Capitolo 17
Gli altri chiacchieravano da tanto, una conversazione dai toni fin troppo felici considerata la situazione. Appoggiata alla sedia, da cui ormai era evaporato tutto il calore di Altair, Mira aspettava. Cosa, non lo sapeva.
Non si sintonizzò sulle domande di Elettra riguardo alle nozze, né tantomeno sulle risposte fin troppo elaborate di Evelyn. Non diede peso al continuo annuire di Keira o ai sorrisi stentati di Vega. Un lato misero del suo cervello registrava le informazioni, ma al restante non gliene fregava abbastanza.
Le sarebbe piaciuto avere più informazioni sul piano di Sherlin o su Pablo Alvaréz. Esisteva una possibilità che i fulmini tornassero, prima o poi?
La Tempesta sarebbe tornata a scorrere nei loro corpi? L'avrebbe salvata da quella vita miserabile?
Scivolò via, in mezzo alle pile di scatoloni, si avvicinava all'uscita. Il mondo di fuori pulsava nel bianco candido della neve, la chiamava a sé. Il fischio sottile del vento le sussurrava sull'uscio, penetrava dentro, la sfiorava.
Eppure non seguì il richiamo. Qualcosa, nella voce suadente dell'inverno, le metteva i brividi. Si cinse fra le braccia e fece per raggiungere gli altri. Per poco non andò a sbattere contro la figura imponente di Vega, fermo da chissà quanto dietro di lei.
Mira indietreggiò senza alzare lo sguardo. Si strinse ancora di più a sé e lasciò uscire uno sbuffo dalle labbra.
«Tu che ne pensi?» le chiese lui. La serietà fatta persona. Mira si aspettava che rivelasse una traccia di sarcasmo nella fronte aggrottata, come faceva sempre. Invece se ne stette lì, ad attendere una risposta con l'espressione di chi non sapeva nemmeno come si facesse, a scherzare.
Lei infilò le mani nelle tasche del giubbotto. «Del matrimonio? Non me ne importa un granché.»
Vega annuì, le labbra increspate. «Chissà perché, me l'aspettavo.» Rilassò i muscoli quel tanto che bastava per smettere di essere una montagna e ridursi a un semplice armadio. «Ma no, intendo di questa storia di Pablo Alvaréz.»
Non c'era molto di cui discutere, al riguardo. «Non lo so. Dovremmo provarci, credo.»
«Anche se significa metterti contro i tuoi ex compagni? Di nuovo?»
Si scrollò nelle spalle. «Si vede che è destino.»
Norton e Alex non erano mai stati davvero i suoi compagni. Mira se le ricordava fin troppo bene, le giornate trascorse a fingere di essere qualcuno non era, a vivere al di fuori di un gruppo che non le apparteneva. Ad ascoltare le battute di Drake, le lamentele di Alex e le raccomandazioni di Norton con un solo orecchio, mentre la Tempesta le scalpitava nel petto.
Cercò una briciola di quei fulmini di allora dentro di sé. Un istinto che non riuscì a trattenere. Nel trovare soltanto il sangue pulsarle nelle vene, si chiese se sarebbe stato diverso, adesso. Se la Mira senza Tempesta avrebbe mai potuto far parte di quel gruppo.
No, si disse poi. Ridicolo anche solo pensarci.
«Può darsi,» borbottò Vega. Si prese qualche istante di pausa per allentare la stretta della sciarpa che gli fasciava il collo. Quando parlò di nuovo, lo fece con un sorriso accennato sulle labbra. «Com'è che tu e Altair vi siete messe contro un gruppo strampalato del genere?»
«Non lo so. Seguivo lei. Voleva catturare Sherlin per ricevere la ricompensa.» Tutt'ora faticava a comprendere gli eventi di quel giorno.
«Avete fatto qualche altra cazzata che dovremmo sapere?» Lo disse come se sapesse già una risposta. C'era un'insinuazione nelle sue parole, che strisciava viscida fra di loro.
La notte prima l'attraversò in un flash. Le labbra di Altair, il suo corpo, la musica, la scintilla che passava dall'una all'altra come se la loro vicinanza potesse davvero tenere in vita l'ultima briciola della Tempesta.
Le venne un dubbio improvviso. Quell'idiota l'aveva raccontato agli altri? Per questo Vega indagava, voleva una conferma?
