Capitolo 20: Veri Avvenimenti
Lestat Defendi
«Mirea, devi spingere. Pensa alla piccola Demetra. Non vede l'ora di uscire dal tuo ventre e abbracciarti. Pensa a lei» insistette Viktor.
Era primavera a Sydney, il 2 ottobre del 2000, quando si sentì il primo pianto di una splendida bambina con grandi occhi neri e due ciuffi corvini su una piccola testa tonda. L'ostetrica di fiducia me la diede subito in braccio, mentre Viktor consolava Mirea e rideva con lei, che aveva appena partorito quella bellissima bambina.
La teneva in braccio e non volevo nient'altro: era lei che desideravo. Provai per la prima e unica volta il Merak, l'amore esistenziale, con una bambina che non aveva nemmeno un'ora e non volli altro se non quello.
«Lestat, com'è? Ti prego, passamela» sussurrò Mirea dopo essersi ripresa velocemente dal parto.
«È bellissima» affermai. Accarezzai il visino della bimba, che si mosse al mio tocco, e sorrisi. Delicatamente la misi nelle braccia di sua madre e aspettai di vedere un quadretto familiare, ma quando accadde la bimba incominciò a piangere.
Viktor mi guardò e capii che qualche spirito gli aveva detto la verità: io mi ero appena infatuato di sua figlia. Io avevo provato l'amore con lei.
«Hai ragione...» rise Mirea abbracciando sua figlia. «È bellissima!»
«Sì, tesoro. Lo è!» concordò Viktor.
«Lei è pura. Più di noi» dichiarò felice il capo del Clan dell'Oceania, con le lacrime agli occhi.
«È perfetta» mormorai senza staccare gli occhi dalla piccola testolina.
«Lestat, posso parlarti?» mi chiese Viktor dopo aver osservato sua figlia con attenzione.
«Certo» risposi.
Mi allontanai contro la volontà dalla bambina e seguii il capo del Clan d'America fuori dall'edificio.
«Devo ringraziarti, Lestat» disse Viktor. «Sei sempre stato al nostro fianco. Anche se gli altri non ci hanno sostenuto, tu l'hai sempre fatto.»
«Non potevo né volevo fare altrimenti» ammisi.
«Sei andato contro Zaire e Alexander per noi e contro tutto quello che i nostri progenitori hanno creato. La legge primaria della nostra società» continuò Viktor.
«Siete una coppia perfetta, tu e Mirea. Adesso che avete dato alla luce una creatura così magnifica, non posso esserne più felice. Tuttavia, una domanda mi affligge: quale Clan dovrà gestire Demetra, una volta cresciuta?» esortai.
«Vorrei farla crescere in un clima umano per far sì che ragioni in modo autonomo» dichiarò Viktor.
All'improvviso apparve davanti a noi un Akira anziano, con la pelle di una tonalità grigia, e alle sue spalle c'era Tancredi. Aveva il viso intriso di sangue, così come le mani e gli abiti, e gli occhi erano pieni di gioia e di depravazione.
«Che cosa hai fatto, Tancredi?» sussurrai amareggiato.
Viktor corse da Mirea, ma fu troppo tardi. Venne uccisa da una quindicina di Akira: il capo del Clan d'America riuscì a salvare la bambina, caduta dalle braccia della madre, e la diede a me.
«Lestat, so che tu puoi prendertene cura. Ti prego, vai...» mi implorò.
Fui indeciso per qualche secondo, ma presi velocemente la bambina e corsi via, il più lontano possibile dalla città.
Dovevo salvare la bambina.
Dovevo tenerla lontana da Tancredi a qualunque costo.
Tornai a Milano in un paio di giorni e, all'insaputa di tutti, escogitai un piano.
La bambina continuava ad agitarsi tra le mie braccia, ma senza piangere, e mi sedetti per qualche secondo in cima alla torre del Castello Sforzesco. Avvolsi la bambina nel mio cappotto e le parlai.
Dovevo dirle addio. Dovevo rispettare il volere del padre e della madre: farla vivere in un clima umano. Rispecchiavo e appoggiavo la loro scelta: Demetra sarebbe dovuta crescere lontana da questo mondo.
Ma cosa accadrà quando si trasformerà?
All'età di venticinque anni che cosa accadrà?
Si troverà impaurita e disorientata.
Sospirai e accarezzai la bimba dagli occhi neri come la notte.
«Sei bellissima, piccola Demetra. Sono sicuro che crescerai nel miglior modo possibile: sarai intelligente, altruista, ambiziosa, buona, generosa, colta e mille altre cose. Non c'è bisogno che io lo dica, ma sarai ancor più bella», le dissi.
