Capitolo 35
William Altri quarantacinque minuti e tutta quell’ansia sarebbe sparita; dovevo solo vederla, assicurarmi che stesse bene mi avrebbe di sicuro tranquillizzato. Da quando, ore prima, avevo sentito il trambusto emotivo di Anima, non riuscivo a calmarmi. I suoi messaggi, poi, erano stati asettici e non capivo il motivo, se per il sogno o per altro. Forse aveva dei ripensamenti su di noi? Non ne sarei stato certamente felice, anzi, la cosa mi avrebbe distrutto, ma era comprensibile: lei era una ragazza giovane che all’improvviso aveva scoperto che l’impossibile era solo un limite imposto dalla mente umana, e non solo doveva caricare il peso di tutto sulle sue esili spalle, ma anche fare i conti con un'anima antica e un amore altrettanto antico. Dovevo smettere di pensarci, era certamente una possibilità ma per il momento non volevo prendere inconsiderazione l’idea che lei non volesse stare insieme a me. C’era anche altro che mi rendeva ansioso, ma me ne sarei occupato più avanti. Presi il cellulare che avevo lasciato sul sedile del passeggero e controllai se fosse arrivato qualche messaggio, ma non c’era niente. Non sapevo se esserne sollevato o preoccupato, così decisi di scrivere a Tom. “Come procede?” Dopo dieci minuti, ancora nessuna risposta. Avviai la chiamata, volevo un aggiornamento e non mi piaceva il suo silenzio… ma niente, Tom non rispondeva. Provai a chiamare Kate e neanche lì ebbi fortuna. Da mio fratello mi aspettavo questo e altro, nel suo lavoro era il migliore ma a eseguire gli ordini non era altrettanto bravo, ma Kate era tutta un’altra cosa; lei eseguiva sempre alla lettera le mie istruzioni e io ero stato chiaro
– tenermi al corrente di tutto ed essere sempre reperibili–
Non ebbi il tempo di continuare a preoccuparmi del cellulare, perché una sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco mi investì. Avevo il presentimento che stesse per capitare qualcosa di terribile; era una sensazione simile all’ansia, ma durò solo un momento, poi sparì così com’era arrivata.
“Dove diavolo sei?”
Provai nuovamente con i messaggi, questa volta indirizzati a tutti e due. “Dove sei?” fu la risposta di Tom. Aveva sviato la mia domanda.
“Mezz’ora e arrivo, tutto bene?”
“Sì”
Non era vero, Tom era logorroico anche tramite SMS, mi nascondeva qualcosa. Mi concentrai sulla guida, era ovvio che non avrei ottenuto niente in quel modo. Dovevo arrivare il prima possibile.
***
Ero quasi arrivato da Anima quando, per un brevissimo lasso di tempo, dei sentimenti contrastanti, che non appartenevano a me, m'investirono… Anima!!! Parcheggiai alla bene e meglio e scesi di corsa, ritrovandomi davanti due dei miei uomini. Zed, con il suo solito fare calmo, mi si avvicinò. «Bentornato». Non avevo tempo per i convenevoli.
«Potete andare a riposare, ci penso io ad Anima». Mi girai avviandomi in casa, ma Zed mi fermò, non aveva capito la mia urgenza nel vederla.
«Zed, amico, non ho tempo per…»
«Non la trovi in casa», mi disse, esitando un attimo per paura della mia reazione, «è al negozio».
Stavo per perdere la pochissima pazienza che mi rimaneva, mi sentivo come se fossi una bomba a orologeria pronta per scoppiare. Perché diavolo non era in casa?
«Zed, puoi gentilmente ripetere? Perché penso che la mia età mi stia giocando uno scherzo. Hai forse detto che i miei uomini più fidati hanno disubbidito al mio ordine di non far uscire Anima di casa?»
Potevo sembrare calmo ma non lo ero, non lo ero per niente; avevo dentro una tempesta che stava per abbattersi su Tom, lo avrei fatto a pezzi.
