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Capitolo 11: Il Miracolo


" Ho bisogno di un miracolo e non della carità di qualcuno "

                                                                                                     ( Silent Hill 3 - Melissa Williamson, I want love)


Rosaline si lasciò cullare dal caldo tepore delle acque, inclinando il capo sulla spalla. Con gli occhi socchiusi e la coscia ancora dolorante, seguì con un'occhiata premurosa le azioni della serva, intenta a denudarsi senza alcun pudore. Lilith era cresciuta, sbocciata come un fiore a primavera, abbandonando gli indugi di bambina per fiorire come una donna.

«Di cosa trattava l'incarico?» le mormorò l'umana, sfilando l'intimo leggero in un unico gesto.
Rosaline lasciò che le ciocche rosse sfiorassero il pelo dell'acqua, sospirando mestamente.
«Lily, non credo sia importante...» Rosaline cercò di sviare le perplessità della più piccola, stringendo appena la presa delle dita attorno la vasca in ghisa. Ma bastò uno sguardo ricolmo di parole, così forte e addolorato da lasciare che annegasse nella tristezza: la serva si rivolse all'amata con un'occhiata amareggiata, voltandosi appena. Il vederla in quello stato le fece tremare il cuore d'agitazione, tanto che volle sopprimere tutta quell'angoscia legandola a sé con un abbraccio caldo. Lilith lasciò che le braccia ricadessero lungo i fianchi maturi, scoprendo i seni morbidi.
«Non sembri... più convinta di ciò che fai per il Clan, Rosaline» le rivelò in un sussurro, adagiandosi nella vasca. «Perché sei così turbata?» sentenziò in un'unica domanda, premendo le sue forme contro la pelle marmorea della vampira.
Rosaline non seppe rispondere. Ma il sentire l'intimità dell'amante premuta contro la coscia scacciò all'istante ogni memoria infetta, la sevizia avvenuta tra i boschi lontani di Haverhill, l'odore di biancospino e la lama sacra conficcata nella coscia. Stare accanto alla persona che più desiderava, annientava in Rosaline l'indole da Sicario provetto, e l'animo umano assopito da mille combutte riemergeva dal lungo sonno: amava Lilith, l'amava come una luna che ingemma il cielo più oscuro, rompendo quel sudario blu con sprazzi di luce folgorante; perché Lilith era la sua luce paradisiaca, il suo faro nel bel mezzo di una tempesta emozionale, furiosa, vacua e duratura.
«Lilith...» mormorò flebilmente la vampira, adagiando la guancia sulla folta chioma bionda.
«Tu credi?»
«Credo?» la serva corrucciò la fronte, sfiorando con le labbra il seno su cui era premuta.
«Intendo se hai fede o meno».
«Il Conte non mi ha mai concesso un'educazione religiosa... eppure prima di divenire parte della sua vita pregavo spesso. Al mattino, al pomeriggio, prima di coricarmi. Mia madre era una donna di fede, e volente o nolente, mi confidavo tra una preghiera e l'altra prima di assopirmi».
Rosaline avvolse le spalle minute di lei con un abbraccio flebile, chiudendo gli occhi.
«Com'era parlare con Dio?»
«Non lo so...» ammise, raccogliendo tra due dita una ciocca cremisi. «Non sono nemmeno sicura del fatto che lo facessi per semplice abitudine o per confidarmi. Fatto sta che in ogni moina racchiudevo il desiderio di poter incontrare la persona che mi avrebbe amato per sempre» le confidò, sollevando il viso tanto da poter incatenare lo sguardo a quello della vampira. «E mi ha concesso questo piccolo miracolo».
Rosaline alitò un falso sospiro, carezzando la pelle rabbrividita sotto il suo tocco glaciale. «Non sono l'uomo che desideri, Lilith».
«No. Sei molto, molto di più. Sei la donna della mia vita Rosaline, e ti amo come non ho mai amato nessun'altro».
