel battito debole del cuore di Demetra» spiegai. Chiusi gli occhi per qualche secondo e poi accarezzai i capelli di Demetra. «Mi rifugiai per qualche settimana a Codogno e pensavo di tornare, finché una notte non arrivò Tancredi. Hai presente la strega che la chiesa ti aveva affiancato?»
«Sì, Ercate» rispose Elia.
«Ercate è una traditrice. Ha aiutato Tancredi: ha assunto il mio aspetto e mi ha rinchiuso nella mia villa per due anni. Daniel mi ha trovato solo quando Adriel ha portato Demetra in ospedale. Ed eccomi qua.»
«Quindi tu sei il vero Lestat Defendi?» domandò Elia.
«Sono io, solo con l'aspetto di Daniel Micio. Daniel era un po' sospettoso quando mi trovò, ma alla fine mi ha aiutato e ha preso il mio posto nella casa» affermai.
«Quindi il vero Daniel Micio è nella tua villa a Codogno?»
«Esatto» dissi.
«La colpa è tua, Lestat!» esclamò il cacciatore. «Dovevi permetterci di giustiziare Tancredi quando si alleò con gli Akira e contribuì all'omicidio di Mirea e Viktor.»
«Lo so e la cosa più brutta è che adesso Demetra ha una brutta immagine del vero Lestat Defendi» mormorai.
«Me ne ha parlato...» concordò Elia.
La hostess venne da noi per avvisarci dell'arrivo imminente, così presi Demetra tra le braccia e la strinsi.
Arrivati in aeroporto non volli svegliarla, così la portai in albergo e attesi un messaggio di Elia per farlo.
Quando fu l'ora la scossi dolcemente, come se la cullassi, e lei aprì gli occhi lentamente, come un piccolo cerbiatto al suo primo risveglio. Andai in bagno e attesi che si destasse del tutto. Non volevo spaventarla. Quando la percepii nel piccolo salotto della stanza, aprii la porta e lei sussultò.
«Non volevo spaventarti» sussurrai evitando il suo sguardo.
«Non preoccuparti. È stato un attimo. Dove siamo?» domandò Demetra.
«A Roma» rispose Daniel.
«Potevate svegliarmi. Chi mi ha portato in braccio?»
«Sono stato io e non volevamo svegliarti. Non riposi bene da un po'» affermai con un leggero sorrisetto sulla faccia.
«Va bene. Hmmm... grazie» mormorò Demetra evitando il mio sguardo apprensivo. «Dov'è Elia?»
«A parlare con i suoi capi» borbottai a testa bassa.
«Va bene...» sospirò guardando fuori dalla finestra.
«Come stai?» domandai avvicinandomi lentamente a lei.
«Vuoi la risposta ovvia o quella sincera?»
«Sincera» esortai.
«Sono a pezzi» bisbigliò a gola serrata. Vidi le sue lacrime ingigantirsi negli occhi senza cadere e continuò: «Mi sembra di essere precipitata dal diciottesimo piano di un palazzo e di essere ancora in caduta libera. Sto aspettando di sentire il botto, il dolore della rottura delle ossa e degli organi al momento dell'impatto con il terreno, ma nulla. La mia testa è in preda a uno stato di shock e non so cosa fare, perché è tutto così confuso. Ho un sacco di domande e mia madre - adottiva, specifichiamo - è morta... Chiara, la dolce Chiara della nostra classe, era uno schifosissimo e sudicio essere che prende le anime alle altre persone, che si trasforma in un qualcosa di aberrante. Io...»
Scoppiò a piangere. Quella volta non resistetti: la presi tra le braccia e la strinsi. «Va tutto bene» le sussurrai nell'orecchio.
Demetra si staccò d'istinto e, asciugandosi il viso con il dorso della mano, borbottò tra un singhiozzo e l'altro: «Chi sei tu? Che ne hai fatto dello sbruffone della classe?»
