Jacqueline: festa danzante
"Perchè allora mi chiamava figlio?"
-Sofocle, Edipo re
Un vortice di colori e grida festanti avvolse Jacqueline, la gioia incontenibile degli abitanti di Danesh la travolse come un fiume in piena quando con il suo seguito attraversò le vie principali della città. Il sole splendeva luminoso nel cielo, dal mare, insolitamente calmo, giungeva una brezza fresca e leggera. Vedere il suo popolo così felice la colmò di gioia e si disse che avrebbe fatto di tutto per mantenere quello stato di gioia inalterato. Dopo una giornata di festeggiamenti passata a stringere mani, a ricevere doni e a omaggiare alleati l'artefice del fuoco si sentiva spossata e stanca.
"E il meglio deve ancora venire" disse Elija strizzandole l'occhio, la ragazza coprì uno sbadiglio con la mano.
"Un altro ricevimento?" chiese.
"No, molto meglio" aggiunse Jona prendendola a braccetto, per l'intera giornata aveva fatto di tutto pur di stare di stante dall'artefice della terra, tuttavia entrambi desideravano che quel giorno fosse speciale per la regina e si erano imposti di non litigare. Le occhiate di fuoco che si erano scambiati erano state numerose ma non erano mai sfociate in dibattiti.
"Non possiamo dirti altro: deve essere una sorpresa" gli occhi di Jona scintillavano alla luce delle lanterne come pietre preziose, il sole stava tramontando dietro alle montagne che abbracciavano lo stretto e il cielo era tinto di viola. Le lucerne di carta arancione si accendevano per le vie di Danesh come piccole stelle. L'artefice dell'aria accompagnò Jacqueline al Palazzo del Sole e le disse che gli altri l'avrebbero aspettata al punto d'incontro previsto, la regina salutò gli amici con la mano e incrociò lo sguardo di Ixander, lui le sorrise teneramente rispondendo al saluto con una mano e tenendo con l'altra il suo elmo scintillante.
Le due amiche entrarono nella pagoda e si fecero accompagnare da un paggio nella stanza della regina, sontuosa e splendida. I paraventi dorati riflettevano la luce del tramonto in ogni dove rendendo la camera luminosa come uno scrigno di gemme.
"Non vuoi dirmi proprio nulla?" chiese la regina con un sorriso stanco, si sedette sul letto affondando nel materasso morbido e si distese a pancia in su. L'artefice dell'aria emise un risolino e sistemò il laccio che le cingeva le tempie.
"No, te l'ho detto, deve essere una sorpresa"
"Spero solo che sia più riposante di tutte le altre attività di oggi" a quelle parole Jona le scoccò un'occhiata divertita e sussurrò qualcosa all'orecchio del paggio, questo schizzò fuori dalla stanza rapido come un ghepardo.
"Se ti sentisse Henry ritratterebbe immediatamente la decisione di darti la corona" la risata di Jona rimbalzò cristallina sui paraventi.
"Riesco quasi a immaginarlo: "Jacqueline, se non sei in grado di reggere due festicciole non sarai mai in grado di reggere una guerra, anche se non sono certo di cosa sia peggio"" si pose i capelli davanti alla bocca per imitare la barba dell'anziano artefice e pronunciò la frase con voce profonda. L'artefice del fuoco rise e si sentì animata da un nuovo vigore, si alzò accanto all'amica.
"Sono contenta che tu sia qui" disse, Jona la strinse in un abbraccio affettuoso, un gesto insolito da parte sua ma che Jacqueline apprezzò moltissimo, si sentì investita da un'ondata di piacevole calore e si crogiolò in quel tenero gesto.
Senza sciogliersi dalle bracci dell'artefice dell'aria le chiese: " Tu ed Elija avete litigato vero?" Jona non rispose, sospirò e borbottò qualche imprecazione.
"Per quale motivo?" chiese Jacqueline allontanandosi e mettendole le mani sulle spalle.
"Lui è un idiota" la regina inarcò un sopracciglio.
"E un po' lo sono anche io"
Il paggio tornò interrompendo la conversazione, portava ciò che Jona gli aveva chiesto: un vestito verde, molto più corto di quello indossato da Jacqueline per l'incoronazione, stretto in vita da una cintura di cuoio e decorato da ricami dorati.