La serva sorrise sincera. Le sue fantasticherie riguardanti il Conte giacquero morte nel giorno in cui il vampiro emanò il suo verdetto, zittendo con una sola minaccia gli animi irrequieti di tutti. Che fosse un uomo o una donna, che fosse un umano eticamente corretto o un essere dalla moralità corrotta, Lilith non fece più distinzioni. Aveva accantonato l'idea di concedere i suoi sentimenti più puri al Conte, divenendo parte e consapevole della sua sessualità. In quanto serva di sangue aveva dei doveri verso sé stessa e nei confronti del suo salvatore, divenendo parte della routine sessuale di Frederick: semplice dovere, nulla più; Rosaline comprendeva una sfera diversa da quella costruita tra un gemito e un morso col Conte. Con le carezze in punta di dita, i sospiri, la saliva, il gusto di tenersi strette contro un mondo urtato dall'amore per il par gentil sesso, Lilith costruì il suo mondo attorno a Rosaline. Bene e male si mescolavano con prepotenza nelle lenzuola bianche di un letto, tra i fiori di un giardino, fra la paglia e l'odore di legno stantio della stalla. Ogni luogo, momento, attimo era divenuto un ossessione per entrambe, tanto che consumavano il desiderio come una fiamma infuoca lo stoppo di una candela e ne divora la cera.
Rosaline le baciò il capo, e le mani sorbirono la forma dei fianchi con una carezza.
«Perché mi hai chiesto di parlarti della mia fede?» le domandò la serva, rabbrividendo sotto quel tocco.
«Sono passati trentasei anni da che sono morta. Ventiquattro dei quali passati sotto l'ala protettiva di Frederick. Ero una donna di fede, devota a Dio come nessuno sulla terra. Ero il piccolo agnello che tra le mentite spoglie nascondeva il ringhio di un lupo...» mormorò stancamente, rimembrando quelle memorie laide. «E sono diventata quel che ho più temuto nella mia inutile esistenza. Speravo di morire, quella notte. Sperai con tutta me stessa di essere accolta in paradiso. Ma il morso di un dannato mi ha ridato la vita, incatenandomi in questo girone infernale fatto in terra».
Lilith sorbì quelle confidenze stretta in un silenzio assiduo. L'animo di Rosaline era tormentato, lei stessa adorava definirsi complicata, perbenista, troppo pura per divenire una creatura notturna assetata di sangue e di comando. Ma la verità era un'altra e distava qualche centimetro dal cuore defunto: Lilith ora la fissava, il viso distante un soffio dalle labbra tese della vampira, zaffiro e smeraldo furono coinvolti in una faida amorosa degna di esser chiamata tale.
«Te lo chiederò senza indugi, allora: Rosaline... com'era parlare con Dio?»
«Se potessi piangere, Lilith... lo farei seduta stante».
«Ma non hai risposto alla mia domanda».
«E' questa la mia sentenza a riguardo».
Lily le scostò una ciocca ribelle ai lati delle guance, parlando in un sussurro.
«Il pianto?»
«Il dolore».
«E tutto questo come può... influire sulla tua condotta all'interno del Clan?» domandò, avvicinandosi ancor di più. Se Rosaline avesse parlato, per quanto fossero vicine l'una all'altra, Lilith avrebbe percepito la voce di lei tuonarle nel petto accanto al cuore impazzito. Le labbra fremevano d'amore e di eccitazione, l'intimità dell'umana pulsava feroce sotto il tocco leggero della vampira.
«Ho dato al Clan la mia fiducia cieca, promettendomi che non avrei mai più creduto alle preghiere invocate a Dio» disse in un soffio, avvinghiandola a sé col braccio libero. «Eppure ora mi trovo nuovamente al punto di inizio: io, loro, le mie credenze e la mia voglia di morire un'altra volta. Ho bisogno di un miracolo, Lilith...»
Un lieve gemito varcò le labbra carnose della serva, distorte in una smorfia di piacere. D'istinto strinse le cosce con uno scatto, incastrando la mano della vampira contro il suo sesso, quasi volesse fermare quel momento all'apparenza perfetto. Lilith lasciò che la lingua sgusciasse con lentezza nella bocca della vampira, intraprendendo una danza feroce seppur fiacca. La serva volle concedersi una piccola vendetta, riportando indietro la mente di quasi un decennio: il marchio violaceo che ingemmò la pelle per quattro giorni le doleva ancora sul collo fino, nonostante fosse scomparso del tutto.
Con ancora la presa salda delle gambe attorno la mano di Rosaline, Lilith arrestò il suo baciare, annaspando appena.
«Questo... vale come miracolo?»
Rosaline assottigliò lo sguardo, ed un sorriso sbocciò sulle labbra sottili.
«No. E' molto, molto di più».
Le dita titubanti di Lilith sgusciarono con lentezza sui seni marcati della vampira, delineando coi polpastrelli la forma dei capezzoli. Indugiò qualche istante sull'aureola di uno di questi, proseguendo poi verso il basso ventre con tocchi goffi e leggeri, scoprendo per l'ennesima volta il corpo perfetto dell'essere.
