Capitolo 9: Il Veleno
" Ci sono persone per le quali la verità pura è veleno"
-André Maurois
Marchen lasciò che la lama argentea brillasse a contatto con la lampada ad olio fissa sul muro impolverato delle cantine. Un sorriso scintillò tra i canini contratti in una smorfia di divertimento, ruotando meccanicamente l'arma tra le dita quasi fosse un oggetto mistico. Tra le mani velate stringeva con dedizione quel coltellaccio, riponendo poi gli occhi su Candice. Il giovane Sicario investigava con brevi occhiate i riflessi grigiastri emessi dal metallo sacro, rapito e attratto dalla curiosità morbosa che gli istigava quell'armamento letale per la sua esistenza. Il perché l'avessero scortata in quel posto sudicio le avvelenò i pensieri, mantenendo però un comportamento dignitoso di fronte i due Sicari e la serva di sangue, nonostante fosse intimorita.
«Questo coltello ha all'incirca centosessantaquattro anni» spiegò il Conte con un filo di voce. Gli sedeva davanti, le mani premute contro le ginocchia piegate e gli zigomi delineati dalla luce spettrale. «Ottima fattura, ottimo sostegno e soprattutto molto agile nel corpo a corpo. La lama è solo rivestita d'argento, il compenso sottostante e in ferro battuto. I piccoli seghetti che noti sono fondamentali, unici oserei dire. La nostra pelle è resistente a qualsiasi tipo di urto, così come la nostra rigenerazione, dovresti saperlo piuttosto bene, Candice, per cui per ogni Cacciatore è indispensabile avere un coltello simile. Ma con l'avanzare delle armi da fuoco, credo sia passato in secondo piano. Le revolver, da qualche decennio o poco più, fanno spesso parte dell'armamentario di ogni buon Cacciatore che si rispetti. Ci sono più possibilità di centrare un punto vitale con un proiettile completamente in argento che con questo tipo di lama» sentenziò freddamente Frederick e Marchen porse il pugnale sotto il naso dell'ignara vampira. L'impugnatura era sottile e maneggevole, sul legno di quercia era inciso con maestria lo stemma portante della casata dei Wood.
Un ratto corse veloce nell'oscurità, sorpassando la figura del Sicario furtivamente. Candice inclinò il capo di lato, concentrata su ciò che il Conte le stava rivelando. Cose che di già aveva imparato negli ultimi venti anni di immortalità, gli stessi insegnamenti impartiti da Charles nella sede del Clan.
«Uno squarcio arrecato da questa lama non dovrebbe causare la morte, ma potrebbe sfinire in parte, poiché rallenta la produzione dei nostri tessuti» continuò il Conte, accavallando le gambe con un gesto fluido. Morgana che era al suo fianco gli ispezionò con uno sguardo le spalle grandi, avvolte solo da un tessuto setoso dai riflessi ambrati.
La sua presenza in quel posto lugubre era più che giustificata, fondamentale per dirla tutta.
Candice adocchiò Marchen, i sottili baffi biondi gli imperlavano il labbro superiore tirato in una smorfia diletta.
«Allunga una mano, Candice».
La giovane vampira esitò. Per qualche istante ci fu solo il respiro sforzato di Morgana a tenere vivo il tutto. Candice voleva fidarsi, voleva affidarsi alle conoscenze del nuovo tutore e capo, ma qualcosa nel cuore morto le suggerì di non sottostare a quell'insana richiesta.
«L'argento è letale per la nostra specie...» biascicò insicura, premendo le spalle contro le pietre sconnesse delle mura adiacenti alla sua schiena.
«Allunga una mano» sibilò nuovamente il Conte, lasciando trasparire tutta l'autorità tra quelle parole cariche di minacce. Candice deglutì, lasciando che l'esitazione svanisse velocemente, sciogliendo le mani chiuse in pugni strette dietro il bacino. Porse con indifferenza il palmo esiguo al Sicario dirimpetto al suo corpo, socchiudendo malamente gli occhi non appena il sorriso di Marchen si allargò sfavillante di euforia. Il vampiro avvolse le dita attorno al polso della più giovane, sfiorando appena con la lama seghettata le linee marcate del palmo dorato.
