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Capitolo 8: l'Incontro


" Ma ditemi, vi siete innamorato mai?

Fortunato è quell'uomo che, ha il vero amore accanto a sé"(PFM - Dracula Opera Rock, Il mio nome è Dracula)




Donna fissava il soffitto chiazzato di muffa e tempo sulla sua testa, amareggiata. Da tre giorni non lasciava la sua stanza, annegando nel dolore che le procuravano i tagli marcati sul seno. L'incontro con Charles si rivelò cruciale per la sua emotività; quell'aggressione così cruenta e maliziosa le aveva lacerato il cuore in mille pezzi, rievocandole nell'animo la terribile notte trascorsa tra le grinfie di quell'essere. Le parve ancora di avvertire i canini lerci di Charles scavare affondo nella sua carne, lacerarle i muscoli tesi, mentre le unghie s'incastravano bramose tra le pieghe del petto.
Ricordo o meno, Donna pianse le ultime lacrime che le erano rimaste in corpo, cercando di dimenticare quella seconda aggressione avvenuta sotto lo sguardo ricolmo di collera del Conte. Frederick non reagì alla provocazione dell'Alto, né ai pianti disperati di Donna, limitandosi a lasciare la stanza. Rosaline, d'altro canto, aveva combattuto contro sé stessa, annientando l'insaziabile voglia di mordere la serva, ostinando un portamento dignitoso, caldo... umano. Aiutò Donna nel medicare con cura e dedizione gli squarci, sostenendola con occhiate silenziose e carezze.
La vampira aveva dimostrato un comportamento piuttosto anomalo compiendo quel gesto. Abbracciandola aveva dato a Donna una speranza in più, ricordandole di non fare di tutta l'erba un fascio, di non giudicare e oltrepassare le apparenze maldicenti. La vampira, tutto sommato, l'aveva sostenuta, come se si conoscessero da secoli, millenni, da sempre. E quel gesto così caritatevole nei confronti dell'amante del Conte era più che giustificato.
Voluto, per così dire.
Donna alzò con due dita il lenzuolo che le abbracciava le forme, ispezionando con un'occhiata la benda che le stringeva i seni flosci. La medicazione, dopo giorni di sofferenza, era limpida come un cielo d'estate, nessuna chiazza vermiglia la macchiava all'altezza dei capezzoli.
Spostò lo sguardo sulla bambina che giaceva accanto a lei, seduta tra le lenzuola sfatte. Winkle portò una mano alla bocca, sfarfallando con dolcezza le lunghe ciglia lattee nell'avvertire quelle iridi oltremare su di lei.
«"Mamma"...» mormorò Donna, fissandola con intensità.
Winkle ciondolò sul bacino, mugolando sonoramente non appena udite quelle parole.
«Winkle, "mamma"».
La bambina sorrise giocosa, lasciando trasparire le piccole file di denti che le bucavano le gengive rosee. Donna sospirò afflitta da quell'essere così testarda e cocciuta come un mulo, passandole una mano tra i capelli soffici come nuvole. Winkle afferrò prontamente il pollice della balia, facendo leva sulle gambe scoperte col chiaro intendo di avvicinarsi.
«Non vogliamo proprio parlare, neh?» mormorò Donna. Le cinse la vita col braccio libero dalle lenzuola, lasciando che la creatura premesse il viso paffuto accanto al suo seno.
«Sei proprio cocciuta, Winkle... e pensare che un giorno questo non ti servirà a nulla, sai? Anzi, ti dirò: ma chi te lo fa fare. Una come te dovrebbe essere libera, non schiava. Una come te dovrebbe avere dei grandi progetti, non essere comandata...»
La bambina acciuffò con un gesto goffo i capelli di Donna, portandoli alla bocca. Alzò il capo tanto da poterla fissare, mentre masticava le fibre sottili e le inzuppava di saliva.
«Mangi, piangi, dormi. Vorrei poter fare anche io questa vita, quanto ti invidio piccola mia. Vorrei essere più forte, quel che basta per proteggerti e mandarti via. Ma non né sono capace, Winkle... spero tanto che un giorno mi odierai per questo. Mi odierai a tal punto da voler scappare via... lontano da me e... lontano da Frederick».
Donna non seppe il perché di quelle confidenze. Non riuscì a smettere di mormorare quelle parole, non riusciva a rassegnarsi sulla scelta imposta da Frederick. Anche il solo immaginare quella bambina, così casta e pura tra le braccia del Conte, la faceva stare male. Non per gelosia, non per invidia: il tutto era semplice compassione, niente di più. Ormai amava l'ultima discendente dei Van Winkle come se fosse sangue del suo sangue, come fosse sua figlia.
