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Sto giocando con i cereali, sto fottutamente giocando con questi cereali da un quarto d'ora, ripensando a quante volte ho dovuto ripetere la notizia a Jasmine che continuava a ripetere 'non posso aver capito bene'.

Mio padre, anche se ha lo sguardo rivolto verso il giornale, come ogni mattina, seduto in cucina col suo caffè macchiato; ha un'espressione preoccupata, piena di domande.

Ma anche io ne ho una:
'È qui, e lo sapevi' gesticolo, dopo essermi schiarita la voce per attirare la sua attenzione.

Perché? Mi chiedo silenziosamente.

Non posso fare a meno di provare un minimo, profondo e nascosto piacere nel vederlo come io sono stata per anni, con le occhiaie viola, la bocca schrepolata e la pelle innaturalmente pallida.

So bene che non è abituata ad un Edith disubidiente, ma non ho intenzione di scusarmi. È lui che mi deve molto più di uno 'scusa'.

Flash back

"Perché ti ostini a darti la colpa, perché continui a far gravare tutto ciò che non va nella mia vita sulla tua coscienza!?" mimo, al limite della sopportazione.

"Io... Perché è questo il lavoro dei genitori, avere il peso degli sbagli, anche i più insignificanti, con la consapevolezza che questi possono ferire profondamente i propri figli"

Le sue parole mi lasciano di stucco, non so come siamo arrivati a discutere di questo; credo sia scoppiato dopo l'ennesimo sguardo spento, dopo l'ennesimo sorriso falso.

"E non ti chiedo di perdonarmi per quello che ti ho fatto, per non averti dato la persona che ogni bambina dovrebbe avere al proprio fianco, una persona amorevole che dovrebbe amare più di sé stessa la propria creatura..." mi alzo.

Mi alzo e scappo, scuotendo la testa, posando le mani sulle orecchie sperando che il rumore del battito del mio cuore cessi.

Sperando che quelle parole non incrinino l'apatia costruita durante il giorno, che si scioglie la notte, come un trucco pesante che si deve struccare la sera e ricostruire alla mattina.

Sbatto la porta della mia camera, regalando al mio corpo la possibilità di lasciarsi andare, di staccare le batterie di quella copertura che risucchia troppe energie, che oggi si è scaricata prima del tempo, prima che il sole si sia nascosto dietro la nebbia di San Francisco.

"Lo so che non vuoi ascoltare, lo so..." tu non sai niente! Non sai quello che provo ogni volta che mi stendo nel letto e la vedo, nei suoi vestiti eleganti. Una donna bellissima con un marito bellissimo, che ha commesso uno sbaglio grandissimo, me.

E che odia, mi odia, fino a rifiutarmi come figlia.

"Ma devi tornare a parlare" mi si blocca il respiro, il cuore fa così male, e le lacrime, ah quelle goccioline così cristalline, così trasparenti che riflettono la luce, sennò non verrebbero notate, che riflettono il dolore, sennò non verrebbero create.

"Ti supplico, ti supplico in ginocchio..." e sento un tonfo, un sordo rumore, e scivolo lungo la porta chiusa, fino ad arrivare a terra. E le lacrime bagnano il pavimento, i vestiti in macchie scure, irregolari.

"Parlami"

Fine flash back

"Lo so" sobbalzo, un po' perché mi ero persa nei ricordi, un po' perché, nonostante lo sospettassi, averne una conferma fa male. Fa così fottutamente male sentirsi all'oscuro di particolari tanto importanti.

'Come?' dico ancora, dopo aver battuto la mano sul tavolo, facendo traballare il caffè.

Non so che sguardo io abbia in questo momento, so solo che appena lo incrocia non riesce a sostenerlo neanche per un secondo, rivolgendo nuovamente al giornale.

"Ogni tanto parlavo con Margaret e Lucas Smith" i pochi amici universitari di mio padre che mi vanno a genio, per di più genitori di Louis, il ragazzo in questione.

Arriccio la fronte, confusa. Avrei dovuto aspettarmelo, perché avrebbe dovuto tagliare i legami con loro? Il fatto che loro figlio mi abbia abbandonata senza se e senza ma, non implica nulla.

Sospiro, ma perché ora, perché sono qui? O c'è solo Louis? Se ne sono mai andati da Manhattan i signori Smith?

"Il padre di Louis, Lucas, è malato" un altro sussulto e il cucchiaio, che per minuti è stato in equilibrio precario tra le mie dita, cade rovinosamente a terra, producendo un rumore stridulo.

"Per questo è tornato"

*******
Sono scappata, sono letteralmente scappata, lasciandolo lì, con lo sguardo fisso su quella carta inchiostrata.

Mi guardo intorno, e non posso fare a meno di ridere per l'assurdità degli eventi che continuano a sopraffarmi.

Prima di venire qui le mie uniche paure erano gli incubi che mi torturano la notte, gli sguardi di mio padre e i ricordi.