«Tom» fu l’unica parola che uscì dalle sue labbra, come se quel nome spiegasse tutto. Tornai in macchina senza proferire parola, era la volta buona che mi cercavo un altro braccio destro. Lo squillo del mio cellulare mi distolse dai pensieri omicidi, risposi subito.
«Katherine»
«Sono morta, lo so, non usare il mio nome per rimarcare l’ovvio».
Aveva ragione, quando usavo il suo nome per intero erano guai seri per lei. Avevamo imparato a conoscerci nei minimi partiparticolari nel corso degli anni e il fatto che l’avessi allenata io ci aveva legato ancora di più.
«Dove sei?» La sua voce era agitata. «Due minuti e sono al negozio. E hai ragione: non sono contento, per niente».
«E lo sarai ancora meno tra poco, Will. Anima è sparita, pensiamo che abbia eluso di sua spontanea volontà la sorveglianza».
«Ha fatto cosa???»
Avevo sentito ma non riuscivo a crederci. Perché la mia Enaid avrebbe fatto una cosa del genere? Una cosa tanto stupida. Credevo di essere stato chiaro quando le avevo spiegato la minaccia che incombeva su di lei.
«Ha convinto Tom a portarla in libreria, lui l’ha affidata a me e poi è scomparsa»
Quindi, a sbagliare non era stato solo Tom, anche Kate aveva fatto la sua parte in quel casino.
«Arrivo»
Provai a chiamare Anima, che, una volta ritrovata e baciata a dovere, mi avrebbe sentito, ma il cellulare squillava a vuoto e poi partiva la segreteria. Che stava combinando? Mi aveva promesso che sarebbe rimasta a casa, non sapevo cosa pensare. Mi massaggiai il petto con una mano quando iniziò a mancarmi ilrespiro e poi smisi di sentirla; avevo il vuoto dentro, le era successo qualcosa di grave. Parcheggiai e uscii di corsa dalla macchina, entrai nel negozio e trovai Tom e Kate. La rabbia si fece largo dentro di me insieme alla paura di perdere nuovamente la mia Enaid, offuscando ogni mio pensiero razionale e facendomi uscire definitivamente di senno. Presi mio fratello per la gola e lo alzai da terra, sotto gli occhi impotenti di Kate e quelli sbigottiti di Abbie, che guardava la scena dall’ingresso del bar, terrorizzata. In quel momento non mi interessava di nessuno, ormai la priorità era ritrovare Anima e anche sfogarmi un po’ sul colpevole.
«Le è successo qualcosa, l’ho sentito, Tom. Ho il vuoto dentro ed è colpa tua, era sotto la tua custodia», gli urlai in faccia.
«Prega perché riesca a trovarla sana e salva o non risponderò di me».
«È colpa mia quanto sua, lascialo andare e andiamo a cercarla»
Kate provò a farmi ragionare. Lo lasciai cadere e si afflosciò a terra, alzandosi pochi secondi dopo massaggiandosi il collo.
«Com’è potuto succedere?» chiesi, trattenendomi dal polverizzarli. Poi, con voce più bassa, ripetei quello che non riuriuscivo a digerire.
«Poco prima di arrivare qui l’ho persa, non la sento»
«Non è possibile, a meno che…» Kate stava dando voce alle mie più grandi paure.
«Non lo pensare minimamente e non provare neanche a dirlo», urlai, e con la coda dell’occhio vidi Abbie sobbalzare e uscire dallo stato di trance in cui era caduta.
«Chiudi il negozio», le ordinai, e lei eseguì senza fare domande. Quando le due ragazze che erano al bar uscirono, diede due mandate di chiave e mise il cartello con la scritta “chiuso”.
«Che cosa sta succedendo, Will?» Parlava a me, ma in realtà guardava Tom cercando una spiegazione, si fidava di lui. «È successo qualcosa ad Ani?», chiese, tappandosi la bocca con le mani.