«Solo quando sono con te riesco ad essere me stessa, Rosaline. Voglio essere tua e di nessun'altro, concedimelo ancora una volta, te ne prego» biascicò in un rantolo sofferto, tastando la forma delle costole, la piega accentuata del petto, scorrendo dolcemente verso l'intimità di lei.
Rosaline interruppe quel gesto con uno scatto, frenando la voglia crescente della serva, concedendosi l'onore di guidare il tutto. La sua indole dominante balzò fuori sostenuta dall'eccitazione, voleva farla sua all'istante; quei toni supplichevoli grondanti di sofferenza accesero nei suoi occhi una scintilla inaspettata: disseminò baci roventi sulla pelle contratta del collo esiguo, strappandole un gemito acuto nel morderla con voracità. La vampira dispiegò le zanne lucide, affondandole con decisione nelle membra tenere come quelle di un neonato; leccò avidamente il suo nettare preferito, lasciando trasparire l'estremo egoismo che covava nel cuore, mentre l'acqua ormai tiepida distillava gocce vermiglie che percorrevano il petto della serva. Lilith intersecò le braccia attorno la schiena dell'amata, sorreggendosi e boccheggiando con un pesce fuor d'acqua, ormai vittima di quell'estremo desiderio. Rosaline accarezzò col polpastrello le labbra piccole del sesso, quasi volesse saggiarne la forma, provocando l'ennesimo gemito sofferto, tastando l'umidità percepibile nonostante l'acqua attorno al corpo.
«Guardami» le ordinò sibilando, e l'umana acconsentì sollevando con far docile lo sguardo. Con dolcezza lasciò che l'indice divenisse un tutt'uno col corpo della serva, tastando con la falange l'essenza di Lilith. La giovane ammutolì l'ennesimo gemito premendo lingua e labbra contro quelle della compagna, cercando conforto tra l'appagamento che aumentava inesorabile.
«Voglio sentirti» le mormorò dura, scostando labbra e viso.
«Guardami e dimmi che sei solo mia».
Lilith schiuse la bocca e l'ennesimo lamento sommesso incalzò l'andatura della vampira. Le dita di lei scavavano affondo nella sua carne, giocavano con le sue debolezze, aumentavano il suo amore nascosto e crudo nei confronti della donna che più amava sulla terra.
«Ti appartengo!» l'umana morse la lingua con forza, istigata dal pollice sottile che le sfiorò il desiderio ferocemente. Tennero gli sguardi gli uni avvinghiati agli altri per un tempo che parve infinito. Al minimo cenno di debolezza scaturito dalla serva, Rosaline imprimeva con astio colpi veloci e profondi, imponendole di dover tenere le iridi smeralde contro i suoi zaffiri.
«Tua e di nessun'altro...» mugolò a denti stretti Lilith, e gli occhi si annebbiarono di lacrime e piacere.
Anche il solo pensare che durante la sua assenza Frederick, suo creatore e padre di dannazione osasse toccarla, istigò in Rosaline un desiderio frustrante, simile a cento coltellate infisse nel costato. La morsicò ancora all'altezza della spalla, raccogliendo nella gola il gusto ferroso di quel sangue, strizzando gli occhi nell'avvertire le unghie di Lilith incastrarsi nella schiena.
Scosse di beatitudine percorsero le gambe dell'umana dilungandosi dal basso ventre fino alle guance, avvampate dal calore dell'orgasmo appena avvenuto. Strinse la presa attorno alle spalle avvizzite della vampira, concedendosi un lungo sospiro rotto da gemiti di appagamento.
Rosaline ritirò le fauci, accogliendo tra le braccia il corpo tremante dell'amata.
L'acqua era ormai fredda, le membra di Lilith parvero un cumulo di neve per quanto ghiacciate.
«Lilith?» mormorò Rosaline, alzandole il viso con due dita.
«Posso avere un ultimo bacio?» le domandò con gli occhi sbarrati dalla stanchezza.
Rosaline avvertì un conato di lacrime salire lungo la gola, ma nessuna goccia pura le varcò le palpebre. L'angustia preservata durante l'atto era svanita velocemente come polvere al vento, e Rosaline placò il tutto appena udita quella richiesta così innocua. Chiuse gli occhi, avvicinandosi al viso afflosciato e fiacco.