Decisi di andare a Roma e chiedere aiuto al Papa, l'unico in grado di aiutarmi a nascondere la piccola Demetra.
«Adesso Sua Eccellenza può riceverla» affermò un cacciatore.
Mi alzai ed entrai nella sala più sacra dell'intero mondo: la sala del Papa. Dovevo resistere e soffrire in silenzio, tutto per portare in salvo Demetra.
«Si accomodi» mi invitò Sua Eccellenza.
Mi sedetti e la bambina fece un verso che mi mise tristezza. La stavo abbandonando.
«Penso che la sua scelta di portare questa bambina qui e di chiedere il nostro aiuto sia stata ottima» affermò il Papa.
«Cosa devo fare per metterla al sicuro?» mormorai con tono addolorato.
«La consegni a noi» ribatté Sua Eccellenza.
«Lei è la figlia di Viktor e Mirea» dissi.
«Verrà inserita in un orfanotrofio gestito da alcune suore qui a Roma e ci saranno sempre Ercate, il capo della sua congrega, e il giovane ma abile cacciatore Elia Meier a proteggerla» dichiarò Sua Eccellenza.
«E verrò informato di ogni cosa?»
«Non penso che sia opportuno. Questa bambina deve vivere la sua vita senza l'intralcio di voi creature della notte» sospirò il Papa.
«E quando la trasformazione inizierà? Quando percepirà qualche nuovo potere?»
«Ci penseremo al momento opportuno.»
La lasciai lì, tra le braccia di una cacciatrice, e me ne andai, mentre la bambina si distruggeva le corde vocali con strilli inumani.
Contro il volere della Chiesa, conobbi Ercate e Elia Meier.
Ercate era una strega di giovane aspetto con la carnagione scura e lunghi capelli castani, mentre Elia era un giovane cacciatore con una folta capigliatura bionda e occhi chiari.
«La terremo al sicuro. Si fidi di noi» disse la strega.
«Ma lei che ruolo ha? Chi è lei per Demetra?»
«Officium meum est non amare: et salvum facere, adoremus eum, et vivat.»
Il mio compito è di amarla, salvarla, adorarla, viverla gli dissi. Ed era vero. Sentivo di amare la piccola Demetra.
Persi i contatti con Ercate, ma li mantenni con Elia, che mi informò solo dell'ottima salute della bambina nel corso della sua vita.
Mi sentivo bene perché la sapevo al sicuro, finché non la vidi in un corridoio del Liceo Carlo Tenca mentre ero in attesa del preside per inserire Adriel e Daniel nell'istituto e scovare l'Akira che avevamo avvertito.
«Questo Akira dovrebbe avere novant'anni, visto che non riusciamo a localizzarlo» affermò Daniel, seduto sulla sedia davanti alla presidenza.
«Non possiamo parlarne qui» lo ammonì Adriel.
«Adriel, Daniel, dovete comportarvi come adolescenti normali. Non dovete farvi scoprire e ricordate che...» mormorai.
«Che i cacciatori ci osservano sempre» dissero all'unisono.
«Per Daniel non è un problema comportarsi da ragazzino» borbottò Adriel.
Sembravano veramente fratello e sorella...
Controllai il mio cercapersone e, senza muovermi, la percepii. Alzai lo sguardo e la vidi: era lei. Stava camminando con delle cuffiette nelle orecchie ed era bellissima. Era una perfetta fusione tra Mirea e Viktor: indossava una camicia azzurra e dei jeans bianchi.
Fu in quel momento che persi il controllo del mio animo. Riuscii a resistere durante il colloquio con il preside per inserire Adriel e Daniel nell'istituto, ma poi corsi via.
«Lestat!» esclamarono i due ragazzi.
Tornai nel mio appartamento nella città sotterranea al Cimitero Monumentale e cercai di calmarmi. Ero in pieno tumulto. Desideravo piangere ma possederla, viverla ma salvarla. Non volevo che diventasse l'abominio che sono, almeno contro la sua volontà.
«Fratello!»
Apparve alle mie spalle mio fratello Tancredi.
Nessuno sapeva del suo tradimento: tutti collegavano la morte dei capi dell'Oceania e dell'America ai soli Akira.
Dal momento che volevo proteggere mio fratello, così povero in tutto, decisi di non rivelare il suo danno a nessuno. Tuttavia, ogniqualvolta passava davanti ai miei occhi non facevo a meno di pensare a come sarebbe stato se Demetra fosse cresciuta con i suoi veri genitori accanto e, soprattutto, con me.
«Cosa vuoi, Tancredi?» dissi.
«Che cosa succede?»