Ma Donna si rassegnò al fatto che mai avrebbe avuto un pargolo tutto suo. Da accudire, da allevare, da stringere. La sua mancanza la colmava con quella bambina, trattandola con dedizione, rendendola la sua prediletta. Le era rimasto solo questo, ormai.
«Promettimi una cosa, Winkle» continuò Donna, fissandola. «Se un giorno vorrai andartene da qui, non esitare. Dimmelo. Dimmelo e troverò un modo per lasciarti andare, anche se dovessi amare Frederick come tuo sposo. E' l'unica cosa che ti chiedo».
Le due si scambiarono due occhiate labili.
«Nanà» la voce squillante di Winkle le smosse l'anima.
«Nanà?»
La bambina rise con gioia, facendo leva sui palmi. «Nanà!»
Il bussare sommesso contro la porta fece sobbalzare Donna. La magia di quelle prime parole si affievolì all'istante e sull'entrata apparve la figura remissiva di Lilith.
«Ti ho portato la cena, Donna» mormorò solidale Lily, e un sorriso le sbocciò sulle labbra.
Donna si sistemò tra le lenzuola cocenti, drizzando le spalle. «Ti ringrazio».
«Come ti senti?»
«Molto meglio, domani tornerò arzilla. Voglio proprio vedere cosa avete combinato tu e Morgana in giro per la casa!» esclamò, fissando di sbieco la ragazza che rideva sotto i baffi.
«Oh, Morgana ha diretto il tutto sapientemente, ti lascio intendere!»
Donna si concesse un lungo sospiro, crucciandosi in volto. «Posso solo immaginare...» gracchiò, immergendo il viso tra il tepore della minestra.
«Sbaglio o questo piccolo demonio ha parlato?»
«Quando vuole ha la lingua lunga...»
«Fammi vedere la lingua, mostriciattolo!» canzonò Lilith, solleticandole i piedini scoperti. Winkle prese a scalciare tra una risata e l'altra, e sulle labbra di Donna si dipinse un sorriso.
Nanà!
«Pensi... pensi che il Conte voglia davvero sposarla, Donna?»
«Non lo so... non lo so. In cuor mio spero non accada mai».
Lilith chinò il capo in avanti, riflettendo sulle parole di Marchen. La serva ricordò i sporchi meandri del Clan, sudici di potere e polvere, popolati da esseri che di giustizia ne sapevano poco e niente. Ricordò la gentilezza del Conte che, sette anni prima, la portò via dal quel posto lugubre. Portò via con sé Lilith, appena bambina, ma di già serva di sangue di Lady Romin. E in quella stessa notte, Charles consumò la sua ripicca nei confronti del capo dei Sicari Notturni violentando Donna.
Che fosse semplice sete di potere o nobiltà d'animo nei confronti della piccola Winkle, Lilith preferì accantonare quei pensieri in un angolo remoto delle sue memorie, tirando con due dita il colletto stretto della camicia.
Donna assottigliò gli occhi, tirando via le dita dal collo dell'amica. Lilith sobbalzò incredula, scostandosi col viso colorito di rabbia mista ad imbarazzo. «Si può sapere cosa ti è preso?» farfugliò insicura, massaggiando col dorso della mano il punto incriminato: appena coperto dall'orlo merlettato della camicia di lino, un livido violaceo dalle venature rosee le ingemmava la pelle chiara; stava pian piano sparendo, ma il bacio di Rosaline le infuocava ancora l'animo.
Donna stette sulle sue per qualche istante, osservando di sbieco la più piccola.
«Cos'è?»
«E... e cosa vuoi che ne sappia, Donna!» balbettò Lily, esasperata dalla troppa curiosità che lasciava trasparire la compagna.
«Lilith...»
«Posso avere anche io qualche dannato segreto per qualche volta? O tu e Morgana dovete sempre impicciarvi degli affari miei?»
Donna sgranò gli occhi, ferita nel profondo da quelle parole. «Non voglio di certo farmi gli affari tuoi, signorinella! Io voglio solo sapere se...»
«Non è stato Frederick» sbuffò con un rantolo di voce, fissando la parete di fronte. Scosse debolmente il capo, cercando vanamente parole da tirare fuori. «Né Marchen e togliti dalla testa Charles».
«E...?»
