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Thomas: attacco alla reggia di Elsha

"Per le imprese disperate ci vogliono uomini disperati"

-Primo Levi

La lancia d'argento cozzò contro lo scudo recante lo stemma di un fiocco di neve, un altro paio di colpi e Thomas avrebbe potuto abbattere il guerriero delle Terre oltre il Fiume che era già gravemente ferito ma che , nonostante il sangue vermiglio sgorgasse copiosamente dalla ferita macchiando la neve circostante, continuava valorosamente difendersi. Con una piroetta fulminea distrasse l'attenzione dell'uomo e gli tranciò la testa di netto dopo aver individuato un centimetro di pelle non protetto dall'armatura alla base del suo collo. Il capo dalla fluente chioma color grano rimbalzò insozzando la neve di sangue, gli occhi azzurri e vacui del guerriero continuarono a fissare Thomas attraverso i fori bui dell'elmo. Quando Neear gli aveva detto che avrebbero attaccato la reggia della Regina delle Nevi aveva pensato che stesse delirando, ma l'oscuro diceva sul serio. Aveva cercato di dissuaderlo nella speranza di evitare uno scontro così pericoloso, ma Neear non l'aveva ascoltato. L'aveva mandato a combattere in territorio a lui ostile, in mezzo alla neve, con pochi uomini e con una preparazione militare scarsa o quasi nulla, se quello era il suo tentativo di ucciderlo era senz'altro volto a far apparire la sua morte come un fatto puramente incidentale. Ma Neear aveva probabilmente sottovalutato le capacità di adattamento dell'artefice dell'acqua, si destreggiava abilmente tra le truppe nemiche e fino a quel momento aveva diretto l'azione d'attacco abbastanza bene, a supportarlo c'erano alcuni strateghi zimeniani competenti e preparati e delle truppe molto ansiose di veder scorrere del sangue. L'attacco, aveva detto Neear, doveva apparire serio, ma essere fallimentare agli occhi degli abitanti delle Terre Oltre il Fiume in modo che acquistassero fiducia e facessero un passo falso. All'artefice dell'acqua quel modo di agire subdolo e ingannatore in una guerra aperta sembrava scorretto, ma efficace e ben pianificato, dopotutto l'obiettivo di Neear era vincere e lui non era certo nella posizione di giudicare subdolo alcunchè.
Inoltre esisteva la concreta possibilità che lerededi Caesaar si trovasse lí, nelle Terre Oltre il Fiume. Una spia aveva riferito a Neear che l'incoronazione doveva avvenire al castello di Elsha.
Thomas si domandò ancora una volta chi potessero aver scelto i ribelli per guidarli.

Una nuova divisione di soldati del Candido Esercito si diresse verso le truppe di Ahir Zimenia che avevano fatto in modo di compiere un attacco dannoso al castello, avevano abbattuto il cortile interno, incendiato qualche casa e distrutto una delle torri più piccole del palazzo di ghiaccio seminando il panico tra la popolazione e i cortigiani. Ora si stavano lentamente ritirando verso il bosco, una trappola per uccidere alcuni di loro e andarsene, una scia di morti nella ritirata era un'ottima firma per il crudele mago del Sud. Sulla sommità di un cumulo di neve e detriti si erse il valoroso Remider, sollevò la spada e, rivolgendosi ai soldati che lo seguivano, stanchi e feriti, disse: "Candido Esercito, queste creature malvagie hanno portato morte e distruzione nelle nostre terre, non lasceremo che sfuggano impuniti al loro destino e alla nostra vendetta, bendate le ferite, raccogliete le armi e impugnatele saldamente, se non pensate di farcela a seguirci restate al riparo perché la nostra corsa per procurare loro la morte sarà rapida e spietata. Brandite le spade e ricordatevi chi siete, sangue d'Oltre il Fiume, all'attacco Armata Invincibile!" grida si levarono alle sue spalle, frecce sibilarono nella boscaglia abbattendo diversi zimeniani.