Mi limitai a sorridere timidamente e a guardarla. La porta della camera d'albergo si aprì improvvisamente e comparve Elia.
«Buongiorno!» esclamò sorridente.
«Ma è sera...» ribatté Demetra.
Alle spalle di Elia comparve suo padre, rigido come sempre.
«Demetra Romano... Daniel Micio... Vi presento Giuseppe Meier, mio padre. Sarà lui a portarci agli archivi vaticani» disse Elia.
«Seguitemi, c'è una macchina che ci sta aspettando» affermò il padre del cacciatore.
«Posso entrare in Vaticano così?» domandò velocemente Demetra indicando i miei jeans e il mio maglione.
Era bellissima.
«Sei vestita normalmente, quindi perché dovresti preoccuparti?» suggerii.
Demetra annuì e, voltandosi, seguì Elia. Rimasi a osservarle la schiena, quando si girò. Lo vidi in piedi dove l'avevo lasciato, con una mano alzata e un sorriso sincero ma tirato.
«Tu non vieni?» chiese.
«Non posso entrare» risposi sconsolato. Alzai le spalle e la osservai mentre prendeva l'ascensore insieme ai due cacciatori.
Demetra, sei pronta a scoprire la verità? pensai.
Chiusa la porta, sospirai e chiusi gli occhi per qualche secondo. Improvvisamente il telefono squillò: era Adriel.
«Pronto?» risposi.
«Lestat, puoi parlare?» mi chiese.
«Sì, Demetra è andata via» sospirai.
«Com'è andato il viaggio?»
«Demetra ha dormito per tutto il tempo. Come procede lì? Lestat sta facendo domande?»
«In questo momento non sta facendo molto caso a Demetra... Quindi è un vantaggio...» mormorò.
«Che cosa sta facendo?» domandai.
«Ha violato l'accordo con la Chiesa e sta litigando con tutti. È stata fissata una riunione straordinaria con gli altri capi dei Continenti e... Lestat...» bisbigliò Adriel.
«Che c'è?» esortai esasperato.
«Tancredi ti sta facendo odiare da tutti. Ha baciato Eva davanti a tutti e non si nasconde nemmeno... Dobbiamo dire la verità!» esclamò Adriel.
«Non possiamo. Demetra deve prima capire...» ribattei.
Adriel sospirò all'altro capo del telefono e continuò: «Va bene, ma speriamo che ce la faccia. Il prima possibile...»
«Abbi un po' di fiducia» suggerii.
«Sei sempre stato ottimista, Lestat, ed è per questo che Tancredi ha fatto quello che ha fatto. Io e Daniel ti avevamo avvisato di quanto fosse pericoloso Tancredi. Perché non hai voluto ascoltarci?» mi chiese.
«Perché è mio fratello e non è colpa sua...» mormorai.
«Invece sì! Lo è! Lestat, ognuno, persino noi, è dotato di libero arbitrio. Lui aveva la possibilità di scegliere, ma l'ha sempre fatto nel peggior modo possibile. Come hai potuto perdonarlo dopo la sua azione deplorevole con Mirea e Viktor?» mi domandò.
In questi secoli avevo sempre perdonato mio fratello, perché era nato, anche se non doveva, senza poteri e senza la possibilità di avere la benché minima influenza nel governo d'Europa. Era un originale, ma non lo era.
«Lestat?» disse Adriel.
«Adriel?» esortai, ma non rispose.
Sentii ciò che stava accadendo in sottofondo: Tancredi parlava e dava ordini con la mia voce.
«Adriel, dobbiamo prepararci. Devi reclutare altri vampiri per la squadra Scutom, che cambierà i propri obiettivi e si trasformerà in esercito del governo Europeo» affermò Tancredi.
«Lestat e gli Akira?» chiese Adriel.
Sentii un tonfo che mi fece sussultare, seguito dal sibilo di Tancredi: «Quante volte ti ho detto di non chiamarmi LESTAT!»
«Mi scusi, signore...» sussurrò Adriel.
