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Capitolo 10: Gli amici di Francesco

Arrivati davanti al mio condominio, Daniel spegne la macchina, apre la portiera e, in un battito di ciglia, viene della mia parte, prendendomi in braccio.

«Entrerò dalla finestra, così tua madre non ti sentirà...» mormora.

«Come...?» balbetto guardandolo accigliata. All'istante, però, ricordo ciò che mi aveva detto Adriel: la puzza di alcool si sente da un chilometro. «Senti l'alcool...» sussurro a testa bassa, schivando il suo sguardo.

Lo percepisco annuire e sospirare. «Sei pronta? Devi trattenere il respiro» mi avvisa.

«Perché?» chiedo e all'improvviso sento il mio corpo perdere il senso di gravità per qualche secondo, lasciandomi senza fiato. D'istinto chiudo gli occhi e attendo che la sensazione svanisca, quando avverto una certa immobilità. «Ma cosa...?»

Apro gli occhi lentamente, diffidente, e mi accorgo di essere sul balcone, quello che dà sulla mia stanza. Daniel apre la finestra con una mano e, dopo essere entrato con agilità, mi adagia sul letto.

«Stai bene?» chiede.

«Sì, solo un po' scombussolata» affermo ridendo.

«Va bene...» mormora il mio compagno di classe per poi voltarsi con lentezza.

«Ascolta, Daniel... Non volevo essere così brusca l'altro giorno...» tento di scusarmi.

«Non sono arrabbiato» dichiara girando il busto.

«Dirai tutto quello che ci siamo detti a Lestat?» domando a bassa voce.

«Gli sto dicendo sempre meno cose» ammette tristemente Daniel.

Che cosa intende? Daniel non gli riferisce quello che accade?

«Ci vediamo domani a scuola!» esclama e scompare dalla mia finestra.

Ancora non ci credo: Lestat viene descritto come un salvatore, quando in realtà mi ha detto quelle cose e contuso un ginocchio...

E poi Daniel Micio era il migliore amico del bambino fantasma, Francesco Schillaci. Mi domando se mai rivedrò il suo corpicino spettrale: ho mantenuto la promessa e l'ho aiutato a scoprire come è morto e da chi è stato assassinato. Era stato un Akira. Adesso si spiega tutto: Adriel aveva detto che quando un Akira prende l'anima a un essere umano, quest'ultimo diventa suo schiavo per qualche ora. È questo che aveva fatto Francesco quando era morto?

All'improvviso mi torna alla mente l'uomo con il completo blu che avevo incontrato l'altra sera, quando sono uscita da casa mia arrabbiata, in piazza Gae Aulenti: mi ha buttato a terra più volte e aveva lo sguardo vacuo. Era stato appena privato dell'anima?

Gli Akira fanno davvero questo agli esseri umani? Li trasformano in zombie?

In tutto ciò, lo fanno anche loro per sopravvivere... Così come gli esseri umani uccidono gli animali e i vampiri gli esseri umani. Non fa parte della catena alimentare?

«Nel 960 d.C. papa Giovanni XII fece degli esperimenti nell'occulto, coalizzandosi con i pochi scienziati del tempo, e il risultato di questi furono gli Akira. All'epoca erano solo due esemplari, ma questi ultimi riuscirono a scappare e a riprodursi velocemente... Arriviamo così ai giorni nostri, dove il dieci percento della popolazione mondiale muore per il loro sostentamento» aveva detto Adriel.

Mentre dei pensieri contrastanti mi intasano la testa, mi metto lentamente il pigiama e mi sdraio sul letto, dando una breve occhiata all'ora. Sono le cinque.

«Sei pensierosa» constata una vocina che pensavo che non avrei mai più sentito.

Sobbalzo e mi siedo di scatto. «Pensavo che non ti avrei più visto!» esclamo.

«Non abbandono così gli amici... Soprattutto se possono vedermi...»

Sorrido.

«Come stai?» chiedo.

«Non pensavo...» mormora il bambino fantasma.

«Che cosa?»

«Non pensavo di essere stato ucciso da un Akira. Quelli sono mostri...» dice a denti stretti, assomigliando sempre più a un chihuahua arrabbiato.

