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Jacqueline: incoronazione a Danesh

"A king isn't born, is made"

Remider si stava aggirando sul campo di battaglia per finire i nemici agonizzanti e a chiudere gli occhi dei suoi soldati caduti.  La neve scricchiolava sotto le suole producendo un suono inquietante, il candore del paesaggio era interrotto da ampie chiazze cremisi di sangue ancora fresco e dalle linee verticali dei tronchi neri degli alberi. Il condottiero si tolse l'elmo e lasciò che le sue spalle si abbassassero in seguito a un lungo sospiro: avevano respinto l'attacco con successo, ma a quale costo? Qualsiasi perdita, benchè non ingente, era stata tremenda e da tempo il suo popolo aveva dimenticato il sapore amaro del pianto versato per i morti uccisi dalle armi. Si disse che si erano riabituati in fretta a combattere, ma abituarsi nuovamente al dolore, alla morte di un compagno per mano nemica era quanto di più difficile si potesse immaginare e Remider credeva che non fosse comunque possibile rendere usuale una sofferenza del genere. Pensò che, fortunatamente, la sua regina stava bene ed era stata protetta nel migliore dei modi, anche se avrebbe preferito far parte personalmente della sua scorta. Quando lei, riconoscendo le sue doti di stratego, l'aveva incitato ad andare a condurre la difesa aveva esitato, titubante nel lasciarla in mani che non fossero le sue.

"Va'" gli aveva detto.

"Infondi coraggio nelle truppe e rendi nuovamente gloriosa la nostra terra"

Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da un gemito, quasi un vagito sommesso. Tese l'orecchio per capire da dove venisse, un brivido corse sulla sua pelle e un terrore profondo, sobbillatore, prese a solleticargli la mente. Voltò la testa di scatto nella direzione da cui gli pareva provenisse il suono, i flutti dorati dei suoi capelli ondeggiarono, mise ali ai piedi e corse verso la fonte del gemito pregando il destino che non appartenesse a uno dei suoi soldati.

Scavalcò un grande masso ed atterrò agilmente in un piccolo avvallamento del terreno, la neve gli era amica e i suoi piedi scivolavano veloci e silenziosi sulla superficie bianca. Riverso a terra in una pozza di sangue, trafitto da una freccia, vide Vik. Corse da lui masticando qualche mala parola nei confronti degli Zimeniani e supplicò il fato che fosse ancora vivo.

Lo prese tra le braccia delicatamente macchiando col sangue del ragazzo la sua armatura e il suo mantello, gli diede qualche buffetto sulle guance e lo vide aprire debolmente gli occhi. Il giovane era ancora vivo, ma era pallido e respirava flebilmente: la ferita sembrava molto grave.

"Generale Vik! Ti prego, rispondimi!" esclamò Remider in tono affannoso, lacerato dall' entusiasmo per il fatto che fosse vivo e la preoccupazione per il suo stato. Trascorsero alcuni lunghissimi istanti prima che Vik fosse in grado di produrre qualche suono, tossì e sputò qualche goccia di sangue nella neve, poi mormorò:

"Allora sei capace di provare emozioni, Remider, non sei così granitico come vuoi far credere" il suo tono era sereno, Remider si chiese come fosse possibile che quel lavativo si permettesse di dirgli una cosa del genere: era un suo superiore. Probabilmente il sentimento di imminenza della sua fine l'aveva reso ancor più sagace e irriverente di quanto già non fosse. Lui e la cugina erano soldati validi, ma pur sempre ragazzi pestiferi e dispettosi, tutti guardavano a loro con affetto benevolo e paternale. Ora che lo reggeva tra le braccia provava un senso di rimorso per tutte le volte che li aveva aspramente rimproverati. Non perse altro tempo, prese in braccio il ragazzo e corse più velocemente che potè al castello: lì qualcuno avrebbe potuto salvarlo.

La testa del ragazzo ciondolava inerme, Remider non si azzardava ad estrarre la freccia per paura di peggiorare le cose, ansimava e vorticava come impazzito tra le macerie dell'ala del castello distrutta alla ricerca di un medico.

"Remider..." mormorò Vik.