«Non lo sappiamo ancora. Ti prego di stare calma, devo capire la situazione e andare a prenderla, ovunque si trovi. Ti posso solo promettere che farò qualunque cosa per farla ritornare». Stavo dicendo il vero, Anima era la mia vita, nessuno al mondo poteva tenere a lei più di me. Cercando di riorganizzare le idee, ripresi a parlare.
«Adesso ho bisogno di sapere esattamente cos’è successo, e Tom… prega che non le sia stata strappata neanche un’unun’unghia o ti faccio a pezzi. Non è una minaccia, è una promessa».
Lui si passò una mano dietro al collo per mascherare il suo stato d’animo, ma io lo conoscevo bene, come e forse più di me stesso; era agitato non per le mie parole ma perché teneva a lei, ed essere la causa della sua sofferenza lo stava dilaniando.
«È colpa mia, mi ha convinto a portarla qui…» Mi raccontò per filo e per segno quello che era successo e da subito mi fu chiaro che lo avesse raggirato, il perché era un mistero. Cosa l’aveva portata ad agire con una tale impulsività? «Io ho sostituito Tom, non abbiamo risposto alle tue chiamate perché eravamo impegnati a discutere le scelte di Anima. Quando sono rientrata nel negozio, lei è andata al bar con Abbie e poi è sparita». Ci girammo tutti a guardare la nostra amica. Mi avvicinai ma lei, vedendo la mia faccia arrabbiata, indietreggiò. Mi dispiaceva metterla in soggezione o farle paura, ma in quel momento ero fuori di me e non potevo essere affabile con lei. «Abbie, tra poco Kate ti metterà al corrente della situazione, ma ora la priorità è Anima. Abbiamo scoperto chi è lo stalker che le sta dando la caccia e le avevochiesto di rimanere in casa ma, a quanto pare, o non sono stato molto chiaro o la tua amica è un’incosciente». Provai a manipolare un po’ l’informazione, così da non spaventarla «Ora potrebbe essere in pericolo, per questo ho bisogno che mi racconti esattamente cosa vi siete dette».
«Non ci capisco nulla, Will». Si passò una mano sul viso, di sicuro era confusa dalla situazione ma anche da quello che aveva visto. Non ero stato molto discreto quando avevo alzato Tom per il collo con una forza che di umano non aveva niente, infatti continuava a guardare me e lui.
«È pericoloso? Perché non ci ha detto niente?», chiese.
«Non voleva far preoccupare né te né quell’altro». Vista la situazione, non avevo voglia di mostrarmi più civile di così. Ancora non mi andava giù il modo in cui il suo amico la abbracciava e baciava, senza pensare che avevano anche dormito insieme.
«Ora dimmi quello che vi siete dette questa mattina».
«Abbiamo parlato di David, non risponde al telefono da qualche giorno. Si deve trasferire per il college, per questo non sta venendo spesso in libreria, ma da lì ad arrivare a non risponder alle telefonate…»
Dovevo fermarla, stava divagando e non arrivava al punto. Non avevo tempo da perdere, ogni secondo era vitale.
«Abbie, ho bisogno che ti rilassi e che mi dica se sai dove può essere andata. Ti ha fatto capire le sue intenzioni o ha detto qualcosa di strano?» Ci pensò un secondo e poi spalancò gli occhi. «Ha chiesto la mia macchina in prestito, come ho fatto a non capire? Lo so, può sembrare normale, ma lei odia guidare; non guida da anni, da prima che Angelique morisse. Ha detto che doveva andare da lui… da David». Si agitò ancora di più: «Oddio, aveva urgenza di vederlo. Gli sarà successo qualcosa, sono sicura, perché era veramente in pensiero, e qui l’ansiosa sono io. È successo qualcosa, Will».