"E' molto più adatto a ballare" disse l'artefice dell'aria prendendolo dalle mani del ragazzino, si fece poi portare un abito simile ma tinto di un blu intenso, scuro come la notte e tempestato di cristalli lucenti. Ringraziò il paggio e gli lasciò una lauta mancia.
"Ma di chi sono questi abiti?" chiese Jacqueline.
"Doni dei sarti di Danesh" rispose Jona con semplicità.
"Ad Auriah è tradizione che per i primi sette giorni di regno il monarca riceva doni da tutti gli artigiani del posto" l'artefice del fuoco era sorpresa, si chiese se quel gesto avesse in qualche modo procurato un danno ai sarti.
"Non ti preoccupare per loro, è una tradizione che non deve per forza essere osservata" aggiunse Jona. Indossati i vestiti le ragazze uscirono dalla pagoda quasi volteggiando, allegre come uno stormo di rondini. L'artefice dell'aria condusse la regina verso il porto di Danesh, si vedevano le barche ondeggiare cullate dalle onde e il mare sciabordare in lontananza. Un profumo intenso di spezie e brezza marina penetrò le narici di Jacqueline. Vide una spiaggia stendersi dolcemente verso l'acqua, riuscì a scorgere un punto cinto da lanterne elevate a mezz'aria che illuminavano uno spiazzo. Intorno a uno scoppiettante falò danzavano numerose persone, tra i loro capelli fiori e penne colorate si agitavano insieme alle loro vesti, i visi erano tinti da pitture tribali e i sorrisi brillavano di allegria.
"Ma sono...'"
"Sì, Jacqueline, sono i Syan" la regina si portò le mani alla bocca in un gesto di stupore, sentì le lacrime pungere i suoi occhi spalancati.
"Credevo fossero..." un singhiozzo impedì alla frase di essere conclusa.
"Alcuni di loro sono sopravvissuti, è giunta loro voce di ciò che hai detto a Neear quando gli hai dichiarato guerra, sono fieri del fatto che tu abbia deciso di vendicare e proteggere la loro stirpe e ti sono grati per il tuo rispetto nei loro confronti. Ci hanno detto che desideravano omaggiarti e riconoscerti come loro guida offrendoti questa festa"
Una lacrima di commozione scivolò sulla guancia della regina, un ragazzo e una ragazza Syan si avvicinarono a loro, le pitture e i tatuaggi colorati sulla loro carnagione ambrata sembravano animarsi alla luce danzante delle fiamme. Reggevano insieme una splendida corona di fiori, uguale a quella che loro stessi portavano, la posero sul capo di Jacqueline senza alcuna paura delle fiamme del Cerchio che guizzavano agitate. Le sorrisero calorosamente e si inchinarono con grazia, poi la ragazza prese la parola: " Dolce regina, il mio nome è Hai, ero la cugina di Oto, figlia di Temur, dopo la loro scomparsa a causa dell'attacco degli zimeniani ho guidato il popolo Syan insieme a mio fratello Khaa. Siamo felici che Auriah ti abbia scelto come sovrana perché sappiamo che ora possediamo una guida saggia a cui importa delle sorti del nostro popolo, vogliamo omaggiarti con i nostri riti e le nostre danze e ti preghiamo di partecipare a questa festa affinchè ti possiamo onorare secondo le nostre tradizioni" il cuore di Jacqueline si riempì di gratitudine e affetto, ricordava i riti della sera del popolo Syan, la sensazione di comunione con la natura che aveva provato e le emozioni provocate dalle loro frenetiche danze. Tuttavia sentendo le parole di Hai si rabbuiò.
"Oto e Temur sono scomparsi? Credevo che la principessa fosse sopravvissuta" chiese apprensiva. Khaa scosse la testa.
"Gli zimeniani l'hanno catturata, non abbiamo mai saputo dove l'abbiano portata o quale sia stata la sua sorte" Jacqueline sentì montare dentro di se una rabbia violenta, non le piaceva Oto, ma ricordava il dolore sul suo viso quando aveva visto le truppe di Neear devastare il suo villaggio e il coraggio che aveva comunque conservato per aiutarli. Non meritava quel destino.
"Hai, Khaa, vi ringrazio profondamente per la vostra riconoscenza, mi onora essere tra di voi ed essere partecipe dei vostri riti, avrò sempre profondo rispetto per il vostro popolo perché mi avete aiutato e accolto mentre viaggiavo coi miei compagni verso Nenja. Vi prometto che vendicheremo tutte le offese che Neear vi ha recato e, se Oto è ancora viva, la troveremo e la libereremo" gli occhi dei due fratelli scintillarono per la commozione, strinsero entrambe le mani della regina e la condussero verso il falò per partecipare alle danze.