"Non adesso, generale, sto cercando qualcuno in grado di curarti" lo zittì, Vik si abbandonò stancamente tra le sue braccia, come cullato in un abbraccio materno, Remider, terrorizzato dall'idea che si assopisse, lo scrollò per tenerlo sveglio.

"Remider" lo chiamò di nuovo, questa volta con più stanchezza nella voce.

"E va bene, parlami" gli occhi di Remider guizzavano come lepri e frugavano il palazzo alla ricerca dell'infermeria.

"Remider, Thomas è..."

"E' vivo?" chiese stupito Remider salendo le scale e ansimando sempre di più, le braccia cominciavano a fargli male.

"Sì, ma..." il ragazzo si interruppe e tossì di nuovo sputando altro sangue, ormai l'armatura di Remider era ben lontana dal suo candore originario, anche i suoi capelli e la sua barba erano intrisi di sangue.

"Cosa? Continua a parlarmi, generale, ci siamo quasi" finalmente trovò l'infermeria si mise furiosamente a cercare una branda libera, era un allestimento di fortuna, costituito in pochi istanti per curare i feriti più gravi. Adagiò il ragazzo su una brandina e gli passò una mano sul viso per scostare un ciuffo di capelli, senza volerlo le sue dita lasciarono una striscia vermiglia sulla sua guancia, come un segno tribale.

"Dimmi, Vik" esortò lo stratego di Elsha.

"E' lui il principe...E' lui...Ahir Zimenia" Vik vomitò quelle parole a fatica, erano suoni flebili e stentati, un medico li aveva finalmente raggiunti e stava iniziando freneticamente a spogliarlo per estrarre la freccia.

"Che cosa? Tu stai delirando" disse Remider, non del tutto sicuro di quello che aveva sentito. Vik gli afferrò il mantello e disse, in uno sforzo per cui dovette richiamare tutte le sue energie:

"No, l'ho sentito, l'hanno chiamato "principe di Ahir Zimenia" c'erano urgenza e disprezzo nella sua voce. "La persona che mi ha colpito con la freccia, era al soldo di Neear e gli ha detto "principe di Ahir Zimenia", devi credermi perché queste potrebbero essere le mie ultime parole e se non credessi con tutto me stesso di star dicendo il vero non sprecherei il mio ultimo fiato per dirti questo" si accasciò per lo sforzo e gemette quando il medico estrasse la freccia, un fiotto di sangue macchiò il lenzuolo della brandina. L'uomo premette un panno sulla ferita per fermare l'emorragia.

"Remider..." sospirò Vik, quasi invocandolo.

"Devi credermi" sollevò delirante una mano e afferrò il braccio dello stratego, gli occhi stralunati per il dolore e la paura si socchiusero dolcemente.

"Ti credo, Vik" disse dolcemente Remider, diede al ragazzo un bacio sulla fronte e lo lasciò alle cure del medico. Gli diede un'ultima stretta di mano e si alzò per andarsene, mille dubbi gli frullavano per la testa e sbattevano in continuazione contro le pareti del suo cervello come farfalle intrappolate sotto una campana di vetro.

Accorsero in infermeria anche Elsha e il suo seguito composto da una scorta e da alcuni ambasciatori. Alakei, l'ambasciatore di Nenja, non appena vide che quello disteso sul lettino coperto di sangue era Vik si lasciò andare in un ululato di disperazione e corse ad abbracciarlo. Quasi inciampò gettandosi a terra accanto alla brandina del generale, il suo mantello giallo, simbolo degli ambasciatori di Nenja ondeggiò come un mare di grano in estate. Il medico aveva appena finito di fasciare Vik, disse ai presenti che aveva perso molto sangue e che avrebbe avuto bisogno di una trasfusione, ma che al momento non sapeva assolutamente dove reperire il sangue necessario.

"Ne servirà anche per gli altri feriti" aggiunse poi, Remider ed Elsha si guardarono negli occhi scorsero nel volto l'uno dell'altra allarme e determinazione. La Regina delle Nevi sapeva esattamente a cosa stava pensando il suo fidato consigliere. Remider e Niah si misero immediatamente alla ricerca di individui sani in grado di prendere parte alle trasfusioni, sperando di fare in tempo.

