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3. La riunione


9.40 a. m.
base F.Y.R – sala riunioni

Era ormai da un'ora che gli agenti affidati al F.Y.R, aspettavano che la riunione iniziasse. Evidentemente c'era stato qualche problema, perché erano stati convocati tutti per le otto e trenta, ma ancora non sapevano cosa stesse accadendo.

Rob, si era quasi addormentato, aveva gli occhi stanchi e un graffio evidente sullo zigomo. La colluttazione col tipo del Blumoon club, lo aveva lasciato senza forze. Se Rachel non lo avesse fermato, forse quel ragazzo ora non sarebbe in carcere a poter raccontare a qualche avvocato la sua versione dei fatti. Era lì, a pensare ai risvolti poco lusinghevoli nei suoi confronti, quando finalmente entrò il Generale, seguito da una donna coi capelli a caschetto biondi e dei fascicoli sotto le braccia. Appena entrarono gli agenti, dopo il saluto di rito, si sedettero per ascoltare cosa Owell stava per dire. Quest'ultimo si schiarì la voce e fece cenno all' assistente di far partire un video alle sue spalle.

Immagini di bambini scorsero sullo schermo bianco, corredate da date di sparizioni. Fino ad arrivare all'immagine di un uomo dai capelli brizzolati e occhiali spessi. La dicitura laterale diceva: Arthur Scott, primario e pediatra al Clarissa Health, professore UC Berkeley.

Dopo qualche minuto di silenzio carico di perplessità da parte dei presenti in sala, il Generale iniziò a parlare:

«L'uomo che vedete alle mie spalle si chiama Arthur Scott, è il primario di medicina pediatrica di uno delle maggiori cliniche della California. Negli ultimi anni lo abbiamo tenuto sotto controllo e abbiamo notato che ci sono molti scambi di denaro con delle associazioni di volontariato dubbie. Abbiamo ragione di credere che abbia qualcosa da nascondere e abbiamo riscontrato un'eccessiva mortalità di bambini con situazioni di salute gravi ma stabili. Alcuni di essi sono spariti insieme alle loro cartelle cliniche.» deglutì e bevve un sorso d'acqua dal bicchiere che gli era stato dato dalla dottoressa Stone. «Un nostro agente di carriera, ha ricordato un particolare di uno dei casi messi in stand-by nei nostri archivi e ha riscontrato come il dottor Scott, fosse tra i nominativi di una lista in possesso del giornalista ucciso a Miami quattordici anni fa: Adrian Miller.» Sentendo quel nome, Kate e Rob saltarono sulle sedie. Il cuore dei due batteva a pieno ritmo.

Adrian Miller, il giornalista freelance ucciso nella sua villetta durante una notte di tempesta, quello che aveva lasciato una lista di nomi e dei file su alcuni trafficanti di organi, era il padre di Kate.

Lo sapevano tutti gli agenti, lo confermavano le occhiate perplesse e preoccupate su loro. Dentro Rob, iniziò ad albeggiare una piccola luce di speranza, una flebile fiamma di vendetta si stava accendendo.

Mentre Kate iniziò a tremare, non voleva sentire oltre. Voleva mettersi in un angolo e rimanere lì a piangere per sempre. Poi, la voce del generale Owell, destò loro dai pensieri che insistenti battevano nella mente.

«Alla luce dei nuovi accadimenti, organizzeremo una missione. Voglio i migliori di voi infiltrati a Berkeley, avete l'età per frequentare i corsi. Entrerete come studenti e poiché Scott, ha due figli che seguono anch'essi le lezioni, vogliamo che entriate anche nelle loro vite, nella loro casa, fino a scoprire chi si cela dietro quell'uomo e che traffici ha. Ho pensato a lungo a chi affidare la missione.

Inizialmente la mia scelta era caduta su un soldato di classe superiore. Ma la dottoressa Stone, mi ha persuaso a darvi un'opportunità per dimostrare che la sezione di agenti affidatari, vale quanto quelli di carriera. Il mio mandato, a questo punto, cade sull'agente Anita Cooper. So quanto conosce i suoi colleghi e che può creare una squadra all'altezza delle nostre aspettative.» La guardò in faccia e Anita, rossa in volto, annuì. Poi osservò Kate e Rob prima di continuare.

«Devo solo darle il veto di coinvolgere gli agenti Mackenzie e Miller, in quanto direttamente coinvolti, potrebbero non dare il meglio e creare un conflitto d'interesse.» concluse poi rivolgendosi di nuovo alla bionda.