Lilith scostò il volto di qualche soffio, parlando in un sibilo di voce.
«Guardami».
Rosaline le sorrise teneramente, premendo con dolcezza le labbra contro quelle della compagna, abbracciandola nella disperata illusione d'infonderle calore. Si scambiarono un bacio ad occhi aperti, e un sorriso divertito comparve sulla bocca di entrambe.
«Ne sono uscita comunque vittoriosa, devi ammetterlo» le sussurrò beffarda la giovane serva, e Rosaline si concesse una risata abbozzata. Lilith era perfetta in tutto e per tutto. Le baciò con lo sguardo la forma delle gote marcate, il naso leggermente all'insù, gli occhi screziati di verde e lambiti da fiamme gialle sull'esterno.
«Un giorno ne usciremo entrambe».
«Promesso?»
La vampira corrucciò la fronte contro il suo naso.
«No, non prometto. Giuro».
La caricò sulle braccia, lasciando che si avvinghiasse dietro il collo e giacesse inerme contro il suo petto. Una bava d'aria fresca accarezzò il corpo dell'umana, e tremolii indicibili le istigarono la pelle d'oca, mentre gocce d'acqua si riversano sul pavimento antico.
Rosaline si apprestò a raggiungere il letto, grata del fatto che Lilith l'avrebbe condiviso con lei ancora per una notte.
Che fossero lenzuola, prati o paglia, non aveva nessuna importanza.
Avrebbero fatto l'amore per l'eternità.***Winkle ispezionò con attenzione il corridoio principale, muovendosi in punta di piedi per non destare sospetti. Eppure le pozze d'acqua che ingemmavano il pavimento rivelarono tutt'altro, tanto che la ragazzina ebbe voglia di ridere a crepapelle. Ma la risata le moriva in gola al solo ricordo del petto nudo del Conte dinnanzi al suo sguardo, le cosce perfette, la maliziosità racchiusa in ogni parola che le aveva rivolto.
Giunse dinnanzi la sua camera, una delle quattro libere al primo piano: a differenza delle tre rimanenti serve, Winkle dormiva solitaria in una delle stanze riccamente decorate del Conte. Il perché di quello squilibrio non le fu mai chiaro, ma cercò di non badarci, dormendo più di una volta stretta a Lilith che, nonostante l'età, amava accompagnare la piccola amante di Frederick in scorribande e fantasticherie infantili in giro per la residenza.
La serva avvolse le dita attorno al pomello ambrato, girandolo con lentezza. Investigò per l'ultima volta l'andito grande dai soffitti alti, vuoto e scarno di vita, infilandosi all'interno della stanza.
Nel voltarsi un urlo avvizzito le premette nel petto.
«Ma che diavolo...»
«Candice!» mugolò rossa di rabbia in viso, comprendo le nudità visibili a causa delle vesti umidicce. La vampira sospirò mestamente sigillando lo sguardo all'istante, imbarazzata più che mai.
«Si può sapere perché diavolo gironzoli così?!» esordì il Sicario, parando contro il viso le mani tremolanti di collera. «Che ti salta in mente, demonio!»
«Fa silenzio!»
«Come posso tacere se ti presenti in camera nuda e bagnata come un cane, avanti!»
Winkle le lanciò con far angustiato una suola bassa e consumata, mancando di proposito la vampira. «Inutile spiegarti...» ammise tristemente in un sospiro, gettando gli abiti a terra.
La ragazzina puntò lo sguardo sui piedi, in balia di una tempesta di pensieri vorticosi racchiusi nella sua testa. Le gocce d'acqua che sgusciavano tra un fronzolo e un ricamo della camicia, per un momento, la isolarono dalla realtà circostante. Quel ticchettio irregolare si confuse con i lampi fissi nel cielo e il forte tamburellare della pioggia contro i vetri della finestra, lasciando che l'animo della serva tornasse in quella vasca antica. Il suo cuore era ancora lì, coccolato con far pretenzioso dalle acque che avvolgevano il corpo del Conte in un abbraccio vacuo. Winkle fu assalita da un'ondata di perché limpidi come lastre di vetro, ma terse gocce di tristezza imperlavano la superficie luminosa del suo essere: Frederick le aveva rivolto attenzioni insolite, adulatrici e meschine a quale scopo?
Per istigarla a divenire più di una semplice alunna, serva, conoscente?
Candice scostò due dita dagli occhi, nella visuale presero forma un volto corrucciato e i seni ancora teneri della tredicenne. Winkle si riscosse dal coma di pensieri, avvelenandola con una sola occhiata.