Non potevo rassicurarla, e in realtà, in quel momento, non me ne fregava niente del suo stato d’animo; la priorità non era un’umana sconvolta, quanto l’incolumità della mia Enaid. Non ebbi bisogno di chiedere l’indirizzo di David, avevo già fatto delle ricerche approfondite su tutte le persone che facevano parte del mondo di Anima, perciò avevo le informazioni che mi servivano.
«Tom, con me! Kate, occupati di lei», dissi indicando Abbie, che, ancora più di prima, era un fascio di nervi. Le avevo fatto capire che i suoi due amici erano in pericolo e non sapeva realmente quanto lo fossero. Ero furioso anche con Anima. Modriam era sulle sue tracce e lei cosa aveva fatto? Si era messa al collo un bel cartello con la scritta “sono tutta tua, traditore bastardo”.
«Will, forse Tom…», esordì Kate. Sapevo già cosa volesse dirmi, ma non avrei cambiato idea e glielo feci capire con uno sguardo. Tom sarebbe venuto con me, non me ne fregava niente del tipo di relazione che c’era tra lui e Abbie. Kate si alzò sulle punte – era molto più bassa di me – e mi baciò sulla guancia. «La troveremo».
«Il contrario non è un’opzione». Uscii dal negozio come se avessi il diavolo alle calcagna e Tom mi seguì. Era mortificato e aveva ragione a esserlo, perché con la sua disobbedienza e la sua leggerezza aveva messo in pericolo Anima e il futuro del Consiglio, ma avevo anche l’impressione che lei avesse usato tutto l’ascendente che aveva su di lui, anche senza sapere di possederlo. Tom era statdi sicuro raggirato da quella piccola tigre… sorridere mi venne spontaneo.
«Cosa ti ha detto, di preciso, per convincerti?» Il mio tono neutro non lasciava trasparire niente. Salimmo in macchina e lui si accomodò accanto a me, borbottando parole di rimprovero per se stesso, infine parlò.
«Quella ragazza cerca guai. Ha fatto un’interpretazione da Oscar raccontandomi di un sogno, una presunta premonizione, per convincermi che era preoccupata per il suo amico e per Abbie». Era stata veramente furba, perfida direi; aveva usato il debole di quel Don Giovanni di mio fratello per la sua amica, «e poi, con quella cosa che era il capo del capo del mio capo, mi ha steso». Non potei trattenere una vera risata: dopo tanti anni, quella ragazzina riusciva ancora a sorprendermi, aveva bisogno di essere messa in riga. Quando mi tornò in mente il motivo che ci vedeva sulla via di casa di David, tornai serio e pregai che la sua bravata non avesse risvolti tragici. Provai, strada facendo, a pensare positivo ma, arrivati a destinazione, Tom scese e andò verso l’ingresso ancor prima che io fermassi la macchina. Questo voleva dire solo una cosa, problemi. Lasciai l’auto inmezzo alla strada e lo raggiunsi. Lui era fermo davanti alla porta di casa. «È successo qualcosa, William. C’è sofferenza, la sento, e la porta è aperta». Tom era empatico in un modo diverso da me: non solo sentiva gli stati d’animo delle persone, ma anche quelli che impregnavano un posto. «In casa non c’è nessuno». Dall’interno dell’abitazione non proveniva nessuna fonte di energia. Mio fratello seguì l’origine della sofferenza e si fermò una volta arrivato in cucina, io lo seguii e rimasi paralizzato dalla scena che ci trovammo davanti: era tutto sottosopra e c’era l’odore pungente del sangue. Un brivido mi percorse la schiena ed ebbi paura che le gambe non mi reggessero. Che cosa era successo? Mi accasciai e mi presi la testa fra le mani. Avevo fallito, nuovamente. Le avevo promesso che tutto sarebbe andato bene, che l’avrei protetta; invece, non solo non avevo mantenuto la parola, ma non sapevo nemmeno se… se stesse bene. Mi alzai di scatto, con tanta di quella rabbia da rischiare di fare a pezzi l’intero mondo, anche se iniziai con quello che avevo più vicino.«William, fermati, fermati!», urlò Tom, provando a distogliermi dal momento di follia. Mi sbatté al muro, ma io non potevo pensare di aver commesso un altro errore, e vedere la faccia di mio fratello, che non era stato in grado di eseguire un semplice ordine, di tenerla in salvo per qualche ora, mi fece perdere ancora di più la testa. Lo spinsi e, mentre indietreggiava, lo presi per il collo e lo schiantai a terra, spaccando le mattonelle dov’era atterrato. Lui rimase fermo e questo non calmò per niente il mio animo.