Mentre si prendeva un istante per salutare gli altri Syan sopravvissuti Jacqueline vide che anche Elja, Ixander ed Henry erano presenti, l'unica assente del seguito era Hana. Sorrise agli amici mentre stringeva le mani degli ultimi arrivati a salutarla. I Syan si tracciarono sul volto i loro simbolo sacri con pitture colorate, disegni e linee percorrevano i loro volti e le loro braccia. Jona le si affiancò e le sussurò all' orecchio: "Devi stare attenta con le promesse, non puoi sapere se sei in grado di mantenerle" Jacqueline la guardò negli occhi, il falò animava le sue pupille indaco.
"Parola di re è parola di re" l'artefice del fuoco abbassò lo sguardo, certamente aveva ragione lei ma avrebbe fatto di tutto per onorare la sua promessa.
Lo sciabordio delle onde sula battigia giungeva attutito e lontano, intorno al falò numerosi musicisti percuotevano tamburi, cembali o altri strumenti, soffiavano nei flauti, solleticavano cetre e battevano le mani. Il ritmo travolgente della musica fece dimenticare a tutti i loro affanni e li trascinò in una danza vorticosa, Hai e Khaa presero la regina per mano e iniziarono a danzare in cerchio intorno al falò, Jacqueline si sentiva animata dalla stessa energia delle fiamme, un fuoco di vita bruciava dentro di lei. Scorse Elija e Jona che si guardavano in cagnesco, il suo sorriso si spense per qualche secondo, sperò che quella festa potesse essere loro utile per appianare le loro divergenze. Volteggiava quasi senza toccare terra, leggera come un velo, guidata dalla musica inebriante. Fece vagare lo sguardo sulla folla circostante e , fra i pochi che erano rimasti seduti, scorse Ixander, ne incrociò lo sguardo e gli sorrise, anche lui sollevò un angolo della bocca in risposta. La regina si sciolse dal cerchio e corse dall'artefice dell'aria, i suoi capelli e la corona di fiori ondeggiarono al suo passo.
"Il mio generale migliore non si unisce alle danze?" chiese ridendo.
Ixander emise un risolino soffocato e guardò verso il mare. "Non credo di essere tagliato per questo tipo di cose"
"Questa danza è la celebrazione dell'unione con la natura, tutti sono tagliati per questo rito"
"Detta così suona molto bene..." la luce delle fiamme nascondeva il delicato rossore sulle sue guance. Jacqueline avvicinò il suo viso a quello dell'artefice dell'aria, fece un sorriso furbo.
"E se te lo ordinassi?"
"Allora suppongo che non avrei altra scelta se non quella di danzare" rise il generale.
"Giusto, non puoi disobbedire alla tua regina, no?"
"Assolutamente" lo prese per mano e lo fece alzare in piedi per poi condurlo nel vortice delle danze con un luminoso sorriso stampato in volto.
Jona si prese qualche istante di pausa, aveva il fiatone e aveva danzato sfrenatamente per diverso tempo, fece un cenno ai Syan con cui stava danzando e si allontanò dallo spiazzo. I piedi di tutti sferzavano la sabbia con vigore e il rimbombo dei tamburi echeggiava nel petto, le figure intorno al falò volteggiavano energiche e leggere. Massaggiandosi le tempie fece qualche passo verso il buio, al limitare del cerchio di luce descritto dalle lucerne, sentiva lo sciabordio delle onde che si gettavano sulla battigia. Raggiunse un boschetto di palme vicino alla spiaggia e si sedette osservando il falò da lontano, non riusciva a smettere di pensare al suo litigio con Elija: si erano scambiati parole dure, dettate dalla rabbia, ma si sorprendeva a desiderare la sua compagnia e la risoluzione del loro conflitto.
Volse lo sguardo verso le stelle che scintillavano silenziose. "Perché?" chiese loro sommessamente, naturalmente il cielo non le diede risposta. Dal mare giunse un refolo di vento che le sollevò dolcemente i capelli, l'aria, il suo elemento, le portò diversi profumi.