«Sono solo affamato e stanco» risposi, ma lui insistette. «Ho visto una ragazza. Il suo nome è Demetra Romano e penso di essermi... di aver provato il Merak... Ma non posso portarla in questo mondo. Non ancora.»
«Perché?» esortò.
«Perché non posso!» esclamai senza svelare la sua vera identità.
«Prenditi una pausa. Posso prendere io il tuo posto» propose mio fratello.
«Sai che non posso farlo, Tancredi» sospirai.
«Perché?» sbottò mio fratello.
«Perché...»
«Perché non ho poteri e non so fare nulla?» sibilò lui.
«Sai che non intendo questo...»
«Certo» ringhiò e se ne andò sbattendo ogni cosa gli intralciasse il cammino.
Nonostante la litigata, decisi di prendermi una pausa - perlomeno dal luogo - e mi trasferii nella mia villa privata a Codogno. Controllavo tutto da là e i maggiori esponenti dei vampiri venivano da me a fare rapporto: la distanza mi aiutava a non pensare a Demetra e tutto andava bene, finché dopo un paio di settimane, Tancredi venne a farmi visita durante un forte temporale notturno.
«Salve, fratello» disse sulla porta.
«Tancredi, cosa ci fai qui?» esortai spiazzato.
«Sono venuto a farti visita» ammisi con tono malizioso e finto.
Camminava lentamente per la stanza e si fingeva interessato a ogni minimo particolare della mia villa.
«Hai scelto un arredamento ottimo. Rispecchia perfettamente il tuo... carattere» affermò Tancredi.
Aveva lo stesso sguardo, quello che assumeva quando commetteva qualche atto imprudente ed egoistico.
«Cosa ci fai qui?» ripetei. All'improvviso alla porta comparve Ercate e mi spaventai: era successo qualcosa a Demetra?
«Ercate, è successo qualcosa?»
Sentii un colpettino alle spalle e mi voltai. Tancredi era vicino a me e rideva. Dai suoi occhi traspariva malvagità allo stato puro.
«Non ti sembra chiaro? È ora di mettere fine al tuo stupido regno di pace e scatenare una guerra. Non ricordi quanto era bello distruggere tutto?» disse Tancredi iniziando a ridere.
«Tancredi, è una cosa stupida» affermai lentamente.
«Credi?» ribatté lui. In un battito di ciglio il corpo di Tancredi perse il suo aspetto e assunse il mio. Era completamente identico a me ed era stata la strega a farlo.
«Ercate, perché lo stai facendo?» domandai.
«Anche lei è d'accordo con me» rispose mio fratello, mentre la strega bisbigliava qualche incantesimo. «Da un bel po', per giunta!»
«E Demetra?» esortai con sgomento.
«Oh. Di lei non devi preoccuparti. Ci penserò io. Farò quello che tu non hai avuto il coraggio di fare. Farla tua. In fondo è solo una povera e sciocca umana...» rise.
«Non azzardarti a toccarla!» ringhiai minacciosamente.
Tancredi e la strega uscirono dalla porta e quando mi avviai per aggredire mio fratello mi venne impedito il passaggio poco prima della soglia. Mi avevano bloccato nella casa: non potevo uscire né dalla finestra né dalla porta.
Ero stato segregato lì e nessuno l'avrebbe saputo.
Pensavo che sarei rimasto lì a vita, finché un giorno arrivò Daniel. Entrò cautamente dalla porta d'ingresso e si bloccò quando mi vide al centro del salotto antico.
«Lestat, che cosa ci fai qui?» mi chiese.
«Perché tu sei qui?»
«Stavo facendo un controllo del territorio, un Akira ha attaccato Demetra...» Parlava come se io sapessi già tutto. Fu in quell'istante che capii che Tancredi mi aveva sostituito – e aveva ingannato tutti – con il mio aspetto per i due anni precedenti.
Gli raccontai quanto accaduto con Tancredi, che mi aveva sostituito con l'aiuto di una strega, ma non mi credette. Mi fece una domanda a cui solo io potevo rispondere e se ne andò.
«Chi era e come è morto il mio migliore amico?»
«Francesco Schillaci. È stato da un Akira quando eravate bambini» risposi.
Tornò dopo un'ora con un piano e pronunciò una sola frase: «Tancredi deve pagare.»
Aveva portato con sé il capo della congrega Aradia: Tancredi non si sarebbe mai aspettato quello che avevamo escogitato.
Daniel avrebbe preso il mio posto e io potevo uscire, libero.
Lo scambio fu attuato e il mio incantesimo venne spezzato; Daniel mi diede l'indirizzo di Demetra e mi disse di andare a casa sua e di fingere di essere lui. Così feci, finché arrivai sulla soglia della casa di Demetra e vidi la polizia.
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