L'arma scavò nella carne fredda del Sicario, trinciando di netto la pelle morta, tirando e stracciando via con un fendente solo: le membra della vampira tremarono violentemente e un urlo strozzato si ripercosse nella cantina ricolma di casse, zavorra e ratti.
Le gambe di Candice tremarono come fuscelli al vento, spezzandosi sotto il suo peso. Le ginocchia incontrarono il duro pavimento in pietra e la giovane annaspò aria a più non posso, soffocata dal terribile bruciore che le infiammava la pelle riarsa di dolore. Guardò il lungo taglio che fumava a causa dell'agente urticante della lama, i brandelli che penzolavano incastrati tra le dita la fecero impallidire da capo e piedi.
La sofferenza era poco tollerabile, ma cercò di ricomporsi nonostante il dolore pulsasse in ogni centimetro del suo corpo, irradiandosi fino al capo. Abbassò la testa strizzando le palpebre con violenza, stringendo con la mano libera il braccio ferito volontariamente da Marchen.
«Doloroso, vero?»
La voce rauca di Frederick la costrinse a ricomporre la sua attenzione.
«A lungo ho studiato i tempi di rigenerazione di noi vampiri. Spesso variano tra i quindici e i venti minuti. Viene impiegato meno tempo se si ha disposizione del sangue umano».
«Come può... far così male...» mormorò avvizzita la più giovane e Marchen soppresse un risolino amaro.
«Ti ricrederai presto non appena provata l'acqua distillata o benedetta, credimi pupetta» la informò il sottoposto, passando un dito inguantato lungo la lama seghettata.
«Perché...?» domandò smorzatamente la vampira, mordendo la lingua pur di non lasciar uscire alcun lamento dalle labbra piegate in un ringhio indolenzito.
«E' fondamentale, Candice. Noi Sicari siamo sempre in prima linea, i più esposti alle sevizie dei Cacciatori. E' importante avere un minimo di accortezza verso sé stessi, almeno a parere mio. Non sto facendo tutto questo per recarti un danno o perché me ne compiaccio, voglio solamente prepararti per gli incarichi futuri che ti spetteranno».
«Byron è morto comunque, o sbaglio?»
«Byron non ha mai accettato il mio "trattamento", vedendolo solo come una tortura senza fine» la corresse il Conte, poggiando le braccia forzute sulle gambe. «Non c'è da meravigliarsi se sia durato solo sei anni. Tengo all'incolumità dei miei sottoposti, credo sia il minimo. Ma Byron ha fatto la sua scelta e ci ha lasciato la pelle, in un modo o nell'altro».
Candice trovò la forza per rimettersi in piedi, scostando il taglio mascolino di capelli con una scrollata di capo. Che Byron fosse un vampiro testardo e pieno di sé, questo era più che scontato. La sua morte per mano dei Cacciatori non fu oggetto di pettegolezzi, né tanto meno fu criticato il modus operandi del Conte. Quella piccola sevizia era più che giustificata, ma Candice esitò. Esitò sotto le occhiate vitree di Frederick, vacillò tra il silenzio vincolato della serva di sangue accanto a lui, indugiò sulla figura del vampiro che le inflisse in un batter d'occhio tutto quel malessere fisico. Candice osservò ancora una volta il lungo squarcio che le divideva la mano aperta, il fumo tenue che si librava nell'aria pareva essersi placato, ma il tormento era ancora vivo sulle membra e nell'anima.
«Come potrebbe rivelarsi utile tutto ciò?» domandò in un secondo momento il giovane Sicario, strizzando meccanicamente le dita contro il palmo.
Frederick mostrò un sorriso beffardo, anomalo per il suo essere. Il labbro superiore si crucciò all'insù, rapendo l'attenzione di Marchen con un cenno di capo. Non appena ebbe stretta tra le mani quell'arma mortale, il Conte lasciò che Morgana gli tirasse su con un gesto flebile una manica a sbuffo della camicia leggera. Il vampiro centenario passò velocemente la lama sulla pelle biancastra, rimanendo del tutto impassibile e privo rammarichi per il gesto appena compiuto.