Poco prima che la chiamata si interrompesse riuscii a sentire la mia voce (Tancredi) dire: «Dobbiamo conquistare il mondo intero e gli Akira ci aiuteranno...»
Non sapevo cosa fare.
L'unica cosa che mi rallegrava era il fatto che Demetra sarebbe rientrata da un momento all'altro, così mi sedetti e mi misi a leggere.
All'improvviso la porta della camera d'albergo si aprì e Demetra rimase imbambolata sulla soglia.
«Sei tornata!» affermò Daniel.
Lei annuì e chiuse la porta.
«Ti ho acceso il riscaldamento, così non avrai freddo quando ti farai la doccia» mormorai con premura.
«Grazie» rispose arrossendo.
Prese la valigia, la appoggiò sul letto e la aprì. Era in imbarazzo? Il suo cuore batteva forte e il suo respiro era senza dubbio accelerato. Prese alcuni vestiti dalla valigia e si rinchiuse in bagno, uscendone dopo circa un'ora.
Uscii con un paio di pantaloni della tuta grigi e una maglietta bordeaux a maniche corte. Il capelli erano umidi e il viso ancora leggermente bagnato.
«Allora, com'è andata?» chiesi.
«Bene» tagliò corto lei.
«Hai scoperto qualcosa che può esserti utile?» insistetti.
«La cosa più interessante è stata quella relativa a come uccidere Lestat Defendi» ribatté seccata.
Ah.
Mi vuole morto?
Tancredi le ha fatto davvero così male?
«Lo odi così tanto?» domandai spiazzato.
«E tu lo ami così tanto?»
Sospirai, mi alzai e mi diressi verso la finestra della stanza. Avevo ottenuto la mia risposta. Demetra odiava Lestat al punto di volerlo morto.
Percepii Demetra alzarsi e venire accanto a me. «Grazie per aver sistemato la stanza.»
«Non potevo fare altrimenti. In qualche modo voglio essere d'aiuto» affermai.
«Vuoi davvero bene a Lestat?» sussurrò. «Sei qui perché vuoi capire cosa gli sta capitando, non è vero?»
«Sono qui per te» dissi rapidamente. Mi voltai verso di lei e sobbalzai. L'avevo detto ad alta voce...
«Per me?» esortò timidamente.
Inspirai facendomi coraggio e mormorai: «Sì.»
«Perché?» domandò Demetra.
«Perché ne hai passate tante nella tua vita, fin da quando eri piccola... Come hai scoperto di essere adottata?»
«Tu lo sapevi?» chiese confusa.
«Non ci voleva di certo un test del DNA per capirlo. Tu e tuoi familiari siete così diversi... Ho visto le foto quando sono entrato in casa tua la prima volta» spiegai raccontando qualche bugia.
«All'ospedale, me l'ha detto mio padre...» ammise a testa china.
«Tuo padre è ancora vivo?» sbottai sorpreso e infastidito.
«Sì, perché?» ribatté.
Elia mi aveva detto che era stato ucciso... Com'è possibile?
«Pensavo fosse morto... Non ne parlavi mai in classe» dissi a bassa voce. «Così vuoi uccidere Lestat?» chiesi cambiando argomento.
Demetra sbatté più volte le palpebre e ammise: «Uccidere è una parola grossa. Vorrei solo che smettesse di comportarsi così, visto che tutti dicono che era una brava persona.»
«Lo era» sussurrai a testa china.
«Lo so che lo era, ma aveva... I suoi occhi mi fanno paura, sembrano malvagi e poi... ha liberato Chiara Sole, che mi ha attaccato; per non parlare della lesione che mi ha provocato al ginocchio... Stento a credere a tutte quelle parole buone che dite su di lui, quando in realtà ho vissuto il contrario...» mormorò.
Più parlava, più il mio corpo era attratto da lei. Mi avvicinai lentamente a lei e non smisi di guardarla.
«Che cosa fai?» balbettò imbarazzata.