"Ritirata!" gridò Thomas, le sue truppe corsero nel bosco e cercarono la fuga tra gli alberi carichi di neve, quando li urtavano una cascata gelida e silenziosa copriva i loro laceri mantelli neri, le armature dell'esercito di Elsha con il loro candore si mimetizzavano nel bianco del paesaggio e i guerrieri conoscevano quelle terre palmo a palmo. Inseguivano gli invasori, li uccidevano in maniera risoluta e talvolta estremamente violenta, non avevano pietà e operavano la loro rivalsa. Thomas dovette riconoscerlo: se anche un popolo che non combatteva da anni come quello delle Terre Oltre il Fiume era in grado di infliggere tale dolore ai nemici doveva essere frutto di una rabbia covata per anni, coltivata come una pianta velenosa e presentata, fredda e soddisfacente, assieme alla dolcezza della vendetta per le angherie subite. Non si poteva certo dire che Neear e i suoi servi non lo meritassero, ma Thomas teneva ancora alla propria vita e poi ora aveva anche quella di Danai da proteggere, se lui fosse rimasto ucciso il Syan sarebbe passato a un altro padrone, e non erano in molti a essere magnanimi e umani come il principe ad Ahir Zimenia.

Stava correndo zigzagando tra gli alberi quando un guerriero molto robusto, armato fino ai denti si abbattè su di lui come un falco che artiglia una lepre in fuga. Thomas lottò con le unghie e con i denti, si dibattè, ferì e cercò di uscire da quel groviglio di mantelli e armi che cozzavano. Sentì il sapore del sangue nella bocca e la colluttazione continuò. Il guerriero del Candido Esercito riuscì a togliergli l'elmo, l'artefice dell'acqua si trovò schiacciato a terra dal peso del soldato, incrociarono le armi nello stentato tentativo di Thomas di resistere a un colpo mortale.

"Ah, sei tu" disse il guerriero dal profondo del suo elmo, la voce risuonò nota al ragazzo che si ritrovò frastornato per qualche istante, un moto di sollievo lo colmò quando capì a chi apparteneva. Non vide il poderoso pugno che gli piombò diretto in faccia. Un dolore terribile si propagò in tutto il suo corpo, la testa rimbombò come se fosse stata una grancassa percossa per tenere il tempo, la neve si macchiò del suo sangue, il mondo intorno a lui era sfocato, non fece in tempo a emergere dalle nebbie di quel dolore che un altro pugno lo colpì, e poi un altro e un altro, ogni volta vibrati con maggior forza. Doveva essere molta la rabbia che serbava il generale dell' Armata Invincibile nei suoi confronti, Thomas smise di dibattersi e gemette flebilmente. In un esiguo intervallo tra un pugno e l'altro trovò la forza di mormorare: "Vik...ti prego...basta...", emettere quel sussurrò gli costò uno sforzo terribile ma quello che una volta era stato un suo amico si interruppe per un istante.

"Non trovi sia meraviglioso sentirsi traditi dagli amici?" disse Vik, la voce colma di disprezzo.

"Vik...io..."

"No Thomas, tu niente, sporco bastardo, sei stato nostro ospite" Vik sferrò un altro pugno all'artefice ormai esanime.

"Ti ho trattato come un fratello, ti abbiamo accolto nella nostra casa, difeso, offerto alleanza e ora tu vieni ad incendiare il palazzo e la mia terra! Non te ne andrai impunito brutto figlio di- " l'ingiuria del generale rimase sospesa così come il colpo che si preparava a vibrare, Thomas, accecato dal dolore e dall'angoscia vide una freccia spuntare da una fenditura sottile dell'armatura di Vik proprio sotto l'ascella. Ci sarebbe voluto un arciere micidiale e mortalmente preciso per mandare a segno un colpo del genere.

"Vik! No!" riuscì a borbottare con la bocca piena di sangue, fece per alzarsi e avvicinarsi a lui quando una mano lo afferrò per il mantello e una voce imperiosa gli disse: "Alzati, principe di Ahir Zimenia! Non possiamo restare qui a lungo" il sangue zampillava dalla ferita di Vik che annaspava nella neve in preda al panico, una pozza di sangue si allargava sotto la sua candida armatura. Una figura vestita di nero prese l'artefice dell'acqua sottobraccio prima che potesse fare qualcosa per aiutarlo e lo trascinò con sé tra gli alberi, il mondo vorticava intorno a lui in una confusa centrifuga di suoni, urla e clangore di armi, con gesti fulminei la persona che conduceva l'artefice dell'aria verso la salvezza si apriva la strada con colpi di freccia precisi e letali. Thomas non aveva la forza di opporsi e si lasciò accompagnare sino a una delle slitte nere di Ahir Zimenia. Benchè i suoi occhi fossero offuscati dal dolore e dal sangue che gocciolava dai suoi capelli distinse una folta chioma castano-ramata e un volto pallido spruzzato di lentiggini.

