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1 capitolo (S)

- Un uomo sovrannaturale che portò l'isola alla rovina -

E' questo che ci viene tramandato a noi ragazzi dai nostri genitori, come i nostri nonni fecero con loro e come noi un giorno dovremo fare con i nostri figli. Questa è la frase che ormai da quasi un secolo gira per le vie della nostra isola, Iron. Per quanto questa parola stia a significare forza e resistenza non rispecchia per niente le qualità della nostra isola. Un piccolo pezzo di terra contornato dal mare ed emarginato dal resto del mondo per il suo oscuro passato.

                                              ....

Mi alzai di scatto, mi guardai attorno ma l'unica cosa che riuscivo intravedere nella penombra, era la pila di libri appoggiati sopra la scrivania, illuminati dalla luce che emetteva la sveglia che segnava le due del mattino. Avevo il battito a mille, tirando un sospiro di sollievo appoggiai la testa nel lato fresco del cuscino sperando di risvegliarmi il giorno successivo senza impedimenti.

Il biscotto inzuppato che cadde affondando nel caffè, creò un suono che mi distrasse da quel sogno a cui continuavo a pensare.

—cos'hai?— mi chiese Anna, mia madre adottiva, notando il mio sguardo fisso.

Tolsi finalmente il mio sguardo da quel punto vuoto che fissavo ormai da un paio di minuti, nel mentre il caffè iniziava a raffreddarsi.

Spostando la testa verso di lei le chiesi:

—ti è mai successo di sognare la stessa cosa per più giorni?—

Anna mi guardò con un'espressione stranita, non le avevo mai posto una domanda del genere ma era sempre a disposizione per qualsiasi tipo di domanda. Nonostante tra noi due non ci fosse un legame di sangue, la consideravo come una vera e propria madre.

Questa donna, con la corporatura magra dove il suo viso snello era costantemente contornato da due ciocche dei suoi capelli color biondo cenere che lasciava sempre liberi mentre il resto dei capelli li raccoglieva in una coda alta, mi aveva adottato, cresciuto e preso cura di me come nessuno aveva mai fatto. Naturalmente il fatto di avere un tetto sulla testa era anche merito di suo marito, John, che considero come un padre. Il suo lavoro da pilota d'aerei lo portava a viaggiare molto e di conseguenza non essere mai a casa.

-no, non mi è mai successo- disse con la sua voce soave e notando la mia espressione turbata mi chiese -raccontami quello che succede nel tuo sogno-

Ero solita a dimenticare i miei sogni ma questo era ricorrente e difficile da dimenticare per qualche strano motivo.

Riuscivo a stento a vedere quello che stava succedendo attorno a me nel sogno, ero distesa su un lettino mentre di fianco a me c'era un uomo che teneva con una pinza una scheggia di quello che sembrava un cristallo, avevo delle luci puntate addosso che mi offuscavano la vista che si confondevano con la luce rossa che emetteva quel pezzo di cristallo.

Anna mi consolò accarezzandomi la guancia e dicendomi che era solo un sogno, finii di mangiare l'ultimo biscotto prima di dirigermi verso il divano dove avevo appoggiato lo zaino.

Dopo che la zona ovest dell'isola fu isolata e chiusa a causa della leggenda che diceva che questo uomo "sovrannaturale" giacesse lì, diedero il divieto di oltrepassare quella linea invisibile che divideva la zona ovest dalla zona est.

La strada da percorrere per arrivare a scuola non era lunga ed era facilmente percorribile a piedi. Arrivata nel posto, notai numerosi studenti che stavano davanti al cancello della scuola ansiosi di entrare. Nei ultimi tre anni in cui l'avevo frequentata, non avevo mai visto così tanti studenti in questa scuola.

Le scuole qui ad Iron sono tre una delle quali, la nostra "la GreenHill", era quella vista sempre al di sopra di tutte le altre, non era per niente una scuola prestigiosa ma era quella che si poteva ritenere "la migliore" contando la zona dove sono state costruite le altre due.
Mi diressi al cancello dove stavano tutti gli altri, aspettando il suono della campanella per entrare.

Non ero pronta a ritornare in quel posto, non adesso dove ci sono ancora molte più persone, prima me la cavavo abbastanza bene a non saltare troppo all'occhio, avevo un paio di amici e mi bastavano loro, gli scorsi anni mi ero ambientata bene in quel edificio dalle pareti gialle frequentata da poche persone.

La campanella suonò e con la fretta di accaparrarci i posti migliori, dove avremmo trascorso la maggior parte del tempo durante tutto l'anno scolastico, arrivammo tutti nelle nostre classi. I posti erano divisi in tre file verticali dove ogni banco era affiancato da un secondo banco. Ho sempre occupato lo stesso posto per tutti gli anni ed è come se il mio nome fosse inciso sullo schienale di quella sedia, andai subito ad occupare l'ultimo banco nell'angolo a destra dove avevo meno speranze di farmi notare.

