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11.La festa

Un'ora dopo, Kate parcheggiò la sua auto fuori la proprietà dei Dickinson. Guardò l'enorme villa a due piani color miele, e un sorriso tirato le parve sul volto.

Certa gente aveva tutte le fortune!

Nella scheda di Matt, che aveva letto quella mattina, c'era scritto che era l'ultimo di tre figli di un industriale e un insegnante di pianoforte: Marc e Eleanor. Suo fratello Alexander, invece, era medico dentista. Mentre sua sorella Joanne, aveva seguito le orme materne ed era diventata pianista. Era sempre in giro per il mondo in tournée. Quella casa era enorme, con ampi giardini laterali che al momento erano pieni di gente. Matt faceva spesso feste, anche senza motivo. Approfittava solo dell'assenza dei genitori, al momento in vacanza alle Hawaii.

Scese dall'auto, e si guardò intorno. Molti degli ospiti erano già sotto l'effetto dell'alcol, e lei si chiese come avrebbe fatto a trovare i suoi amici in mezzo a quel trambusto. Iniziò a farsi largo tra la gente, e poco dopo, scorse la chioma fiammante di Sam. Trasse un respiro di sollievo e iniziò ad avvicinarsi, ma all'improvviso si bloccò. Una mano conosciuta cingeva i fianchi della rossa: Rob. Si sentì come se qualcuno le avesse lanciato dell'acqua gelida addosso. Cosa diavolo facevano quei due insieme?

Rimase lì, ad osservarli ridere e scherzare molto vicini per qualche minuto. Era bloccata, come se fosse paralizzata. Poi la voce del grillo parlante la ridestò:

«Non sapevi che Sam è nelle grazie di sua maestà Rob?» le disse il moro porgendole un drink. Lei lo fulminò con lo sguardo; poi accettando il cocktail gli rispose:

«Max, la simpatia fatta persona! No, non ne sapevo nulla, e nemmeno m'interessa!» mentì, porgendo il bicchiere alle labbra. L'aroma fruttato e il liquore le addolcirono la bocca. Mentre Max con un sorrisetto ironico, si avvicinò al suo orecchio, e le sussurrò:

«Vieni mia bella addormentata! dobbiamo fare il lavoro sporco, fintanto che il tuo migliore amico si diverte. Andiamo a piazzare le cimici!» Lei lo guardò innervosita mentre dava l'ultimo sorso al drink. Lo lasciò poi a un cameriere di passaggio, che reggeva vassoio colmo di bicchieri sporchi. Prima di allontanarsi si voltò a dare un'ultima occhiata a Rob e Sam.

Max, la seguiva tra la folla con un sorriso ironico. Piazzarono le cimici in modo veloce e sicuro. Iniziando dalle camere da letto del piano superiore; in ogni stanza si assicuravano prima che fosse libera e che non ci fossero persone in giro, poi installarono i microfoni.

Nel frattempo, Kevin armeggiando sui computer, dalla base, dava l'okay sul loro funzionamento. Kate agiva in modo meccanico. La sua testa era al piano di sotto con Rob e Sam.

Max, invece, aveva tutta l'aria di divertirsi un mondo. Non resistette di punzecchiarla ancora una volta, mentre scendevano le scale e posizionavano le ultime cimici nello studio:

«Pensa che quei due vanno a letto insieme già da una ventina di giorni!» Kate a quelle parole avvampò. Lo odiava con tutta sé stessa, ma quello non era il momento giusto per litigare.

In quei momenti avrebbe voluto accanto a sé solo Rechel, l'unica pronta sempre a darle una mano con il brasiliano. I loro battibecchi erano famosi in tutta la base, alcuni vedendoli discutere, interrompevano i loro lavori solo per godersi lo spettacolo. Ma loro erano fatti così, una volta partiti in litigi non si accorgevano più di nessuno, né avevano timore di qualche punizione da parte dei più alti in grado.