No, improbabile. Non era certo la prima volta che lui insinuava che ci fosse qualche sorta di attrazione fra le due. Mira voltò il busto di lato, affondò le dita nella stoffa della giacca che le copriva il braccio; possibile che lui l'avesse capito prima di lei?
«Mira?» Vega si abbassò verso di lei.
«No,» rispose Mira alla fine.
«Va bene. Faccio finta di crederti.»
Mira strinse le nocche. Voleva un pugno. Vega voleva per forza un pugno, non c'erano altre spiegazioni.
Sollevò appena il braccio per caricare il colpo, ma qualcuno glielo afferrò. Keira se l'era spiaccicato addosso, contro il fianco morbido. «Ti dispiace se te la rubo un attimo?» Fece un occhiolino in direzione di Vega.
«Eh?» Mira si liberò con uno strattone.
L'altra la agguantò di nuovo, come se nulla fosse. «Vieni, accompagnami fuori a fumare.»
Sembrava tanto un complotto da parte di quei due. Chissà che non si fossero messi d'accordo per quello strano teatrino. Non se ne sarebbe affatto stupita.
«Da quando ti preoccupi di fumare fuori?» la sfidò.
La presa di Keira sul suo polso si fece più incerta. Le dita la sfioravano appena, e lei scuoteva la testa. «Da quando mi serve un pretesto per allontanarmi dalle chiacchiere sul matrimonio.» Il suo sguardo viaggiò più in là, attraversò il caos della stanza per atterrare su Elettra ed Evelyn; la seconda parlava concitata, la prima annuiva con il suo sorriso gentile. «Mi fanno tornare l'ansia,» ammise Keira, «e l'ansia mi mette voglia di una dose.»
Vega le batté una pacca sulla spalla. «Hai tutta la mia compassione.»
«Un giorno toccherà anche a te.» Keira si godette la smorfia di lui, e in una risata cristallina trascinò Mira nel regno di fuori con sé.
Lì, dove il vento ancora la chiamava. Lì, dove il freddo era capace di entrarle nel petto, di toglierle il respiro e congelarle i pensieri. Non era poi tanto male, fuori. Avrebbe dovuto cedere prima al richiamo.
Mira si scansò una delle ciocche di capelli dal volto. Cercò distanza fra lei e Keira, abbastanza da non percepire il suo calore. «Perché mi hai fatto venire con te?»
Da dove estrasse il pacchetto di sigarette era un mistero. Un attimo prima aveva le mani vuote, quello dopo eccole lì, fra le sue dita, un pacchetto quasi pieno con tanto di accendino. Keira ne prese una, se la portò alle labbra. «Volevo un po' di compagnia.»
«Da me?»
«Ti sembra così assurdo?» Accese la fiamma. Tremolò sotto la forza del vento, ma resistette. Keira fece scomparire l'accendino subito dopo in chissà quale tasca sul retro dei pantaloni. «E io che ero convinta avessi l'autostima alle stelle.»
Strano. Perché quella mattina non era riuscita nemmeno a guardarsi allo specchio. Senza la Tempesta a gorgogliarle di rabbia nelle vene, tutto quello che rimaneva era la voce di Drake che le ripeteva quanto fosse fragile.
Keira soffiò fuori un'ondata di fumo. «È successo qualcosa?»
«Perché?»
«Tu e Altair mi siete sembrate strane.» Allora era davvero un complotto. Keira fece un altro tiro e reclinò la testa, sputando il fumo verso il cielo. «Di solito flirtate come se non ci fosse un domani...»
«Che stronzata.»
«Invece oggi la evitavi.»
Mira scostò un cumulo di neve con la punta del piede. Il freddo le penetrò oltre la scarpa, le inzuppò il calzettone. «Non la stavo evitando.»
«No? Sicura?»
Non rispose ancora. A cosa sarebbe servito negare l'ovvio?
Keira le diede un paio di buffetti sulla spalla. «Quindi non avete litigato?»
Chiamarlo "litigio" sarebbe stato improprio. Dopotutto, non si parlavano da allora, da quando Mira era scomparsa sotto la doccia e Altair se l'era filata senza dire niente. «Non sono affari tuoi,» disse, appiattendo il cumulo di neve sotto la suola.