Candice spalancò le labbra in una smorfia ricolma di stupore nel vedere la pelle stracciata dall'arma letale fumare appena, in una decina di secondi i tessuti si ricongiunsero abbracciando la carne scoperta, ricomponendosi perfettamente in un batter d'occhio. I muscoli tornano tonici e intatti, il segno di quella coltellata sparì del tutto senza lasciare nessuna ferita aperta.
«Non sono invincibile, mettiamo le cose in chiaro, Candice» mormorò il Conte, riponendo l'arma tra le mani di Marchen. «Ma da circa cento cinquant'anni non faccio altro che abituare il mio corpo all'argento, all'effetto urticante del biancospino, ai grani di rosario, acqua santa, ai pali di frassino. Anni addietro ebbi lo spiacevole inconveniente di essere vittima di alcuni interrogatori da parte di Cacciatori e più di una volta rischiai seriamente di morire. Ma sono arrivato fin qui adesso e non intendo fermare questa pratica per nulla al mondo».
«Voi siete in grado di resistere?» domandò la vampira, accompagnata da uno squittio acuto poco tollerabile.
«Date ad un uomo una piccola dose di veleno ogni giorno e quest'ultimo lentamente abituerà il proprio organismo al processo devastante che compie nel corpo. Ma tutto ciò dipende dal tipo di sostanza assunta».
Candice inspirò ed espirò lentamente nonstante i suoi polmoni fossero smorti da due decenni o poco più, cercando di annientare il bruciore che correva furiosamente nelle vene.
«Voi basate tutto questo su di un concetto... di mitridatismo?»
«Se non fossi stato sicuro dei miei studi, Candice, tu saresti morta all'istante».
La giovane vampira fece tesoro di quella rivelazione, rassicurata solo in parte. Ma un brivido infame la scosse da capo a piedi, vibrando furiosamente lungo la colonna vertebrale tesa.
«Siete in grado di resistere anche ad una pallottola d'argento?»
«Chissà» ironizzò il Conte, assottigliando lo sguardo lambito da fiamme cremisi.
Marchen soppresse un risolino sul nascere, fasciando con cura il pugnale in una stoffa vellutata. L'arroganza del Conte non aveva limiti, lui stesso ostinava a non porre confini alla sua sete di sapere, di rivalsa ma soprattutto di vendetta. Gli studi di Frederick si rivelarono un'arma a doppio taglio, tanto che il Clan discusse a lungo sulla pazzia portata avanti dall'erede degli Stewart. Ma le sue conoscenze incuriosirono di non poco alcuni gradi maggiori, venendo spesso affiancato da un Alto dal lignaggio celtico distante ormai da Londra mare e terra. Aries fu uno dei primi a sperimentare sulla pelle antica le scoperte prodigiose del Conte, affidando l'immortalità tra le sue braccia cariche di esperienza. Da anni l'Alto viveva da esiliato in un luogo a tutti sconosciuto; Aries era ritenuto l'eremita per eccellenza. Nessun contatto, nessuna forma di riconoscenza verso il suo grado di privilegiato, forte antipatia nei confronti dei nuovi componenti del Consiglio. Eppure accettò di buon cuore le dure sevizie di Frederick, svanendo come polvere al vento non appena assorbita sulle proprie membra la resistenza fisica necessaria ai suoi scopi.
La voce stridula di Candice interruppe il flusso di pensieri di Marchen, riportandolo alla realtà.
«Come siete venuti a conoscenza delle pratiche dei Cacciatori?» domandò la giovane, rivolgendosi al Conte. «Avete portato avanti questi studi solo in base alle torture che v'imposero?»
«Io stesso discendo dal lignaggio nobile dei Wood, Candice».
«Voi siete... un Cacciatore?»
«Figlio di Cacciatori».