«Sei un idiota!» gli disse, ed uscì dalla stanza come una furia. Max aveva ottenuto quello che voleva. L'aveva fatta innervosire, perché sapeva che solo da arrabbiata, avrebbe dato il meglio di sé! Sorrise compiaciuto, vedendola attraversare con passo deciso e felino la stanza per raggiungere il prossimo obiettivo della serata. Julian Scott!

*

Kate non si voltò a guardare nessuno, non ascoltò la voce di Sam, né quella di Sara, che vedendola passare cercarono di attirare la sua attenzione. Il suo prossimo passo era trovare Julian, e lasciare in fretta quella stupida festa. Scorse Matt da lontano che parlava animatamente di auto con due ragazzi, lo salutò, e senza tanti giri di parole gli chiese:

«Sto cercando Julian, sai dov'è?» lui la guardò, era brillo e si vedeva da lontano.

«Non molli la presa bambolina? Julian ti farà del male, ne fa a tutte! Non ti legare troppo, è un lupo solitario.» le disse guardandola negli occhi. Lei sostenne il suo sguardo.

«Che strano posto è questo! sono qui da quindici giorni e avete tutti la presunzione di sapere cosa è meglio per me, e chi devo o non devo frequentare? Dimmi dov'è Julian, questi sono affari miei!»

Matt la guardò sorpreso, non si aspettava una risposta del genere. Alzò le mani in segno di resa.

«Okay, lo trovi in terrazza. Ma sei stata avvisata, dopo non venire a lamentarti!»

Kate non gli rispose, si voltò e raggiunse la terrazza. Lì fuori lo vide, era affacciato alla balaustra e guardava il cielo sospirando. Lei rimase qualche attimo in silenzio ad osservarlo. Matt lo aveva definito "lupo solitario".

Non lo conosceva ancora bene, ma per quel poco che lo aveva incontrato in mezzo agli altri, era sempre allegro e socievole. Certo quella sera se ne stava lì a osservare il cielo, ma chi non ha mai avuto bisogno di osservare le stelle per ritrovarsi? Chi non ha mai avuto bisogno di perdersi, solo, tra tanti, in mezzo all'infinito?

Lei stessa amava farlo, per dimenticare il mondo. Per dimenticare sé stessa e diventare parte di qualcosa di più grande. Fece qualche passo avanti e lui si voltò, sentendo il rumore dei tacchi sul pavimento.

«Ciao! pensavo non arrivassi più!» le disse sorridendo. Kate si ritrovò di nuovo incantata a guardarlo e di riflesso gli sorrise.

«Sì, scusami. Ho perso tempo perché ho sbagliato strada, e poi quando sono arrivata il tuo amico Matt, per qualche assurda ragione non voleva dirmi dove fossi»

Julian strinse gli occhi smeraldo in fessure luccicanti.

«Matt? lascialo perdere! Cerca sempre di mettermi i bastoni tra le ruote.» Disse liquidando la situazione con un gesto della mano, poi continuò: «vieni, questa festa mi ha stancato. Andiamo a farci un giro.»

Lei annuì e lui le prese la mano conducendola attraverso il trambusto della festa. o seguì e una volta arrivati vicino ai loro amici tra cui Sam, Rob e Max li salutarono con un cenno della testa e si avviarono fuori la villa. Presero l'auto di Kate, visto che Julian era arrivato alla festa con Max, ma insistette per guidare lui.

Aveva una guida sportiva e sicura, si vedeva che gli piaceva guidare. E lei, si rilassò sul sedile chiacchierando del più e del meno per tutto il tempo. Poi arrivati sul lungomare parcheggiarono e scesero sulla spiaggia. Dopo una passeggiata sulla riva si sedettero sulla sabbia, e Julian le raccontò della sua infanzia.

Le disse di come era stata costellata da tanta solitudine, sua madre era morta quando lui aveva dieci anni e il padre non c'era mai, si era risposato due anni dopo con Veronica, che lui non aveva mai sopportato perché la vedeva un'arrampicatrice sociale. Le raccontò di quando una notte suo padre, portò sua sorella a casa, dicendo che era la figlia di una sua paziente deceduta di parto, e lui non se la sentiva di abbandonarla.