«Ne hai mai visto qualcuno?» chiedo.

«Solo uno e non aveva un bell'aspetto» dichiara.

«Non avevano... l'aspetto umano?»

«No» borbotta colpendo un cuscino.

Che aspetto hanno, quindi?

Spalanco gli occhi e rimango stupita. «Oddio. Hai appena mosso un cuscino» constato eccitata.

«Non mi era mai capitato!» esclama entusiasta Francesco.

«Prova a spostare la matita sulla scrivania...» gli propongo indicando la scrivania sulla destra della mia stanza.

Il bambino fantasma si volta e tende una mano verso la matita rossa fuori dal portapenne. Dopo qualche minuto quest'ultima si muove e Francesco ride.

«Ci sono riuscito. Devo dirlo agli altri, assolutamente!» afferma.

«Gli altri?» esorto. «Ce ne sono altri come te?»

«A bizzeffe» risponde annuendo.

«Dove?»

«Al nostro posto segreto» sussurra Francesco.

«Se è segreto, perché me lo racconti?» rido.

«Perché ho parlato di te, che mi vedi, e i miei amici vogliono incontrarti» afferma.

«Andiamo adesso.»

«Non devi dormire?» chiede Francesco.

«Non ho sonno» ammetto alzandomi lentamente dal letto.

Scosto la coperta, rivelando la mia bellissima fasciatura bianca, e il bambino fantasma si irrigidisce. «Scusa. Scusa. Scusa. Scusa. Scusa. Scusa. Prima pensavo solo a me, quando tu in realtà stavi soffrendo... Chi è stato a farti del male?»

«Non preoccuparti. È stato Lestat» sospiro provando a vestirmi.

«Quel gran figlio di letame» dice Francesco, facendomi ridere.

Dopo essermi messa un vestito invernale, l'unico in grado di sostenere la fasciatura al ginocchio, chiedo: «Dove andiamo?»

«Tu da nessuna parte. Farò venire i miei amici per portarti. Non devi sforzare il ginocchio» afferma il bambino fantasma per poi scomparire.

«Aspetta, che?» borbotto nel vuoto della mia stanza. Sbuffo e mi infilo un giubbotto.

Mi alzo piano e zoppico fino alla porta. La apro di qualche centimetro e sbircio: dov'è mia madre?

La trovo sul divano, circondata da non so quante lattine e con il televisore acceso.

«Demetra Romano?» chiede una voce pesante alle mie spalle, facendomi spaventare.

Mi volto, chiudendo piano la porta, e vedo un uomo con una pelliccia e una grossa barba, in piedi vicino al mio letto.

«E tu chi sei?» domando spaventata.

«Il mio nome è Alboin» risponde l'uomo con voce gutturale. Ha dei folti capelli rossi e una barba lunga della stessa tonalità; gli occhi sono piccoli e verdi e le labbra sono spesse e rosee.

«Sei un fantasma?» esorto avvicinandomi a piccoli passi.

«Alboin, ti avevo detto di non spaventarla.» Al mio fianco appare il bambino fantasma.

«Mi avete fatto prendere un colpo» ammetto portandomi una mano al petto.

«Scusami, ma Alboin è il mio unico amico ad avere abbastanza energia per portare un umano nel nostro posto segreto» risponde Francesco.

«Dov'è questo posto segreto?» chiedo nello stesso istante in cui mi rendo conto di non essere più nella mia stanza, bensì in un sotterraneo buio (suppongo).

«Come...» balbetto cercando di guardare oltre il buio che ci circonda.

Ho i brividi: perché mi sento così osservata?

È come se mille occhi mi guardassero di nascosto...

All'improvviso la stanza viene illuminata da sette torce, che prendono fuoco, e tutto diventa più chiaro. Scorgo Francesco, ancora con il suo completino blu, e l'uomo spaventoso, di nome Alboin, in piedi davanti a me.

«Che cosa ti aveva detto Francesco, Alboin?» domanda pacatamente una voce femminile alle mie spalle.

«Di non spaventare la ragazza» borbotta l'uomo spaventoso.