«Reagisci, Tom!» gli intimai, ma lui non si muoveva. Gli diedi un pugno, ma niente. Aspettava che io mi sfogassi e la sua passività accrebbe ancor più la mia furia cieca. Mi abbattei su di lui fin quando vidi il sangue color oro uscire dal suo labbro spaccato e dallo zigomo, anch’esso in stato critico.
«Non penso sia suo», gracchiò lui con la voce roca e tossendo.
«Il sangue, non penso sia suo».
Il viso di mio fratello stava già guarendo e io ringraziai che non fosse mortale, altrimenti lo avrei ucciso. Mi lasciai cadere sul pavimento, frastornato. «Non puoi saperlo».
«Posso, e lo sapresti anche tu, se non fossi accecato dalla rabbia. Se è stato Modriam a prenderla, di sicuro ha un piano più contorto che ucciderla in un posto anonimo e privo di significato come la cucina di quel David. E poi è sangue umano». Ero troppo sconvolto per rendermi conto di quel particolare, ma Tom aveva ragione: in effetti era umano, sicuramente di David, mentre Anima era in una fase di transizione. Inoltre, il sangue era poco; lì non era morto nessuno, avremmo sentito il tanfo. Questo ci metteva davanti a una nuova certezza: Modriam aveva l’aiuto di qualcuno con poteri magici, qualcuno che stava celando l’anima della loro preda alla mia, poiché l’unico modo per smettere di essere legati era la morte. Mi alzai di scatto e Tom mi seguì.
«Cerchiamo qualche indizio su dove possano averla portata, stiamo perdendo tempo».
Mio fratello si alzò, pulendosi i vestiti e commentando che non era stato lui a fare una pausa con il sacco da box, ma feci finta di non sentire. Non provavo alcun rimorso per averlo ridotto in quello stato. Il mio telefono squillò e gli feci cenno che si trattava di un numero sconosciuto;subito Tom iniziò a trafficare con il suo cellulare per comunicare con la base e rintracciare la telefonata. Mentre rispondevo e attivavo il vivavoce, ebbi la sensazione che la conversazione non mi sarebbe piaciuta.
«Pronto».
«Angioletto, il fallimento ti calza a pennello; come si dice, “fallisci una volta e fallisci per sempre”. Come ci si sente?» Il tono da esaltato di Modriam mi faceva venire voglia di sterminare la sua razza di traditori.
«Se le capita qualcosa, Modriam, sei morto. Anzi, sei morto comunque». La sua risata fu la risposta che ottenni e fu benzina per la mia rabbia.
«Maleducato angioletto, vedo che ti sei reso conto che ti manca qualcosa di molto prezioso, che penso tu rivoglia indietro». Il suo tono canzonatorio era un evidente segno di quanto godesse della situazione.
«Ti troverò», dissi con la voce più calma possibile. La rabbia non mi avrebbe portato a niente, dovevo essere lucido. «Mi divertirò a farti soffrire e quando mi sarò stancato di giocare con te, e non credo che accadrà tanto presto, ti passerò al Consiglio, sai Modriam? Hanno una gran voglia di vederti». In tanti avevanoperso la vita per mano sua e degli altri traditori.
«Morire, per te, sarà un regalo. Lo implorerai».
Sentii il suo respiro spezzarsi. Durò un attimo, ma a me bastò per scorgere la sua debolezza.