C'era aria di gioia, di serenità, di affetto, di amore e un pizzico di imbarazzo, sorrise e gettò uno sguardo sulle figure di Jacqueline e Ixander che danzavano, certamente sapeva a chi apparteneva l'ultimo odore. Anche il generale di Danesh era un potente artefice dell'aria e Jona spesso percepiva il variare di intensità del vento in base ai suoi cambiamenti d'umore, ma le sensazioni che portavano a tali movimenti erano per lei ignote, intuibili certo, ma imperscrutabili, il vento conservava i segreti di Ixander gelosamente. Inspirò a fondo l'aria della notte e sentì una zaffata di rabbia, pensò che appartenesse a Elija che stava guardando nella sua direzione, forse si era accorto che si era allontanata, scosse la testa in segno di disapprovazione, inspirò nuovamente e stavolta percepì un sentimento più viscerale, un astio profondo, inarcando un sopracciglio si disse che non poteva provenire dall'artefice della terra che non sarebbe mai stato in grado di mostrare una malvagità così violenta. L'odore allarmante del pericolo penetrò le sue narici, si voltò lentamente chiamando la sua arma, il coltellaccioluccicò nella notte.
Jona frugò tra le piante con lo sguardo, i nervi tesi come corde di violino e i sensi pronti captare anche il minimo segnale, l'aria non mentiva mai, se c'era un pericolo doveva essere reale e vicino.
Un ringhio le giunse ovattato e distante. "Chi è là?" chiese con fermezza, le foglie di un cespuglio frusciarono facendola scattare indietro. La colse ancora quell'odore di odio, di malizia, tremendo, così forte da stordirla.
"Strano che tu non ricordi più la tua famiglia, dopotutto i legami di sangue non si possono cancellare..." una voce roca e profonda giunse dal buio, il sangue dell'artefice dell'aria si raggelò e ogni arto del suo corpo cadde in una paralisi di terrore. Non credeva che quel momento sarebbe mai giunto, aveva sperato che quella visione rimanesse confinata nei suoi incubi.
Un uomo emerse dalle ombre, molto più alto di quanto Jona non lo ricordasse, con un mantello blu stracciato e gli occhi iniettati di sangue. L'uomo storse la mascella in una smorfia che probabilmente voleva imitare un sorriso crudele. La giovane donna sentì le lacrime pungerle gli occhi; le battevano i denti, avrebbe voluto rispondere a quelle parole ma un nodo in gola la rendeva in grado solamente di balbettare.
"Che cosa ci fai tu qui?" disse quando riuscì a richiamare a sé tutta la forza che possedeva, impugnò l'arma e la tese tra lei e l'uomo tremando come una foglia.
"C-come hai fatto a trovarmi?"
"Questo non ti deve importare, non sei felice che ci siamo ricongiunti?" Jona non rispose, si morse il labbro terrorizzata e sentì che aveva iniziato a sudare freddo.
"Che cosa vuoi?" disse, l'uomo emise una risata strozzata.
"Riportarti a casa" Jona, senza abbassare il coltello rispose tremando: "Me ne sono andata, quella non è più la mia casa" i suoi occhi si riempirono di lacrime.
"Da quanto sei scappata non ho fatto che cercarti, cosa dirà la gente se non ti vedrà più tornare?"
"T-tu mi facevi del male" disse l'artefice dell'aria tra i singhiozzi.
"Dovevi espiare le tue colpe, è il lavoro di ogni buon padre punire i propri figli"
"TU NON SEI MIO PADRE!" gridò Jona disperata, ogni fibra del suo corpo era intrisa di paura, avrebbe solo voluto accasciarsi e urlare fino a perdere la voce.
"Che cosa vai dicendo? Certo che lo sono" il tono mellifluo e malvagio delle sue parole giunse ovattato alle orecchie di Jona.
"Ora torniamo a casa, cosa penserà la gente non vedendoti tornare" Jona non riusciva a smettere di tremare, odiava quell'uomo più di chiunque altro e avrebbe dato qualsiasi cosa per essere altrove, la paura la paralizzava e non era in grado di muovere alcun muscolo. Lei, una guerriera tra le più coraggiose di Auriah, braccio destro della regina, non era in grado di affrontare un uomo apparentemente disarmato. Si sentì umiliata.
