8. Sospetti
Solo dopo le lezioni Kate, riuscì a trovare un momento per parlare coi suoi colleghi. In tutta fretta percorse i corridoi dell'università per avvisarli dell'incontro con Anita.
Aveva poco tempo, doveva incontrare le ragazze al centro commerciale della città per poter scegliere qualcosa di adatto alla festa. Allo stesso tempo, doveva cominciare a guadagnarsi la fiducia della piccola di casa Scott.
Era molto timida, si vedeva anche senza essere sua amica intima, e contemporaneamente fragile e delicata. Avrebbe dovuto scalfire la corazza che si era cucita addosso per poterle cavare qualche informazione utile alle indagini.
Si guardò intorno e tra la folla di studenti scorse Max e Rob che parlavano con i soliti amici, tra cui Matt. Si ricordò che doveva parlare anche di lui.
Si avvicinò e sorridendo a tutti si rivolse a Max, mentre si toccava il lobo dell'orecchio per fargli capire di inventare una scusa qualsiasi per allontanarsi.
«Ciao Max, dovrei chiederti un favore. Avrei bisogno di alcuni appunti di biologia, l'altro giorno dicesti che li avevi...»
«Ciao! Sì, li ho in auto, se vuoi seguirmi un attimo...» rispose il moro, ma fu Matt a inserirsi nella conversazione. Si era cambiato. Indossava dei jeans blu e una camicia bianca che faceva risaltare la sua pelle abbronzata, ma soprattutto un profondo taglio sotto il labbro inferiore, come un morso. Doveva essere stata proprio una notte brava. Aveva ancora quello sguardo inquietante, come se volesse scavare dentro i suoi pensieri.
«Tutto bene Kate? Stamattina eri in difficoltà...»
Kate lo guardò perplessa: perché dire quella frase in quel momento?
Si guardò intorno e l'unica persona che mancava era Julian, ma in compenso c'era un ragazzo che non aveva mai visto. Chi era? La fissava spudoratamente e lei ricambiò il suo sguardo in modo perplesso. Non le piaceva. La infastidiva con quegli occhi color della cenere e il ciuffo biondo. Quell'aria spavalda la irritava. C'era qualcosa che non quadrava, ma non capiva cosa.
«Julian? Non l'ho visto oggi, né sentito...» chiese a Matt fissando lo sconosciuto che, continuando a guardarla, alzatosi dalla panchina, si era avvicinato di qualche passo. Non parlò, ma lei avvertì un senso di disagio.
«Scott? Ieri sera ha fatto tardi con una delle sue tante ragazze. Si starà ancora riprendendo!» Rispose Matt facendo lo sbruffone. No, non era così e lei lo sapeva. Lui era stato con lei al telefono per ore. Ci doveva essere dell'altro. Guardò di sottecchi Rob che capì al volo il suo sguardo.
«Be' ragazzi, se dovete prendere quegli appunti in auto, vi accompagno, così poi vado via.» si intromise il biondo nel discorso. Kate gli sorrise e senza guardare Matt e lo sconosciuto, si voltò e seguì i due colleghi mettendosi al centro.
Era nervosa; quella storia non le piaceva e iniziò a sentirsi subito insicura. Neanche la presenza dei suoi amici la calmarono. Cercò di non pensarci e iniziò a raccontare ai due quello che era accaduto con Anita quel mattino, riferendo poi anche dell'incontro sospetto con Matt e della lunga telefonata della notte precedente con Julian. I due ascoltarono in silenzio, guardandosi ogni tanto dall'alto delle loro stature, che superavano di una spanna quella di Kate.
«Matt è sempre stato un tipo strano, l'ho sempre detto! E' troppo morboso nei confronti di Julian!» disse Max, rompendo il monologo di Kate. I due erano diventati amici, ma Matt lo cercava spesso: ogni volta che uscivano per una birra se lo ritrovavano dietro. Il giovane Scott più volte si era innervosito, confidandosi con lui e chiamandolo il "cane da caccia".
«Dovresti continuare a coltivare la vostra amicizia il più possibile. Kate tu invece, dovresti stare attenta. Abbiamo notato che vi piacete!» rispose Rob, rivolgendosi ai due colleghi. Kate avvampò. Sentendo quelle parole divenne rossa come un peperone e perse la poca lucidità rimastale. Continuò a camminare senza guardare avanti, con gli occhi fissi sulla punta delle scarpe e andò a sbattere contro un palo della luce, cadendo rovinosamente col sedere a terra. Fu Rob a soccorrerla, assicurandosi che non si fosse fatta male, mentre Max, con la sua solita strafottenza, rise di gusto e si allontanò da solo verso il parcheggio.
«Tutto bene?» disse Rob, aiutandola a rimettersi in piedi.
«Sì, mi sono distratta» rispose la bruna, controllandosi il naso. Alzò gli occhi e vide il viso di Rob a pochi centimetri dal suo. La mano del giovane le carezzò la faccia e si fermò sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi. Si perse in quello sguardo preoccupato.
Quante volte lo aveva visto in pensiero per lei in quegli anni? Quante lo aveva avuto al suo fianco senza potergli dire cosa provava? Ora era lì e per l'ennesima volta avrebbe dovuto rinunciare a parlargli per non perderlo.
Abbassò gli occhi e scostò la mano di Rob dal suo mento. Era bastato quel tocco leggero a farle ricordare cosa provava per lui.
«Devo andare, le ragazze mi aspettano al centro commerciale e non posso perdermi un pomeriggio con Sara Scott...» sussurrò, andando via senza attendere risposta.
Il pomeriggio con Sam e Sara scorse veloce. Tra chiacchiere femminili e shopping compulsivo, instaurarono un rapporto di allegra complicità, riuscendo perfino a confidarsi e a far parlare Sara di sé. Dalle confidenze, ne uscì il ritratto di una ragazza molto fragile; che soffriva molto della condizione di bambina adottata. Kate si ritrovò in molte cose e iniziò a provare un sentimento di affetto nei confronti della bionda.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter essere un'amica per qualcuno; un'amica vera, soprattutto per la giovane Scott, ma nella sua condizione si sentì quasi in colpa, perché anche se ci stava mettendo tutte le buone intenzioni, si sentiva di stare usando la ragazza per i suoi scopi.
Chiuse gli occhi per un attimo e davanti a sé vide due iridi color foresta che la scrutavano indagatori. Erano lì, l'accompagnavano ovunque. A ricordarle che lei non era una ragazza come tante: lei viveva per uno scopo. Viveva per vendetta.
I sensi di colpa svanirono all'istante, facendo posto alla rabbia, all'oppressione e alla sete di giustizia.
Guardò le due ragazze ridere e sorseggiare i loro succhi di frutta, osservò Sara mostrare ancora la tuta in jersey marrone che qualche ora prima le avevano suggerito di comprare. No, lei non era come loro: era stata strappata a quella spensieratezza da molto tempo. Era lacerata da artigli che incutevano nuove ferite ogni volta che provava ad allontanarsi.
Lei era la vittima, ma stava per diventare carnefice e nessun sentimento l'avrebbe fermata.
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