«Mio caro, pensi veramente di farmi paura? Ma non divaghiamo, chiamavo per darti un consiglio da amico: cambia lavoro, non è la prima volta che non riesci nel tuo compito, e se non sei nemmeno in grado di proteggere ciò che ami…» Lasciò la frase in sospeso, riportando a galla la rabbia per il mio fallimento.
«Guarda il regalo che ti ho inviato, mi auguro che lo apprezzerai», disse ancora. Il bip del cellulare mi avvisò dell’arrivo di un messaggio. Era una fotografia, che aprii con la paura di ciò che avrei visto.
Mi sentii svuotato: Anima era riversa a terra, svenuta. Tom mi fece cenno con la testa, avevano rintracciato la provenienza del segnale, ma qualcosa mi diceva che non dovevamo festeggiare; Modriam era un vampiro millenario, sapeva che avrei provato a rintracciarlo ed era troppo tranquillo, così pensai velocemente a cosa fare e iniziai a registrare la telefonata per carpire qualche informazione in più dalle sue parole o dai rumori di sottofondo.
«Sai, mi sarei aspettato qualche reazione un po’ più calda alla foto, ma a quanto pare non t’importa poi così tanto di lei».
«Bastardo succhiasangue, lasciala stare, è umana». Ero disperato, avevo ancora l’immagine davanti agli occhi.
«No, mio caro, ho scoperto delle cosette molto interessanti sulla tua bella. Non sto a dirti il modo in cui le ho scoperte, ma non è più umana e tutto sarà più semplice del previsto», e, dicendo questo, riattaccò. Aveva chiamato solo per rigirare il coltello nella piaga, ma io non potevo cedere; avevo qualcosa di molto importante per cui lottare, la mia ragione di vivere.
«Manda una squadra a controllare quella posizione. Non troveranno niente in quel punto, ma nei dintorni potrebbero esserci delle tracce. E organizza anche una guardia al negozio e da Abbie». Anima non avrebbe apprezzato che lasciassi la sua amica in balia dei pericoli. Presi il telefono e inviai un messaggio a Clive, avevo bisogno di rinforzi; non avrei mai immaginato che mi sarebbero serviti così presto, ma non avevo nessuna intenzione di farmi sfuggire quel bastardo, l’aveva fatta franca una volta di troppo.
«Fratello, forse abbiamo qualcosa, un indizio», disse Tom. Lo guardai perplesso, non capivo quale vantaggio potessimo avere.
«I gemelli hanno trovato delle lettere in casa di Anima».
«Lettere?» Non capivo il legame che potevano avere con la sua scomparsa. «Lettere anonime che parlano di Alana». Mi vennero in mente le missive di cui mi aveva parlato Anima mentre eravamo al fiume. Dovevo leggerle, chissà chi le aveva scritte; poteva essere il traditore o un suo complice.
«C’è dell’altro. Forse la finta premonizione di Anima non era poi tanto finta».
«Spiegati meglio, o a uccidermi sarà l’attesa».
«Ha detto che forse aveva avuto una premonizione. Beh, io penso che senza saperlo abbia detto il vero».
«E ha aggiunto Abbie per convincere te». Cominciavo a capire: Anima aveva preso spunto da uno dei suoi sogni senza capire che si sarebbe avverato veramente e, se la sua descrizione si fosse rivelata precisa, avremmo potuto scoprire qualcosa che ci avrebbe portato da lei.C’era un metodo molto semplice per non perdere nessun dettaglio: farmi un giro nella testa di Tom, ma avevo bisogno di molta energia, perché mi avrebbe debilitato. Avrei avuto bisogno di riposare, ma non avevo tempo ed era necessario agire subito; oltretutto, dovevo concentrarmi molto per non vagare più del dovuto tra i suoi ricordi e i suoi pensieri. La sua testa era sempre stata un caos e non era nelle mie intenzioni sapere cosa faceva nel suo privato o con chi scopava.
«Fai quel che devi», mi intimò avvicinandosi.
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