Lilith ricordò. Il lento valzer al centro del vasto salone, il calore del fuoco e il tocco freddo di Rosaline sulle labbra, il caos interiore e la pace al di fuori di tutto. Lei si tormentò l'anima in quei tre giorni, castigò i pensieri alla ricerca di risposte, ma niente le suggerì un probabile indizio che potesse giudicare l'azione della vampira: un bacio. Dapprima tenero, poi voglioso, ricolmo di eccitazione; Lilith quella notte percepì sommessamente l'ardente voglia di Rosaline bagnarle il collo, succhiando ma non profanando le sue membra con un morso. I canini della vampira non gustarono affondo la tenerezza della sua carne, del suo sangue, della sua anima, lasciando il tutto a metà, come se avesse avuto paura di azzardare un passo in avanti.
Era come se il Sicario avesse deciso di marcare il proprio territorio con una promessa indelebile sul corpo della serva di sangue.
Mia e di nessun'altro.
«Lilith?»
«Giudicherai?»
Donna scosse il capo debolmente, accarezzando la bambina dormiente accanto alle sue forme.
«Perché dovrei giudicarti?»
Lilith riempì il petto d'aria, sfarfallando le lunghe ciglia pur di non piangere.
«E' stata una donna...» mormorò, premendo le mani umidicce contro il ventre. «E' stata Rosaline».
«Rosaline?» ripeté in un bisbiglio, scostando il caldo tepore della brodaglia su di un mobile antico.
«Mi ha vista danzare nel salone, ecco... e mi ha insegnato la giusta sequenza di passi del valzer. Poi, beh...» si fermò la giovane, sopprimendo nella gola una risata isterica «non so cosa sia accaduto di preciso, io non volevo. Ma una parte di me l'ha desiderato... quel bacio. E' una donna, una vampira, una sottoposta di Frederick, ma... non ho saputo reagire, fine della storiella, Donna».
Una lacrima solitaria varcò le ciglia bionde, riversandosi lungo la guancia accaldata.
«Folle, vero?» rantolò in una risata amara Lilith, fissando il soffitto scuro sulla sua testa. «Ho solo tanta confusione nel capo e paura nel petto. Se dovesse ripresentarsi qui, come dovrei comportarmi? Dovrei ignorarla? E se il Conte lo scoprisse, cosa accadrebbe a Rosaline?»
«Sono tue scelte, Lily» commentò all'istante Donna, rattristata dal comportamento della bionda. «Solo tue scelte. Non starò qui a riempirti le orecchie con la classica buona novella, è ora che impari a gestire le tue situazioni, i tuoi guai e soprattutto i tuoi sentimenti. Al cuore non si comanda, giusto?»
Lilith asciugò col dorso della mano le ultime righe di lacrime impresse sugli zigomi, tirando su col naso. «Non ho mai detto di provare qualcosa per Rosaline, Donna».
«La confusione precede l'inizio di qualcosa di più grande, è sempre così».
«E' così che hai cominciato ad amare il Conte?»
Donna abbassò lo sguardo.
«Non ho mai amato in vita mia, se non la mia musica».
«Perché ti ostini a non ammetterlo?»
«Cosa dovrei ammettere, Lilith? Forse solo il mio spregiudicato amore in gioventù per un essere che non smette di cambiare maschera?»
«Sei stata tu a cambiarlo, Donna, mettitelo in testa».
Donna scosse il capo afflitta da quelle parole, quasi fossero lame di lance piantate con forza nel costato.
«Cosa te lo suggerisce?»
«Il modo in cui ti tratta. Il modo in cui ti guarda, ti parla, è... dolce».
«Se davvero lo amassi come dici tu, sarei già scappata da un pezzo...»
«E allora cosa ti ha trattenuto qui per tutti questi anni?» domandò feroce la più giovane, e un lampo argenteo sferzò i cieli cupi della campagna di Londra. Susseguì un rombo acuto che fece tremare inconsciamente la bambina stretta tra le braccia di Donna.
La serva la fissò dormire beatamente, coi pugni chiusi contro il viso latteo e gli occhi sbarrati dal sonno, vittima inconsapevole di sogni fiabeschi.
«Forse... il mio senso del dovere, solo questo. Mi ha accolta qui quando non avevo più niente e io sto ancora restituendo il favore».
«Se la metti su questo punto, allora anche io e Morgana stiamo restituendo un favore per una vita».
Donna ripensò al lutto che coinvolse la sua famiglia anni addietro. La perdita di sua madre e di suo padre l'affrontò con coraggio, esternando i sentimenti negativi che le rievocava ogni qualvolta il mettere piede nella cabina di una carrozza. Frederick le aveva salvato la vita, seppur non acquisendo nulla a suo favore del ricco patrimonio degli O'Grey, affidando il tutto tra le sporche mani della famiglia reale e il compenso rimanente agli Alti del Clan.