Alakei prese il viso di Vik tra le mani, appoggiò la fronte a quella del generale lasciando che grosse lacrime sgorgassero dai suoi occhi e cadessero sul volto del ragazzo disteso. Il generale del Candido Esercito sollevò lentamente il braccio carezzando i capelli di Alakei.

"Sto bene, Alakei, sono vivo" disse debolmente, il ragazzo vestito di giallo gli afferrò la mano con cui gli stava solleticando la nuca e la strinse.

"Ti prego, non lasciarmi" gli baciò le nocche bagnandogli la mano di lacrime, il volto pallido di Vik si aprì in un sorriso.

Jacqueline era giunta in cima alla pedana, la corona ramata scintillava invitante e preziosa, la ragazza si ritrovò a riflettere sul significato di quell' oggetto: non era altro che un prezioso cerchio di metallo, ma quello che rappresentava era di valore infinitamente superiore. Potere, sovranità, potestà, autorità...Facile sarebbe stato farsi tentare dal luccichio dell' avidità e tendere le mani a ghermire quanto più possibile.

Salì graziosamente le scale della pedana trovandosi accanto allo scranno, tutti si erano alzati in piedi al suo passaggio e ora la osservavano sorridendo, fuori dalla porta del Palazzo del Sole una piccola folla di abitanti di Danesh allungava il collo per assistere all'incoronazione. Il sole scintillava e filtrava dalle finestre rimbalzando sui paraventi dorati, nel silenzio assoluto si udiva solo l'echeggiante sciabordio delle onde marine. Henry sorrise alla ragazza, non riuscì a nasconderle il luccichio delle lacrime, prese la corona tra le mani e pronunciò il discorso d'incoronazione.

"Popolo di Danesh, Lica Morpha, Artefici dell'aria, acqua, terra e fuoco, popolo di Auriah, siamo qui riuniti oggi per mettere il nostro regno nelle mani più meritevoli e sagge che siamo riusciti a trovare fra noi. Dopo la morte del re Cesaar non c'era nessun erede disposto a raccogliere il suo testimone, ma io, ultimo saggio delle Chunea Cime, custode dell'ultimo anello, insieme ai miei compagni, alla Regina delle Nevi e ad altre importanti personalità sono riuscito a decidere a chi attribuire questa corona" fece una pausa, la sua voce decisa e tonante venne assorbita dalle pareti della pagoda.

"Il signore delle tenebre Neear oggi minaccia ancora la nostra terra, la nostra diversità, le nostre radici, è capace solo di guerra e violenza. Noi crediamo nella pace, nella giustizia e nella verità e perciò riteniamo giusto nominare una guida che sappia sconfiggerlo con queste armi, che possa riportare Auriah nell'armonia" guardò Jacqueline negli occhi, la sua espressione era dura, penetrante, l'artefice del fuoco avrebbe potuto giurare che il suo amico e tutore le stesse scavando nell'anima alla ricerca di un tentennamento, di una piccola tensione. La ragazza raccolse il suo sguardo di sfida e piantò i suoi occhi in quelli dell'artefice dell'aria.

"Questa fanciulla si è dimostrata più volte degna della nostra fiducia, intelligente, forte, coraggiosa, saggia, diplomatica, perseverante, rispettosa, nobile...

Pertanto, io, Henry della Dodicesima Cima, nomino te,Jacqueline, Artefice del fuoco, figlia della regina Mitre, domatrice delCerchio, ultima dei guerrieri di Fiamma, cacciatrice di Chimarahy,conquistatrice del mantello di Edomen, portatrice di ekèndal e sorella minoredella Regina delle Nevi regina assoluta di Auriah e di tutte le sue terre"Jacqueline si inginocchiò e sentì la corona posarsi delicatamente sulla suatesta, le sembrò che il suo peso fosse aumentato aggiungendo quello di unagrande responsabilità, non appena l'oggetto toccò i suoi capelli l'artefice gliordinò di non assumere la sua forma fiammeggiante almeno per qualche istante. Si rialzò e incontrò lo sguardo emozionato e orgoglioso di Henry, si voltò verso la navata e vide i presenti inchinarsi devotamente per poi alzarsi ad applaudire emettendo grida di gioia. La ragazza aprì il volto in un sorriso e la corona sulla sua testa andò in fiamme. 

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