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"Edith" chiama una voce sottile, facendomi aprire piano gli occhi. Mi strofino il viso, per poi mettermi a sedere tra le coperte del letto.

Sbadiglio, guardandomi disorientata attorno. Fisso la coperta per qualche secondo, per poi riuscire a formulare un pensiero coerente.

'Chi mi ha chiamato?' mi chiedo confusa, scendendo dal letto. Poso i piedi sulla moquette fredda, aprendo la tenda bianca della finestra.

Un cielo stellato in piena notte mi fa aggrottare la fronte, ma prima ancora che possa formulare una qualunque versione di quello che sta succedendo, una pressione improvvisa sulla spalla mi fa voltare.

Faccio un balzo indietro, aggrappandomi al davanzale della finestra. Incrocio i miei stessi occhi, riconoscendomi nella donna di fronte a me.

'Cosa, cosa ci fai qui?' vorrei chiedere, ma le braccia sono ancorate alla finestra. La donna che mi ha messo al mondo, si avvicina, fino a sovrastarmi totalmente.

"Ricordavo di averti insegnato a parlare, o sbaglio?" mi domanda, mentre il mio cuore batte sempre più veloce.

«Edith, svegliati!» sento in lontananza, mentre tante voci mi dicono di urlare, sussurrano nella mia testa. «Edith!»

Apro gli occhi nuovamente, scorgendo il volto di mio padre, prima che le lacrime mi offuschino la vista. Mi metto a sedere lentamente, cercando di fermare le lacrime, inutilmente.

«Pensavo che fossero finiti, pensavo che tu stessi bene...» sussurra mio padre sconvolto. 'E sarebbe dovuto continuare così, non dovresti saperlo' penso scuotendo la testa.

'Lui sarebbe dovuto rimanerne fuori, non doveva venirlo a sapere'.

Quando sento che le lacrime non possono ritornare, mi allontano lentamente, strofinandomi gli occhi. «Era lei?» mi chiede solamente, sapendo benissimo la risposta.

Annuisco, per poi abbassare lo sguardo sulle mie mani, che stringono il lenzuolo candido. Lo vedo stringere le labbra, rimproverandosi per non essere riuscito a trovare una soluzione.

'Ma non c'è soluzione, sono così e così rimarrò... Ferita'

La porta di camera mia sbatte, facendomi succultare, seguita da quella del nuovo studio, annunciando l'uscita di mio padre.

Scuoto la testa, mi ero ripromessa che non sarebbe dovuto venire fuori dopo che, due anni fa, mi trovò stesa a terra che gridavo in preda ad un incubo.

Sospiro, infilando i miei piedi freddo nelle pantofole, per poi incamminarsi verso il bagno, per prepararmi per questo nuovo giorno.

*******
Sbadiglio, poggiando la testa sul pugno, cercando di tenere gli occhi aperti. Non sono l'unica nella mia classe a tentare di fare un sonnellino, anzi sembrano tutti molto poco interessati a ciò che sta dicendo il prof di scienze.

Julie affianco a me, sta scarabocchiando sul quaderno degli appunti, altrettanto annoiata dalla lezione. Sbadiglio ancora una volta, osservando con sguardo assente la lavagna.

Per me è sempre stato semplice stare attenta in classe, e seguire le lezioni, ma oggi sembra che il mio cervello si ricordi una sola cosa: 'Ho sonno'.

Al suono della campanella, scuoto la mia compagna di banco, per poi sistemare gli 'appunti' nello zainetto, con molta calma.

«Ma che ora è?» chiede Julie, guardandomi con confusione. Non sono sicura di essere quella più addormentata oggi. Ridacchio, per poi tirarla verso l'uscita dell'aula.

Sistemo la cartella sulla spalla, incamminandomi verso l'uscita dell'aula, ma a metà strada, mi incastro tra i banchi.

«Oh, ciao bellezza, non ti avevo notato, sembra che il destino ci voglia insieme» se ne esce Aaron, sorridendo sfacciatamente. Non riuscendo a trattenermi sbadiglio ancora, per poi disincastrarmi ed uscire dall'aula.

'Ho seriamente bisogno di caffeina e qualcosa da mettere nello stomaco' penso, avviandomi verso la caffetteria, dopo aver atteso Julie.

«Hey, aspetta!» attira la mia attenzione, e quella di alcuni studenti che passavano. Quando me lo ritrovo davanti alzo un sopracciglio, aspettando ciò che ha da dirmi.

'Dai, perché sei così tanto scontrosa, dopotutto ti ha procurato un po' di tempo con Mr capelli perfetti' mi schernisce la coscienza.

«Non siamo partiti con il piede giusto, sono Aaron Thompson» si presenta, allungando la mano verso di me. Sarebbe da incivili lasciarlo così ed andare a quella maledetta caffetteria?

Sospiro, per poi stringergli la mano, ma ovviamente essendo lui, mi tira la mano e ci lascia un bacio, per poi fare l'occhiolino e camminare nella direzione opposta.