Una sottile pioggia notturna cominciò a battere contro i vetri della finestra coperta da un tendaggio scuro, rompendo quel silenzio provvisorio in mille secondi.
«Conobbi Frederick all'età di quattordici anni. Ero una ragazzina piuttosto testarda, caparbia e fiera del cognome che accompagnava la mia stirpe da secoli. Il mio lignaggio era ben visto dalla famiglia reale, mio padre era spesso in contatti molto intimi con la regina Vittoria, mio nonno materno il violinista più apprezzato tra i nobili e la corte londinese» raccontò Donna con un filo di voce, carezzando docilmente i graffi che le deturpavano il petto. «Sognavo di diventare come lui. Di essere indipendente, la musicista più apprezzata del tempo, di esibirmi ogni sera davanti alla regina ed essere acclamata. Ma bastò un solo commento del Conte a... farmi impazzire. Mio padre e mia madre lo temevano, così come la servitù sotto di noi e i soci che affollavano il salotto della mia casa. Ricordo ancora i suoi complimenti, sai?»
Lilith si strinse nelle spalle, avvolgendo le dita sul palmo aperto di Donna. Lo strinse con dolcezza, grata e allietata da quelle confidenze mai rivelate fino a quel momento.
«"Fate della vostra musica un'arma contro la mia dannazione eterna. Fatemi santo subito, Donna. Non desidero altro"» sussurrò la più anziana, schioccando lentamente la lingua nel ripetere quelle parole diaboliche. «Che sciocca sono stata... l'ho amato e odiato come solo una bambina capricciosa sa fare. Anche quando i miei genitori decisero di accettare la sua proposta di matrimonio per unire la nostra stirpe alla casata degli Stewart. Ma come può un vampiro procreare, donare la vita? E difatti, accettata la richiesta, mi fu rivelata la vera natura del Conte. Ero terrorizzata, credimi. Mai avevo visto così tanta crudeltà e maliziosità in un essere solo. Si prese tutto di me, la mia vita, il mio corpo, la mia verginità, la mia musica. Tutto, tutto quanto svanì come polvere al vento».
«Quindi... eri sua promessa sposa?» domandò Lilith, intensificando la presa attorno al palmo aperto.
«Interessi, niente di più. Brutti tempi per la mia famiglia, ti basta sapere solo questo. Mia madre Costantine cercò di essere il più discreta possibile... il Conte non era ben visto dalla famiglia reale, ma l'unica soluzione plausibile parve quella: matrimonio e unione delle casate. Suggellato lo sposalizio, mio padre avrebbe avuto accesso all'eredità della famiglia Stewart, cominciando ad investire in progetti più grandi e forbiti. Puntava in alto, il mio Bryan, troppo in alto. E inevitabilmente, ne rimase schiacciato».
Donna prese un respiro profondo, inspirando a pieni polmoni l'aria stagnante che imperlava le mura spoglie della camera da letto. Sigillò le pupille con le palpebre stanche, ormai consapevole del fatto che non avrebbe più pianto in vita sua.
«Alcuni soci abbandonarono mio padre nella miseria, tutto stava andando a rotoli. Lui cercò di affrettare le nozze, ma la notizia giunse presto nel consiglio e nei gradi alti dei Cacciatori. Un tale affronto ricco d'interesse non sarebbe stato plausibile agli occhi della regina... e così successe».
Per un istante le parve di sentire ancora il corpo freddo di Costantine premuto contro la schiena dolorante, gli occhi sgranati e la bocca spalancata in un grido muto. Donna deglutì rumorosamente, sgranchendo le spalle indolenzite dal tepore delle coperte.
«Un'incidente. Una disgrazia, ecco come fu visto quell'orrore. Ricordo solo che dei cavalli neri accerchiarono la carrozza su cui viaggiavamo, spezzando tra le ruote dei bastoni col chiaro intento di procurare la nostra morte. Mio padre e mia madre morirono sul colpo, io persi i sensi. Mi svegliai due giorni dopo in questa residenza, Frederick sedeva al mio fianco, sostenuto dal dottor Paul e Marchen. Avevo perso tutto, tutto quanto, non mi era rimasto nulla. La regina assorbì in parte l'eredità della famiglia O'Grey, più che convinta che io fossi morta assieme i miei genitori. E d'allora giurai a Frederick che di sposalizi non né volevo sapere, concedendomi a lui solo come serva di sangue. Una vita per un favore... e lui accettò» Donna concluse il suo raccontare, riaprendo gli occhi lentamente. Lilith la fissava col volto annacquato di lacrime e tristezza, tirando su col naso di tanto in tanto. Premeva le mano screpolata dal tempo e dal troppo lavorare di Donna contro il petto, quasi volesse trasmetterle i battiti impazziti del suo cuore, le sue emozioni, il suo dolore. Lilith cedette al pianto in arrivo e l'abbracciò con foga, immergendo il viso tra il groviglio di capelli color pece adagiati sul cuscino.
