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Cap. 8 - Un Palazzo inesistente.

La giornata finì subito, sia Ren che Yusuke erano molto stanchi. Yusuke soprattutto, da prendere subito sonno sul letto una volta tornato a casa. Ren, invece, sgattaiolò fuori e rientrò nel bar per parlare da solo con Goro. Lentamente inserì le chiavi e le girò cercando di non fare rumori assordanti.

«Ren? Oggi non ti stacchi da me, vero?», domandò la voce di Goro dalla stanza.

Ren con cautela si avvicinò al retro del bar, fermandosi accanto alla porta semi aperta della stanza in cui si trovava Goro steso sul suo letto e senza maglia, immerso nei suoi pensieri. Entrò e notò il buio della camera se non solo la luce del lumino vicino al letto che lo illuminava per metà busto.

«Tutto quel che abbiamo fatto andrà nel dimenticatoio. Per me però, sarà difficile. Ho sentito come mi avvolgevi a te e i tuoi baci mi hanno portato in un altro mondo. Cosa vuoi? Se vuoi vendetta prendi la pistola, puntala di nuovo alla mia fronte e sparami», disse, con sfacciataggine.

Goro non rispose, trattenendo un urlo in gola.

«Perché non mi racconti ciò che hai vissuto nel Metaverso? Almeno potrò capire meglio il motivo dei tuoi atteggiamenti», chiese Ren, arrossendo sul viso.

Goro si alzò da letto e si fermò di fronte al corvino. «Non ne ho bisogno, perché tu perderai anche questa battaglia, Joker. Non avrai il tempo necessario che io avrò già vinto di nuovo... Checkmate», sussurrò vicino al suo orecchio. 

Ren cominciò a perdere stabilità nelle gambe, il modo in cui Goro pronunciava lo 'scacco matto' in lingua inglese con voce bassa e sensuale gli dava i brividi. I due erano soliti incontrarsi al bar per discutere di varie faccende negli anni precedenti, tra cui i casi studiati dal detective. 

Quello 'scacco matto', infatti, aveva un significato molto profondo.

Ren e Goro, nei tempi in cui il caso sui Ladri Fantasma impennava tra le bocche della gente di Tokyo, spesso giocavano a scacchi quando il corvino aveva una pausa dal suo lavoro di barista, con Goro che vinceva tutte le volte. 

Fu questo pensiero che portò Ren a non resistere alla tentazione, riconducendo le parole di Goro come qualcos'altro, una metafora usata per descrivere il loro rapporto.

«Lasciami perdere, detective. Non ho intenzione di essere sfruttato e poi essere ucciso dal mio nemico senza averci prima lottato per l'ultima volta. Lo faremo, e io sarò pronto a combatterti», esclamò, rigirandosi verso il detective.

«Oh, e toglimi una curiosità: come sei entrato in casa?», aggiunse.

«Yusuke ieri mi ha dato le chiavi di casa, giusto per farmi riposare nel salotto o usare il vostro bagno. Una grande cosa per me, per spiarti quando ti spogli», Goro provocò Ren, leccandosi le labbra. Ren s'immobilizzò con le braccia perpendicolari ai fianchi, sudando.

«Bene per te, allora», ansimò.

«Che gentile che sei», Goro ghignò e cominciò a ridere, allora Ren retrocesse e strinse la presa sul suo collo, ma il detective resse la mano.

«Una perdita di controllo... e sarò io a uccidere te», lamentò Ren. Goro gli si avvicinò e gli abbracciò la schiena, scivolando le mani guantate di nero dall'odore di pelle nuova appena uscita dal negozio, ed entrarono nella maglia bianca. 

«Allora posso anticiparti e strangolarti con la mia cravatta?».

«Fallo», comandò Ren con fierezza, sapendo che il detective non lo avrebbe fatto.

«Troppo facile», disse Goro, dopo aver sputato la peggior risata mai tirata fuori dalla gola. 

«Yusuke mi ha dato del contante e in prima mattina sono andato in giro per negozi, trovando vestiti buoni per la mia personalità», sbottò, poi riprese a parlare, dopo una lunga pausa di silenzio.