Arrossisco, rimanendo per qualche secondo con la mano in aria, per poi scuotere la testa ed andare a prendere quel benedetto caffè.

«No, non puoi capire!» quasi urla Julie, «le ha baciato il dorso della mano come un vero gentiluomo!» continua, asciugandosi gli occhi dalle risate.

'A me non sembra così divertente, piuttosto è inquietante, magari è uno di quei fantasmi che sono legati alle case, e che devono trovare l'amore della loro vita per poter essere liberati, e...'

'Tu ti fai troppi film mentali, seriamente!'

'Sinceramente preferisco i libri, poi da quelli magari ci traggo anche il film, ma è sempre meglio il libro' detto questo, confermando la mia degradazione mentale, guardo l'espressione di Samantha, sconvolta.

'Ok, questo fa ridere' sghignazzo, osservando la reazione della ragazza.

«No, vabbè, ma stai scherzando?» strilla lei, agitando le mani,

«È per calmare gli ormoni che hai tanta fame allora?» mi chiede Samantha, sorridendo poco innocente.

'Poi dicono che sono io quella che si fa tanti film mentali' scuoto la testa, alzando gli occhi la cielo.

'Storia lunga' scandisco, per poi dare un morso alla mia ciambella. Questa mattina non mi andava di mangiare con mio padre, sempre se fosse uscito dallo studio.

«Thompson innamorato di una ragazza? Non pensavo di poter vivere abbastanza» spalanco gli occhi, guardandomi intorno.

Mi agito sulla sedia, fulminando Samantha e Julie, che ridacchiano, sorseggiando il caffè. Alzo gli occhi al cielo, bevendo la bibita ormai fredda, fulminando quelle due pettegole.

******
«Che cos'hai all'ultima ora?»mi chiede Samantha, dopo aver salutato Julie, che ha finito le ore per oggi. 'Motoria' le indico svogliatamente sull'armadietto.

«Che bello! Dai ragazza, un po' di allegria!» dice lei, facendomi pentire di averle offerto il caffè.

Le sorrido, per poi allontanarmi verso la palestra, anche se non sono sicura di dove sia. «Aspetta!» urla lei, avvicinandosi velocemente a me; «ti accompagno» aggrotto la fronte, ma annuisco.

«Allora... Come va con i tuoi due amori?» spalanco gli occhi, per poi scuotere il dito davanti a lei, mimando 'No' con la bocca.

Lei scoppia a ridere, per poi iniziare a saltellare per il corridoio. 'Ma come si può essere così entusiasti, e sprizzanti di gioia alle quattro del pomeriggio, a scuola?'

«Comunque, ti volevo chiedere una cosa...» rallenta lei, mettendosi al mio fianco, le faccio cenno di continuare.

«Perché non parli?»

'Già, perché non parlo? Bella domanda...' replico mentalmente, guardando le mie bianchissime scarpe da ginnastica. 'Mi dovrò cambiare, vero? Odio le divise della scuola' faccio vagare lo sguardo lungo il corridoio,sentendo uno sguardo insistente sulla spalla.

'Non fare finta di niente' mi avvisa la vocina interiore. Sbuffo, sentendo l'ansia prendere il sopravvento, 'Cosa dovrei dirle? Che mia madre mi ha odiato dal primo momento in cui mi ha vista? Che le sue parole mi hanno ferito così profondamente da rendermi la vita impossibile?'

'Questo, oppure potresti omettere tutto ciò, dicendo che le tue corde vocali sono strane o cose così...' detesto il pensiero di mentire ad una amica, ma di sicuro non voglio spiattellare il mio passato così facilmente.

Sospiro, sentendo le mani tremare, come ogni volta che mi ritrovo a mentire. Prendo il blocchetto che mi porto sempre appresso, dalla tasca della tuta ed inizio a scrivere.

'Perché ho una deformazione alle corde vocali, o una cosa del genere' con grafia insicura e tremolante.

Samantha, curiosa, legge velocemente quelle due righe per poi annuire soddisfatta, anche se nel suo sguardo sembra delusa da questa semplice spiegazione.

Le sorrido, per poi salutarla ed entrare in palestra. Un odore di sudore e legno ammuffito mi investe a pieni polmoni, facendo esibire il mio viso in una smorfia schifata.

Mi guardo intorno in un secondo momento, stupita dall'enorme quantità di posti a sedere sulle tribune intorno al campo. Ai due lati della palestra noto due enormi canestri da basket, sorridendo.

Mio padre ha sempre adorato quel gioco, come anche il football. Ricordo ancora quando ci sedevamo sul divano di casa, muniti di maglia portafortuna e pop corn, che puntualmente finivano ovunque ad ogni goal.

Mi avvicino ad un carrello pieno di palle, e senza pensarci due volte, mi piazzo a metà campo, prendendo la mira per il tiro.

Lancio la palla, saltando leggermente, facendole fare una parabola perfetta, che la fa arrivare precisa sul bordo del canestro e, di rimbalzo, dentro.