Fece un passo indietro e tentò di calmare il cuore, che batteva forte.
«Ti stavo guardando...» bisbigliai. «Che cosa hai scoperto oggi, allora?» continuai.
«Quasi tutto. Ho letto del passato, dei fondatori dei Clan e dei motivi per cui fu istituito, del contenimento del cibo e del fatto che questi vampiri originali sono privilegiati, possedendo poteri speciali e avendo la possibilità di avere solo un figlio. E poi le leggi ecc.» spiegò Demetra.
«E sull'accoppiamento? Hai letto qualcosa?» esortai curioso.
«No. Ho completamente saltato la parte dell'amore, o come lo chiamate voi» sbuffò.
«Va bene...» dissi deluso. «Penso che sia ora di andare a letto» affermai.
Il suo corpo si irrigidì all'istante. «Dobbiamo dormire nello stesso letto?»
Risi. Il suo imbarazzo, così innocente, mi fece venire voglia di ridere. «No, io dormirò sul divano nella stanza accanto.»
Si addormentò subito. Era stanca e si vedeva. Mi misi sul divano e dovetti lottare contro me stesso per non andare nell'altra stanza e abbracciarla, durante il temporale che stava per arrivare.
All'improvviso il suo corpo sobbalzò sul letto: un forte tuono la svegliò. La sentivo girarsi e rigirarsi nel letto senza riuscire a prendere sonno. Dopo mille tentativi falliti, si sedette sul bordo del letto; così mi alzai dal divano e la raggiunsi.
Mi appoggiai allo stipite della porta e chiesi: «Non riesci a dormire?»
Si voltò e - non so se ci fece caso - si leccò il labbro inferiore.
«No. Non più» rispose.
Sorrisi e lentamente mi sedetti al suo fianco. «Adoro la pioggia. Mi permette di pensare tranquillamente» affermai.
«Perché, sai pensare?» scherzò Demetra, facendomi ridere. «E a che cosa pensi?» esortò tornando un po' seria.
«All'amore» ammisi.
Ero deluso. Perché non aveva letto la parte fondamentale dell'amore?
«Perché ti tormenta?» chiese, ma non risposi.
«Non voglio costringerti a dire qualcosa che non vuoi» affermò mettendomi una mano sul ginocchio.
Mi si mozzò il fiato: alzai la testa di scatto e per un po' rimasi con la bocca aperta per la sorpresa. Abbassai la testa e la scossi.
«Maledizione, perché non l'hai letto» dissi tra me e me. «Nessuno te l'ha ancora spiegato...»
«Ma che cosa?»
«Che cosa significa veramente provare l'amore» mormorai.
«Visto che, a quanto pare, sono stata destinata a Lestat Defendi, proprio non mi va di parlarne.»
«Il problema è che non è questione di destino. Va ben oltre. È il Merak» spiegai.
«Il Merak?» ripeté confusa.
Demetra, io provo il Merak per te.
«Il mio bisnonno, insieme agli altri capi, ha inventato questo termine durante il terzo incontro nell'odierna Serbia. Merak è un parola in lingua serba che indica un sentimento d'amore profondo per tutto l'universo che nasce dalla capacità di apprezzare le piccole cose, come la vicinanza delle persone a cui si vuole bene. E il punto è una di quelle persone diventa il tuo universo...»
«Parli come se l'avessi provato...» sussurrò Demetra.
Guardai fisso davanti a me per un po', ascoltando il suo cuore, e sorrisi.
Mi voltai e persi il controllo: le accarezzai il viso con dolcezza e mi avvicinai ancor di più, finché le nostre fronti non si sfiorarono. Posai le labbra sulle sue. Non volevo esagerare, ma nemmeno staccarmi da lei. Nonostante ciò, lo feci; le diedi un altro bacio sulla fronte e si addormentò sul mio petto.
La mattina seguente se ne andò con Elia e Giuseppe, così decisi di farla ragionare: doveva capire il Merak.