"Chi sei?" chiese flebilmente. L'arciere non rispose, sistemò un diadema nero che gli cingeva le tempie e spostò una ciocca di capelli dietro all'orecchio sinistro, delicatamente a punta.

"Sei un elvo?" la creatura si voltò verso di lui e gli lanciò uno sguardo eloquente e penetrante, frecce sibilavano da tutte le parti, l'arciere frustò i corvi che guidavano la slitta e si librò un volo verso sud.

Il vento freddo frusciava intorno a loro e sollevava i mantelli, l'arciere aveva un corpo esile avvolto da vestiti troppo larghi per lui, coltelli e pugnali erano appesi alla sua cintura, sulla schiena portava il suo micidiale arco e una faretra colma di frecce nere. La sua chioma sporca del sangue dei nemici oscillava mossa dall'aria gelida, non disse che una parola, ma la sua voce suonò melodiosa, priva dell'urgenza che aveva intriso le sue parole nel bosco.

"Tieni" allungò la mano destra verso il ragazzo e gli porse un lembo di stoffa per fermare l'emorragia al naso, Thomas si accorse che i suoi vestiti e la sua armatura erano insozzati di sangue, così come il suo volto e i suoi capelli corvini. Si tamponò il viso e le narici, non appena sfiorò il naso avvertì un dolore lancinante e si lasciò sfuggire un gemito.

"Deve avertelo rotto" disse l'arciere in tono neutro. "Quel generale del Candido Esercito"

Thomas, benchè gli fosse grato per averlo tirato fuori da quella situazione umiliante, era divorato dalla curiosità di sapere chi fosse il misterioso salvatore, senza contare che avrebbe preferito regolare i suoi conti con Vik da solo, almeno per salvare il proprio onore, anche se si era trovato in una posizione di svantaggio, riteneva quell'intervento non del tutto necessario. Si sedette con più contegno che potè e disse in tono serio: "Sono il principe di Ahir Zimenia, esigo che tu mi dica chi sei e dove mi stai portando" un silenzio prolungato precedette la risposta dell'arciere, gelido e infastidito.

"So chi sei, principe, Il mio nome è Ghilta, sono un elvo mercenario, Neear mi pagherà molto per averti aiutato a tornare alla reggia sano e salvo"

"Ma non ero in pericolo di vita" esclamò Thomas.

"No, ma il generale di Elsha ti avrebbe ucciso dopo averti umiliato"

"Non lo credo possibile" l'elvo non rispose, lasciò cadere l'interrogativo 'perché?' nel vuoto, Thomas rispose comunque.

"Era mio amico una volta, mi stava punendo, non mi avrebbe ucciso. Avrebbe saziato la sua sete di giustizia, avrebbe sputato sul mio corpo esanime e se ne sarebbe andato, ma non mi avrebbe mai ucciso"

"Neear sarà contento che non sia riuscito a completare l'opera, è meglio per tutti" disse Ghilta con una punta di ironia, poi tornò a chiudersi nel suo glaciale silenzio.

"Cosa ci facevi sul campo di battaglia?" chiese Thomas, l'arciere non rispose e gli disse che erano quasi arrivati. Estrasse un coltello dalla cintura e tagliò i lacci di un corvo che trainava la slitta, il volatile gracchiò e volteggiò, felice della riconquistata libertà. Ghilta sussurrò qualche parola in lingua elvica e l'animale si diresse verso le guglie di Ahir Zimenia che era già in vista, presumibilmente ad annunciare il loro arrivo.

"Lavori spesso per Neear?" chiese gentilmente il principe, l'elvo sospirò e disse che ogni tanto gli veniva affidato qualche incarico, spionaggio, contrabbando, azioni di sabotaggio, intercettazione di messaggi, qualche volta persino assassinio.

"Ma non lavoro esclusivamente per lui, lavoro per chi mi paga meglio" volse lo sguardo verso la reggia nera che si stagliava nel gelido deserto circostante, il vento rombava nelle loro orecchie.

