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EPILŎGUS

Sei anni di pace.

Erano più di quanti Aidan ne riuscisse a ricordare, e di certo più di quanti ne avesse sperati.

Si voltò soddisfatto a guardare Valkano. L'imponente costruzione, completa in ogni sua parte, era magnifica. Il cielo, sopra di lui, era blu cobalto. Era un buon giorno per andare a caccia.

Attraversò la corte per andare a prendere i suoi falchi. Da lontano, vide Ilo che usciva dalla biblioteca, seguito dal suo piccolo esercito di apprendisti. Parlottava con Lomion, che sembrava intento a spiegargli qualche strano rituale. Il re gli lanciò un rapido cenno con la mano, cui l'altro rispose con un sorriso, poi proseguì.

Certo che si è calato alla perfezione nei panni di Custode del Monastero...

L'incantatore aveva preso sul serio il suo ruolo o, almeno, tanto quanto glielo permetteva la sua natura. Che per Ilo significava ammirare e rispettare Aegis e i suoi insegnamenti, per poi prodursi nella sua perfetta e ironica imitazione alla prima occasione.

Aidan non poté fare a meno di ridere a quel pensiero. Per sua fortuna, Aegis trascorreva la maggior parte del tempo a Laurëgil. Era ancora il Reggente di Laurëlindon e si recava a Valkano solo di tanto in tanto, quando il cerimoniale magico richiedeva la sua presenza. Aveva già impegni a sufficienza.

Galanár, infatti, non era rimasto troppo a lungo a Formenos, com'era nel suo costume.

Se non altro, ha deposto le insegne da generale e ha smesso di fare la guerra.

Suo fratello si era impegnato piuttosto a viaggiare. Aveva visitato le diverse regioni del suo regno e si era occupato di migliorarne l'amministrazione locale. Quando non era ad Amilendor, si spostava a Est, oltre le Montagne. Aveva preso a cuore le sorti delle Città del Mare e si era impegnato a proteggerle, a conoscere i costumi di quelle terre e a sostenere le loro attività. Aveva anche rafforzato i legami commerciali con Gordian e con le altre Città libere, e costruito nuove rotte commerciali. In tutti i suoi viaggi lo accompagnava Fanelia.

Quei due sembrano aver trovato nel comune vagabondare il senso stesso della loro vita!

Prima di lasciare Formenos, Galanár aveva nominato un nuovo Siniscalco. Con il suo solito senso di indipendenza, e del tutto indifferente alle formalità di corte, aveva sorpreso tutti scegliendo Alis per quel ruolo. Un fatto che, sulle prime, aveva molto divertito Mellodîn, ma che in breve si era tramutato in un bella gatta da pelare. Il Comandante generale dell'esercito, infatti, aveva un bel daffare a tenere testa al Sovrintendente della casa reale, sia in pubblico che nel privato.

Bellator, invece, era tornato ad Arthalion. Era diventato comandante dell'esercito della Lega e, a dispetto dei consigli del generale, alla fine aveva sposato la sua dama dai capelli rossi, per rispettare le convenienze e dare un nome al nuovo erede di Medthalion.

Il suo matrimonio era stato comunque una valida scusa, per Aidan, per tornare ad Arthalion e far visita alla regina Laurëloth, che ne era ancora la Reggente. Forse non sarebbe mai più riuscito a guardarla con la stessa devozione che aveva nutrito nei suoi confronti quando era più giovane, ma era pur sempre sua madre, e Adwen l'aveva convinto a mettere da parte il passato e a trascorrere del tempo con lei.

Aidan si fermò di colpo. Perso in quei pensieri, non si era reso conto di aver superato la sua meta e di essere arrivato fino al giardino privato, dove la loro jacaranda sempre in fiore dominava lo spazio con le sue fronde color pervinca. Si appoggiò con fare pigro contro la pietra del portale d'ingresso e la sua attenzione fu assorbita dallo spettacolo che si stava svolgendo all'ombra del grande albero.

Sull'erba tenera appena portata dalla primavera, due bambini si rincorrevano tra gridolini e risate. Dopo un'ultima corsa sfrenata il più grande, un elfo dai lunghi capelli scuri come la notte e dalle iridi chiare come l'acqua, si lasciò afferrare dal più piccolo, un bambino dalla chioma castana che aveva gli occhi del suo stesso colore, solo di un azzurro più intenso.

I due si rotolarono nell'erba, poi l'elfo sollevò le braccia e dichiarò la sua resa in tono plateale.

"Ho vinto di nuovo!", esclamò l'altro con una vocina trionfante. "Voglio i fuochi, Edhel! Quelli che sai fare tu!"

L'elfo ridacchiò compiaciuto.

"Va bene, Maldor, va bene".

Aidan pensò che avrebbe fatto meglio ad andare prima che si accorgessero di lui e interrompessero i loro giochi, ma non riusciva a staccarsi da quella scena. Ogni volta, gli si fermava il cuore.

"Non possiamo vedere l'infinito", mormorò tra sé, mentre le labbra gli si piegavano in un sorriso. "Perché noi stessi ne facciamo già parte".

Decise di restare a osservarli a distanza, senza farsi vedere. 

"Vuoi la rivincita?", propose il piccolo Maldor con aria spavalda.

Edhel esitò e increspò le labbra in un broncio.

"Non possiamo sempre giocare alla guerra, ti pare?"

"Perché no?"

L'elfo si strinse nelle spalle, come se non si fosse aspettato quella domanda.

"Perché ci sono tante altre cose da fare".

"Per esempio?"

"Per esempio...", tamburellò un istante le dita sulla bocca. "Potrei leggerti una storia".

Maldor sembrò dover riflettere su quella proposta.

"Uhm, va bene", concluse infine. "E poi sono stanco di vincere sempre".

L'elfo si tirò su dall'erba e tese una mano al compagno per aiutarlo a fare altrettanto. Maldor si rimise in piedi e osservò Edhel per un attimo, poi il suo viso si illuminò come se avesse appena avuto una bellissima idea. Gli afferrò la manica e la strattonò con entusiasmo.

"Se vuoi, possiamo fare un accordo, Edhel. Così non dovremo più giocare alla guerra".

"Un accordo? E che accordo vorresti fare?"

"Be', facciamo così: un giorno io sarò il re degli Uomini e tu il re degli Elfi".

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