Kate e Rob erano sconvolti. Tanti anni di attesa e finalmente qualcosa si muoveva, ma loro ne erano esclusi. Rob, con la mascella serrata e i pugni stretti, guardava dritto avanti a sé, mentre Kate, con gli occhi lucidi e l'ansia a stringerle lo stomaco, si guardò intorno.

Dopo le parole di Owell, ci fu un mormorio sparso. Tutti li guardavano e lei si rese conto per la prima volta che avrebbe voluto parlare, gridare agli altri tutto il suo dolore e a questo si aggiungeva la pena di vedere Rob in quello stato. Si conteneva per non esplodere. Lui voleva sapere molto più di lei. Voleva conoscere il volto e il perché gli avevano tolto il bene più prezioso, rovinandogli la vita.

«Agente Cooper, ha tre giorni di tempo per organizzare il tutto e ragguagliarmi. Le do momentaneamente carta bianca, non mi deluda.» disse il generale, guardandosi intorno. Gli agenti continuavano a mormorare e il chiacchiericcio iniziava a sentirsi insistente.

Solo quando Kate, prima intimidita e poi un po' più sicura, si alzò e guardò dritto negli occhi Owell, calò di nuovo il silenzio. La dottoressa Stone, in cuor suo esultò. Aveva ottenuto una reazione da Miller, mentre Rob, che era rimasto zitto cercando un escamotage per far parte della missione, la guardò sorpreso.

«Generale Owell, vorrei chiederle di entrare in squadra. Non trovo giusto restarne fuori.»

«Miller, sono sorpreso di sentire la sua voce, ma devo darle una risposta negativa. Troppo pericoloso mettere un agente coinvolto in una missione così importante. E poi lei... è inesperta e timorosa per poter dare un buon contributo. Ha partecipato a due missioni e in entrambe abbiamo avuto bisogno del suo collega Mackenzie per salvarla! Non è in grado!»

Kate abbassò lo sguardo, ma non mollò.

«Mi dia un'opportunità, voglio esserci!» disse, rialzando gli occhi verso il superiore.

«La cosa è fuori discussione! oltretutto tra pochi mesi compirà finalmente ventuno anni e non sarà più un nostro problema.» le rispose Owell, liquidando la questione con un cenno della mano. Poi si rivolse di nuovo ad Anita.

«Cooper, ho delle questioni urgenti da risolvere con la dottoressa Stone. Fra poche ore partirò per un lavoro in Oriente, e non ci sarò per tre mesi. Per qualsiasi comunicazione, parli con Michael Kors, che si occuperà di tutto quello che può servire. Mi invierà lui via e-mail gli aggiornamenti.» concluse il generale e alzatosi uscì dalla sala riunioni.

Kate e Rob, rimasero lì a fissarsi a lungo. Intorno a loro, la sala si andava via via svuotando, mentre loro si sentivano colmi di rabbia e frustrazione. Erano lì, il mondo chiuso fuori dalle loro vite, pieni di odio e rancore. Il cervello di Rob girava vorticosamente, cercava una soluzione. Dovevano prendere parte alla missione, perché erano la missione. Avevano il diritto di scoprire chi aveva ucciso i loro genitori, chi aveva rapito la madre di Kate e che fine avevano fatto.

Tre ore dopo, Rob si aggirava per la base come un fantasma. Aveva lasciato Kate in camera sua e aveva iniziato a vagabondare per quella che pretendeva di essere l'unica casa che aveva mai avuto. Aveva pensato a qualsiasi escamotage per poter far parte dell'operazione, ma non aveva ancora cavato un ragno dal buco. Entrò in ascensore diretto verso la sua camera, con l'obiettivo di farsi una doccia e una dormita veloce. Al momento non aveva indagini in sospeso.

Sentiva il rumore dell'ascensore che piano si metteva in moto. Arrivato al primo piano, dove c'erano posizionati gli uffici, le porte si spalancarono ed entrò Anita, seguita da Kevin, l'informatico del gruppo. Avevano le schede degli agenti che avrebbero preso parte alla missione. I due ragazzi lo guardarono con rammarico, ma non dissero nulla e al secondo piano uscirono. Andavano sicuramente nella postazione di Kevin, lì aveva la sua stanza e i suoi amati computer. Rob li guardò allontanarsi. Se solo avesse saputo usare il computer come il giovane hacker, avrebbe sicuramente trovato subito la soluzione. In fondo, Owell sarebbe partito per l'Oriente e sarebbe tornato solo fra tre mesi. Tempo sufficiente per scoprire qualcosa o almeno di creare una copertura stabile, che gli impedisse di essere sostituito e fare in modo di restare in campo.