«Bel tiro» sobbalzo, voltando il viso verso una voce già sentita. Infatti incrocio gli occhi verde grigio di Oliver. Arrossisco, mimando un 'grazie' con le labbra, stupita che per una volta non sia il mio amato vicino.

'Ti piacerebbe'
'Anche no, grazie'
'Mi vorresti dire che non ti interessa per niente?'
'Perché dovrebbe?'
'A no, nulla... È solo un figo da paura che ti ha salvato da una caduta rovinosa'

«Non sei una di molte parole, ehm?» che originalità, davvero. Constato, mentre lo vedo allontanarsi verso l'uscita della palestra. Ora che ci faccio caso, perché ci sono solo io qua dentro?

«Ah» si ferma Oliver, girandosi nuovamente; «se sei qui per l'ora di educazione fisica devi andare nel campo di football della scuola» afferma guardandosi intorno, con voce annoiata, per poi uscire definitivamente.

'E io sarei di poche parole?'

Sospiro, per poi ritornare sui miei passi, seguendolo. Lo vedo camminare velocemente per il corridoio, sfruttando le gambe lunghe e snelle.

Sbuffo, cercando di raggiungerlo, per poi attirare la sua attenzione posandogli una mano sulla spalla. Lui si irrigidisce come un tronco, togliendo una cuffietta dall'orecchio, ecco perché non mi ha sentita arrivare.

Tolgo la mano velocemente, risentita per la sua reazione. 'L'avrò semplicemente preso di sorpresa' mi ripeto, per poi sorridere imbarazzata.

«Cosa c'è ancora?» si lamenta lui, per poi sospirare quando vede che sono solo io; «non sai la strada?» chiede fermandosi davanti la porta di un'aula, scuoto la testa felice che abbia capito.

«Beh, io ora non posso aiutarti, quindi... Ci si vede» risponde con voce arrogante, per poi entrare in classe. Sbuffo, infastidita dai modi di fare di quel ragazzo. 'È veramente odioso!'

Dopo altri dieci minuti in quel corridoio, senza sapere assolutamente dove andare, una ragazza mi si avvicina, chiamando il mio nome.

Ringrazio tutti i santi esistenti, mentre mi spiega che il professore ha pensato che sarei potuta essere qui, facendomi accompagnare.

'Non sapevo neanche ci fosse un campo all'aperto in questa scuola' mi dico, per poi seguirla.

«Peccato che oggi non ci siano i giocatori di football» sento dire da una ragazza, mentre mi ammazzo facendo cinque minuti di corsa.

Il professore, come 'punizione' per il mio ritardo, come se fosse colpa mia, mi sta facendo correre da più di dieci minuti intorno al campo, ed io sto per svenire davanti a tutti.

Non ho mai avuto fiato per correre o nuotare, infatti ho sempre odiato questi sport. Ed ora mi ritrovo seduta sull'erba, in una pozzanghera di sudore.

Non che faccia così caldo, siamo a Manhattan dopo tutto, ma non riesco ugualmente respirare nella divisa striminzita che mi hanno dato prima di iniziare.

Si tratta di un semplice pantaloncino rosa, ed una magliettina all'ombelico con la sigla M.H.S stampata a grandi lettere. 'Volete sapere perché ho una cosa del genere addosso?'

Perché avevano finito i completini normali, e hanno avuto la grandiosa idea di darmene uno per cheerleader. 'Cioè, stiamo scherzando... Io, una ragazza pon-pon? Ma anche no' mi lamento, asciugando il sudore dalla fronte con il dorso della mano.

'Effettivamente mi sembri più una sardina in scatola che una ragazza pon-pon'
'Grazie davvero del complimento, non saprei cosa fare senza di te'

«Palla!» mi giro, vedendo un pallone da football avvicinarsi velocemente nella mia direzione. Faccio appena in tempo per mettere le mani davanti il viso e bloccarla a pochi centimetri dal naso.

'E meno male che non c'erano i giocatori di football, di sicuro sarei sopravvissuta senza' impreco, per poi restituire il pallone con un lancio, prima che mi raggiungino per chiedere scusa e tutto il resto.

'Grazie papà, grazie per avermi torturato sin da piccola con la pallacanestro' sospiro, vorrei tanto dirgliene quattro, ma visto che non si realizzerà mai, meglio che mi allontani prima che si metta a piovere.

Il suono di un fischietto ci avvisa che la tortura è finita, e che possiamo finalmente tornare a casa.

Mi volto, incamminandomi verso gli spogliatoi della scuola, per potermi finalmente cambiare. Questa tutina non solo è minuscola, ma con questo vento ho l'impressione che possa volare via da un momento all'altro.

«Hey, tu! Bella presa» mi volto, incontrando lo sguardo di uno dei due e accennando un sorriso, e lui sorride avvicinando due dita alla testa, accennando al saluto militare.

«Forza ragazzi muovetevi, è più energica mia nonna di voi!» urla il coach. Sorrido divertita, allontanandomi dal campo.

Spazio autrice

Nuovo capitolo, spero vi piaccia, e che non vi abbia annoiato!

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Baci
Liar꧂

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