«Beh... ancora non hai risposto alla mia domanda, fringuello!» si scusò acida la vampira, voltando meccanicamente il capo verso i vetri sudici di pioggia.
Winkle scandì l'ennesimo sospiro, titubante.
«Abbiamo fatto lezione».
«Lezione?» ripeté incredula, senza voltarsi. «Al freddo fuori? A giudicare dalla tua tenuta...»
«In una vasca».
«In una vasca da bagno?»
«Esatto» concluse l'umana, liberandosi dal fastidio delle vesti unte d'acqua e ricordi. «In una vasca da bagno. Bizzarro, no?»
«Mai quanto il Conte».
Winkle anelò un forte sospiro, divorando con gli occhi il suo riflesso nello specchio della toeletta.
Bianca quanto un sudario di neve.
«E' sempre stato così?»
Candice fissò per un momento le nudità della ragazzina, riflesse fiocamente contro i vetri bagnati.
«Non ho mai perso tempo a capire il mio padrone, Winkle. Ho sempre svolto il mio lavoro senza pormi troppe domande e... affidandomi a lui come giusto che sia».
«Posso immaginare che scocciatura!»
«Seguire una come te?» la vampira finse rammarico, lasciando trasparire l'ironia. «Beh, poteva andarmi peggio».
Candice l'aveva vista crescere, l'aveva protetta, contribuendo alla prigionia insensata di quel fringuello pur di non tornare tra le mani di Lady Romin. Lei che da sempre aveva ceduto all'istinto, da dieci anni a quella parte si ritrovò ad obbedire agli ordini del Conte pur di compiacerlo, dimostrandogli di essere all'altezza e dando prova delle sue abilità. Aveva sommerso il suo animo caparbio sotto tonnellate di sevizie, argento, grani di rosario, pur di divenire un valido Sicario. L'addestramento fu cruento, inaspettato e doloroso, ogni taglio e liquido che toccò il corpo di Candice, valse più di mille parole urlate al vento.
Che fosse masochismo o fedeltà, nemmeno lei lo seppe.
«Grazie».
«Ti ringrazi per?» domandò la vampira, e Winkle fece aderire al corpo la veste da notte.
«Per essermi accanto, nonostante io sia una scocciatura».
«Vorrei solo... che tu capissi qual è il tuo ruolo».
«Sono mai stata chiamata in causa in tutto questo, Candice?» domandò la serva con astio, asciugando l'acqua riversa a terra. «Sono l'unica che non ha ancora compreso?»
Che Winkle fosse allo scuro della sua responsabilità fu scontato, ma quel vortice di perplessità risucchiò per l'ennesima volta Candice nel baratro della verità: lo trovò ingiusto. Malvagio, ma qualcosa le suggerì di tener la bocca chiusa.
«Hai delle responsabilità, Winkle. Non crogiolarti in malesseri inutili e ringrazia l'onestà del Conte in quanto tuo padre adottivo e padrone. Non credo sia così difficile da capire, no?» le mentì su due piedi il Sicario, degludendo ma non lasciando trasparire bugie.
«Che senso ha l'insegnamento? L'educazione? Mi ha insegnato a leggere e scrivere, di questo non posso lamentarmi, eppure... le lezioni di violino, il suo essere dannatamente pignolo sul bon ton. A cosa può mai servire tutto questo ad una serva?»
«Se un giorno vorrai andartene, saprai adattarti» Candice parlò tutto d'un fiato, cercando nel profondo di consolarla.
«Vorrei e non vorrei... ma sono confusa».
«Saprai... decidere in futuro, credimi».
Winkle si rivolse a lei con un sorriso radioso.
«Già, forse è meglio aspettare».
«Ora fila a letto fringuello, è tardi».
Candice lasciò trasparire di proposito quei toni taglienti, tanto da istigare una sonora risata da parte della più piccola. Winkle si lasciò coccolare tra il tepore delle lenzuola, rivolgendosi al Sicario con un mormorio.
«Ah... Candice!» la fermò, premendo la voce contro il cuscino.
«Hai bisogno di qualcos'altro o posso svignarmela?»
«Potresti... potresti rimanere qui fin quando non mi addormento?»
Candice roteò gli occhi con far ribelle, ma quella richiesta le riscaldò l'animo.
«Sei proprio una scocciatura, Winkle».
La serva le sorrise di rimando.
«Grazie».

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