«No, forse no.» Keira afferrò la sigaretta fra l'indice e il pollice, la portò lontana dalla bocca, lungo il fianco. Spirali di fumo si levavano dalla sua punta, si attorcigliavano su loro stesse nel risalire verso l'alto. «Solo che, senza offesa, ma non mi sembri un granché ferrata sull'argomento. Pensavo ti servisse una mano.»
Era ufficiale. Keira e Vega avevano formato un'alleanza per darle sui nervi nella maniera più efficace possibile.
«Quale argomento?»
Keira le ammiccò – un'imitazione fin troppo riuscita di Altair – poi scoppiò a ridere. «Cavolo, Eve ha proprio ragione, sei un caso perso.»
«Eh?»
Parlavano davvero di lei, quando non era presente? Interrompevano le loro discussioni folli fatte di voli pindarici senza apparente senso per discutere di lei? Mira provò a immaginarle, sedute al tavolo della cucina di Keira con una tazza di caffè fumante fra le mani, che spettegolavano di lei.
Concentrò l'attenzione sul naso di Keira, troppo delicato e perfetto. Ci sarebbe voluto un pugno per storcerglielo. Lo pensò, ma le dita non le si strinsero, i muscoli non si tesero.
«Ti ho mai raccontato di come ci siamo messe insieme, io e Eve?» Keira le soffiò il fumo in faccia.
Mira lo scacciò con la mano, infastidita. «No e non mi interessa.»
«C'è stata subito attrazione, sai.» Non la ascoltò nemmeno. Keira tenne la sigaretta davanti a sé. «Ci cercavamo, e io ci provavo senza pudore. Solo che non lo sapevo, all'inizio, che quella che avevo davanti era la donna della mia vita.»
Mira sollevò gli occhi al cielo in uno sbuffo.
La sigaretta di Keira continuava a bruciare. Il fuoco sulla punta consumava un millimetro alla volta, lasciava solo un cumulo di cenere dietro di sé. «L'avevamo presa come un gioco.» Keira le diede un colpetto, e la cenere si sparpagliò sulla neve ai suoi piedi. «Ci divertivamo, facevamo un sacco di cazzate, ci sentivamo come due adolescenti. Ma niente di serio, uno di quegli amori passionali, non destinati a durare, hai presente?»
Non la intendeva come una domanda retorica, perché la fissava con una rinnovata serietà. Non le si addiceva molto, quell'espressione, la invecchiava.
Mira fuggì da quegli occhi. I brividi le percorrevano le braccia. Colpa del freddo, si disse, colpa del freddo. «Ho detto che non mi interessa.»
L'altra agitò una mano davanti a sé. «La faccio breve, tranquilla.»
«Non mi sembra.»
Ma Keira non le badò nemmeno questa volta. «Quando Eve ha scoperto del mio problema con la droga, ha provato a supportarmi, a farmi uscire dal tunnel.» Si portò la sigaretta alle labbra, ma non fece un tiro, la lasciò semplicemente lì, lo sguardo perso oltre i vicoli innevati di Nuova Folk. «Certe volte mi chiedo se non fossi soltanto io, la stupida a non aver capito che invece era una cosa seria. Lei c'è sempre stata per me.»
Sorrise, e finalmente aspirò quella porcheria. «Non ci ho mai provato per davvero, a disintossicarmi. Di sicuro non all'inizio, almeno. Così a un certo punto lei mi ha mollata.» Mosse prima i piedi, li diresse verso Mira; poi voltò anche il busto. E la cercò ancora, con quell'aria superiore di chi credeva di saperla lunga. «Assurdo come mi sia resa conto di quanto fosse importante per me solo dopo averla persa.»
«Perché il racconto strappalacrime?» Mira si circondò fra le proprie braccia. Per il freddo, si ripeté, per il freddo. «Lo so già che c'è il lieto fine.»
«Non lo so. Forse volevo solo romperti i coglioni con la storia della mia vita. Da quando vado in terapia sono più sentimentale.»
«Sei sempre stata una piagnucolona.»
Keira buttò a terra il mozzicone di sigaretta. Lo spiaccicò con il tacco. «Che tu ci creda o no, un tempo ero una figa.»
«Se lo dici tu.»
C'era una leggerezza diversa nella risata di Keira. Più sincera. «Fatto sta che ho avuto un culo assurdo a convincere Eve a darmi un'altra possibilità. Per la bellezza di dodici volte.»
«Per essere una pazza insopportabile, è fin troppo paziente,» rispose Mira.