Ma questo, mescolare il passato con quello che ora sta accadendo, sta creando una macedomia terribile, una cozzaglia di stupidaggini senza il minimo senso.

Da quando in qua mio padre mi nasconde le cose?

'Ti vuole bene, e te ne ha sempre voluto, e lo sai' mi rimprovera la coscienza, in disaccordo con la mia innata rabbia verso il mio unico genitore.

Famiglia spezzata

È così che il giornalino o Lizzy Ky, o chi per lei ci ha definito, e non posso che essere d'accordo.

Say you don't (Dì che non lo fai) fende l'aria con le sue note leggere, avvisandomi dell'arrivo di una chiamata.

Un numero mai visto prima interrompe la mia meravigliosa colazione. Stringo le labbra, chiedendomi chi possa mai essere.

Ritorno sui miei passi, prendendo il telefono dal tavolo sotto lo sguardo attento di mio padre.

Premo l'icona del messaggio, per inviarne uno predefinito: 'solo messaggi' per poi chiudere ed aspettare impaziente un qualche tipo di risposta.

Uno sbuffo spazientito mi fa alzare lo sguardo, incontrando l'espressione corrucciata rivolta al giornale di mio padre. Stringo le mani attorno al telefono, sentendo un'innata voglia di sfogare la rabbia.

Ormai sulla soglia della cucina, sbatto, forse con troppa irruenza, la porta di vetro, che per miracolo non si è frantumata riducendomi come la verdura dopo essere stata tagliata da un giapponese.

Mi dirigo a passi veloci in salone, prendendo a girare in tondo col telefono tra le mani tremanti.

Ho trattenuto a stento le lacrime, che come ogni volta che mi arrabbio voglio uscire senza il mio consenso, facendomi sembrare debole ed insicura.

Il telefono squilla, avvisandomi dell'arrivo di un nuovo messaggio.

Sconosciuto:
'possiamo parlare?'

Stiamo scherzando vero? Prima mi chiama, poi chiede se possiamo 'parlare', sembra quasi che non sappia chi sono. E in effetti neanche io so chi è lei o lui.

Io:
'chi sei?'

Forse Louis? Oppure un'amica di Julie, non ho proprio idea di chi sia, e soprattutto di che cosa voglia parlare. Ma ho il terrore che sia un ragazzo di mia conoscenza, con cui ho fatto un casino.

Dimmi che non è lui, dimmi che non è lui...

Sconosciuto:
'scusami, mi sono dimenticata di dirtelo, sono Layla'

Un sospiro di sollievo svuotando i miei polmoni, chiudo gli occhi per il sollievo, per poi iniziare a ragionare.

Come fa ad avere il mio numero? Julie, sicuramente. Ma di cosa vorrà mai parlare?

Io:
Ah, ciao Layla, cosa devi dirmi?

Mi torturo, scombussolata da questa novità, felice che mi abbia contattata, spero sia per una cosa positiva.

Layla:
Possiamo incontrarci? Magari per fare colazione? Ho bisogno di parlare con un'amica.

Un sorriso spontaneo mi nasce sulle labbra, può sembrare stupido, ma il fatto che abbia bisogno di parlare con qualcuno, ed abbia contattato me, mi rende inspiegabilmente felice.

Io:
Certo, tra 20 minuti da Giody?

Corro in bagno a prepararmi, coprendo velocemente le occhiaie ed applicando un rossetto rosato sulle labbra.

Una nuova notifica mi fa rallentare qualche secondo, prendo velocemente il telefono dal lavandino. Giuro che se mi cade nell'acqua o nel water do la colpa al karma.

No, perché il fatto che tiri manate ovunque non c'entra nulla.

Alzo gli occhi al cielo, sbloccando il cellulare.

Layla:
Perfetto ♡

Sorrido, riprendendo la mia corsa sfrenata per prepararmi con non troppo ritardo.

*******
"Scusami per averti chiamata con così poco preavviso, hai già fatto colazione?" le sorrido, cercando di farle capire che mi fa solo piacere questo incontro.

Prendo il telefono ed inizio a digitare sulle note, facendo sorridere la mia amica.

'No, non ho fatto colazione'

"Allora entriamo così facciamo una bella colazione, così posso raccontarti" annuisco, per poi iniziare a tastarmi le tasche, spalancano gli occhi.

'cazzo, i soldi' sospiro sconsolata, prendendomi mentalmente a schiaffi. La mia pancia in risposta brontola, ricordando il latte e cereali che alla fine ho posato in frigo.

'Comunque non ho molta fame, non mi sento tanto bene' aggiungo, cercando di non sbavare davanti a tutto il ben di dio sul menù.

"Davvero? Sei sicura di poter restare, non vorrei averti fatto sentire obbligata in qualche modo, molte volte quando mia nonna mi chiede e posso fare shopping con lei io non vorrei per niente, però mi sento obbligata, cioè sai non è che le resti molto, e allora mi ritrovo con vestiti degli anni 70 che non indosserei nemmeno... "

'No no no, tranquilla, non mi sento obbligata e tu non sei in fin di vita' scrivo sul telefono, sperando che non capisca tutta questa messa in scena. Sono terribile, ma come ho fatto a dimenticarmeli?