Sorella, madre, balia.
«Sei triste per me, Lilith?» mormorò fiocamente, baciandole la guancia umida.
«Non volevo che tu ricordassi per un mio capriccio...»
«Tutte abbiamo una storia da raccontare, è questo che ci accomuna».
«Ti amo come se fossi mia madre, Donna...» singhiozzò Lilith, mugolando accanto al suo orecchio.
Donna sorrise, avvicinando a sé entrambe le creature con un solo abbraccio.
«Ti amo come una figlia, Lilith, non dubitarlo mai».
***La pioggia abbracciava il cappotto nero con far deciso, gocce chiare e pure bagnavano il cilindro alto, incastrandosi tra le basette ampie del Conte. Frederick si avviò riluttante verso la sede del Clan, godendosi a pieno il freddo pungente di inizio febbraio prima di entrare in scena. Non appena varcò la soglia, incrociò lo sguardo compassionevole di Rosaline, acconciata alla sua solita maniera.
«Siete venuto» parlò la sottoposta in un sussurro, seguendolo come fosse la sua ombra. «Spero non per fare a pezzi Charles, Frederick».
«Purtroppo sono qui per tutt'altro».
«Sarebbe a dire?»
«Un piccolo reclamo da parte di Lady Romin. A quanto pare la perdita di Byron non è stata così disastrosa, almeno a detta di Charles. Mi è stato affidato un nuovo Sicario, vediamo un po' di che pasta è fatto il mio nuovo giocattolo».
«Charles osa troppo, a mio parere».
Frederick la fissò senza interrompere il suo avanzare.
«Come voi avete osato nei confronti della mia serva di sangue, o sbaglio?»
Rosaline si arrestò su due piedi, il viso afflosciato dall'incredulità e gli occhi sgranati.
«Qualcosa vi turba, Rosaline?» insinuò maliziosamente il vampiro, voltandosi appena. «Eppure dovrei essere io ad avere quell'espressione sul viso, non credete?»
La sottoposta si maledisse cento volte, deglutendo rumorosamente appena udite quelle parole. Aveva ardito troppo, soprattutto nei confronti del Conte; avvinghiando a sé Lilith, abbracciandola, insegnandole un lento, baciandola come se fosse sua da millenni. Ma il desiderio di possedere la serva di sangue era infame, cresceva a dismisura nel cuore morto da anni, voleva ancora farla sua nonostante il rimprovero del Sicario.
«Chiedo venia, Conte. Mi assumo le mie responsabilità nel caso io abbia osato fin troppo nei confronti della vostra serva, non era mia intenzione».
«Menzogne. Non siete dispiaciuta per l'affronto che avete ostentato verso un qualcosa che di diritto mi appartiene. Le vostre scuse non ripareranno al danno commesso, Rosaline».
La vampira chinò il capo in segno di perdono, sperando con tutta sé stessa che le sue colpe non si ripercuotessero sulla piccola Lilith.
«Avete ragione, Conte» gracchiò impotente la rossa, fissandolo di sbieco. «Non sono realmente dispiaciuta. Ma vi chiedo solo che se dovesse esserci una punizione, che sia io a subirla, non Lilith. Non era consenziente».
«Con-... consenziente?» ripeté Frederick, avvicinandosi sempre di più. Il Sicario, seppur non avendo il reale bisogno di respirare, annaspò aria a più non posso, affrontando testardamente gli occhi cremisi puntanti nei suoi.
Frederick si fermò ad un passo dal suo petto, ispezionandola dall'alto della sua posizione.
La vampira corrucciò la fronte nell'udire una breve, rigorosa ma sentita risata. Gli occhi di Frederick si ridussero in fessure, premette le mani grandi sul viso attutendo quel riso gutturale. Rosaline parve spaesata in quanto nella sua esistenza, mai aveva udito e visto il Conte ridere. Né un sorriso, né un'emozione. Agli occhi di tutti era vuoto e scarno come un cielo d'estate.
Ma di caldo ed invitante non aveva proprio nulla.