Di come aveva scelto la carriera di medico, ma che non gli piaceva. Di una famiglia che avrebbe voluto, di figli da crescere, di vita da vivere. Julian raccontava e Kate, lo guardava rapita. Sembrava davvero un bravo ragazzo, ferito sì dalla poca presenza del padre, ma anche con tanta voglia di vivere.

Non sarebbe stato difficile innamorarsi di lui, non sarebbe stato difficile perdere la testa. Per una ragazza normale. Ma lei, non lo era. E se avesse avuto un po' di sale in zucca avrebbe ascoltato il suo sesto senso che gli urlava di stargli lontana. Metti il tuo cuore al riparo Kate! Potresti soffrirne troppo! Le diceva la ragione.

Poi una domanda la destò dai suoi pensieri: «e tu? raccontami di te!»

Che domanda! Come un colpo al centro del petto! Non sapeva che dire. Non poteva raccontare che la sua vita era stata solo vendetta e F.Y.R! così con un groppo alla gola inventò.

Gli parlò di una vita che non aveva, di sorrisi e allegria, di calore famigliare. Inventò di un cane di nome Igor, che l'aspettava fuori la porta al rientro da scuola ogni giorno; di cugini pestiferi, che le facevano sempre scherzi; di zie che amavano cucinare e fare cene all'aperto.

Inventò, come aveva fatto sempre.

Per non parlargli dell'odio e della solitudine, per non dirgli che aveva imparato a sparare a soli dieci anni. Non raccontò di regole e punizioni, paure e vendette. Di tanti, troppi amici morti e di non sapere quando stava arrivando il suo momento.

Non parlò della rabbia e dell'odio, della sofferenza che provava a dover mentire ancora, all'unica persona che nella sua vita gli aveva fatto l'unica domanda che lei aveva sempre temuto: "Parlami di te!"

*

Qualche ora dopo Julian la riaccompagnò a casa, Kate era in imbarazzo non sapeva cosa dire. Aveva passato una serata bellissima in sua compagnia, e salutarlo la metteva in difficoltà.

«Prendi la mia auto, cosi domani avrai una buona scusa per passarmi a prendere!» gli propose sorridendo.

«Non ce n'è bisogno, abito qui vicino.» Gli rispose Julian, indicando una villa bianca non molto lontano.

Lei lo sapeva, ma doveva comunque far finta di nulla. Anita aveva fittato quella casa proprio per tenere d'occhio la dimora degli Scott.

«Ma se vuoi, sarà un onore accompagnarti dove vuoi!» le disse facendole l'occhiolino. Lei sorrise.

«Bene, allora a domani» gli rispose Kate arrossendo. Salì le scale e si voltò per dirgli buonanotte quando Julian la raggiunse.

Faccia a faccia, occhi negli occhi, cuore contro cuore. Lui l'abbracciò e indietreggiarono di qualche passo fino a raggiungere la porta. Kate vi si appoggiò con la schiena. Sentiva il suo profumo, e il cuore le martellava nel petto come un tamburo. Finché le loro labbra non si unirono in un bacio dolce e delicato. Si staccarono poco dopo e Julian appoggiò la fronte su quella della bruna.

«Buonanotte, a domani,» disse. Si voltò e andò via lungo il sentiero che lo conduceva a casa. Kate sospirò, con la mente annebbiata, e il suo sapore sulle labbra, aprì la borsetta e cercò le chiavi. Sospirando poi, le mise nella toppa ed entrò. Richiuse la porta dietro sé non accorgendosi che qualcuno li aveva seguiti. Se solo fosse stata più lucida. Avrebbe visto qualcuno seduto su una panchina che li osservava e avrebbe notato il rumore del motore di un auto che si avviava e partiva, illuminando la notte con i suoi fari.

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