Due cose dovevo portare, non duecento, ma le ho dimenticate ugualmente.

"La prendi almeno una cioccolata calda, sennò mi fai sentire sola, offro io" Sia lodato il cielo, annuisco felice, per poi guardarla con fare interrogativo.

"Me lo dicevi che era un fatto di soldi" ride, in risposta al mio evidente entusiasmo di fronte alla sua offerta. Sbianco, cercando un modo per uscire da un'altra delle mie situazioni.

"Sto scherzando!" dice dopo un po' la mia amica, osservandomi mentre sto per collassare dall'ansia. "Non è che ti mancano i soldi eh, cioè tuo padre..." scoppia a ridere, facendomi capire che mi stava prendendo in giro.

Sospiro, per poi farle la linguaccia con un'espressione fintamente imbronciata.

Entriamo nel bar, sedendoci ad un tavolino un po' più appartato degli altri. Da qui, riesco sempre a guardare un po' tutti, le mamme ancora assonnate, i bambini con il viso e le mani imbrattate di cioccolata, delle ragazze con libri e fogli che cadono ovunque. Mi piace.

Layla mi sorride, ma più si sistema su quella sedia, e più si scurisce in volto, per poi bloccarsi e guardare un punto vuoto, facendo sì che tutto il buon umore svanisca.

"Allora, non so da dove iniziare..." ammette, passando una mano tra i capelli, gesto che mi fa ripensare ad una persona, ma scaccio via immediatamente i ricordi, concentrandomi sulla mia amica.

"Quando ero più piccola, a quindici anni credo, incontrai un ragazzo, e me ne innamorai quasi istantaneamente. La sua dolcezza, i suoi modi protettivi, per me erano una cosa mai sperimentata prima" annuisco, sorridendo all'idea di una sorridente e luminosa Layla alle prese con la sua prima cotta.

"in quel periodo avevo problemi a casa, sai genitori assenti, litigi, cose del genere" continua a raccontare Layla con sguardo perso, mentre naviga tra i ricordi dolorosi della sua adolescenza.

"per me era un angelo, un qualche tipo di ricompensa o aiuto da qualcuno che sta più in lato di me e di te, ma riuscii a rovinare anche quell'unica nota positiva" stringo dolcemente le sue mani, quando noto che iniziano a tremare.

Quando penso a ciò che mi è successo in passato, quando vado troppo a fondo nei ricordi, mi iniziano a tremare le mani, le labbra, segno che questi ultimi mi stanno assalendo con troppa violenza.

Le stringo le mani, incrociando il suo sguardo, il suo vero sguardo. Non quello della solare e energica ragazza che saltella per i corridoi, no. Ma quello di una donna ferita che ha bisogno di parlare e parlare.

"Litigammo, gli dissi delle cose terribili dopo ben due anni di fidanzamento, e lui se ne andò" conclude con un singhiozzo trattenuto, che mi fa tremare leggermente.

Non sopporto quello sguardo nelle persone, perché so cosa si prova ad averlo. Cosa si è provato per averlo.

È come una clessidra, per un po' di tempo riesci a nasconderlo, ma quando i granelli si raggruppano tutti da un lato il peso del dolore diventa troppo pesante e allora piangi, ti arrabbi, urli, e quella si rigira, ricominciando il conto alla rovescia.

"Signorine cosa volete ordinare?" sussulto e non poco, nel sentire la voce del cameriere al mio fianco. Guardo di sfuggita Layla, che si passa velocemente le mani sul volto per poi esclamare:

"Allora per me un muffin ai frutti di bosco ed un tè classico, mentre per la mia amica una cioccolata calda bianca" elenca con una tranquillità destabilizzante, sorridendo anche se non come al solito.

"Perfetto, alcuni minuti e sarà tutto pronto" risponde il cameriere dopo aver segnato tutto, per poi passare ad un altro tavolo.

"Eh beh, a questo punto ti starai chiedendo cosa ti racconto a fare di tutti questi avvenimenti di ben quattro anni fa" mi sorride lei comprensiva.

Aspetta, che!? Ha detto che aveva quindici anni, quindi ora ne ha...

"Si ho diciannove anni, sono stata bocciata due volte, quello non è stato esattamente il mio periodo migliore.

Annuisco, ancora sconcertata, ma guardandola con ammirazione. Dopo tutto questo è comunque riuscita a riprendersi, a continuare al meglio.

"Tornando a noi, ti ho detto tutto questo per farti capire la mia situazione attuale, il ragazzo dell'epoca, beh... Potrei averlo rincontrato un mese fa"

Spazio autrice

Ed ecco qui un nuovo capitolo!

È finita la scuola, ma per Edith è appena iniziata... Come sono andate le pagelle?

Chi sarà il ragazzo in questione?

Baci
Liar꧂

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