«Ora vado a casa, mi faccio una doccia e li indosso così ti puoi riprendere la tua roba da quattro soldi. Mi spiace solo per la cravatta a strisce mezza rotta di Loki. Posso evocarlo anche senza, non m'interessa».

Goro lasciò Ren nel bar e si diresse a casa, chiudendosi nel bagno.

Ren si accinse timidamente verso la direzione opposta e recuperò i suoi vestiti, posandoli sul braccio e annusandone il profumo di Goro su di essi, ch gli annebbiava la vista. Immerse allora la testa nei capi tanto da appannare le lenti degli occhiali, in seguito corse a casa anche lui, nella stanza lavanderia, e posò i vestiti nel cestino della roba da lavare.

«Sono pazzo adesso, non posso credere di aver fatto delle cose con lui... senza avere la faccia tosta di dirlo a Da Vinci, l'avevo detto che non ero quello giusto per avere la responsabilità di una forza maggiore!» gridò, poi si guardò il volto in uno specchio situato sul muro del corridoio.

«REN? JOKER? CHI SONO IO?!», urlò.

Si alzava su tre piani e possedeva più di duecento stanze che avevano ogni genere di trappola e pericolo, un ampio e lungo corridoio divideva quelle del lato sinistro da quelle del lato destro. Nel suo complesso somigliava a una comune stazione di polizia.

Vicino alla porta d'ingresso un'iscrizione a rilievo sulla pietra recitava Stazione di Polizia del Sommo Akechi, e davanti c'era un'intera squadra di poliziotti ombra.

L'ombra di Akechi si manifestò, era potente.

Ren, quella notte, si alzò dal letto e si vestì, poi sottovoce disse "Akechi Goro" e "Stazione di Polizia Akechi", l'applicazione rispose "Esatto" e si teletrasportò nel nuovo Metaverso, voleva incontrare Goro Ombra da solo.

Aveva nella mano destra la pistola, a sinistra il pugnale, e da solo camminava la strada deserta finché si trovò davanti l'enorme edificio con ingresso protetto dai poliziotti Ombra.

Strinse il pugnale e fortunatamente entrò nello stesso momento in cui alcune Ombre si avvicinarono alla sua schiena per attaccarlo, uccidendole tutte con un taglio netto. 

Fece un salto e un atterraggio d'effetto, battendo il pugno destro in mezzo alle gambe aperte alla fine, gambe così magre da dare spazio alla visione delle tre code del suo giaccone che giocavano al ritmo della mossa. 

Dopo si eresse lentamente e lo sguardo dietro la maschera bianca s'illuminò di luce blu intensa.

Era nell'ufficio di Goro Ombra, ma lui non c'era. Il corvino chiuse gli occhi dietro la maschera e pianse poche lacrime di rabbia. «Se solo penso ai baci che il te fuori da questo schifo mi ha dato, mi verrebbe da vomitare! Ti hanno odiato fino alla fine, poi ti sacrifichi. Cosa volevi ottenere?».

Invaso dalla rabbia, Joker col pugnale distrusse la scrivania, il vetro della finestra, e con un altro eroico salto uscì dall'edificio e si teletrasportò nel mondo reale, lasciandosi alle spalle ciò che vide nel Palazzo di Goro Akechi.

Tornò nella camera da letto con il mal di testa, lo smarrimento dei dintorni e un giramento lo fece cadere sul letto di fianco, balzando così forte da svegliare Yusuke, il quale si spaventò vedendolo accanto a lui con le gambe e braccia aperte, e occhi persi nel vuoto, che fissavano il soffitto. Subito gli scosse la spalla e lo riportò in sé, urlando.

«AH!».

Yusuke gli accarezzò il viso e gli baciò la fronte. «Un altro incubo?».

«Già...», mugugnò Ren, tenendo lo sguardo basso e stendendosi sul letto. Yusuke lo guardò con confusione, ma conoscendolo sorrise e riprese sonno.

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