Non c'era ancora nessuno in classe ma il silenzio che innondava la stanza fu spezzato dai primi arrivati.
Pian piano i posti iniziarono ad occuparsi e vidi sempre più visi mai visti prima, poco più degli studenti della mia classe non c'erano più, mancavano ancora un paio di posti tra cui quello di fianco al mio, speravo che nessuno lo occupasse.

Un paio di minuti dopo però entrarono gli ultimi due studenti, anche loro sconosciuti, il primo ad entrare fu una ragazza mentre dopo di lei entrò un ragazzo dai capelli mori che indossava una camicia blu.
La ragazza occupò il posto in seconda fila mentre il ragazzo si stava dirigendo verso il banco di fianco al mio, lo guardai per vedere meglio la persona che mi avrebbe fatto "compagnia" per il resto dell'anno.

Per un paio di secondi un bagliore strano e innaturale sbucò fuori dai suoi occhi, quel bagliore mi ricordò la stessa luce che avevo puntato addosso in quel sogno, dunque tolsi immediatamente lo sguardo dai suoi occhi spostando la testa verso la lavagna, avevo la testa quasi come pietrificata mentre le mie palpebre continuavano a spostarsi verso sinistra dove lui si sedette.

—ciao— mi disse lui con tono amichevole.
Io ricambiai il saluto, rilassando i muscoli tesi della mia faccia e improvvisando un sorrisetto.

In quel momento entrò la professoressa, il suo viso mi pareva familiare, poco dopo mi accorsi che fosse la prof. che avevamo avuto il primo anno che poi per motivi sconosciuti abbandonò la GreenHill. Cancellò la scritta "buon anno scolastico" tralasciando alcuni segni di essa e scrisse in grande il suo nome
'PROF. DAVIS'

Non era cambiata di una virgola, indossava una delle sue solite gonne aderenti che arrivavano fino al ginocchio dove ci aveva infilato una camicia di cotone bianco e con la stessa pettinatura con la piega perfetta

—Bene ragazzi, io sarò la vostra professoressa di matematica di quest'anno—

—Ah...Quasi mi dimenticavo, quest'anno come avrete di sicuro notato vi faranno compagnia diversi compagni— disse tirando fuori dalla borsa un quaderno con la copertina di un rosso sgargiante che riuscivo ad intravedere anche dall'ultima fila.

Iniziò a fare l'appello alzando la testa per riconoscere i visi che conosceva già da quelli nuovi, si soffermava per più secondi a guardare i visi degli studenti che non aveva mai visto prima per memorizzarli.

—Nicolas Hail—
—presente— esclamò il ragazzo di fianco a me alzando la mano sinistra e accennando un sorriso, imbarazzato dagli sguardi degli altri compagni.

—guarda sempre i nuovi arrivati in questo modo?—
Mi chiede lui sussurrando, avvicinandosi a me ma continuando a tenere la sguardo fisso verso la Prof.

Era intervallo, presi tutte le cose che avevo sul banco e le buttai dentro allo zaino senza fare troppa attenzione a disporli con attenzione, questa era la causa per cui tutti i miei libri fossero rovinati e con gli angoli delle copertine piegati.
Al contrario di me Nicolas metteva i quaderni in modo più ordinato così da non rovinarli ma nonostante questo occupò lo stesso tempo che ci avevo impiegato io a fare lo zaino.

Raggiunsi il corridoio per andare verso le macchinette così da prendere qualcosa per riempire il buco allo stomaco.
Presa la merendina vidi Nicolas spaesato nel corridoio, se non fosse stato per lui me ne sarei andata per conto mio in giardino ma mi faceva troppa pena lasciarlo lì in mezzo al corridoio da solo.

—Ehi..Nicolas, hai bisogno d'aiuto?— gli chiesi sistemando la bretella destra dello zaino
Lui si girò di scatto —ehmm...si, grazie— disse.

Ci incamminammo per andare verso il giardino dove gli studenti erano soliti a passare l'intervallo.
Anche se la nostra scuola era molto piccola se c'era qualcosa di cui potevamo andare fieri era il nostro giardino.

—comunque chiamami Nick— disse per spezzare il silenzio imbarazzante nel mentre ci incamminavamo per andare fuori.
—ah, ok...Nick—
—potresti ripetermi il tuo nome?—
—Samantha, ma puoi chiamarmi semplicemente Sam—

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ciao ragazzi!

Spero che questo capitolo vi piaccia<3. Con questo capitolo ho voluto presentarvi due dei personaggi principali e il loro incontro insolito.

-Sam

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