La vampira conficcò le unghie chiare nei palmi minuti, sopprimendo l'ennesimo ripulso di sfiducia in arrivo. Miriadi di domande prive di risposta le balerano in testa, l'indifferenza che mostrò difronte al Conte fu letale e concreta, tanto che Marchen ne rise sotto i baffi chiari. Come poteva il Clan affidare l'importante condotta dei Sicari Notturni ad un essere discendente diretto della più importante stirpe di Cacciatori londinese? Eppure quei modi di fare così glaciali quanto le iridi cremisi che ingemmevano il viso del Conte, avevano un che di surreale, tanto che la vampira dovette ricredersi su due piedi. Frederick aveva negli occhi qualcosa di stomachevole e rassicurante allo stesso tempo. Il suo era lo sguardo di chi, in una sola e penosa esistenza, aveva visto l'inferno o forse più, colorando le sue iridi di collera e dannazione. Perché occhi così profondi come baratri sull'orlo di un abisso, Candice non li aveva mai visti nella sua seconda vita da immortale. L'accuratezza con cui tutti lo trattavano all'interno del Clan sapeva di rispetto e non di paura. Quel vampiro rievocava nell'animo di tutti fierezza, a contrario di sua sorella Romin, un Alto narcisista e pieno di sé. Frederick era un valido condottiero, quasi avesse inciso sulla pelle i segni di mille battaglie combattute come un vero generale, affiancando mestamente le azioni di ogni suo singolo prediletto. Il cammeo a mo' di spilla che gli impreziosiva il foulard scuro ne fu la prova: l'aquila coronata da boccioli chiari e foglie d'alloro pareva rispecchiare perfettamente la sua natura inflessibile, ma la purezza di quelle rose parve stonare il tutto.
Il Conte poteva vantare qualsiasi cosa, ma nulla suggerì a Candice che l'animo di lui fosse mai stato terso e sereno come un cielo d'estate. Il candore sgusciava via dalle membra di ogni vampiro nel momento in cui si diveniva tale, rinnegando le proprie etiche morali da umano e il calore corporeo che li distingueva dall'essere mostri e nulla più. Le iridi chiazzate di vermiglio parlavano chiaro, dietro quel sudario tessuto con indifferenza e portamento emotivo inesistente, Frederick celava un segreto infetto. Amaro, disturbante e diabolico.
Ma Candice fermò lo scroscio di pensieri in atto nella sua testa con un battito di ciglia, rapita dai toni taglienti del Conte.
«Se c'è qualcos'altro che ti preme nel petto Candice, io sono a tua disposizione per rispondere ad ogni quesito che ti balena in testa» si offrì con gentilezza assai rara Frederick, turbando con quelle parole l'animo di Morgana.
Candice fece aderire le braghe larghe al suo bacino con un colpo di reni, annaspando. «Perdonate la mia curiosità, Conte... ma come ha potuto uno come voi, divenire il condottiero dei Sicari? Cosa vi ha spinto a divenire un vampiro?»
«Saggia domanda, mi complimento con te, Candice» rispose mestamente il vampiro, sopprimendo un riso. «Ti basta sapere che ho dato tanto per arrivare fin qui e niente mi distoglie dal mio incarico».
«Non posso dire di essere sorpresa...»
«Faccio solo in modo che i miei sforzi siano lodati come tali».
«I Wood sanno della vostra leggittima appartenenza al Clan?» domandò Candice con una punta di coraggio incastrata tra i denti.
«No. Nessuno sa delle mie radici, se non il Clan stesso. Non rimpiango la donna che mi ha messo al mondo, non rimpiango l'uomo che ha contribuito alla mia esistenza. Eppure mi duole ammettere che sarei potuto divenire il più grande Cacciatore mai esistito» le confidò, sfoggiando un sorriso ricolmo di vanità. «Ma non per mia scelta, sono divenuto questo. E un giorno sarò molto, molto di più».
«Quanta gioia mi date, mio caro!» ironizzò Marchen, curvandosi in avanti con un inchino avvizzito. Morgana anelò un respiro rauco, scuotendo il capo di fronte quell'ironia teatrale.
Frederick sollevò gli occhi al soffitto, lasciando che le falsi lodi di Marchen sparissero tra gli squitti acuti dei ratti. Ammise in cuor suo l'affetto e la fiducia nei confronti di Marchen, ma dovette sopprimere l'insaziabile voglia di farlo a pezzi ogni qualvolta che tirava fuori quel sarcasmo da quattro soldi.
Il capo dei Sicari tornò a fissare Candice, la ferita sul palmo sbuffava ancora, lingue di nebbia si condensavano con l'aria umidiccia delle cantine.
«Detto ciò... sai cosa ti spetta» sentenziò il Conte, drizzandosi supino.
«Vuoi ancora affiancarmi?»
«Sì».
«Vuoi davvero essere un mio prediletto?»