Inviai un paio di messaggi per chiedere delle autorizzazioni, chiamai il proprietario di un ristorante che conosce il vero me, il vero Lestat e, dopo aver avuto tutte le conferme, mi misi uno smoking. Scrissi un bigliettino, mi feci recapitare un vestito da un atelier che conoscevo e lasciai tutto sul letto di Demetra. Uscii e mi nascosi nella hall affinché lei non mi vedesse. Volevo farle una sorpresa...
Poche ore dopo la vidi attraversare la hall per prendere l'ascensore, così mi spostai con cautela.
Dopo un po' ricevetti una chiamata da Adriel e, temendo che fosse accaduto qualcosa, risposi.
«Pronto?»
«Lestat, che cosa ti è saltato in mente?» mi aggredì Adriel.
«Che cosa intendi?» chiesi.
«Un appuntamento?»
«Non capisco cosa ci sia di male» dissi.
«Daniel non lo farebbe mai» affermò Adriel.
«Io volevo...» sussurrai.
«Sei Daniel. Te lo sei scordato?» domandò. «Ascoltami, sai che non ti parlerei mai così, ma la magia è una questione delicata. Adesso hai l'aspetto di Daniel e Demetra pensa che tu sia lui!»
Aveva ragione. Le porte dell'ascensore si aprirono e Demetra uscì con il fantastico vestito che le avevo regalato.
«Devo andare.»
Chiusi la chiamata e mi alzai, andandole incontro.
«Stai davvero bene» affermai sorridendo.
«Grazie... Anche tu» disse Demetra.
«Vogliamo andare?» chiesi porgendole il braccio.
Demetra annuì e lo strinse.
Uscimmo dall'albergo e, dopo aver passato quindici minuti in macchina, arrivammo davanti al Pantheon.
«Non sapevo si potesse entrare con l'auto» affermò sorpresa Demetra.
«Ho chiesto un permesso speciale» ridacchiai.
«Dove andiamo?»
«Da Armando al Pantheon. Ho conosciuto il vero Armando e mi sono innamorato delle sue ricette, perché a me fanno un menu speciale...» risposi.
«Vuoi dire che loro sanno che sei un vampiro?» esortò.
«In un certo senso» ammisi aprendole la porta del locale.
Il cameriere arrivò e ci disse: «Buonasera. Avete prenotato?»
«Sì, ho parlato con il proprietario. Mi conosce» rispose Daniel porgendo al cameriere un biglietto di carta con la scritta Vampiro.
Il cameriere lo lesse, sussultò e disse: «Aspettate qui un momento, per favore.» Si dileguò per qualche secondo e ricomparve poco dopo.
«Prego, seguitemi» sussurrò il cameriere e ci fece accomodare in un angolo.
«Grazie mille» bisbigliò Demetra e iniziò a leggere il menu.
«Ti consiglio di prendere la cacio e pepe... So che è la tua preferita e qui la fanno in modo eccezionale...» le suggerii.
«Come sai che è il mio piatto preferito?»
Abbassai lo sguardo e risi. Avevo tirato a indovinare e avevo azzeccato. Demetra è la mia metà e riesco a indovinare tutto di lei. Subito dopo alzai una mano e arrivò lo stesso cameriere che ci aveva accolti.
«Salve, siete pronti per ordinare?»
Indicai a Demetra di ordinare per prima: «Vorrei uno spaghetto cacio e pepe e una bottiglia d'acqua frizzante.»
«Per me già lo sai» mormorò Daniel.
«Grazie mille» affermò il cameriere prendendo i menu e andando in cucina.
«Come mai mi hai chiesto di uscire?» chiese Demetra non appena il cameriere ci portò le pietanze che avevamo ordinato.
«Perché mi sembra di aver ricevuto dei segnali abbastanza chiari: ogni volta in cui mi avvicino i tuoi occhi si allargano, diventando profondi; i tuoi polmoni smettono di allargarsi e il tuo cuore, per qualche secondo, smette di battere. Incroci le braccia al petto a mo' di protezione e accavalli le gambe, che è un segno più che tipico di quando una ragazza si trova dinnanzi a una persona speciale» affermai con malizia.