Mi volto e vedo una donna; è scura di carnagione, ha i capelli neri e corti e indossa solo una tunica bianca.

«Ciao, Demetra. È un onore fare la tua conoscenza» dichiara arrivando davanti a me. Mi sorride e inclina il capo. «Mi chiamo Terri. Hai già conosciuto Alboin e a breve arriverà Vittorio, che ti sta portando una sedia.»

«Una sedia?»

«Per il ginocchio. Non vogliamo che ti sforzi» afferma Terri. «Oh, eccolo che arriva.»

Giro il capo e dietro di me compaiono una sedia e un uomo strano.

«Siediti pure» mi incoraggia una voce maschile. Obbedisco e, alzando il capo, vedo un uomo con dei lunghi baffi e uno strano pizzetto che gli arriva alla base del collo. Ha gli occhi marroni e i capelli corti e castani. Indossa uno strano vestito, quasi storico: una divisa azzurra alla quale sono appese medaglie di diverso colore; ha il colletto rosso, con ornamenti bianchi, e una fascia da sindaco verde.

«Lei deve essere Demetra Romano... Deve sentirsi onorata di incontrarmi» dice l'uomo in divisa con una sorta di puzza sotto il naso.

«Vittorio, non sa nemmeno chi sei» afferma Terri ridendo sotto i baffi.

«Quante volte ti ho detto di non chiamarmi Vittorio» ribatte l'uomo in divisa. Rivolgendosi a me aggiunge: «Dovresti conoscermi. Io sono Vittorio Emanuele II.»

«Ecco, Alboin. L'hai traumatizzata e adesso non parla» mormora Francesco venendo vicino a me.

«Sto bene, Francesco. È solo che è tutto così confuso. Perché solo io riesco a vedervi?» chiedo.

«Ce lo chiedevamo anche noi» continua Terri.

«Chi siete?» domando.

«Loro sono i miei amici: lei è Terri. Era una schiava ai tempi dell'antica Roma» afferma Francesco. Indica l'uomo in divisa e continua: «Lui è Vittorio Emanuele II, un re del Regno d'Italia.» Infine aggiunge: «Lui è Alboin. Era un leader longobardo.»

Durante le presentazioni, la sensazione di essere osservata da mille occhi non mi abbandona e ciò mi manda terribilmente in ansia. È come se ci fossero altri fantasmi che non vogliono rivelarsi ma che mi osservano. Così sbotto: «C'è qualcun altro oltre a voi quattro?»

Si guardano a vicenda, comunicando con gli sguardi, e alla fine Terri fa un passo in avanti. «Mostratevi, amici. È una persona buona» afferma. Nello stesso istante, una folla di persone – uomini, donne e bambini di qualsiasi età ed etnia – si rivela nell'ombra. Sobbalzo sul posto e li guardo: sono davvero tanti.

«Perché vi ritrovate qui?»

«Perché è un posto sicuro» risponde il re longobardo.

«Dove siamo di preciso?» esorto.

«Sotto le rovine del Castello Sforzesco» mormora Vittorio Emanuele II.

«Perché avete scelto questo posto? Siete tutti morti?»

«Sì» afferma Terri. «Siamo tutti morti per mano degli Akira.»

«E vi ricordate tutto?»

«Sì» risponde la donna scura. «Solo Francesco non ricordava nulla della sua morte e del suo passato.»

«Perché?» domando guardando il bambino fantasma.

«Perché negavo la verità» ammette Francesco abbassando la voce.

«L'importante è che tu ci sia riuscito e che nel farlo tu abbia trovato Demetra» afferma Terri sorridendo.

«Dobbiamo capire, però, perché quest'essere umano riesca a vederci» borbotta Alboin.

«È vero» mormora qualcuno tra la folla.

«Sì, dobbiamo scoprirlo. Demetra, tu sei una nostra alleata...» dice Terri.

«Aspettate un attimo. Rallentiamo...» la interrompo. «Devo capire...»

«Che cosa?» domanda Vittorio.

«Perché siete tutti riuniti e perché proprio sotto al Castello Sforzesco?» chiedo.