Suo padre si avvicinò a lei cautamente, aggirando l'arma protese un dito verso di lei cercando di toccarla. Continuava a farneticare sulle opinioni della gente e sul fatto che dovessero tornare prima dell'alba. Jona, in un istante di lucidità, capì che doveva essere completamente pazzo. L'artefice dell'aria si sentì come colta da una vertigine e ancor più frustrata per la sua incapacità di muoversi: la paura non smetteva di paralizzarla. Suo padre stava per sfiorarle il viso quando una voce ferma, carica di rabbia, lo bloccò.
"Vattene" per qualche secondo Jona pensò di essere stata lei stessa a pronunciare quelle parole, poi si voltò e vide una figura in piedi alle sue spalle. Elija, fuerente, ribolliva come un vulcano sul punto di eruttare, i suoi occhi verdi mandavano lampi.
"Vattene immediatamente, bastardo, finchè puoi ancora farlo con le tue gambe" l'astio versato su ogni sillaba colava dalle sue sue parole come miele da un alveare. L'artefice della terra fece roteare le sue asce nere tra le mani e si interpose tra padre e figlia, Jona non si mosse di un passo, non riusciva ancora a capacitarsi della sua paralisi, non smetteva di tremare. L'uomo torreggiava su di lui ma Elija non ne sembrava affatto intimidito, al contrario invece il primo sembrava avere paura dell'artefice dalla pelle ambrata, borbottò qualcosa sul fatto che dovessero tornare a casa e indietreggiò lentamente. La terra eruttò due fasci di rovi che si protesero minacciosamente in avanti, il padre di Jona contunava a balbettare.
"Non mi hai sentito? Ti ho detto vattene, subito, e non tornare mai più" le lacrime di Jona le offuscarono la vista, le orecchie le rombavano e il cuore le batteva all'impazzata, finchè l'immagine di suo padre non fu uscita dal suo campo visivo non riuscì a respirare. Elija giunse ai margini della boscaglia più fitta, pronto a inseguire l'uomo, tuttavia si impose di fermarsi e si voltò verso l'artefice dell'aria, immobile e tremante con la spada tesa.
"Va tutto bene ora, se n'è andato" disse serio, quasi sibilando, poi vide il suo sguardo vacuo e le grosse lacrime che le bagnavano le guance.
"Jona? Mi senti? Ti prego dimmi che stai bene" il suo tono di voce mutò radicalmente, la durezza scomparve e l'apprensione si impadronì di lui, la prese per le spalle e la scosse leggermente. Nell'esatto secondo in cui l'artefice dell'aria realizzò che non si trovava più alla presenza di un nemico ostile esplose in pianto disperato, fece cadere a terra la spada che aveva stretto convulsamente e portò le mani tremanti al viso. Le gambe le cedettero e si accasciò a terra, Elija la strinse in un abbraccio sedendosi a terra accanto a lei. Sentì che si ranicchiava contro il suo petto, scossa dai singhiozzi. Tutta la rabbia che aveva serbato fino a quel momento scemò e azzardò una carezza sui capelli di Jona.
"Va tutto bene, è tutto finito" le disse dolcemente, riuscì a distinguere tra i singulti di Jona solo la parola "aiuto", la ragazza si aggrappò alla sua veste come se fosse stata sull'orlo di un precipizio. Elija la strinse a sé lasciando che si sfogasse anche se le sue dita che affondavano come artigli gli facevano male.
Trascorsero diversi minuti, ma finalmente l'artefice dell'aria smise di piangere, sollevò lo sguardo, l'indaco dei suoi occhi era annacquato da tutte le lacrime che aveva versato. Si lasciò andare in un sospiro e gettò le braccia intorno al collo dell'artefice della terra.
"Scusami" mormorò. Elija sospirò, un timido sorriso comparve sulle sue labbra. "Non importa"
"Grazie" sussurrò Jona senza sciogliersi dall'abbraccio. Elija si allontanò per qualche istante e piantò i suoi occhi verdissimi in quelli dell'artefice dell'aria.
"Tu avresti fatto lo stesso per me" attinse a quelle parole come a una fonte di certezza.
"E, per quanto riguarda il nostro litigio, anche io devo scusarmi, sono stato un idiota" Jona non riuscì a sostenere i suo sguardo ma sentì che le stava asciugando una lacrima dal viso, non si oppose a quel contatto e riportò i suoi occhi in quelli verdissimi dell'artefice della terra.
"Se non altro ti riesce bene" a quelle parole entrambi si lasciarono andare in una risata sollevata, tutte le ferite vennero guarite e le tensioni catartizzate.
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