«Punizione? Scuse? Che amarezza» la sua voce si spezzò tra una risata e l'altra. «Rosaline, Rosaline, Rosaline. Mi state paragonando a Charles per caso?»
«No, assolutamente, non era mia intenzione...»
«Che sia chiaro: ciò che è mio, resta mio» la interruppe monocorde il vampiro, tornando serio in un batter d'occhio. «Lilith è sotto la mia tutela, sotto il mio stesso tetto, sotto il mio controllo. Come in parte lo siete voi, Marchen e la compagnia di stronzi a seguito. Ma vi dirò una cosa: avete ragione, maledettamente ragione, le vostre parole sono veritiere e non posso che gioirne. Io ho un grande cuore Rosaline, così grande da risultare anomalo, nessuno costringe Lilith a rimanere con me nella mia residenza. Ma fin quando resterà al mio fianco, attenzione, capite bene ciò che sto per dirvi... lei mi appartiene di diritto. Le vostre marachelle amorose non mi toccano minimamente».
Rosaline ritirò lentamente il capo, i due zaffiri incastonati nelle orbite si oscurarono perplessi.
«Amatevi, se questo vi aggrada. Ma ripeto... nella mia residenza si fa ciò che dico io. Se io voglio che Lilith mi doni il suo sangue, io l'ottengo. Se io voglio il suo corpo, io ne ho il pieno possesso. Chiaro il concetto?»
Rosaline sbatté violentemente le palpebre, assorbendo i toni taglienti di quegli ordini quasi fossero minacce.
«Chiaro, Conte» sentenziò la sottoposta con un filo di voce.
Frederick riprese il suo camminare, lasciando dietro di sé solo incredulità e rammarico. Rosaline osservò la sagoma di lui sparire avvolta da fili di tenebre, meditabonda. La sua mente volò lontana dalle sedi del Clan fino a giungere al ricordo del bacio donato a Lilith.
«Quel che è tuo, lo è solo in parte, almeno per il momento» mormorò fra sé e sé, tastandosi le labbra con la lingua.
«E molto presto sarà solo mio».
Le pareti alte color del sole, i tendaggi fini intersecati attorno a colonne auree disposte in maniera composta al centro della stanza, diedero l'ufficiale benvenuto al Conte. Il buon gusto e lo sfarzo non mancavano ai capricci del suo stesso sangue: Lady Romin sedeva annoiata su di una poltrona dalla manifattura pregiata, sul viso tondo aveva impressa la stessa espressione che Frederick indossava di suo solito. I capelli neri come la pece della vampira erano stretti in un'acconciatura fine ed elaborata, gemme rare le impreziosivano la fronte scoperta, quasi fosse la reincarnazione di una dea sulla terra. Lady Romin era una donna consapevole della sua bellezza mozzafiato, tanto che al suo passaggio evocava solo invidia e ira piuttosto che rispetto e lei non poteva che gioirne. Indossava con distinta eleganza un lungo abito dai drappeggi calanti sulle spalle e i fianchi prosperosi, chiaro riferimento nella forma e nei tessuti ad una stola romana. Dal bacino in giù s'intersecavano tra sbuffi e fiocchi stoffe nivee dai ricami in avorio e piume di pavone, lasciando trasparire tutta la fierezza che conservava la privilegiata, ponendosi di fronte a tutti come una vera matrona.
I due si scambiarono un'occhiata fugace senza proferire parola. Lady Romin trovò maledettamente buffa la sua somiglianza con Frederick, nonostante avessero in comune solo lo stesso padre.
Vantavano entrambi la stessa curva della mascella, lo stesso taglio di occhi, lo stesso colore di capelli. Due gocce d'acqua. Così simili tra di loro, eppure eterni combattenti di un odio destinato a non trovare mai pace.
Accanto all'Alto, due donne dallo sguardo vuoto ed avvolte solo da una fine veste nera, fissavano in silenzio il Conte, mantenendo un portamento vigoroso e austero. La presenza di entrambe era di poco conto; erano considerabili come oggetti ornamentali e nulla più, dedite ai servigi e alla compiacenza della propria padrona.
«Frederick!» esordì teatralmente l'Alto, sorridendo compiaciuto. «Non ci speravo più, fratello mio!»
Frederick ignorò quelle moine stomachevoli, accomodandosi di fronte sua sorella che non smetteva di sorridergli.
In un angolo della stanza, una figura gracile dal colorito ambrato fissò lo svolgersi degli eventi, disturbata dalle false redenzioni che ostinava la privilegiata nei confronti di suo fratello. Agli occhi di Candice, tutta quella riverenza, parve solo una bestemmia urlata nel bel mezzo di una platea di credenti.