«Quanto hai ragione.» Keira le mise una mano sulla spalla, ancora, e ce la lasciò. «Mira, se hai bisogno di aiuto con qualcosa, quello che vuoi, sarei felice di darti una mano. Lo sai, vero?»
Ed eccola che tornava a insinuare.
Mira si scrollò la sua mano di dosso. «Ma zitta,» mormorò, allontanandosi a piccole falcate sulla neve.
La festa portava con sé voci e rumori. Mira cambiò strada non appena intravide la prima bancarella, marciò lontana, fino a raggiungere lo Storm Bridge. Si aggrappò alla ringhiera e si affacciò giù, verso il bianco scuro della strada al di sotto. Led colorati lampeggiavano, attaccati alla ringhiera, e le creavano un'aura violetta e blu a intermittenza ai lati della visuale.
Le note di una canzone della festa la raggiungevano. Ovattate, lontane, eppure abbastanza deprimenti da opprimerle il petto. Un umore sentimentale, forse di un amore perduto; Mira non distingueva le parole.
Con le dita si teneva alla ringhiera, ma sentiva appena il ferro contro la pelle. Era diventata insensibile. Le mani le tremavano, violacee. In uno sbuffo, le mise nelle tasche nella speranza di scaldarle prima che le si staccassero dai polsi.
Ormai era sera. Le nuvole bianche nel cielo assumevano una tinta più scura nella notte. Lasciavano un varco libero, un sottile velo da cui filtrava la luce della luna, uno spicchio dai bordi sfocati.
Doveva tornare a casa, ma le gambe non volevano assecondarla. Desideravano restare in quel punto preciso del ponte, a pochi passi più a sinistra della panchina dallo schienale rotto, ad aspettare cosa? Che morisse congelata, forse. Che la neve la ricoprisse, che la cancellasse.
Si umettò le labbra, le trovò secche. Poi le squillò il cellulare, un solo trillo che si insinuò nelle note della canzone come un diesis fuoriposto.
Mira controllò lo schermo. Un messaggio da suo fratello.
Mitch: Papà è ancora in ospedale. Vuoi venire a trovarlo? Chiede di te.
Fissò lo schermo a lungo. Lo fissò finché le parole non iniziarono a perdere di significato. Lo fissò finché le lettere non uscirono dai contorni, trasformandosi in geroglifici senza senso. Lo fissò finché gli occhi non le bruciarono. E soltanto allora premette il tasto per tornare indietro.
Suo padre sarebbe morto presto. Forse non nei prossimi giorni, forse non nelle prossime settimane. Magari avrebbe resistito per un paio d'anni ancora, ma niente di più.
Cosa ti fa sentire?, le chiese Elettra nella sua testa. La vide davanti a sé, seduta al centro di un circolo mezzo vuoto.
Mira batté le palpebre, scoprì di avere perfino le gli occhi congelati.
Niente, pensò. Non provo niente.
Senza la Tempesta, i fulmini non le si ingarbugliavano nello stomaco. Al loro posto, una landa desolata, fatta di sterile neve. Nessun guizzo di energia strisciava al di sotto: qualsiasi cosa ci fosse stata oltre la Tempesta, ormai era morta. Sepolta sotto una valanga.
Tenne il telefono fra le mani, sospeso oltre la ringhiera. Se l'avesse lasciato andare, sarebbe caduto giù, a creare un foro nel bianco.
La musica si interruppe per un paio di secondi; al suo posto, soltanto il fischio sinistro del vento. Quando ricominciò, fu con l'assolo di una chitarra acustica. Trasportava con sé il gusto amaro di un inverno solitario.
Arrivò il suono stridulo di risate. Un uomo che non conosceva, e un'altra risata, che le attraversò la schiena in un brivido. E lei che aveva sperato di evitarla.
Mira ripose il cellulare mentre, aggrappata alla ringhiera con una sola mano, si voltava a guardare Altair e un uomo andare verso una panchina. Venivano dalla festa, era ovvio, perché lui teneva un bicchiere di carta dotato di cannuccia.
Camminavano vicini. Lui occhieggiava Altair di continuo, la cercava, le circondava le spalle con il braccio; Altair si scansava subito, solo per spingerlo subito dopo e mormorare qualcosa. Non era difficile immaginare cosa: una qualche battuta degna di un ragazzino di tredici anni troppo arrapato.