«Lo desidero».
Un sorriso sgembo tirò le labbra del Conte.
«Benvenuta nella mia famiglia, Candice».
Frederick risalì senza voltarsi, lasciando Candice in balia di Morgana e Marchen. La serva si avvicinò al nuovo Sicario con passi lenti, porgendole il braccio scoperto.
«Bevi. Altrimenti il taglio continuerà a dolere».
Candice non se lo fece ripetere due volte. Affondò avidamente i canini nella pelle chiara della donna, bevendo sotto lo sguardo curioso di Marchen. Morgana curvò un tantino gli angoli delle labbra, scacciando il dolore dato da tutta quella foga.
«Ti lascia bere da una sua beniamina, dovresti gioire pupetta» ammiccò tra un riso e l'altro, urtando visibilmente la serva del Conte.
«Marchen...» sibilò angustiata Morgana, roteando gli occhi con far esaustivo.
Candice si dissetò del tutto e il dolore fisso sulla mano destra parve affievolirsi pian piano. Bevve come un cucciolo affamato stretto contro il grembo materno, alla disperata ricerca di latte caldo. Dopo giorni di digiuno sforzato, poté finalmente ritenersi soddisfatta. Candice era divenuta proprietà del Conte, vassallo e soldato del suo piccolo esercito di emissari. Essere ritenuta parte della famiglia di Frederick le riempì il petto d'orgoglio e gioia.
Doveva farsi valere e l'avrebbe fatto, in un modo o nell'altro. Le sevizie a cui sarebbe stata esposta passarono in secondo piano, succhiate via assieme all'essenza ferrosa di Morgana. Si scostò soddisfatta dopo una quarantina di secondi, notando con un'occhiata piena di stupore la pelle tirata della mano ricongiursi pian piano fino a tornare intatta.
«Da oggi in poi sarò affidata a te, Candice» parlò Morgana, massaggiando il morso. «Ti terrò sott'occhio, sappilo».
Candice annuì debolmente, socchiudendo gli occhi.
Davvero questa è... la giusta via?Il Conte ostentò per qualche istante dinnanzi l'entrata del salone, rapito dal chiacchiericcio basso che imperlava l'aria circostante. Premette con dolcezza le dita sulla maniglia dorata, entrando.
Donna stringeva tra le braccia la creatura albina, tenuta a bada dalla voce cristallina di Lilith. Entrambe caddero in un silenzio muto, arrestando il loro confidarsi a vicenda non appena percepita la presenza austera del Conte.
Donna gli puntò addosso un'occhiata gelida, glaciale, incolpandolo con le iridi oltremare. Entrambi si chiusero l'una nei confronti dell'altro dal momento in cui Donna concepì le vere intenzioni del suo amante, furiosa e rapita dalle rivelazioni di Marchen confidate tre giorni prima.
Lilith che sedeva sul tappeto duro si alzò velocemente, incassando d'istinto il capo nelle spalle minute. Il marchio di Rosaline era ancora visibile sulla pelle chiara, le bruciava d'amore e le doleva come mille spilli ficcati nel collo.
Per qualche istante ci fu silenzio e un lento gioco di sguardi venne intrapreso dai tre.
Lilith fu la prima a mollare, avvolgendo Winkle tra le braccia e scostandosi silenziosamente, mentre il Conte si avvicinava alla sagoma impotente di Donna.
La giovane si alzò supina, sostenendo il peso incombente di quelle iridi furibonde su di lei.
«Avete bisogno di qualcosa, Conte?»
Quei toni così distanti lo fecero impazzire di ira, ma non cedette. La sua rabbia era palpabile, concreta e violenta, tanto che Lilith si allontanò ancora di qualche passo. Winkle voltò il capo nella direzione dei due amanti, fissandoli con intensità.
«Dovevi rimanere al tuo posto, Donna».
«Avrebbe cambiato qualcosa, Frederick? Non volevo di certo che Morgana finisse tra le mani di quel porco».
«Te la sei cercata, ti sei rovinata con le tue stesse mani» gli ringhiò furioso, strabuzzando gli occhi carichi di collera e gelosia irrazionale. «Se proprio vuoi metterla su questo punto, è stata una punizione più che meritata».