«Ci riuniamo per poter capire come abbandonare la Terra» risponde Terri.

«Siete bloccati qui?» esorto.

«Sì» risponde il re longobardo.

«Perché?»

«Per colpa degli Akira...» sussurra Francesco. «Privandoci dell'anima, ci impediscono di accedere sia al paradiso sia all'inferno. Siamo semplicemente qui.»

«Per non rimanere soli, ci siamo cercati e trovati. Questo seminterrato è diventato la nostra casa» continua Terri.

«Chi è l'ultimo arrivato nella vostra comunità?» chiedo guardando la folla.

«Sono io» dice qualcuno alle mie spalle. Mi volto e vedo il fantasma dello stesso uomo con il completo blu che avevo incontrato in piazza Gae Aulenti, quello che mi aveva spinto più volte. «Devo scusarmi con te, Demetra. Spero che il mio corpo non ti abbia fatto male...» aggiunge a testa china.

«Sto bene... Mi ha aiutato Francesco, ma ti ricordi... sai dirmi il motivo per cui il tuo corpo mi ha aggredito?» domando.

«No, mi spiace» ammette e ritorna in mezzo alla folla.

«Se gli Akira vi hanno preso l'anima, com'è possibile che il vostro spirito sia qui?» chiedo confusa.

«Di che cosa è fatta l'anima?» ribatte Alboin.

«Non lo so» rispondo confusa.

«Di sensazioni, sentimenti e azioni» continua pacatamente Terri. «Il nostro spirito è rimasto vivo, ma non ci ricordiamo più cosa significhi provare il sole sulla pelle, sentire l'odore del pane o voler bene a qualcuno. Non proviamo altro che qualche attaccamento razionale e, a volte, primitivo.»

«Vi hanno rubato l'essere esseri umani» constato.

«Cos'è un essere umano senz'anima?» ribatte Vittorio con tono serio.

Il mio pensiero sugli Akira sta cambiando sempre di più... Vedere tutte queste persone, bambini e adulti, che non possono più vivere una vita normale perché sono morti e una vita celeste perché non possono accedervi mi spezza il cuore.

«Non è niente» rifletto ad alta voce. «Ci sarà pur sempre un modo per capire perché vi vedo, no?»

«Possiamo partire dai suoi genitori biologici?» propone Alboin.

«Non so dove sia mio padre» ribatto.

Il re longobardo mi guarda confuso e inclina la testa.

«Che c'è?» sbotto.

«Non sai di essere adottata?» chiede l'uomo dalla barba rossa.

«Adottata?» ripeto.

«Che cosa stai dicendo?» domanda Terri.

«Qualcuno di noi riesce ad accumulare abbastanza energia da poterleggere e comprendere un oscuro segreto legato alle persone» spiega Vittorio senza staccare gli occhi da Alboin, che mi fissa.

«Possiamo iniziare a guardare a casa tua?» interviene Francesco.

Lo guardo e annuisco, deglutendo a fatica. Sono stata adottata? Perché non me l'hanno mai detto?

«È meglio andare, così potete iniziare le ricerche. Alboin è troppo stanco. Demetra, riesci a camminare fino alla metropolitana?» chiede Terri. «Francesco rimarrà sempre con te e, visto che riesce – finalmente – a spostare gli oggetti, ti proteggerà.»

Annuisco ancora una volta e in un battito di ciglia tutti i fantasmi scompaiono, fatta eccezione per il mio amico e bambino fantasma, Francesco.

«Sicura di farcela?» chiede lui.

«Sì» rispondo alzandomi. Cerco di trovare l'equilibrio e aggiungo: «Da dove si esce?»

«Da quella parte raggiungiamo direttamente una via che ci porterà a Cadorna» spiega Francesco mentre muove una torcia con la sua energia telecinetica da fantasma.

Saliamo delle piccole scale piene di ragnatele fino ad arrivare a un cancello arrugginito nascosto.

Facciamo qualche passo verso la via buia che dà su Piazzale Cadorna, quando all'improvviso sento un ramo rompersi.

«Demetra, sei tu?» chiede una vocina che riconosco all'istante.

Mi volto subito e...

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