Ma Lady Romin era una donna forte, infinitamente capricciosa e dalle smancerie facili, trattando chiunque fosse in suo possesso come sacchi vuoti privi di anima. L'aggradava anche il solo pensare che tutto fosse di sua appartenenza e di nessun'altro; sempre in stretto contatto con gli affari della regina, poteva vantare il suo importante ruolo all'interno delle sedi diaboliche del Clan, sostenendo assiduamente le scelte imposte nel Consiglio. Portava su di un vassoio d'oro la sua appartenenza agli Alti da circa cinquant'anni, fiera più che mai del titolo che le fu donato.
«Vi trovo in splendida forma, lasciatevelo dire, Conte» proseguì l'Alto, intersecando due dita sull'acconciatura alta e morbida come quella di una dea. «La visita di Charles è andata a buon fine?»
Frederick non cadde in tentazione, anche se istigato più che mai da quei suoi modi di fare pretenziosi. Romin stava cercando di stuzzicarlo e Frederick lo percepì dall'espressione che le dipinse il volto: sopracciglio alzato, sorriso sghembo, risolino ad un soffio dalle labbra. Con gli anni aveva imparato a conoscere le movenze di sua sorella carnale, i suoi gesti e i capricci, sopportando il tutto senza battere ciglio.
«Una meraviglia, Lady Romin» rispose a tono il Conte e una risata cristallina gli ferì i timpani.
«Quanto "amore" nutre nei confronti della vostra serva, quasi lo invidio».
«Invidiarlo? Donna mi appartiene e se Charles ha ancora la testa attaccata al resto del corpo, lo deve solo a qualche Dio caritatevole».
«Siamo sempre così passionali, Frederick. Sempre così... possessivi» ridacchiò maliziosa Romin, accavallando le gambe con un gesto fluido. «Gradite?»
Romin allungò una mano alla sua destra, avvolgendo le dita attorno al braccio corposo della sua serva. La donna avanzò solo di qualche passo, piegando lievemente il collo, invitando il Conte a fissare la lenta danza calda che compieva il sangue nel suo corpo.
«Gentile da parte vostra, Milady. Ma le vostre creature non mi istigano nemmeno un po'».
«Come al solito, siete troppo preso dalle vostre di serve... che amarezza» borbottò annoiata, tornando composta. «Allora lasciate che v'illumini sul motivo della vostra chiamata».
Frederick abbozzò un sorriso, divertito. «Ascolto».
«Candice!»
La vampira sobbalzò nell'udire quel richiamo. Lasciò l'angolo in cui era stata rilegata per ore, facendo qualche passo avanti. Appoggiò la spalla destra contro la scanalatura della colonna pallida, quasi volesse nascondersi.
«Non essere timida tesoro, lasciati osservare» la riprese amareggiata l'Alto, sospirando sonoramente.
Il futuro Sicario non dimostrava più di diciassette anni. La sua bellezza era anonima, forse troppo. Frederick la scrutò da testa a piedi con un'occhiata lugubre, rapito dal neo scuro che le ingemmava il labbro superiore verso sinistra. Gli occhi erano sottili, le palpebre leggermente arcuate all'ingiù le donavano un'espressione perennemente afflitta. I capelli scuri le ricadevano corti e folti agli angoli del viso, accarezzando gli zigomi marcati e le orecchie piccole. Indossava delle semplici braghe rosse, una camicia leggera dal colletto aperto privo di foulard. La piattezza del petto e le forme della vampira poco accentuate furono oggetto di divertimento per il Conte, tanto che gli scappò un sorriso beffardo, incuriosito dalle vesti maschili e sgualcite che le avvolgevano le membra.
«Conte» esordì il giovane Sicario, chinando il capo in segno di commiato.
Frederick non rispose al saluto. Investigò ancora per qualche istante la pelle ambrata del viso e delle mani scoperte, rivolgendosi poi all'Alto. «Chi dei tuoi compagni ha scelto lei per me?»
«Gerard ovviamente, che domande mio caro!»
«Allora mi rivolgerò a te, Candice» sibilò il Conte, fingendosi annoiato. «Cosa ti spinge a voler essere un Sicario? Perdona il mio essere scettico a riguardo, ma non credo tu sia adatta».
«E' un mio desiderio, Conte. Sarò fiera di far parte dei vostri, non credo di volere altro».
«Vedete, Conte?» esordì Lady Romin, sporgendosi in avanti. «Gerard ha di già testato la sua forza e le sue abilità, credo sia un vampiro più che valente per appartenere ai Sicari Notturni».