Donna dilatò le narici, mordendo il labbro tirato in una smorfia di dolore.
«Proporrai lo stesso servizio anche a Winkle, immagino».
Il Conte socchiuse le palpebre, ciondolando appena per darsi forza.
«Marchen non sa tenere la bocca chiusa, ma credo che tu lo sappia fin troppo bene» continuò, parlando smorzatamente ad un soffio dal suo viso. «Provo pena per te Frederick, tanta pena. Nobiltà d'animo, gentilezza... tu non sei così e mai lo sarai».
«Non sono un santo ma solo un dannato».
«Vorresti continuare all'infinito con questa faccenda? E' una bambina, perché dannarla per uno scopo di cui non né sarà mai a conoscenza? Che diritto hai di legarla a te come sposa?» urlò smorzatamente Donna, piantando i palmi aperti sul petto ampio del vampiro, allontanandolo con uno scatto. «Come puoi cedere ad un ricatto di potere?»
«Non sono affari che ti riguardano, Donna...»
«Io sono la sua balia, io sarò sua madre, io diventerò tutto ciò che ha di più caro su questa terra!»
L'ira del Conte sbucò fuori in un batter d'occhio e Donna sgranò gli occhi, affranta.
«Non rivolgerti a me con questi toni, Donna! Non farlo. Non costringermi a diventare ciò che non sono e non voglio essere. Lei ora mi appartiene di diritto, è mia. Mia serva, mia futura sposa. La mia decisione non verrà inclinata solo per un tuo insano capriccio. Va via, va via se davvero è questo il tuo verdetto!»
Gli occhi della serva si colmarono di lacrime amare, ma nessuna goccia le varcò le ciglia spesse e nere. Non era più lui; per l'ennesima volta era cambiato come un mare in tempesta. Solo in quel momento Donna concepì quanto amore e odio covasse nell'animo nei confronti del vampiro. Il petto le parve scoppiare, la vista venne offuscata dal dispiacere e le gambe tremarono. I graffi sul petto cominciarono a dolerle, quasi fossero sul punto di aprirsi e sanguinare come stigmate.
Winkle tremò di fronte quella furia, e un pianto dapprima lieve mutò inevitabilmente in un vortice di paura. Le moine incontrollate della bambina disturbarono l'indole ormai accecata di rabbia del vampiro. Lily indietreggiò di qualche passo, stringendo la creatura al petto per attutire la sua paura. Lo sguardo letale di Frederick le trucidò l'anima con una sola occhiata, tanto che ebbe voglia di scappare via.
«Dammi la bambina».
Il labbro di Lilith tremò.
«No...» mormorò in un rantolo.
All'entrata del salone apparvero le figure di Morgana, Candice e Marchen, giunti sul posto poiché rapiti dalla bolgia in atto.
Frederick li guardò attentamente uno per uno e la sua voce tuonò tra le mura scarne del soggiorno.
«Lo dirò ancora per una volta, per l'ultima volta: la bambina resterà qui dentro. Mai dovrà allontanarsi da me, mai dovrà abbandonarmi! E se qualcuno di voi proverà anche solo a disubbidire alle mie scelte, non sarà mandato via, no. E' ora che impariate qual è il rispetto nei confronti del vostro salvatore».
Donna tenne il capo teso verso sinistra, fissando Winkle.
Frederick aveva gridato il suo verdetto, allargando le braccia verso il soffitto e gonfiando il petto d'aria e voce.
«E' ora che gli insegnamenti di Lady Stewart tornino a galla dopo anni di annegamento!»
Tutti fissarono il Conte, ostentando in un silenzio carico di sgomento.
«Che il Conte Frederick Stewart torni alle sue origini, finalmente».
E mentre i cieli scuri imperlavano la terra con un manto candido, Donna realizzò: Winkle aveva cambiato l'animo del Conte, come la serva aveva sperato dal primo giorno in cui la strinse tra le braccia con fare materno. Frederick era mutato sotto le preghiere di Donna, ma quest'ultime parvero solo un insulto a Dio.
Frederick Stewart non era più lo stesso.
La nuova vita di tutti stava per iniziare sotto il dominio di chi, con molta probabilità, fu allattato da una madre con le serpi in seno.
***
Fine prima parte ***
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