All'inizio, Mira non si mosse. Non pensò nemmeno. Li studiava da lontano, come un ricercatore che tentava di capire i rituali di corteggiamento dei primati. La bianca desolazione dentro di lei aveva congelato ogni cosa.
Poi l'uomo smise di giocare. Fece la sua mossa. Altair si lasciò circondare i fianchi, si lasciò avvicinare.
Una fiamma si accese, nel centro della distesa innevata. Contenuta, eppure sciolse il ghiaccio attorno a sé, liberò ciò che c'era al di sotto: una sostanza scura e informe, che strisciava alla luce della fiamma.
Mira pestò con forza i piedi nel raggiungerli. Voleva farsi sentire. Voleva che quella testa di cazzo la notasse.
E Altair se ne accorse, della sua presenza. Scivolò via dalle braccia del tizio che aveva rimorchiato e le rivolse un sorriso di sfida, un sopracciglio sollevato.
«Altair, che cazzo fai?»
Lei levò il palmo verso l'alto, in quel suo stupido modo menefreghista. «Oh, tu guarda, la pazza sadica. Com'è, all'improvviso mi vedi di nuovo?»
Cosa doveva significare? Avrebbe potuto parlare, anziché lanciare frecciatine.
L'uomo passava lo sguardo dall'una all'altra in un'espressione da perfetto ebete.
Mira avanzò di un altro passo, si frappose fra i due. «Ti ho chiesto che cazzo fai.»
Altair le andò incontro. La fronteggiò, ma la sua schiena non era dritta come al solito, le spalle non erano tirate indietro; così perdeva un paio di centimetri. Tratteneva il dolore. «Che c'è, sei gelosa? Che cazzo pensavi, di avere l'esclusiva?»
Una mano picchiettò timorosa sulla spalla di Mira. Lei si voltò di scatto. «Ehm, per caso sei tipo, la sua ragazza?» chiese l'uomo.
Se esisteva una persona davvero fortunata, questa era lui: se solo avesse ancora avuto la Tempesta, Mira era sicura che non avrebbe resistito alla tentazione di ammazzarlo.
Altair invece se la rise.
«Mi dispiace,» continuò lui. «Non sapevo che fosse fidanzata.»
«Perché non lo sono, cazzone,» gli rispose Altair.
La fiamma nella landa desolata acquistò vigore. S'ingrandì. Spargeva luce e calore. E la sostanza strisciante e informe si fece sempre più distinta.
«Sta' zitta.» Dopo, Mira squadrò l'uomo dall'alto in basso. Un tizio di bell'aspetto, alto e con un look fintamente trasandato. Gli rifilò una ginocchiata sotto la cintola. «Vattene,» gli sibilò.
Piegato in due, il viso paonazzo, lui cercò prima l'approvazione di Altair. Ma lei era troppo impegnata a ridere. Così borbottò un patetico «scusa» e andò via ciondolando.
«Un colpo basso, pazza sadica.»
Mira la spinse. «Perché?»
Una smorfia le cancellò quello stupido ghigno divertito dalla faccia. Durò pochi istanti, poi Altair risollevò la schiena e fece danzare le sopracciglia. «Perché cosa? Davvero pensavi di avermi messo le catene? Per una scopata?»
Era lei, ad alimentare quella fiamma. Altair, con la sua stupida faccia da cazzo, i suoi modi di merda e il calore che spargeva attorno a sé. La miccia che accendeva la scintilla, il vento che accresceva il fuoco, era lei. Cancellava la neve, allontanava il freddo, nutriva l'oscurità strisciante che girava attorno alla fiamma.
Mira la spinse ancora, questa volta con più forza. Altair si lasciò sfuggire un lamento; si ritrovò con la schiena contro la ringhiera, pericolosamente vicina al bordo. Mira la afferrò per le braccia, la tenne in equilibrio sul ponte.
«Chiudi quel cazzo di becco.» Fu quasi un ringhio, il suo, impregnato di una rabbia che credeva di aver perduto.
Altair le si aggrappò alla giacca, la attirò a sé. La sua bocca era calda. Il suo corpo intero bruciava. Le sorrideva sulle labbra, e il calore che sprigionava sciolse ogni fiocco di neve nel petto di Mira.
Note:
Non potevate certo aspettarvi una relazione sana da 'ste due, no?
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