Se solo ci fosse stato un modo per convincere Anita... ci pensò su e all'improvviso, una piccola idea gli passò in testa. Forse aveva trovato una soluzione. Sorrise fra sé, la fortuna di essere una persona socievole, è che tutti ti confidano cose e queste cose prima o poi possono essere usate!

Premette subito sul pulsante del terzo piano e appena raggiunto corse in camera di Kate. Aveva il fiato corto più per l'ansia che per la corsa. Bussò e impaziente di ricevere risposta, si mise a tamburellare le dita sulla porta in ciliegio. Appena la vide, con gli occhi rossi di pianto e i capelli in disordine, non attese risposta, le prese la mano e la portò con sé, correndo come facevano da bambini. Kate era sorpresa di quel gesto. Corse con lui finché non la portò vicino alla porta dell'ascensore. Impallidì. Non ne prendeva uno da tanto e non aveva intenzione di prenderlo. Ma guardò gli occhi azzurri di lui, colmi di speranza e di attesa. Aveva capito che aveva paura, ma non aveva intenzione di farla andare via.

«Kate, ci sono io con te, seguimi, devo parlarti!»

Lei sospirò e chiuse gli occhi un secondo. L'ansia l'attanagliava le viscere, ma non poteva deluderlo. Così, appena le porte si aprirono, tenne stretta la mano di Rob e anche se sudava freddo, le gambe le tremavano ed era sicura che sarebbe morta, fece quel passo avanti che le permise di entrare in quella scatola infernale. Aveva voglia di urlare quando le porte si chiusero dietro di loro. Aveva voglia di urlare quando lui premette il pulsante di stop e bloccò quel marchingegno malefico. Aveva voglia di urlare quando lui le prese il viso tra le mani, ma ebbe voglia di piangere quando lui le baciò la fronte e l'abbracciò. Quando lui le mormorò parole di conforto all'orecchio. Ebbe voglia di cullarsi tra le sue braccia quando lui la strinse forte e le disse:

«Ce la faremo! ho trovato il modo di far parte della missione. Se vuoi... tu guarirai.»

Irruppero nella stanza di Kevin senza bussare. L'hacker e Anita erano intenti a scrivere al computer. Si girarono di scatto sorpresi, mentre Kate e Rob si richiusero velocemente la porta alle spalle.

«Cosa diavolo...» disse la bionda, guardandoli perplessa.

«Anita, devi farci entrare nella squadra!» gli disse Rob tutto d'un fiato.

«Non se ne parla! Non voglio guai, non rischio la galera!»

«Per me e Kate non vuoi rischiare, ma per andare a letto con Michael sì!»

Anita rimase con la bocca aperta, era indignata. Si spostò i capelli color grano dal volto con un impeto di rabbia. Gli occhi scuri di lei presero fuoco. Non se lo aspettava. Sentì una risatina alle sue spalle, l'hacker rideva sotto i baffi. Si girò e gli lanciò uno sguardo di avvertimento, voleva morire d'imbarazzo e l'informatico spense la sua risata, fingendo un colpo di tosse.

«Rob, non ti permetto, ti consideravo un amico!»

«E lo sono! ma ho bisogno di andare in missione. Anzi io e Kate ne abbiamo bisogno! E se non ci aiuterai, amico o no, dirò a tutti della tua tresca con Kors! Non per capriccio, ma è il solo modo per far guarire Kate e per capire!»

Kate, pensò che il suo amico fosse impazzito. Come poteva Anita accettare un simile ricatto? Avrebbe sicuramente chiamato Michael ed essendo un superiore, li avrebbe denunciati. Ma fu Kevin a calmare le acque.

«Potrei inviare la mail con la lista giusta dei partecipanti a Owell e appena la accetta, potrei creare un piccolo bug che crei problemi al sistema e in quel momento inserire i vostri nomi. Il generale, a quel punto, sarà già in viaggio e noi non lo vedremo per il tempo necessario che la missione sia in moto con gli infiltrati al loro posto.»

I tre ragazzi lo guardarono sconvolti, era un genio!

«Pensi che funzionerà?» gli chiese Rob, cauto. Ma fu Anita a rispondere con le guance in fiamme e gli occhi lucidi che rivelavano eccitazione. Lei sapeva cosa fare, come aiutarli e Kevin era l'uomo giusto! Fu lei a chiarire i dubbi di tutti guardando Kevin in faccia che già faceva volare il cervello.

«Sì, funzionerà!»

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