"E cosa fai dei soldi che guadagni?" a quella domanda il volto di Ghilta si aprì in un lieve sorriso scoprendo file di denti candidi come mandorle e piuttosto affilati per appartenere a una creatura benevola come un elvo.

"Strana domanda per un principe"

"Lo sono solo per titolo, non molto tempo fa ero un artefice comune"

"Non mentire, ho sentito delle tue imprese per recuperare i mantelli e giungere ad Ahir Zimenia" disse Ghilta severo.

"Non hai risposto alla mia domanda, Ghilta" l'arciere sprofondò in un lungo sospiro.

"Con quel denaro farò quello che tutti gli elvi desiderano fare da quando gli artefici abitano Auriah"

"Cioè?"

"Lasciare questa terra per sempre, ritirarmi in qualche angolo remoto di mondo, in una foresta immersa nelle nevi ad allevare lupi" Non l'aveva mai detto a nessuno al di fuori di sé stesso, Ghilta si sorprese e si rimproverò per essersi aperto in maniera così subitanea davanti a uno sconosciuto, ma quel ragazzo gli suscitava simpatia, gli faceva tenerezza, ed era un evento assolutamente raro per un elvo schivo come lui.

"Molto sensibile" disse Thomas dolcemente. "Magari non ti importa, ma sto imparando lentamente a trasformarmi in Lica Morpha e a riassumere forma umana autonomamente"

Ghilta non disse nulla, ma pensò che fosse un obiettivo considerevole per un ragazzo così giovane, si chiese quante bastonate di Neear si fossero rese necessarie prima di ottenere qualche risultato.

La slitta atterrò malconcia sul tetto di Ahir Zimenia, Neear li attendeva torvo, al suo fianco alcuni zimeniani e Danai, avvolto in un mantello candido come la neve che li circondava, emergeva in tutto quel bianco unicamente per il colore caldo della sua pelle. Non fecero nemmeno in tempo a scendere dalla slitta che le parole di Neear risuonarono tetre nell'aria.

"Come al solito hai fatto un ottimo lavoro, Ghilta" l'elvo scese agilmente e si inchinò davanti al mago.

"Il principe sostiene che il mio intervento sia stato superfluo, ma io credo di averlo salvato da una grossa minaccia, un generale del Candido Esercito lo stava picchiando violentemente"

"La situazione era sotto controllo" mentì Thomas. Neear si voltò verso di lui, non fu necessaria alcuna parola per sottotitolare quello sguardo eloquente, il mago sapeva perfettamente che non era così. Tuttavia Neear si fidava di Ghilta e si dimostrò molto compiaciuto del fatto che si fosse trovato nei paraggi.

"Cosa ci facevi da quelle parti?" chiese Neear.

"Un campo di battaglia è sempre fonte di lavoro per quelli come me, sono sempre necessarie spie o uomini per missioni disperate" rispose l'elvo schiettamente.

Una volta ricevuto il suo compenso il mercenario si dileguò, ma prima di andarsene volse uno sguardo furtivo al principe e gli sorrise sottecchi, ora Thomas sapeva che se avesse avuto bisogno di lui si sarebbe fatto vivo. Prima di andarsene l'elvo si voltò e aggiunse: "Ah, potente Neear, non punire il principe per essersi fatto salvare, a volte un aiuto è necessario"

Thomas sentì improvvisamente leggero, come se un enorme macigno fosse stato sollevato dal suo torace, ringraziò con lo sguardo Ghilta.

Nonostante il dolore per le percosse si sentiva sereno, era stato tratto in salvo da una creatura benevola: poteva andare peggio, l'orrore per le cose che aveva visto in battaglia era stato in qualche modo anestetizzato dalla vista di volti amici come quello di Danai. Ormai la sua presenza amichevole era la sola cosa a cui potesse aggrapparsi in quella reggia immersa nelle nevi, il solo stargli vicino gli procurava sollievo e una confortevole sensazione di apatia. Sapeva, però, che presto avrebbe dovuto affrontare le ire di Neear: umiliante per un principe farsi salvare da un mercenario come una gonnella in difficoltà, senza contare che i servigi di Ghilta erano costosi, e pure il signore del male doveva prestare attenzione ai suoi beni.

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