«Gerard?»
«Vorrei ricordare il vostro mancato rapporto dei giorni scorsi. Qualcosa vi ha scosso?»
Frederick dilatò le narici, sorridendo.
«Niente di particolare, sono capriccioso quanto voi, lo sapete più che bene».
«Buon sangue non mente, mio Conte...»
Se avesse avuto la lama di un coltello tra le mani, Candice avrebbe potuto tagliare di netto la tensione che aleggiava tra i due fratelli. Era curioso, se non fuori dal comune come il loro odio fosse così palpabile e concreto, anche se entrambi si punzecchiavano di proposito con occhiatine e sorrisi ricolmi di divertimento.
Frederick si alzò con uno scatto fluido, aggiustando con una scrollata di spalle il cappotto umidiccio.
«Metterò io alla prova Candice, questo è sicuro» parlò serio il vampiro, squadrando da capo a piedi la perfetta sconosciuta. «Quindi alloggerai nella mia residenza fino a quando non ti riterrò opportuna».
La sottoposta annuì decisa, salutando con una profonda riverenza Lady Romin.
«A presto, sorella» esordì il Conte, alzando la mascella in segno di superiorità. «Che possiate vivere serenamente, almeno come augurio».
Lady Romin fissò la sagoma del Conte dileguarsi assieme al suo nuovo giocattolo, sorridendo beffarda.
«Quanto è amabile il mio Conte?» sussurrò, rievocando nella mente la memoria di decine e decine di notti passate nello stesso letto, seppur fossero fratelli carnali.
A tal pensiero l'Alto prese a ridere di gusto, assottigliando gli occhi.
«Chissà cosa mi nascondi, Frederick». ***


Le zampe robuste sgusciavano velocemente tra le pozzanghere melmose, ed un freddo assiduo accompagnava la folle corsa delle due bestie. La pioggia si assottigliò pian piano, divenendo in un batter d'occhio nevischio incastrato tra il pelo rigido dei due lupi.
Anamarié svoltò prontamente in una stradina malmessa, giungendo assieme a Marchen dinnanzi la piccola chiesetta in rovina. Ritornarono entrambi alla loro forma originaria senza interrompere l'avanzare, il vampiro si avviò pacatamente verso il retro del luogo sacro. Nonostante fossero passati di già tre giorni dall'esecuzione di Byron, il suo odore era ancora percepibile nell'aria fredda.
«Biancospino, acqua distillata e argento» sentenziò Marchen, tastando con due dita il terreno flaccido. Sotto uno strato melmoso che lentamente si colorava di bianco, era ancora percepibile al tatto qualche scarto del Sicario. Ignorò il pizzicare lieve che gli imperlò i polpastrelli, annusando la consistenza del terreno. La pelle pallida raggrinzì all'istante, costringendo il Sicario ad interrompere il suo investigare.
«E' stato seviziato, allora».
«E bruciato. E' senza ombra di dubbio opera dei Cacciatori».
Anamarié soppresse un risolino amaro.
«Ah, Byron... mi dispiace così tanto».
«Tanto da lasciarlo morire, vero?»
«Sue scelte, non ho potuto fare altrimenti».
«Non vedo l'ora di lasciarti marcire in qualche situazione, Anamarié» mormorò divertito il vampiro, alzandosi lentamente.
«Gentile da parte tua, Marchen» sentenziò sarcastica la donna, sospirando lievemente. «La sua morte è stata accertata, peccato».
«Per il momento non ci resta che attendere ulteriori ordini dagli Alti, non possiamo fare altro».
«Nemmeno divertirci un po'?» mugolò affranta Anamarié, posando gli occhi su di una finestrella aperta. Padre Agostino giaceva con le spalle al muro e il rosario consumato stretto tra le mani, sperando andassero via al più presto.
Marchen tastò l'aria col fiuto, sorridendo.
«Per stasera si passa, Anamarié. Abbiamo cose più importanti da portare a termine».
«Che noia!» esordì la vampira, roteando gli occhi al cielo con fare ribelle. «Prega il tuo Dio vecchio, ma sappi che prima o poi abbandonerà anche te!»
Il parroco strinse più che poté le palpebre, senza interrompere la sua lenta cantilena fatta di preghiere e paura. Avvertì un forte schianto contro il muro alla sua destra, incassando il capo nelle spalle nell'udire la risata incontrollata di Anamarié.
L'uomo fece scivolare la schiena contro il muro, sciogliendo la tensione appena toccato il pavimento lurido. E quando i due se ne furono andati, pregò con tutto sé stesso di non essere mai preso.

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