«Quindi pensi che io sia innamorata di te?» ribatté Demetra alzando gli occhi al cielo.
«Sì» risposi. Mi aveva baciato, quindi sì. «Sono così felice, Demetra» dichiarai quando finimmo di mangiare. «Ho combattuto per troppo tempo contro questo sentimento...»
«Aspetta!» esclamò Demetra attirando l'attenzione di tutti i presenti, che si zittirono all'istante. Abbassò la testa e il brusio incominciò di nuovo a prendere piede nel ristorante. La guardai con gli occhi sgranati e le spalle rigide.
«Ascoltami, Daniel...» sussurrò Demetra.
Fu in quel momento che capii di aver fatto il passo più lungo delle gamba: ero Daniel, non Lestat. Ero Daniel.
«La tua faccia dice tutto. Tu non mi ami. Ami Daniel...» la interruppi. Scossi la testa e chiusi gli occhi per qualche secondo.
«Devo andare in bagno.» Demetra si alzò velocemente, chiese al cameriere le indicazioni per il bagno e scese delle piccole scale.
Che cosa mi era saltato in mente?
Adriel aveva ragione.
Perché mi stavo comportando come un ragazzino?
Semplice: Demetra mi aveva fatto dimenticare di tutto e tutti.
All'improvviso un grande tonfo, udibile solo da un orecchio sovrannaturale, mi fece sussultare. Percepii dei gemiti di dolore: erano di Demetra.
«Che cosa vuoi?» domandò a fatica Demetra.
Corsi più veloce che potevo, spalancai la porta del bagno e vidi un Akira trasformato che teneva Demetra per il collo, contro il muro.
Aveva gli occhi chiusi. Anzi, li strizzava. Il suo cuore batteva piano e tutto nel suo corpo aveva smesso di lottare. Si era arresa.
Afferrai l'Akira e la feci a mille a pezzi. Demetra cadde a terra e non aprì gli occhi.
«Demetra».
Respirava lentamente e aprì gli occhi. Le accarezzai il viso.
Continuò ad ansimare, quando la sua mano finì sul mio collo e lo trascinò verso la sua bocca. Ci baciammo finché i miei denti non sfiorarono le sue labbra, procurandole un piccolo taglio.
Si staccò con il labbro sanguinante e cercò di calmare il respiro.
Abbassò la testa e poggiò una mano al muro, alle mie spalle. Alzai e abbassai velocemente le spalle. Dovevo calmarmi e accettare la verità.
«Tu non mi ami...» sussurrai con voce strozzata. Mi allontanai e iniziai a balbettare: «Ami Daniel Micio. Non me... Quanto sono stato stupido... Ti ho illusa e...»
Mi voltai verso la porta, feci un grosso respiro allargando le spalle e rivolgendole un ultimo sguardo affermai: «Scusami se ti ho ferita, Demetra.»
In un battito di ciglia uscii dal bagno; pagai il conto e corsi in albergo.
Mentre facevo la valigia, presi il telefono e chiamai Adriel.
«Lestat!» esclamò rispondendo dopo il quarto squillo.
«Adriel, quand'è l'incontro con gli altri?»
«Zaire e Alexander arriveranno a breve» rispose Adriel.
«Dove si terrà?» esortai.
«Hanno cambiato il luogo dell'incontro. Si terrà in cima al Duomo. Stanotte.» Guardai l'orologio: erano le dieci e mezza.
«Perché lì?»
«L'ha deciso Tancredi, ma non so perché...» borbottò esasperata.
«Ci vediamo lì» dissi e chiusi il telefono, sentendo Adriel dire Aspetta, cosa vuoi fare?.
Presi la mia valigia, mandai un messaggio a Elia per informarlo dell'accaduto e andai a Milano, sulla cima della cattedrale gotica della città.
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